Il legislatore ha dettato una serie di norme tese a garantire la maggiore celerità del procedimento e l'adozione di cautele a tutela della vittima di violenza, volte a evitare il paventato fenomeno della c.d. vittimizzazione secondaria. Come si avrà modo di vedere, la normativa di nuovo conio ha da subito sollevato un vivace dibattito in merito al suo ambito di applicazione.
Inquadramento
La riforma Cartabia del diritto di famiglia ha avuto il merito non solo di avere unificato i riti e le tutele, così portando a compimento la riforma della filiazione avviata con il d.lgs. 154/2013 di parificazione dello status di figlio, ma anche di avere valorizzato, nell'ambito del procedimento unitario, le specificità di taluni procedimenti. Così ove una delle parti alleghi condotte violente poste in essere dall'altra parte in danno di uno o più dei componenti del nucleo familiare, il legislatore ha dettato una serie di norme tese a garantire la maggiore celerità del procedimento e l'adozione di cautele a tutela della vittima di violenza, volte a evitare il paventato fenomeno della c.d. vittimizzazione secondaria. Il legislatore della riforma si è in tal modo inserito nel solco del trend normativo avviato a livello sovranazionale, solo marginalmente seguito dal legislatore della famiglia nel 2001 mediante la disciplina delle misure di protezione contro gli abusi familiari agli artt. 342-bis ss. c.c. e 736-bis ss. c.p.c., volto a rafforzare il contrasto alla violenza domestica nell'ambito del diritto civile ancor pima che in quello penale (si vedano per tutte la Convenzione di Istanbul del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, firmata a Istanbul l'11 maggio 2011, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 77/2013, nonché la Direttiva 2012/29/UE che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato). Come si avrà modo di vedere, la normativa di nuovo conio ha da subito sollevato un vivace dibattito in merito al suo ambito di applicazione.
In evidenza
L'allarmante diffusione della violenza di genere e domestica ha indotto il legislatore delegante a prevedere numerosi principi di delega finalizzati a evitare il verificarsi, nell'ambito dei procedimenti civili e minorili (…) di fenomeni di vittimizzazione secondaria. La vittimizzazione secondaria si realizza quando “le stesse autorità chiamate e reprimere il fenomeno delle violenze, non riconoscendolo o sottovalutandolo, non adottano nei confronti della vittima le necessarie tutele per proteggerla da possibili condizionamenti e reiterazioni della violenza” (cfr. relazione sulla vittimizzazione secondaria approvata il 20 aprile 2022 dalla Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, del Senato della Repubblica, Doc. XXII bis n.10). (relazione illustrativa al d.lgs. 149/2022, p. 71)
La nozione di violenza domestica o di genere
All'interno del capo III del libro II del titolo IV bis c.p.c. dedicato alle disposizioni speciali, alla sezione I il legislatore ha introdotto sette articoli (artt. 473-bis.40 – 473-bis.46) dedicati ai procedimenti in cui siano allegati abusi familiari o condotte di violenza domestica o di genere poste in essere da una parte nei confronti dell'altra o dei figli minori. Mediante tale impianto normativo il legislatore ha recepito le indicazioni, anche sovranazionali, circa l'inadeguatezza dell'attuale sistema processuale civilistico a fare fronte al dilagante fenomeno della violenza di genere (si rammenti che in seno al Consiglio di Europa è stata istituita la c.d. Commissione Grevio proprio per monitorare la corretta attuazione della Convenzione di Istanbul da parte degli stati aderenti).
La definizione di violenza domestica o di genere e la declinazione del concetto di allegazione assumono una rilevanza fondamentale ai fini dell'applicazione della normativa in disamina, dal momento che, come recita lo stesso capo III, le norme in materia di violenza codificano un procedimento di famiglia speciale, in parte derogatorio rispetto a quello tratteggiato dai capi precedenti del medesimo libro.
Nel testo codicistico manca una definizione delle condotte suscettibili di dare luogo all'applicazione del rito speciale, tuttavia vari argomenti depongono a favore di un'interpretazione lata del concetto di violenza, non coincidente con la nozione penalistica.
In primo luogo, l'art. 3 della Convenzione di Istanbul, per cui con l'espressione violenza domestica si intendono tutti gli atti di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all'interno della famiglia o del nucleo familiare o tra attuali o precedenti coniugi o partner, indipendentemente dal fatto che l'autore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima.
In secondo luogo, la relazione illustrativa al d.lgs. 149/2022, ove si legge che la mancata definizione di violenza è da imputarsi all'esigenza di garantire il maggiore ambito di applicazione alle norme in questione e di estenderla non solo alle forme di violenza o di abuso divisate dall'art. 64-bis disp. att. c.p.p.(introdotto dalla l. 69/2019 nota anche come “codice rosso”) ma anche a forme di violenza meno evidenti, come le percosse o la violenza economica, finanche a fattispecie non suscettibili di imputazione penale. Che la nozione “civilistica” di violenza sia più estesa di quella penale, d'altronde, è circostanza nota ai giudici della famiglia, chiamati a dare rilievo a condotte a vario titolo violente o minacciose anche ai fini dell'adozione della pronuncia di addebito della separazione.
La deduzione di episodi di violenza diretta o assistita, sia fisica che morale, potrà pertanto dare luogo all'applicazione della normativa speciale a prescindere dall'eventuale rilievo penale: ciò che risulta determinante è l'esistenza di una condizione di squilibrio in cui una parte si trovi in quanto soggetta alla maggiore forza, economica o morale, dell'altra.
Maggiori dubbi solleva la definizione del concetto di allegazione. A p. 71 della relazione illustrativa al d.lgs. 149/2022si legge che la scelta di applicare le disposizioni in esame in presenza di mere allegazioni di violenza o di abuso, intese come mera affermazione, ha la sua ragion d'essere nella necessità di intercettare al suo primo manifestarsi la volontà della possibile vittima di violenza di superare quello che è noto come il ciclo della violenza. A volersi attenere al tenore letterale della norma, come illustrata nella relazione che precede, deve concludersi che la mera allegazione dell'esistenza di condotte violente nei termini anzi descritti dovrebbe dare luogo all'applicazione delle norme speciali che si andranno a tratteggiare al fine di garantire il più celere accertamento dell'eventuale fondatezza delle allegazioni di parte. Come si avrà modo di vedere, infatti, a fronte dell'allegazione di condotte violente il giudice avrà facoltà di ridurre i termini processuali fino alla metà.
I primi commentatori hanno tuttavia osservato che le allegazioni di violenza per dare luogo all'applicazione del procedimento speciale devono essere connotate da un certo grado di specificità quanto a tempo, luogo e modalità della condotta. L'idea che l'allegazione debba essere qualificata, anche se non necessariamente accompagnata da documentazione sanitaria o legale, è quanto mai opportuna in quanto, se è vero che dalla mera allegazione non scaturisce l'applicazione ex se di misure restrittive come quelle di cui all'art. 473-bis.70 c.p.c., vero è anche che il procedimento seguirà un canale preferenziale.
In un simile quadro diventerà determinante stabilire quale rilievo accordare alle dichiarazioni rese dalla persona offesa. Nel giudizio penale la persona offesa è sentita in veste di testimone e le dichiarazioni rese dalla stessa, tenuto conto della sua credibilità soggettiva e dell'attendibilità intrinseca del racconto, sono idonee a fondare la penale responsabilità dell'imputato anche in mancanza di riscontri estrinseci (ex plurimis cfr. Cass.pen. 21024/2022; App. Napoli 4909/2022). Nel giudizio civile le dichiarazioni della persona offesa non potranno mai assurgere al rango di prova, quanto meno tipica, considerato che nel processo civile la parte non può essere escussa come testimone: residua, tuttavia, lo spazio delle prove c.d. atipiche che, sebbene non espressamente normate dal codice di rito, da anni la giurisprudenza ammette ai fini della prova dei fatti principali e secondari (ex plurimis Cass. 1315/2017). Naturalmente a differenza che nel giudizio penale le dichiarazioni della vittima di violenza dovranno essere supportate da ulteriori riscontri estrinseci ed essere, in ogni caso, adeguatamente valutate nel loro contenuto intrinseco. Oltre alle dichiarazioni della persona offesa potranno soccorrere ulteriori prove atipiche, come le registrazioni audio-video o gli atti acquisiti in altri procedimenti.
Il procedimento
Principiando dagli atti introduttivi, per garantire il più celere accertamento dei fatti di violenza allegati dal ricorrente, il legislatore all'art. 473-bis.41 c.p.c. ha disposto che ove i fatti allegati siano già stati denunciati all'autorità penale e siano stati oggetto di un procedimento, nel ricorso debba essere fatta menzione di tali procedimenti, cui dovranno essere allegati anche eventuali verbali di assunzione di sommarie informazioni testimoniali e prove assunte in altri giudizi. La norma in commento non fa altro che specificare la generale previsione contenuta nell'art. 473-bis.12, comma 2 c.p.c. che, al fine di garantire al giudice delegato una piena cognizione della controversia, impone alle parti di fare menzione dell'esistenza di altri procedimenti pendenti tra le stesse parti. Tale disposizione, naturalmente, dovrà tenere conto anche della necessità di non compromettere lo svolgimento delle indagini penali ove non siano ancora stati compiuti atti c.d. garantiti.
Depositato il ricorso il Presidente designerà il giudice delegato alla trattazione che, per prassi ormai diffusa nella maggior parte degli Uffici di merito, fisserà con decreto l'udienza di comparizione delle parti dinanzi a sé. Ove il giudice delegato ritenga che i fatti allegati dal ricorrente integrino gli estremi della violenza domestica nei termini sopra indicati, quanto meno a livello di fumus, al fine di verificare la fondatezza dei fatti denunciati e apprestare, sia da un punto di vista sostanziale che processuale, le più idonee cautele a tutela della vittima di violenza, potrà in primo luogo ridurre, fino a dimezzare, i tempi per l'instaurazione del contraddittorio. Non è invece prevista la possibilità per il giudice di ridurre ulteriormente i tempi di comparizione, dovendo in ogni caso garantire alle parti lo scambio di memorie divisato dalle norme generali di cui agli artt. 473-bis.14 e 473-bis.17 c.p.c. Ove, pertanto, il giudice disponga il dimezzamento dei termini processuali, verranno dimezzati anche i termini per la costituzione del convenuto e per il deposito delle ulteriori memorie difensive in vista dell'udienza. Il giudice delegato per evitare i contatti tra le parti potrà convocarle separatamente (ferma restando la presenza dei difensori) ovvero disporre l'udienza con modalità da remoto. Sempre con il decreto di fissazione di udienza il giudice delegato chiederà al Pubblico Ministero e alle altre pubbliche autorità se esistono procedimenti pendenti tra le stesse parti, le quali provvederanno alla trasmissione nei successivi 15 giorni ove gli atti non siano secretati. Il termine di 15 giorni non è perentorio, tuttavia sarebbe buona prassi che la trasmissione avvenga nel suddetto termine in modo tale da garantire anche al convenuto la possibilità di esercitare il diritto al contraddittorio fin dalla prima difesa. Infine, ove la vittima si trovi in collocazione protetta il giudice delegato potrà disporre che negli atti sia secretato il suo indirizzo.
Quid iuris ove i fatti di violenza siano allegati dal resistente? In tal caso è ipotizzabile che la previsione del dimezzamento dei termini processuali sia applicabile alle scansioni temporali successive alla costituzione: il giudice delegato potrebbe, ove ritenga le allegazioni qualificate, assegnare all'attore un termine di soli 10 giorni per depositare la memoria di cui all'art. 473-bis.17 c. 1 c.p.c., al convenuto di 5 giorni per depositare la memoria di cui all'art. 473-bis.17 comma 2 c.p.c. e all'attore di 2 o 3 giorni per la memoria di replica, così assicurando una anticipazione di udienza di circa 20 giorni.
Il possibile ricorso a strumenti di alternative dispute resolution
Per evitare fenomeni di c.d. vittimizzazione secondaria il giudice nel decreto di fissazione di udienza dovrà avvisare le parti che non sono tenute a comparire personalmente in udienza (in deroga al principio generale) e, ove compaiano, potrà sentirle separatamente disponendone la comparizione a orari diversi: in tali procedimenti non dovrà essere svolto il necessario tentativo di conciliazione che richiede la necessaria presenza delle parti al pari degli “ordinari” giudizi di separazione e divorzio. Ove poi le deduzioni di violenza siano qualificate dall'esistenza di una sentenza penale di condanna, da una misura cautelare civile o penale ovvero dall'emissione dell'avviso di conclusione di indagini preliminari, il giudice delegato non dovrà informare le parti della possibilità di rivolgersi a un mediatore, salva la possibilità di rivolgere tale invito nel corso del giudizio ove le deduzioni dovessero rivelarsi infondate. Tale previsione è stata inserita in esecuzione del disposto dell'art. 48 della Convenzione di Istanbul che impone agli Stati di adottare misure volte a vietare il ricorso a strumenti alternativi delle controversie in relazione a tutte le forme di violenza che rientrano nel campo di applicazione della Convenzione. Nulla è stato previsto con riferimento alla possibile nomina di un ausiliario da parte del Tribunale su accordo delle parti (art. 473-bis.26 c.p.c.). Se la ratio della norma che vieta il ricorso alla mediazione è quella di evitare la soluzione di controversie in via conciliativa tra due parti che non si trovano in condizione di parità e che pertanto non hanno la stessa possibilità di mediare, allora anche il ricorso a strumenti di coordinamento o ausilio genitoriale non dovrebbe essere suggerito da parte del Tribunale, quanto meno nella fase iniziale del procedimento.
L'attività istruttoria: consulenza tecnica di ufficio e ascolto del minore
Il legislatore ha dedicato grande attenzione allo svolgimento dell'attività istruttoria in una duplice prospettiva: i) accertare nel più breve tempo possibile, anche in via sommaria, la fondatezza delle allegazioni di violenza; ii) adottare nel corso dell'attività istruttoria tutti gli accorgimenti volti a tutelare le vittime di violenza. Quanto al primo aspetto, è stata attribuita al giudice la facoltà di disporre “anche d'ufficio e senza ritardo” l'interrogatorio libero delle parti, di sentire d'ufficio testimoni formulando i capitoli e di acquisire atti anche relativi alle indagini, ove non coperti da segreto. A tutela della vittima di violenza, pertanto, il giudice ha la possibilità di compiere attività istruttoria d'ufficio in deroga a quanto previsto nel codice di rito – con il solo limite del diritto al contraddittorio e alla prova contraria – mentre nei procedimenti di famiglia “ordinari” tale potere gli è riconosciuto solo a tutela dei minori di età (art. 473-bis.2, comma 1 c.p.c.). Non è chiaro come debba intendersi la locuzione “senza ritardo” ma è verosimile pensare che il giudice possa disporre il compimento di tali attività già alla prima udienza, non prima, eventualmente indicandolo già nel decreto di fissazione di udienza unitamente a eventuali incarichi da rivolgere ai Servizi Sociali a tutela del nucleo familiare, in modo tale che sia garantito il contraddittorio nei termini di legge.
Quanto al secondo aspetto, il legislatore si è premurato di dettare norme speciali anche in relazione all'espletamento della consulenza tecnica di ufficio, proprio per evitare che l'istruttoria esponga la vittima di violenza a vittimizzazione secondaria. Il CTU, in particolare, dovrà essere scelto tra quelli iscritti all'apposito albo di cui all'art. 13 disp. att. c.p.c. e dovrà essere informato dell'esistenza della violenza mediante espressa indicazione nel provvedimento, affinché adotti cautele volte a evitare la c.d. vittimizzazione secondaria. Desta perplessità l'indicazione che sia il giudice a suggerire al CTU quali accorgimenti adottare a tutela della vittima di violenza e dei minori, trattandosi di professionisti esperti in questa materia. La vera raccomandazione da rivolgere al CTU sarà quella di evitare la contemporanea presenza delle parti. Stesse indicazioni dovranno essere rivolte ai Servizi Sociali in caso di affidamento di un incarico di monitoraggio del nucleo familiare.
Quanto all'ascolto del minore, l'art. 473-bis.45 c.p.c. impone al giudice di sentire personalmente e “senza ritardo” il minore, evitando contatti con l'autore della violenza. Tenuto conto della delicatezza del procedimento è verosimile che la maggior parte degli ascolti avverrà con le forme dell'ascolto “assistito” ovverosia condotto dal giudice con l'ausilio di un esperto. Quanto alle tempistiche, la locuzione “senza ritardo” dovrà essere coordinata con i tempi necessari per l'accertamento della violenza ad un livello ulteriore rispetto al mero fumus. La disposizione in parola dovrà essere inoltre coordinata con quella di cui all'art. 473-bis.6 c.p.c. che impone al giudice di procedere senza ritardo all'audizione del minore quando una parte deduca il rifiuto del minore ad avere rapporti con l'altro genitore, come spesso accadrà in ipotesi di violenza assistita: in tal caso, tra l'altro, il giudice avrà facoltà di abbreviare i termini processuali senza indicazione di quale sia la massima riduzione possibile. L'art. 473-bis.45 c.p.c. introduce poi un'ulteriore ipotesi in cui il giudice potrà evitare l'audizione (che specifica quelle generali di cui all'art. 473-bis.4 c.p.c.), ovverosia quella in cui il minore sia già stato sentito anche in sede penale e le risultanze dell'audizione siano esaustive, proprio per evitare che minori vittime di violenza assistita siano nuovamente esposti a rievocare episodi dolorosi.
I provvedimenti provvisori
L'art. 473-bis.46 c.p.c. integra il contenuto dell'art. 473-bis.22 c.p.c. in tema di provvedimenti provvisori e urgenti assunti dal giudice delegato all'esito della prima udienza per tenere conto delle specificità dei procedimenti in cui siano allegate violenze. La norma, recependo sul punto le critiche mosse in dottrina alla Legge delega 206/2021, ha espressamente previsto che al fine di assumere provvedimenti a tutela della vittima e del minore, anche in punto di affidamento, il giudice debba prima accertare mediante l'istruttoria, anche sommaria, di cui si è dato conto sopra, se le allegazioni siano fondate (si veda sul punto anche la relazione del Massimario della Corte di Cassazione, p. 339 e 340). Quanto al possibile contenuto dei provvedimenti provvisori preme evidenziare due aspetti.
Il primo riguarda le modalità di affidamento dei minori. L'art. 31 della Convenzione di Istanbul prevede che gli Stati aderenti adottino tutte le misure necessarie per garantire che al momento di determinare i diritti di custodia e di visita dei figli, siano presi in considerazione gli episodi di violenza che rientrano nel campo di applicazione della Convenzione e che l'esercizio dei diritti di visita o di custodia dei figli non comprometta i diritti e la sicurezza della vittima o dei bambini. Il rapporto della Commissione Grevio sull'Italia del 14 giugno 2022 ha osservato come troppo spesso tale disposizione non è stata valorizzata a fronte di un massiccio ricorso a limitazioni della genitorialità di madri vittime di violenza che rifiutino gli incontri con l'ex partner o si oppongano alla condivisione dell'affido; provvedimenti che limitino la responsabilità di entrambi i genitori ovvero dispongano l'affidamento condiviso finiscono infatti per parificare l'autore di violenza e la sua vittima, così esponendo quest'ultima a vittimizzazione secondaria. Sotto tale aspetto l'Italia è infatti stata condannata dalla Cedu con la sentenza I.M. e altri c. Italia del 10.11.2022 per violazione dell'art. 8 in un caso in cui i giudici di merito avevano sospeso la responsabilità genitoriale di una madre vittima di violenza da parte del coniuge, condannato per maltrattamenti in famiglia, solo sulla base del presunto comportamento ostile nei confronti dell'ex partner rispetto all'esercizio della genitorialità, senza che si sia tenuto conto delle vessazioni subite (si veda anche S.U. 35110/2021 che ha statuito che non può essere dichiarato lo sato di abbandono di un minore exart. 8 l. 184/1983 per il solo fatto che un genitore versi in stato di assoggettamento fisico e psicologico per effetto delle reiterate violenze subite dall'altro).
Il secondo aspetto riguarda le misure protettive delle vittime di violenza. Tra i provvedimenti a tutela della vittima e dei minori vi sono anche quelli di cui all'art. 473-bis.69c.p.c., che ricalcano il contenuto degli abrogati artt. 342-bis ss. c.c. in tema di ordini di protezione. Da notare come le condotte violente suscettibili di dare luogo all'adozione di tali misure sono più limitate di quelle idonee a fare scattare l'applicazione delle norme del capo III: occorre infatti che la condotta sia casa di grave pregiudizio all'integrità morale o fisica o alla libertà dell'altra parte.
Con specifico riferimento a tali ultime misure con il correttivo alla riforma Cartabia di cui al d.lgs. 164/2024 pubblicato in Gazzetta Ufficiale l’11 novembre 2024 è stato integrato l’art. 473-bis.71 c.p.c. con la previsione che “Quando la condotta pregiudizievole è tenuta dalla parte che ha introdotto o nei confronti della quale è stato introdotto uno dei procedimenti disciplinati dal capo III, sezione II del presente titolo, la domanda si propone al giudice davanti a cui pende la causa, che può assumere provvedimenti aventi i contenuti indicati nell’articolo 473-bis.70.”. La novella normativa non fa altro che recepire una prassi già in uso presso i Tribunali ovverosia quella di concentrare in capo al Giudice titolare del procedimento principale anche le ulteriori domande che sarebbero suscettibili di dare luogo a un autonomo giudizio in mancanza di quello principale.
Con il medesimo correttivo è stato quindi introdotto un successivo articolo, l’art. 473-bis.72 c.p.c., che estende la possibilità di adottare misure protettive anche a tutela di condotte serbate da componenti del nucleo familiare diversi dal coniuge, dalla parte dell’unione civile o dal convivente, ovvero nei confronti di altro componente del nucleo familiare diverso dal coniuge, dalla parte dell’unione civile o dal convivente. In tal caso l'istanza è proposta dal componente del nucleo familiare in danno del quale è tenuta la condotta pregiudizievole. Il legislatore ha cosi concentrato all’interno di un solo corpus normativo la norma in precedenza contenuta nell’art. 5 l. 154/2001.
La riserva di applicazione delle norme del rito “ordinario”: in particolare i provvedimenti di cui all'art. 473-bis.15 c.p.c.
Le norme contenute agli artt. 473-bis.40 ss. c.p.c. sono state qualificate da parte dello stesso legislatore della riforma quali norme speciali, come tali derogatorie rispetto a quelle generali contenute agli artt. 473-bis ss. c.p.c., al fine di dettare alcune cautele tese a rafforzare la posizione processuale della vittima di violenza, senza esaurire la definizione del procedimento. Ciò significa che per quanto non espressamente disciplinato il procedimento di cui in oggetto resta soggetto alle norme del rito unitario, tra cui le scansioni processuali previste dal nuovo rito, che, come si è visto sopra, potranno al più essere dimezzate a fronte dell'esistenza di una allegazione di violenza sufficientemente “vestita”.
Tra le norme del rito unico che meritano un particolare richiamo vi è l'art. 473-bis.15 c.p.c. che consente al giudice procedente di assumere provvedimenti indifferibili in caso di pregiudizio grave e irreparabile o quando la convocazione delle parti potrebbe pregiudicare l'attuazione dei provvedimenti. Si è visto sopra che ove il giudice delegato ritenga che le allegazioni di violenza siano connotate da un sufficiente fumus potrà abbreviare fino alla metà i termini per il contraddittorio di cui agli artt. 473-bis.14, 473-bis.16 comma 1 e 473-bis.17 c.p.c.: in tal caso l'udienza di comparizione delle parti potrà tenersi a distanza di 45 giorni dal deposito del ricorso. Ove, tuttavia, il ricorrente alleghi condotte violente idonee a cagionare un pregiudizio grave e irreparabile, anche non integrante gli estremi di cui all'art. 473-bis.69 c.p.c., potrà richiedere l'assunzione di provvedimenti indifferibili che consentiranno al giudice di prendere un primo contatto con le parti anche prima dell'udienza, che non potrà che essere fissata a 45 giorni dal deposito del ricorso. Peraltro, così come si ritiene che i provvedimenti di cui al 473-bis.15 possano essere assunti dal giudice delegato anche d'ufficio a tutela dei minori, così in virtù dei poteri d'ufficio attribuiti al giudice a fronte di allegazione di violenze dall'art. 473-bis.42 e 473-bis.44 c.p.c. è ragionevole pensare che i medesimi provvedimenti possano essere assunti d'ufficio a tutela della vittima di violenza.
IN SINTESI
Presupposto per l'applicazione delle norme speciale in materia di violenza domestica
Allegazione specifica e circostanziata (fumus) di abusi familiari o di condotte di violenza domestica o di genere non integranti necessariamente condotte penalmente rilevanti (violenza/soggezione morale, economica)
Le norme processuali derogatorie rispetto agli artt. 473-bis ss. c.p.c.
Possibile dimezzamento dei termini per l'instaurazione del contraddittorio (45 – 30 – 10 – 5 – 2)
Escluso il tentativo di conciliazione
Possibile convocazione separata delle parti/udienza da remoto
Limitato ricorso alle Adr
Assunzione di mezzi di prova d'ufficio anche fuori dai limiti del c.p.c. e adozione di cautele volte a evitare la vittimizzazione secondaria sia da parte del CTU che dei Servizi Sociali
Possibile evitare l'ascolto del minore anche se è già stato sentito nell'ambito di altro procedimento
Maggiore interazione con gli uffici della Procura e scambio di atti
Secretazione dell'indirizzo della vittima posta in collocazione protetta
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Sommario
L'attività istruttoria: consulenza tecnica di ufficio e ascolto del minore
La riserva di applicazione delle norme del rito “ordinario”: in particolare i provvedimenti di cui all'art. 473-bis.15 c.p.c.