Comunione de residuo

Emanuela Ravot
23 Agosto 2023

L'espressione “comunione de residuo“ indica quella comunione residuale e differita che viene a formarsi tra i coniugi, all'atto stesso dello scioglimento del regime patrimoniale legale, a condizione che i beni che ne costituiscono oggetto non siano stati consumati prima di tale momento, secondo quanto previsto dagli artt. 177, lett. b) e c) e dall'178 c.c..
Inquadramento

L'espressione “comunione de residuo“ indica quella comunione residuale e differita che viene a formarsi tra i coniugi, all'atto stesso dello scioglimento del regime patrimoniale legale, a condizione che i beni che ne costituiscono oggetto non siano stati consumati prima di tale momento, secondo quanto previsto dagli artt. 177, lett. b) e c) e dall'178 c.c.. La ratio sottesa all'istituto si individua nella funzione di compromesso tra le esigenze di tutela del coniuge debole e il principio solidaristico proprio della vita coniugale, da un lato (art. 29 Cost.) e, dall'altro, la garanzia della libertà di autodeterminazione, gestione e remunerazione del lavoro del coniuge percettore (artt. 35, 41, 42 Cost.), oltre a motivi di opportunità, in relazione alle fattispecie sottese dall'art. 178 c.c.. E' da premettere che il regime della comunione legalesi scioglie” per una serie di cause, elencate nell'art. 191 c.c. (oltre alla morte naturale di uno dei due coniugi per la cessazione del matrimonio stesso ex art. 149 c.c.), che determinano la sopravvenuta mancanza di operatività del regime medesimo, relativamente agli acquisti che i coniugi effettueranno in futuro. Allo scioglimento consegue l'ulteriore effetto dell'ingresso nel patrimonio comune dei beni oggetto di comunione de residuo. Al riguardo, ai fini della determinazione del momento di formazione della medesima, pare qui opportuno evidenziare che la l.6 maggio 2015, n.55 (cd. legge sul divorzio breve), il cui art. 2 ha integrato l'art. 191 c.c., ha eliminato le incertezze ermeneutiche, precedenti alla riforma: in oggi, l'ordinanza con la quale il presidente del Tribunale autorizza i coniugi a vivere separati, nell'ambito di un procedimento di separazione giudiziale, determina lo scioglimento della comunione; analogamente è previsto che detto scioglimento avvenga alla data di sottoscrizione del processo verbale di separazione consensuale dei coniugi dinanzi al presidente, purché omologato. Quanto all'opponibilità ai terzi della modifica dei rapporti patrimoniali dei coniugi, il nuovo art. 191 c.c. dispone che l'ordinanza di cui sopra debba essere comunicata all'ufficiale di stato civile, ai fini dell'annotazione a margine dell'atto di matrimonio.

In generale, al proposito, si segnala che nella Gazzetta Ufficiale n. 243 del 17 ottobre 2022 (suppl. ord. n. 38/L) è stato pubblicato il d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, recante attuazione della legge 26 novembre 2021, n. 206, delega al Governo per l'efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata. Si tratta di disposizioni dall'impianto, nel complesso, articolato, di riforma della giustizia familiare e minorile, nell'ambito di quella più generale civile. L'art. 3, comma 33, d.lgs. n. 149/2022, dando attuazione alla legge delega, ha previsto un nuovo rito, introdotto nel libro II del codice di procedura civile, dopo il Titolo IV, in un titolo apposito, rubricato “norme per il procedimento in materia di persone, minorenni e famiglie”, il Titolo IV bis. Un rito unico per tutti i procedimenti in materia di famiglia, domanda contestuale di separazione e di divorzio, queste sono, tra le tante, le novità contenute nella riforma Cartabia in materia di famiglia, con effetto dal 28 febbraio 2023, anticipata di qualche mese rispetto alla data inizialmente prevista del 30 giugno 2023 da applicarsi alle cause dal 1 marzo 2023, con l'introduzione nell'ottobre 2024, del tribunale della famiglia. Detto nuovo organo viene istituito proprio per questo tipo di procedimenti e costituito da una sezione distrettuale nella sede della corte di appello e varie sezioni circondariali coincidenti, per territorio, con i relativi tribunali e formato da giudici specializzati. Si noti come il d.lgs. 149/2022 abbia introdotto il nuovo titolo nel libro secondo del codice di rito, dedicato al processo di cognizione, assoggettando il procedimento sulle persone, minorenni e famiglie, salvo che non esistano disposizioni ad hoc nel suddetto Titolo IV bis, alla disciplina generale del rito di cognizione. Per il riflesso sull'istituto in esame, segnatamente in ordine allo scioglimento del regime della comunione legale, viene in rilievo, a seguito della riforma, la questione giuridica afferente all'ammissibilità del cumulo, in via consensuale, delle domande di separazione e divorzio. La disciplina dei procedimenti su domanda congiunta è regolata dall'articolo 473-bis.51 c.p.c. che non richiama l'articolo 473-bis.49 c.p.c., Cumulo di domande di separazione e scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, inserito dall'art. 3, comma 33, del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 (Per la disciplina transitoria v. art. 35 d.lgs. n. 149/2022, come da ultimo modificato dall'art. 1, comma 380, lett. a), l. 29 dicembre 2022, n.197, che prevede che : "1. Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti"). Il legislatore ha provveduto a disciplinarne l'eventualità in sede contenziosa, senza disporre per l'ipotesi in cui i coniugi presentino, cumulativamente, le stesse domande, ma in via consensuale. Si rileva la difficoltà di un'interpretazione univoca, nella giurisprudenza di merito ma anche in dottrina, ove da un lato, si ammette il cumulo delle domande di separazione e divorzio in procedimenti non contenziosi, facendo leva sul principio di economia processuale e dall'altra si esclude, con argomenti di carattere sia letterale, sia sistematico, sia sostanziale, non facendo la legge delega riferimento al cumulo nei procedimenti non contenziosi (cfr. in argomento, per l'ammissibilità della domanda congiunta e cumulata di separazione e di divorzio, Trib. Terni 22 giugno 2023, ove indicato, tra gli altri, l'argomento letterale, oltre a considerazioni generali relative a celerità ed economia processuale, per la definizione in un solo contesto, con l'ausilio dell'unico difensore o dei rispettivi difensori, dell'intera fase dissolutiva del matrimonio tra coniugi).

In evidenza

Argomento assai discusso, in dottrina, riguardava il dies a quo dello scioglimento della comunione legale, considerato che, prima della novella dell'art. 191 c.c., la normativa, nel disporre che la comunione tra i coniugi si sciogliesse per la separazione (oltre agli altri casi citati), non forniva indicazioni in riferimento al momento del verificarsi dello scioglimento, salvo per quanto attinente alla separazione giudiziale dei beni con la previsione legislativa di cui all'art. 193 , comma 4 c.c., e la retroazione degli effetti al giorno della proposizione della domanda(cfr. SESTA M. (a cura di), Codice della famiglia, Milano, 2015, 876). Mentre per alcune delle cause di scioglimento sopra individuate il problema risultava agevole (es. la data del mutamento convenzionale del regime, stipulato per atto pubblico ex art. 162 c.c.), per la causa più frequente nella pratica, rappresentata dalla separazione personale, si era pervenuti a conclusioni consolidate: in presenza di separazione consensuale lo scioglimento si riteneva verificarsi con l'omologazione dell'accordo tra i coniugi; per quella giudiziale, si riteneva avvenire ex nunc con il passaggio in giudicato della sentenza di separazione; se vi fosse stata un'impugnazione in ordine alle statuizioni accessorie (es. addebito, assegno per coniuge e figli), si sarebbe costituito il giudicato sul presupposto della separazione stessa, l'intollerabilità della convivenza, con conseguente scioglimento del regime patrimoniale legale (Cass. S.U. 4 dicembre 2001, n. 15279, in Fam. Dir., 2002, 1, 11; Cass. 18 febbraio 2014, n. 3808).

Natura e oggetto della comunione de residuo

In riferimento alla natura giuridica della comunione de residuo, discussa ne appare l'individuazione: reale, quale situazione di reale contitolarità circa i diritti in oggetto, nel momento in cui si scioglie la comunione legale, per lo più a seguito di vicenda separatizia, quando si dovrebbero attenuare i vincoli patrimoniali tra i coniugi, o obbligatoria, intesa come natura creditizia delle pretese dei coniugi. Sembra preferibile la seconda tesi: il coniuge, al momento dello scioglimento della comunione, diventa titolare di un credito, pari alla metà dei beni oggetto della comunione (si v. infra). Si parla di beni «propri», di esclusiva titolarità del coniuge percettore, in relazione ai quali non è consentito applicare il fenomeno della surrogazione descritto nella lett. f dell'art. 179 c.c., per cui i beni acquistati col prezzo del trasferimento dei beni personali elencati alle lett. a, b, c, d ed e dell'art. 179, 1 comma, c.c. o con il loro scambio, assumono anch'essi natura personale purché «ciò sia espressamente dichiarato all'atto dell'acquisto» (cfr. Cass. 23 settembre 1997, n. 9355, in Notariato, 1998, 4, 317; Cass. 12 settembre 2003, n. 13441, in Guida al Diritto, 2003, 42, 40, ove si evidenzia, precisandola, la differenza tra comunione immediata e comunione de residuo, nel senso che i beni oggetto della seconda rimangono «propri» del coniuge titolare sino al momento dello scioglimento, momento nel quale entreranno a far parte di una situazione di contitolarità; nella giurisprudenza tributaria di legittimità, cfr. Cass. 9 maggio 2007, n. 10608, in Fisco on line, 2007), per la natura obbligatoria, e non reale, del diritto del coniuge sui beni dell'azienda gestita dall'altro).

In argomento si segnala l'ordinanza interlocutoria, Cass. sez. II ord. 19 ottobre 2021 n. 28872, sull'indicato contrasto che ha condotto la Suprema Corte a disporre, trattandosi di questione di massima di particolare importanza, la remissione al Primo Presidente, per l'assegnazione alle Sezioni Unite, in ordine alla decisione circa la natura, reale o personale, del diritto insito nella comunione de residuo, in conseguenza dello scioglimento del regime patrimoniale della comunione dei beni tra coniugi.

Nell'ordinanza vi sono cenni ad alcune pronunce di legittimità, in riferimento alla natura giuridica dell'istituto, con il rilievo dei due diversi orientamenti giurisprudenziali: tra le altre, Cass. 20 marzo 2013, n. 6876; Cass, pen. sez. III, 29 novembre 2010, n. 42182; ma anche Cass. sez. trib. 16 luglio 2008, n. 19567. Con la pronuncia Cass. civ. sez. un., 17 maggio 2022, n. 15889, di stringente attualità, la Corte è intervenuta in materia, fornendo precisazioni e chiarimenti. Nella motivazione, si evidenzia la già segnalata ricognizione dei precedenti giurisprudenziali, una parte dei quali, a sostegno della natura creditizia (tra le altre, Cass. 29 novembre 1986, n. 7060, le cui osservazioni, già espresse dai giudici di legittimità, vengono richiamate nelle argomentazioni dalle Sezioni Unite; Tribunale Camerino 5 agosto 1988); l'altra parte, a sostegno della natura reale del diritto in esame (Cass. 14 aprile 2004, n. 7060; Cass. 16 luglio 2008, n. 19567; Cass. 13 luglio 2015, n. 13760, che richiama Cass. 23 febbraio 2011, n. 4393).

La sentenza sottolinea come “il panorama della dottrina e della giurisprudenza” consenta “di affermare che la questione oggetto dell'ordinanza di rimessione” è tra quelle maggiormente dibattute “ed è priva ancora di una risposta soddisfacente” “ancorché siano decorsi oltre quaranta anni dalla novella del 1975, emergendo proprio dalla giurisprudenza segnalata come le soluzioni sinora date siano spesso prive di una adeguata ponderazione e vedano raggiunti esiti evidentemente contrapposti, senza che lo sviluppo cronologico delle decisioni possa far propendere per una evoluzione consapevole della giurisprudenza verso l'una o l'altra soluzione.” Al riguardo, viene evidenziato come la stessa individuazione dei beni oggetto della comunione de residuo testimoni lo sforzo del legislatore di raggiungere un bilanciamento tra il principio solidaristico, che dovrebbe informare la vita coniugale (art. 29 Cost.), da un lato, e la tutela della proprietà privata e della remunerazione del lavoro, dall'altro (artt. 35, 41, 42 Cost., tra questi, il diritto di liberamente scegliere la propria attività lavorativa, diritto effettivo se la scelta di ciascuno non è condizionata da interferenze del coniuge). In rilievo poi, in motivazione, l'osservazione sulla conflittualità tra coniugi, che frequentemente caratterizza alcune fattispecie che determinano le cessazione del regime patrimoniale legale, nonché sull'esigenza di approntare validi strumenti, anche dal punto di vista legislativo, per assicurare la sopravvivenza delle imprese a fronte di vicende potenzialmente destabilizzanti (a titolo esemplificativo, si indica la previsione del patto di famiglia, artt. 768-bis e ss.c.c., introdotti dalla legge n. 55/2006).

Alla luce dei rilievi esposti, la Corte ritiene preferibile propendere per la tesi della natura creditizia del diritto sui beni oggetto della comunione de residuo, “tesi che, senza vanificare in termini patrimoniali l'aspettativa vantata dal coniuge sui beni in oggetto, tra l'altro garantisce la permanenza della disponibilità dei frutti e dei proventi e dell'autonomia gestionale, quanto all'impresa, in capo all'altro coniuge, nelle ipotesi previste dall'art. 178 c.c., evitando un pregiudizio altresì per le ragioni dei creditori, consentendo in tal modo la sopravvivenza dell'impresa, e senza che le vicende dei coniugi possano avere una diretta incidenza sulle sorti della stessa.” Si sottolinea, tra l'altro, come risulterebbe priva di razionalità la tesi che ne afferma la natura reale, in quanto determinante un incremento dei legami economici fra i coniugi proprio quando sono in essere vicende che ne dovrebbero invece implicare la cessazione, oltre che in considerazione dei rischi che essa è in grado di arrecare alla stessa sopravvivenza dell'impresa del coniuge. I Giudici di legittimità, pronunciandosi a Sezioni Unite, superano pertanto i discordanti orientamenti di dottrina e giurisprudenza e decidono la questione, oggetto dell'ordinanza di rimessione, optando per la natura creditizia del diritto nascente dalla comunione de residuo e riconoscendo un diritto di compartecipazione sul piano appunto creditizio, pari alla metà dell'ammontare del denaro o dei frutti oggetto di comunione de residuo, ovvero del controvalore dei beni aziendali e degli eventuali incrementi, al netto delle passività. Con soluzione che per la Corte è rispettosa del principio “secondo cui il fondamentale canone di cui all'art. 12, co 1, delle Preleggi, impone all'interprete di attribuire alla legge il senso fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la loro connessione, costituendo la lettera della norma, infatti un limite invalicabile dell'interpretazione, che è uno strumento percettivo e recettivo e non anche correttivo o sostitutivo della voluntas legis.” .

Quanto all'oggetto della comunione de residuo, ai sensi dell'art. 177 lett. b) c.c., esso comprende i frutti dei beni propri (personali ex art. 179 c.c., ma pure gli stessi beni in comunione de residuo) dei coniugi, percepiti e non consumati. Si tratta dei frutti naturali e civili (art. 820 c.c.). Tra i primi, si distinguono quelli organici (es. i prodotti e i raccolti agricoli, le parti staccate di cose principali, come legna tagliata dai boschi cedui) ed inorganici (prodotti delle miniere, cave e torbiere). Nella categoria dei frutti civili, si ricomprendono gli interessi dei capitali, i canoni di locazione e gli affitti dei fondi rustici, oltre alle rendite vitalizie. Per quanto attiene all'art 177 lett. c) c.c., l'oggetto della comunione de residuo è costituito dai proventi dell'attività separata di ciascuno dei coniugi, se non consumati: vi rientrano non solo stipendi e salari da lavoro dipendente, ma anche i redditi da lavoro autonomo di artigiani, imprenditori, professionisti. Mancando una definizione, generalmente si fa riferimento al denaro, ma potrebbe essere ogni altra forma di corrispettivo, mobili o crediti, qualsiasi utilità o entrata che derivi dall'attività di lavoro svolta dal coniuge in qualunque forma, subordinata o autonoma, professionale, pure esercitata per hobby (non del tutto occasionale e saltuaria), potendosi ritenere compresi i diritti ed i redditi correlati all'esercizio del diritto patrimoniale d'autore, o di altre opere dell'ingegno. Per il trattamento di fine rapporto e considerata la relativa natura di retribuzione differita, si discute se cada in comunione de residuo se non ancora percepito al momento dello scioglimento della comunione (per una disamina della dottrina in riferimento ai proventi ex art. 177, lett. c), c.c., v. SESTA M. (a cura di), cit.,799 s., ove l'indicazione del richiamo normativo alla necessità che i beni non siano già stati consumati all'atto dello scioglimento, richiamo che sembra postulare che solo i proventi già esigibili vengano ivi in considerazione; in generale, cfr. Trib. Padova, 26 settembre 1985, in Nuova Giur. Civ., 1986, I, 438, secondo cui, in seguito allo scioglimento della comunione legale per effetto della separazione giudiziale, il giudice può assegnare al coniuge metà dell'indennità di fine rapporto di lavoro, percepita dall'altro coniuge).

In giurisprudenza, si è osservato che il saldo attivo di un conto corrente, intestato ad uno dei coniugi, nel quale sono confluiti i suoi proventi, diviene di titolarità dei coniugi, alla morte del titolare, sicché il coniuge superstite ha un diritto autonomo e non jure ereditario sulla metà del saldo (Cass. 6 maggio 2009, n. 10386, in Boll. Trib., 2009, 14, 1142; cfr. Trib. Cassino, 27 ottobre 2011, pronuncia relativa invece a somme sul conto corrente cointestato); in altra fattispecie giurisprudenziale si è affermato che costituiscono oggetto di comunione de residuo le quote di società di persone acquistate da un coniuge (Cass. 20 marzo 2013, n. 6876, in Notariato, 2013, 3, 248).

Ricostruzione dell'oggetto della comunione de residuo e amministrazione dei beni della comunione

In ordine al requisito della non consumazione dei beni in comunione de residuo allo scioglimento della comunione, viene in evidenza il problema dell'onere della prova, da parte del coniuge creditore, non solo della percezione da parte dell'altro coniuge di frutti e proventi, ma anche della dimostrazione che tali somme erano ancora nel patrimonio del coniuge percipiente al momento della cessazione della comunione. La Corte di Cassazione, intervenendo sul tema, ha avuto ad affermare che costituiscono oggetto della cd. comunione "de residuo", tutti i redditi percetti e percipiendi, exart. 177 lett. b) e c) c.c., rispetto ai quali il titolare degli stessi non riesca a dare la prova che o sono stati consumati per il soddisfacimento dei bisogni della famiglia o per investimenti già caduti in comunione; così argomentando, il coniuge percipiente i redditi, su cui incombe l'onere di dimostrare il loro mancato reimpiego, non li potrebbe utilizzare liberamente, pur fatto salvo il dovere di contribuzione, ma li dovrebbe destinare ai bisogni della famiglia, pena il dovere di rimborsarli alla comunione stessa al momento del suo scioglimento (cfr. Cass. 10 ottobre 1996, n. 8865, in Vita Notar., 1996, 1200; Cass. 23 settembre 1997, n. 9355, cit.; Cass. 17 novembre 2000, n. 14897).

Secondo l'orientamento della giurisprudenza più recente, la comunione de residuo si realizza al momento dello scioglimento della comunione limitatamente a quanto effettivamente esistente nel patrimonio del singolo coniuge e non a quanto avrebbe potuto ivi rinvenirsi ritenendo ad essa destinati ex lege i proventi personali che non si dimostri essere stati investiti per la famiglia o per l'acquisto di beni comuni; si ribadisce il principio che l'art. 177 , lett. c) c.c. esclude dalla comunione legale i proventi dell'attività separata svolta da ciascuno dei coniugi e consumati, anche per fini personali, in epoca precedente allo scioglimento, precisandosi che la comunione de residuo non fa nascere un vero e proprio diritto di credito in favore della medesima ed a carico del singolo coniuge, ma una semplice aspettativa di fatto (si v. Cass. 8 febbraio 2006, n. 2597, in Corr. Giur., 2006, 6, 807, ove in rilievo le ragioni del revirement giurisprudenziale, con il riferimento al dato normativo di cui al sistema della comunione legale tra coniugi varato dalla riforma del 1975, nel quale non risulta traccia di strumenti concessi al partner per sindacare o impedire l'utilizzo delle disponibilità individuali dell'altro coniuge; conf. Cass. 21 ottobre 2010, n. 21648; Trib. Bari 30 marzo 2010;v. pure Cass. 12 settembre 2003, n. 13441, cit.).

Il coniuge titolare dei beni destinati alla comunione de residuo ha il godimento esclusivo e può disporne liberamente. In relazione a detti beni, l'altro coniuge non ha potere di disposizione o di amministrazione, né gli è riconosciuto il diritto al rendiconto, essendo i medesimi non ancora individuati e incerti nella loro venuta a sussistenza;in proposito, si potrà aver riguardo alla norma di cui all'art. 217 c.c. relativa all'amministrazione e godimento in regime di separazione dei beni (cfr. Cass. 8 febbraio 2006, n. 2597, cit.; Trib. Trani 12 maggio 1997, Dir. Fam., 1998, 1472).

Quanto alla necessità di tutelare il coniuge in caso di occultamenti dei risparmi da parte dell'altro coniuge, sono state proposte, in giurisprudenza, varie ipotesi interpretative che individuano potenziali strumenti di tutela, quali la richiesta di anticipata separazione dei beni (ex art. 193 c.c., prevista in caso di cattiva amministrazione della comunione, ritenendosi sottintesa, nel concetto, l'aspettativa inerente la comunione residuale), o altri mezzi, per lo più di carattere generale spettanti ad ogni creditore, del genere delle azioni revocatoria e surrogatoria, nonché delle domande di risarcimento dei danni(v. Cass. 12 settembre 2003, n. 13441, cit.; cfr., sul punto, Trib. Trani, 25 luglio 1995, in Gius, 1995, 3586,in
Fam. Dir., 1995, 6, 573, secondo cui poichè ciascun coniuge, prima dello scioglimento della comunione legale dei beni, ha solo una aspettativa di fatto e non un diritto soggettivo in relazione ai beni personali dell'altro coniuge suscettibili di divenire comuni se sussistenti al momento dello scioglimento, non può essere accordato il sequestro conservativo a tutela di detta aspettativa). Al coniuge leso, in ipotesi di atti simulati (es. donazioni, contratti di mutuo), potrà essere riconosciuta la posizione di terzo, del quale l'ordinamento tutela l'interesse a far risultare la realtà sull'apparenza, anche sul piano probatorio (SESTA M. (a cura di), cit., 803).

In riferimento alla posizione dei creditori personali al momento della cessazione del regime e alle problematiche connesse alle garanzie per gli stessi in vista della caduta dei beni in comunione de residuo, la giurisprudenza ha avuto modo di affermare che il fallimento di uno dei coniugi, in comunione legale, determina la comunione de residuo sui beni destinati post nuptias all'esercizio di impresa, soltanto rispetto a quelli eventualmente residui dopo la chiusura della procedura (al riguardo Cass. 9 marzo 2000, n. 2680, in Foro It., 2000, I; Cass. 14 aprile 2004, n. 7060, in Fallimento, 2005, 2, 146).

Da segnalare, per i riflessi normativi generali in materia, la recente l. 20 maggio 2016 n. 76 in vigore dal 5 giugno 2016, di regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e di disciplina delle convivenze. In particolare, si evidenzia il comma 60, art. 1, per la previsione ivi contenuta, secondo cui la risoluzione del contratto di convivenza determina lo scioglimento della comunione legale, per quella coppia che abbia ritenuto di vincolarsi pattiziamente a detto regime; risulta pertanto rilevante il momento in cui interviene lo scioglimento, anche ai fini dell'accertamento della comunione de residuo.

Orientamenti a confronto

Comunione de residuo: natura e oggetto

Oggetto della comunione de residuo

I redditi individuali dei coniugi, tanto che si tratti di redditi di capitali, quanto che si tratti di proventi della loro attività separata, non cadono automaticamente in comunione, ma rimangono di pertinenza del rispettivo titolare, salvo a diventare comuni, nella misura in cui non siano stati già consumati, al verificarsi di una causa di scioglimento della comunione Trib. Padova, sez. I, 26 febbraio 2015

Conformemente al disposto di cui all'art. 177 lett. c) c.c. deve ritenersi che i proventi delle attività separate dei coniugi facciano parte della cosiddetta comunione de residuo la quale si realizza al momento dello scioglimento della stessa. Ne consegue che in favore della comunione e a carico del singolo coniuge non si verifica un un vero e proprio diritto di credito ma unicamente una aspettativa di fatto in quanto solo al momento dello scioglimento della comunione viene ad operarsi un vero e proprio trasferimento come comproprietà differita a nulla valendo quanto avrebbe potuto rinvenirsi ove ad essa fossero destinati ex lege i proventi personali impiegati per il soddisfacimento dei bisogni personali Trib. Monza, sez. IV, 26 marzo 2015

Il disposto normativo di cui all'art. 177 lett. c), c.c., esclude dalla comunione legale i proventi dell'attività separata svolta da ciascuno dei coniugi e consumati, anche per fini personali, in epoca precedente allo scioglimento della comunione, con la conseguenza che oggetto della comunione de residuo, e quindi delle possibili pretese dell'altro coniuge, è unicamente il risultato netto che emerge al momento dello scioglimento, all'unica condizione della non consumazione a quello stesso momento. Nella specie deve trovare, pertanto, accoglimento la domanda dell'attrice nella parte in cui reclama il versamento delle somme che siano originate dall'attività separata del coniuge e non consumate, gravando sul convenuto, tra l'altro contumace, la prova in ordine alla eventuale avvenuta consumazione Trib. Bari, 30 marzo 2010

I redditi individuali dei coniugi, tanto che si tratti di redditi di capitali, quanto se si tratti di proventi della loro attività separata non cadono automaticamente in comunione, ma rimangono di pertinenza del rispettivo titolare, salvo a divenire comuni, nella misura in cui non siano stati già consumati, al verificarsi di una causa di scioglimento della comunione Cass., 12 settembre 2003, n. 13441, in Guida al Diritto, 2003, 42, 40

Costituiscono oggetto della comunione cosiddetta "de residuo", ai sensi dell'articolo 177 lett. c) c.c., non solo quei redditi per i quali si riesca a dimostrare che sussistano ancora al momento dello scioglimento della comunione ma anche quelli, percetti e percipiendi, rispetto ai quali il coniuge titolare non riesca a dimostrare che siano stati consumati o per il soddisfacimento dei bisogni della famiglia o per investimenti già caduti in comunione. (Nella specie la S.C. ha confermato la decisione di merito secondo cui ricadevano in comunione de residuo le somme depositate su un conto corrente cointestato, ritirate prima della separazione e asseritamente utilizzate per l'attività d'impresa del coniuge prelevante) Cass.,17 novembre 2000, n. 14897.

Cfr. Cass. civ. sez. I, 14 giugno 2023, n. 16993, secondo cui ai sensi dell'art. 177, comma 1, lett. c), c.c., i proventi dell'attività separata svolta da ciascuno dei coniugi cadono nella comunione differita ove non consumati, anche per fini personali, in epoca precedente allo scioglimento della comunione e, quindi, anche se non ancora percepiti al momento dello scioglimento e ancora non esigibili, in difetto di previsione in tal senso, purché costituiscano il corrispettivo di prestazioni o del godimento di beni relativi al periodo di vigenza della comunione legale; tra essi venendo ricompresi i crediti che il professionista vanta verso clienti per prestazioni già eseguite e non ancora pagate.

Nel regime di comunione legale fra i coniugi, i beni acquistati con i proventi dell'attività separata di uno dei coniugi entrano immediatamente e di pieno diritto a far parte della comunione, senza che vi sia possibilità di esclusione mediante la dichiarazione prevista dall'art. 179, lett. f) c.c., applicabile soltanto all'acquisto effettuato con il prezzo del trasferimento dei beni "personali", tassativamente elencati nel predetto art. 179. A tal riguardo, anche le azioni di società, sottoscritte da un coniuge in sede di aumento di capitale ed in virtù di diritto di opzione, costituiscono incrementi patrimoniali rientranti fra gli acquisti di cui all'art. 177, lett. a), c.c., e quindi nell'oggetto della comunione legale tra coniugi, in quanto, anche se esse non sono meri titoli di credito, ma titoli di partecipazione societaria, l'aspetto patrimoniale di esse è assolutamente prevalente rispetto ai diritti ed agli obblighi connessi con lo "status" di socio in essi incorporato, ed in quanto il carattere personale del diritto di opzione non si riflette automaticamente sull'oggetto acquistato Cass., 23 settembre 1997, n. 9355, in Notariato, 1998, 4, 317

Natura della comunione de residuo

Nel caso di impresa riconducibile ad uno solo dei coniugi costituita dopo il matrimonio, e ricadente nella cd. comunione de residuo, al momento dello scioglimento della comunione legale, all'altro coniuge spetta un diritto di credito pari al 50% del valore dell'azienda, quale complesso organizzato, determinato al momento della cessazione del regime patrimoniale legale, ed al netto delle eventuali passività esistenti alla medesima data (Cass. civ., sez. un., 17 maggio 2022, n. 15889)

Beni della comunione de residuo

Nel regime della comunione legale, i beni, inclusi quelli immobili, che vengano acquistati da uno dei coniugi e destinati all'esercizio, da parte sua, dell'impresa costituita dopo il matrimonio, fanno parte della comunione "de residuo", e quindi se e nei limiti in cui sussistano al momento dello scioglimento di questa. A tali acquisti, che rinvengono la loro compiuta disciplina nell'art. 178 c.c., non si applica la previsione contenuta nel secondo comma dell'art. 179 c.c. - la quale consente l'esclusione di immobili e mobili registrati dalla comunione, purché all'atto di acquisto abbia "partecipato" anche il coniuge non acquirente e questi abbia rilasciato una dichiarazione di assenso ai fini dell'esclusione -, giacchè detta previsione si riferisce soltanto alle diverse ipotesi contemplate dal primo comma del medesimo art. 179, fra cui è compresa (ai sensi della lettera d) quella dei beni destinati all'esercizio della professione, non equiparabili ai beni destinati all'esercizio dell'attività imprenditoriale.

Cass., 19 settembre 2005, n. 18456, in Nuova Giur. Civ., 2006, 9, 933

In regime di comunione legale fra coniugi, i beni che possono formare oggetto della comunione de residuo, che si forma ai sensi dell'art. 177 comma 1, lett. b e c, all'atto dello scioglimento della comunione stessa sui frutti non consumati dei beni propri e sui proventi della attività separata, possono consistere esclusivamente in beni mobili o in diritti di credito verso terzi, con esclusione, pertanto, degli immobili.

Cass., 8 maggio 1996, n. 4273, in Riv. Notar., 1996

I beni occorrenti per la professione del coniuge, esclusi dalla comunione ai sensi dell'art. 179, 2° comma, c. c. sono anche quelli destinati all'esercizio di un'impresa, rientrando nella nozione di qualsiasi attività professionale in senso ampio, compresa quella imprenditoriale; pertanto, possono essere esclusi dalla comunione i beni acquistati dal coniuge dopo il matrimonio per la formazione di un'impresa agraria, quando tale esclusione risulti dall'atto di acquisto, al quale abbia partecipato l'altro coniug Cons. Stato sez. II, 7 maggio 1986, n. 979, inForo It., 1989, III, 84

Società di persone e comunione de residuo

In tema di scioglimento della comunione legale tra coniugi, il credito verso il coniuge socio di una società di persone, a favore dell'altro coniuge in comunione de residuo, è esigibile al momento della separazione personale, che è causa dello scioglimento della comunione, ed è quantificabile nella metà del plusvalore realizzato a tale momento, consentendosi altrimenti al coniuge-socio di procrastinare sine die la liquidazione della società o di annullarne il valore patrimoniale Cass. 3 luglio 2015, n. 13760

La partecipazione di un coniuge ad una società di persone ricade nella comunione de residuo ex art. 178 con conseguente diritto di credito a favore dell'altro coniuge esigibile al momento della separazione personale e quantificabile nella metà del plusvalore realizzato a tale momento Cass. 20 marzo 2013, n. 6876

Contratti bancari e comunione de residuo

In tema di comunione legale, mentre, nel caso di contratto di conto corrente intestato ad uno solo dei coniugi, le somme esistenti sul conto al momento dello scioglimento entrano a far parte della c.d. comunione de residuo di cui all'art. 177, c.c., lo stesso non può dirsi per le somme sul conto corrente cointestato che, non trattandosi né di acquisti, né di beni personali di uno dei due coniugi, non rientrano né nell'ipotesi di cui alla lett. a né in quella della lett. c dell'art. 177, c.c. Ciò determina che alcun rilievo possa rivestire la sottrazione delle somme dal conto corrente cointestato prima dello scioglimento della comunione, configurandosi esclusivamente un rapporto interno tra i cointestatari del conto medesimo Trib. Cassino, 27 ottobre 2011

Il saldo attivo di un conto corrente bancario o postale intestato in regime di comunione legale dei beni soltanto ad uno dei coniugi, e nel quale siano affluiti proventi dell'attività separata svolta dallo stesso, se ancora sussistente, deve considerarsi pure facente parte della comunione legale dei beni al momento del decesso dell'intestatario ai sensi dell'art. 177, comma 1, lett. c), c.c., allorquando cioè si verifica in concreto lo scioglimento della comunione determinato dalla morte, con il conseguente riconoscimento, a maggior ragione da tale data, di una titolarità comune dei coniugi sul predetto saldo; sicché il coniuge superstite, attesa la presunzione di parità delle quote, ha un diritto proprio e non ereditario sulla metà dei frutti e dei proventi residui persino nell'ipotesi che essi fossero stati esclusivi del coniuge defunto Cass. 6 maggio 2009, n. 10386, in Boll. Trib., 2009, 14, 1142

I beni destinati all'esercizio di impresa

Si è detto che, per le fattispecie prese in considerazione dall'art. 178 c.c., la ratio dell'istituto viene individuata in motivi di opportunità riferiti al mancato coinvolgimento, nella posizione di responsabilità illimitata del coniuge imprenditore, dell'altro coniuge, in un'ottica generale di contemperamento delle istanze solidaristiche e individualistiche, comprensive della libertà di gestione dell'attività del soggetto imprenditore. Tale disposizione riguarda specificamente i beni destinati all'esercizio dell'impresa di uno dei coniugi costituita dopo il matrimonio e gli incrementi dell'impresa costituita anche precedentemente. Per le aziende relative ad imprese gestite da entrambi, la fattispecie rientra nel disposto dell'art. 177 c.c. (lett. d e cpv.). Mentre il criterio della gestione fonda la distinzione tra comunione immediata e de residuo (se comune, comunione immediata, se individuale, de residuo),quello dell'anteriorità o meno al matrimonio (ossia il momento in cui l'azienda, intesa come strumento per l'esercizio di un'attività imprenditoriale, è stata costituita) attiene all'oggetto: se precedente il matrimonio, oggetto della comunione(vuoi immediata, vuoi residuale, a seconda dei casi di cui sopra) sarà l'intero complesso aziendale, altrimenti la comunione, immediata o de residuo, riguarderà gli utili e gli incrementi, ex art. 177 cpv. c.c. e gli incrementi ex art. 178 c.c..

I beni destinati all'esercizio dell'impresa rimangono, fino allo scioglimento della comunione, nell'esclusiva disponibilità dell'imprenditore. Può trattarsi di beni mobili, ovvero immobili (al riguardo,cfr., per quanto attiene all'art. 177 lett. b), c), Cass. 8 maggio 1996, n. 4273, in Riv. Notar., 1996, ove il riferimento esclusivamente a beni mobili o diritti di credito verso terzi). Si è evidenziato in giurisprudenza che, nel regime della comunione legale, i beni, inclusi quelli immobili, che vengano acquistati da uno dei coniugi e destinati all'esercizio, da parte sua, dell'impresa costituita dopo il matrimonio, fanno parte della comunione de residuo e non possono esserne esclusi(Cass. 19 settembre 2005, n. 18456, in Nuova Giur. Civ., 2006, 9, 933; v. anche Cass. 29 novembre 1986, n. 7060, in Foro It., 1987, I).

Per quanto attiene alla effettiva «destinazione» di uno o più beni a far parte di un'azienda gestita da uno solo dei coniugi, ex art. 178 c.c., ci si chiede come tale destinazione possa essere fatta risultare verso i terzi. Nella giurisprudenza, si è precisato che è sufficiente, perché i benefici acquistati da uno dei coniugi cadano in comunione de residuo, che i beni siano destinati all'esercizio dell'impresa, ancorché di tale destinazione non si faccia menzione nell'atto di acquisto; con la conseguenza, tra l'altro, che tali beni, destinati all'uso predetto, sono liberamente aggredibili, prima di tale evento, da parte dei creditori del coniuge acquirente (Cass. 21 maggio 1997, n. 4533; cfr. anche Cass. 29 novembre 1986, n. 7060, cit.; Cass. 19 settembre 2005, n. 18456, cit.; v. però Cons. Stato Sez. II, 7 maggio 1986, n. 979, in Foro It., 1989, III, 84; cfr., nella giurisprudenza di merito, Trib. Napoli, 19 dicembre 2001, in Gius, 2002, 21, 2108, ove il riferimento al dato obiettivo della qualità di imprenditore del coniuge acquirente e l'inerenza dell'acquisto all'impresa di quest'ultimo; Trib. Piacenza, 9 aprile 1991, in Dir. Famiglia, 1991, 1033, secondo cui la dichiarazione circa l'esclusione dalla comunione, necessaria, invece, nella diversa ipotesi contemplata dall'art. 179 c.c., dove egualmente resa nell'atto notarile di acquisto, è improduttiva di effetti, sicché i coniugi che intendano escludere dalla comunione de residuo il bene destinato all'impresa di uno di essi hanno l'onere di modificare, nelle forme di rito ex lege, il regime patrimoniale che li governa; Trib. Camerino 5 agosto 1988, in Foro It., 1990, I, 2333, anche per il riferimento alla natura della comunione de residuo di mero diritto di credito), su cui si veda supra.

Casistica

Fattispecie in tema di sequestro conservativo di titoli azionari

Intervenuta, ai sensi dell'art. 184, comma 3, c.c., condanna - a carico di un coniuge autore di arbitrari atti di prelevamento di beni comuni - alla ricostituzione della comunione legale nello "status quo ante", l'altro coniuge ha diritto di agire "in executivis" sul patrimonio individuale del primo, non allo scopo di vendere i beni pignorati per soddisfarsi sul ricavato, bensì solo di ottenere la ricostituzione dell'originaria consistenza patrimoniale della comunione. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha ritenuto che, convertitosi in pignoramento il sequestro conservativo di titoli azionari costituenti, almeno in parte, beni già oggetto della comunione, il coniuge procedente non avesse diritto ad ottenerne la vendita forzata, al fine di incamerarne individualmente il ricavato, trattandosi oltretutto di beni già appartenenti, in parte, alla comunione). (Cassa con rinvio, Trib. Trieste, 13 aprile 2007) Cass. 14 novembre 2013, n. 25625

Acquisto di immobile destinato alla propria attività dal coniuge imprenditore

Ove un imprenditore in regime di comunione legale con il coniuge (non imprenditore) acquisti un immobile destinato alla propria attività (con il consenso del coniuge), la relativa operazione rientra integralmente nell'ambito dell'attività di impresa (e perciò l'Iva versata al venditore è deducibile in toto) poiché i beni d'impresa entrano nella comunione coniugale solo "se sussistono al momento dello scioglimento" (art. 178 c.c.) e, quindi, il diritto del coniuge non imprenditore sui beni dell'impresa del coniuge imprenditore si configura come diritto personale e non reale (non è quindi applicabile il disposto del d.l.n. 417/1991 convertito in l. n. 66/1992, secondo cui è indetraibile l'Iva per acquisti in comunione con soggetti privi dei presupposti per l'assoggettamento ad Iva) Cass. 9 maggio 2007, n. 10608, in Fisco on line, 2007

Coniuge in regime di comunione legale e capacità a testimoniare

Il coniuge in regime di comunione legale non è incapace a testimoniare nelle controversie in cui sia parte l'altro coniuge, ove esse abbiano ad oggetto crediti derivanti dall'esercizio dell'impresa di cui sia titolare esclusivo l'altro coniuge, in quanto essi diventano comuni solo al momento dello scioglimento della comunione e nei limiti in cui ancora sussistano, non essendo egli in questo caso titolare di un interesse che ne legittimi la partecipazione al giudizio; in questo caso, il giudice non può escludere a priori l'attendibilità della testimonianza in considerazione del rapporto di coniugio, ma deve far riferimento ad ulteriori elementi Cass. 5 marzo 2004, n. 4532, in Gius, 2004, 2868

Amministrazione dei beni della comunione de residuo

In regime di comunione legale ex art. 177 ss. c.c., data la mancanza di norme che attribuiscano al coniuge non titolare di frutti e proventi di attività separata svolta dall'altro coniuge un potere di controllo sulla sorte degli stessi, ovvero che loro imprimano un vincolo di destinazione, non possono ritenersi fondate la domanda diretta ad accertare, prima del sorgere della comunione "de residuo", la violazione, da parte del coniuge titolare dei frutti e dei proventi di cui sopra, degli obblighi nascenti dalla comunione legale, e la correlata domanda di risarcimento dei danni Trib. Trani, 12 maggio 1997, Dir. Fam., 1998, 1472

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