Polizza assicurativa: contratto, forma, polizza all’ordine o al portatore

Giuseppe Chiriatti
16 Aprile 2019

Per definizione, il contratto di assicurazione «deve essere provato per iscritto» (art. 1888 comma 1 c.c.). La forma scritta sarebbe cioè richiesta ad probationem, ferma restando la piena validità del contratto concluso per effetto del mero scambio, anche solo verbale, di proposta e accettazione ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 1326 c.c..
La forma del contratto assicurativo

Per definizione, il contratto di assicurazione «deve essere provato per iscritto» (art. 1888 comma 1 c.c.). La forma scritta sarebbe cioè richiesta ad probationem, ferma restando la piena validità del contratto concluso per effetto del mero scambio, anche solo verbale, di proposta e accettazione ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 1326 c.c. Ed è proprio al fine di consentire di provare, all'occorrenza, il contratto che l'art. 1888 c.c. impone all'assicuratore di rilasciare al contraente la polizza di assicurazione o altro documento da lui sottoscritto (comma 2); e ancora, di rilasciare, a richiesta e a spese del contraente, duplicati o copie della polizza (comma 3).

Invero, l'assunto tralatizio secondo cui la forma scritta è imposta unicamente ad probationem parrebbe contraddetto dall'art. 1887 comma 1 c.c. ove è disposto che «la proposta scritta diretta all'assicuratore rimane ferma per il termine di quindici giorni, o di trenta giorni quando occorre una visita medica»; e ancora, dall'art. 166 cod. ass., in cui è prescritto che «il contratto e ogni altro documento consegnato dall'impresa al contraente va redatto in modo chiaro ed esauriente». Per come formulate, infatti, entrambe le disposizioni parrebbero eleggere la forma scritta a requisito essenziale per la validità del negozio; d'altro canto, tali norme meritano di essere attentamente interpretate.

In particolare, è ragionevole ritenere che l'art. 1887 c.c. si riferisca alla mera eventualità in cui la proposta sia formulata dal contraente per iscritto; per l'effetto, non esclude che la stessa possa esser formulata (e accettata) oralmente.

L'art. 166 cod. ass., poi, nella parte in cui dispone che «il contratto … va redatto», sembra riferirsi proprio alla c.d. scheda di polizza, e, cioè, al documento ricognitivo che l'assicuratore, una volta concluso il contratto, deve rilasciare in favore del contraente ex art. 1888 comma 2 c.c.. In tal senso, anzi, parrebbe muovere il Regolamento IVASS n. 41 del 2 agosto 2018, che meglio declina l'art. 166 cod. ass. e che, all'art. 2 comma 1, definisce appunto la “polizza” come il «documento probatorio del contratto di assicurazione, ai sensi dell'articolo 1888 del Codice civile».

IN EVIDENZA

La violazione dei criteri redazionali di cui all'art. 166 cod. ass. non è, peraltro, priva di conseguenze. Dispone, infatti, l'art. 1370 c.c. che “le clausole inserite nelle condizioni generali di contratto o in moduli o formulari predisposti da uno dei contraenti s'interpretano, nel dubbio, a favore dell'altro”; per l'effetto, le disposizioni contenute nella documentazione precontrattuale e contrattuale che sia redatta unilateralmente dall'impresa dovranno essere interpretate, in caso di dubbio, in favore del contraente.

Ancor più stringente è, poi, la disposizione di cui all'art. 35 comma 2 Codice del Consumo, ove è disposto che “in caso di dubbio sul senso di una clausola, prevale l'interpretazione più favorevole al consumatore”; di conseguenza, le disposizioni contrattuali, in caso di formulazione non chiara, devono essere sempre interpretate in favore del contraente ogniqualvolta questi rivesta la qualifica di “consumatore”, e ciò anche nell'ipotesi in cui il regolamento contrattuale sia stato oggetto di negoziazione tra le parti (e non sia stato unilateralmente redatto dall'assicuratore).

Pur al netto dei dubbi interpretativi di cui sopra, deve dunque essere confermato il principio secondo cui il contratto assicurativo può essere concluso mediante accordo – anche solo verbale - tra assicuratore e contraente.

Conclusione del contratto e pagamento del premio

Dalla natura meramente consensuale del contratto consegue peraltro che lo stesso possa dirsi concluso anche a prescindere dal pagamento del premio assicurativo. Tant'è che l'art. 1901 c.c. dispone quanto segue:

  • se il contraente non paga il premio o la prima rata di premio stabilita dal contratto, l'assicurazione resta sospesa fino alle ore ventiquattro del giorno in cui il contraente paga quanto è da lui dovuto (comma 1);
  • se alle scadenze convenute il contraente non paga i premi successivi, l'assicurazione resta sospesa dalle ore ventiquattro del quindicesimo giorno dopo quello della scadenza (comma 2).

In altri termini, il pagamento del premio costituisce una mera obbligazione in capo al contraente, il cui eventuale inadempimento riverbera sull'efficacia del contratto (che deve ritenersi validamente concluso).

IN EVIDENZA

I commi 1 e 2 dell'art. 1901 c.c. trovano applicazione, per effetto del richiamo contenuto nell'art. 1924 c.c. anche al contratto di assicurazione sulla vita, ma limitatamente al pagamento del premio (o alle rate di premio) relativo al primo anno di copertura.

Nondimeno, la prassi commerciale restituisce all'interprete una realtà fenomenica differente da quella astrattamente descritta dalle norme codicistiche sopra richiamate. In particolare, è molto frequente (specie nel collocamento a distanza – cfr. infra §6) che l'assicuratore formuli una proposta assicurativa sulla base delle informazioni raccolte in fase precontrattuale presso il contraente, il quale si riserva di eventualmente accettare tale proposta mediante pagamento del premio calcolato dall'assicuratore.

IN EVIDENZA

Nella fase precontrattuale l'assicuratore è chiamato ad acquisire:

  • da un lato, tutte le informazioni che ritenga rilevanti per decidere se assumere il rischio ed eventualmente quotarlo;
  • dall'altro, quelle necessarie per poter valutare la coerenza del contratto con le richieste ed alle esigenze assicurative del contraente (così come previsto dall'art. 119–ter cod. ass.).

È dunque inevitabile che la proposta assicurativa venga, di fatto, formulata dall'assicuratore all'esito di tale fase c.d. pre-assuntiva.

Tale proposta viene poi cristallizzata nel c.d. “preventivo” che impegna l'assicuratore per il periodo di tempo ivi riportato (e, comunque, per un periodo non inferiore a 60 gg. ove il contratto proposto abbia ad oggetto l'assicurazione della responsabilità civile da circolazione stradale – cfr. art. 5 Reg. ISVAP n. 23/2008).

Nella prassi, pertanto, il pagamento del premio assume molto spesso il valore di un'accettazione tacita (per fatti concludenti) della proposta formulata dall'assicuratore. Per l'effetto, non risultando necessarie ulteriori manifestazioni di volontà da parte dei contraenti, la successiva emissione della c.d. scheda polizza da parte dell'impresa (supra §1) e la sottoscrizione del documento da parte del contraente costituiscono una mera attività ricognitiva del contratto già concluso, la quale garantisce – ad assicuratore e assicurato – la disponibilità di un documento idoneo a comprovare per iscritto l'avvenuta conclusione del negozio nonché l'effettivo contenuto del regolamento contrattuale (infra §5).

I soggetti del rapporto assicurativo

Nella prassi commerciale è altresì molto frequente che la figura del contraente (ovvero il soggetto che conclude il contratto) si sovrapponga a quella dell'assicurato (ovvero il soggetto portatore del rischio garantito, ad esempio il proprietario del bene che viene assicurato contro il rischio di furto).

Nondimeno, ai sensi dell'art. 1891 (rubricato “Assicurazione per conto altrui o per conto di chi spetta”), è ben possibile che tali figure non coincidano e che il contratto venga concluso nell'interesse di un altro soggetto: si pensi soltanto al padre che regali al figlio diciottenne appena patentato un autoveicolo e, contestualmente, stipuli per conto di quest'ultimo una polizza contro il rischio di furto/incendio del veicolo; e ancora, al datore di lavoro che stipuli in favore di tutti i propri dipendenti – a titolo di benefit - una polizza contro gli infortuni extra lavorativi (fattispecie altresì nota come polizza collettiva in senso proprio).

La differenza più rilevante tra le due fattispecie contemplate dall'art. 1891 c.c. risiede nel fatto che, mentre nell'assicurazione per conto altrui l'assicurato è individuato specificamente nel contratto (nell'esempio di cui sopra, il figlio del contraente), nell'assicurazione per conto di chi spetta assume la veste di assicurato chiunque si ritrovi in possesso dei requisiti previsti del contratto (nel secondo esempio, chiunque risulti essere alle dipendenze del datore di lavoro).

Ebbene, la giurisprudenza di legittimità (Cass. civ., n. 9284/2005) ha chiarito come l'assicurazione per conto altrui o di chi spetta non costituisca altro che una forma speciale di contratto a favore di terzo; per l'effetto, a tale schema contrattuale dovranno applicarsi le regole di cui agli artt. 1411 c.c. e ss. con le deroghe previste dall'art. 1891 c.c.

In particolare, tale ultima norma dispone:

  • da un lato, che incombono sul contraente gli obblighi derivanti dal contratto (primo fra tutti quello di pagare il premio), fatta eccezione per quelli che, per loro natura, devono essere adempiuti dall'assicurato (quale, ad esempio, l'avviso di sinistro ex art. 1913 c.c.);
  • dall'altro, che i diritti derivanti dal contratto spettano all'assicurato (cui, peraltro, sono opponibili le eccezioni che si possono opporre al contraente in dipendenza del contratto) e che il contraente, anche se in possesso della polizza, non può farli valere senza espresso consenso dell'assicurato medesimo.

In ogni caso, trattandosi di una forma speciale di contratto a favore di terzo, la Corte ha altresì chiarito che anche nell'assicurazione per conto altrui o per conto di chi spetta l'interesse del contraente alla stipulazione «non necessariamente deve avere connotato giuridico, potendo essere anche di mero fatto o anche solo morale o di immagine».

IN EVIDENZA

In deroga a quanto previsto dall'art. 1891 c.c., con riguardo al contratto di assicurazione sulla vita in favore del terzo è previsto che quest'ultimo acquisti i diritti derivanti dalla polizza per effetto della designazione che può essere contestuale o successiva alla conclusione del contratto (art. 1920 c.c.).

La prassi commerciale, peraltro, ha registrato la diffusione di un differente schema negoziale a formazione progressiva, altrimenti noto come “polizza collettiva ad adesione”, che è così articolato: avviene sovente che un intermediario o un'associazione/sindacato di categoria (definito in tale schema come “contraente”) stipuli con un assicuratore una “convenzione” nell'interesse di una determinata platea di potenziali assicurati i quali potranno, appunto, aderirvi, assumendosi l'onere del pagamento del premio per poter beneficiare della copertura. In tale schema contrattuale, pertanto, la stipulazione nell'interesse del terzo (la “convenzione”) ha il mero effetto di obbligare l'assicuratore ad applicare le condizioni pattuite con il contraente nei confronti dell'aderente che sia in possesso dei requisiti previsti.

In tale disamina, non possiamo poi omettere di richiamare lo specifico atteggiarsi di uno tra i tipi contrattuali più diffusi sul mercato, e cioè il contratto di assicurazione della responsabilità automobilistica. In particolare ci preme sottolineare come tale fattispecie, sebbene non possa essere ricondotta alla stipulazione in favore del terzo (la polizza viene infatti conclusa dal proprietario nel proprio interesse, cioè quello di preservare il proprio patrimonio da eventuali responsabilità risarcitorie connesse alla circolazione del veicolo), tuteli nondimeno anche il terzo danneggiato, il quale - pur rimanendo estraneo al rapporto negoziale - potrà esercitare la c.d. azione diretta nei confronti dell'assicuratore, in deroga alla disciplina generale di cui all'art. 1917 c.c., senza vedersi opporre alcuna eccezione contrattuale e fermo il limite del massimale ai sensi dell'art. 144 cod. ass.

L'evoluzione normativa e la prassi commerciale tendono, dunque, ad ampliare il novero dei soggetti potenzialmente coinvolti nella conclusione e nell'esecuzione del contratto; non casualmente, l'art. 3 cod. ass. dispone espressamente che lo scopo principale dell'attività di vigilanza svolta da IVASS è «l'adeguata protezione degli assicurati e degli aventi diritto alle prestazioni assicurative», così coniando una “nuova” categoria che può ritenersi onnicomprensiva di tutti i soggetti portatori di un interesse qualificato alla corretta esecuzione del contratto.

IN EVIDENZA

Esaminate le fattispecie di cui sopra, occorre infine sottolineare come il contratto di assicurazione ben possa essere concluso da un terzo non solo nell'interesse, ma altresì in nome dell'assicurato. In tal caso, troveranno applicazione le comuni regole in materia di rappresentanza (artt. 1387 e ss. c.c.) con le deroghe dettate dall'art. 1890 c.c. per l'ipotesi in cui il contratto sia concluso in difetto di potere.

In particolare, tale ultima norma prevede che:

- l'interessato può ratificare il contratto anche dopo la scadenza o il verificarsi del sinistro (comma 1);

- il contraente è tenuto personalmente ad osservare gli obblighi derivanti dal contratto fino al momento in cui l'assicuratore ha avuto notizia della ratifica o del rifiuto di questa (comma 2); e ancora, che

- che il contraente deve all'assicuratore i premi del periodo in corso nel momento in cui l'assicuratore ha avuto notizia del rifiuto della ratifica (comma 3).

La circolazione dei diritti derivanti dal contratto; polizze all'ordine o al portatore

I diritti nascenti dal contratto ben potrebbero essere oggetto di cessione, ai sensi e per gli effetti degli artt. 1260 e ss. c.c.

Potrebbe invero dubitarsi che la cessione possa riguardare il diritto di credito del beneficiario di un contratto di assicurazione sulla vita: tale ultima tipologia contrattuale assolve, infatti, ad una funzione previdenziale (cfr. Cass. civ., Sez. Un. n. 8271/2008) e ciò consentirebbe di qualificare quel credito come strettamente personale (e, dunque, incedibile) ai sensi dell'art. 1260 c.c.

Nessun dubbio pare sussistere, invece, circa la libera cedibilità dei crediti derivanti dal contratto di assicurazione contro i danni, i quali potrebbero altresì circolare per effetto del trasferimento del bene assicurato.

Dispone, infatti, l'art. 1918 comma 1 c.c. che «l'alienazione delle cose assicurate non è causa di scioglimento del contratto di assicurazione». In particolare, è previsto che:

- i diritti e gli obblighi dell'assicurato passino all'acquirente, salvo che questi dichiari all'assicuratore di non voler subentrare nel contratto (nei termini di cui al comma 3) o che quest'ultimo vi receda (nei termini di cui al comma 4);

- il cedente resti obbligato a pagare i premi che scadono posteriormente alla data dell'alienazione, ove non comunichi all'assicuratore l'avvenuta alienazione e all'acquirente l'esistenza del contratto di assicurazione (comma 2).

Nessun onere di comunicazione (per il cedente) così come nessuna facoltà di recesso (per l'acquirente e l'assicuratore) sono invece previsti nell'ipotesi in cui la polizza sia emessa all'ordine o al portatore (comma 5): in tali casi, infatti, il credito verso l'assicuratore viene ceduto per effetto del mero trasferimento della polizza (art. 1889 comma 1 c.c.).

Si badi, tuttavia, come la polizza all'ordine o al portatore non attribuisca al giratario o possessore un diritto di credito autonomo, atteso che il comma 2 dell'art. 1889 c.c. dispone espressamente che «l'assicuratore è liberato se senza dolo o colpa grave adempie la prestazione nei confronti del giratario o del portatore della polizza, anche se questi non è l'assicurato»: in altri termini, l'assicuratore ben potrà rifiutarsi di pagare nelle mani del portatore o del giratario che non si appalesi altresì come l'effettivo titolare dell'interesse assicurato. Per tale ragione, le polizze all'ordine o al portatore devono essere annoverate tra i c.d. titoli impropri, ovvero tra i documenti che servono solo “a consentire il trasferimento del diritto senza l'osservanza delle forme proprie della cessione” (art. 2002 c.c.).

IN EVIDENZA

Una disciplina specifica è poi dettata dall'art. 171 cod.ass. per l'ipotesi in cui il veicolo, assicurato per la responsabilità automobilistica, venga trasferito ad un terzo. In tal caso, infatti, l'alienante può optare per:

a) la risoluzione del contratto di assicurazione a far data dal perfezionamento del trasferimento di proprietà, con diritto al rimborso del rateo di premio relativo al residuo periodo di assicurazione al netto dell'imposta pagata e del contributo obbligatorio di cui all'art. 334 cod. ass.;

b) la cessione del contratto di assicurazione all'acquirente (con contestuale obbligo di informarne l'impresa di assicurazione);

c) la sostituzione del contratto per l'assicurazione di altro veicolo o, rispettivamente, di un altro natante di sua proprietà, previo l'eventuale conguaglio del premio.

Prova della conclusione del contratto e prova del regolamento contrattuale

L'art. 1888 c.c. impone ovviamente che vengano provati per iscritto tanto l'avvenuta conclusione quanto il contenuto del contratto medesimo.

La prova della mera conclusione del contratto potrebbe infatti essere sufficiente per l'ipotesi in cui l'assicuratore voglia riscuotere il premio o una rata di premio ai sensi del terzo comma dell'art. 1901 c.c.

In caso di sinistro, invece, le parti potrebbero avere interesse a provare non solo l'avvenuta conclusione del contratto, ma, altresì, l'effettivo contenuto del regolamento contrattuale. In particolare:

- l'avente diritto alla prestazione assicurativa potrebbe avere interesse a provare che il sinistro, per come verificatosi, sia ricompreso nell'ambito di copertura descritto dal regolamentato contrattuale;

- l'assicuratore, al contrario, potrebbe avere interesse a dimostrare che all'interno del regolamento contrattuale sia prevista un'espressa “esclusione” del fatto denunciato dall'assicurato.

IN EVIDENZA

Le clausole delimitative del rischio assicurato (che concorrono a definire l'oggetto del contratto e che, in quanto tali, sono soggette alla regola probatoria di cui all'art. 1888 c.c.) non devono essere confuse con quelle che, invece, limitano la responsabilità dell'assicuratore e che, ai sensi dell'art. 1341 comma 2 c.c., devono essere specificamente sottoscritte dal contraente, pena la loro inefficacia.

La Cassazione ha infatti avuto modo di chiarire che «nel contratto di assicurazione sono da considerare clausole limitative della responsabilità, agli effetti dell'art. 1341 cod. civ. (con conseguente necessità di specifica approvazione preventiva per iscritto), quelle che limitano le conseguenze della colpa o dell'inadempimento o che escludono il rischio garantito, mentre attengono all'oggetto del contratto - e non sono, perciò, assoggettate al regime previsto dalla suddetta norma - le clausole che riguardano il contenuto ed i limiti della garanzia assicurativa e, pertanto, specificano il rischio garantito» (Cass. civ., n. 8235/2010).

Ebbene, con riguardo a tali ipotesi, non è necessario che l'intero regolamento contrattuale sia riversato in un unico documento sottoscritto, atteso che la prova potrebbe essere fornita anche solo per relationem e cioè mediante l'apposizione - all'interno del documento sottoscritto - di un rinvio alle condizioni di assicurazione contenute in altro documento specificamente individuato dalle parti; nondimeno, la Corte di Legittimità ha avuto modo di chiarire come il richiamo ad altro documento debba essere effettuato dai contraenti «sulla premessa della piena conoscenza del contenuto del documento ed allo scopo di integrare la disciplina negoziale nella parte in cui nella polizza sottoscritta manchi una diversa regolamentazione, di modo che possa dedursi l'esistenza dell'accordo dei contraenti per dare rilievo al suddetto contenuto» (Cass. civ., n. 7763/2005). Proprio in tal senso, rileveremo come, di prassi, la scheda di polizza riporti un espresso rinvio al c.d. “set informativo” (comprensivo delle condizioni di assicurazione e dotato di un proprio codice identificativo), che deve essere consegnato al contraente ai sensi dell'art. 120-quater cod.ass. e che il contraente dichiara di aver letto e ricevuto prima della conclusione del contratto.

Ciò detto, occorre comunque precisare come la regola dell'art. 1888 c.c.:

- trovi applicazione nei limiti in cui la conclusione del contratto e il suo contenuto siano contestati (ben potendo farsi applicazione, in caso contrario, dell'art. 115 c.p.c.);

- non escluda che possa farsi ricorso alla testimonianza ogni qualvolta il contraente abbia «senza sua colpa perduto il documento che gli forniva la prova» così come previsto dal combinato disposto degli artt. 2724 comma 1 n. 3 c.c. e 2725 comma 1 c.c.

IN EVIDENZA

Invero, tale ultimo scenario, almeno teoricamente, non dovrebbe giammai realizzarsi a fronte dell'obbligo dell'assicuratore di rilasciare copie o duplicati ex art. 1888 comma 3 c.c. D'altro canto, ove mai l'assicuratore non dovesse assolvere a tale obbligo, resterebbe fermo – a quel punto – il diritto dell'assicurato di richiedere all'assicuratore il risarcimento di danni patiti in conseguenza di tale inadempimento, senza subire, a quel punto, le limitazioni probatorie di cui all'art. 2725 c.c.

Corre infine l'obbligo di ricordare che, in ogni caso, grava sull'avente diritto alla prestazione assicurativa l'onere di provare il fatto per cui chiede di essere garantito (Cass. civ., n. 12837/2014). Ebbene, tale incombente può essere assolto senza alcuna limitazione probatoria: di conseguenza, ogniqualvolta l'avente diritto alla prestazione assicurativa sia chiamato a dover dimostrare che il fatto “storico” – per come verificatosi – non sia escluso dall'ambito di operatività della copertura (si pensi, ad esempio, all'ipotesi in cui il contratto garantisca l'assicurato contro gli infortuni, ad eccezione di quelli verificatisi in occasione di una competizione sportiva), l'onere potrà essere assolto “in negativo” mediante allegazione di un fatto “positivo” contrario (nell'esempio di cui sopra, la prova che, al momento dell'infortunio, l'assicurato si trovasse in un luogo non compatibile con l'esercizio di attività sportive) o mediante il ricorso a presunzioni (così Cass. civ., n. 5427/2002).

ORIENTAMENTI A CONFRONTO

Prova del fatto “in generale”

«L'attore è chiamato a provare il contratto non soltanto come formale conclusione di un accordo obbligatorio tra le parti, ma anche come regolamentazione sostanziale del rapporto giuridico dedotto. Il che significa che è onere dell'attore fornire la prova dell'assoggettamento della fattispecie dedotta in giudizio a tale regolamentazione sostanziale» (Cass. civ., n. 12837/2014).

Prova “negativa” del fatto

«L'onere della prova gravante su chi agisce o resiste in giudizio non subisce deroghe nemmeno quando abbia ad oggetto fatti negativi; tuttavia, non essendo possibile la materiale dimostrazione di un fatto non avvenuto, la relativa prova può essere data mediante dimostrazione di uno specifico fatto positivo contrario, od anche mediante presunzioni dalle quali possa desumersi il fatto negativo» (Cass. civ. n. 5427/2002).

La prova per iscritto nell'era digitale: dalla sottoscrizione autografa alla firma elettronica

Nella parte in cui dispone che il contratto deve essere provato per iscritto, l'art. 1888 c.c. pone in cod.ass.o all'assicuratore ed all'avente diritto alla prestazione assicurativa l'onere di esibire un documento cui sia apposta la sottoscrizione autografa dell'altra parte ai sensi e per gli effetti dell'art. 2702 c.c.

Ed anzi, è molto frequente le parti - già al momento della conclusione del contratto – si scambino reciprocamente tale documentazione (si pensi all'ipotesi in cui la polizza venga stipulata nella sede dell'agente dell'impresa).

D'altro canto, il sempre più diffuso impiego delle tecniche di comunicazione a distanza (telefonia vocale, internet ecc.) non sempre consente alle parti di acquisire immediatamente un documento autografo che comprovi l'avvenuta stipulazione ed il contenuto del contratto (che ben potrebbe ritenersi concluso a seguito del mero pagamento a distanza - ad esempio mediante carta di credito - del premio quantificato nel “preventivo” - cfr. §1).

Ed è proprio con riguardo a tali ipotesi che la disciplina regolamentare emanata da IVASS prevede:

  • da un lato, che l'impresa trasmetta al contraente la documentazione contrattuale secondo le modalità prescelte da quest'ultimo (artt. 61 e 74 Reg. IVASS 40/2018);
  • dall'altro, che il contraente - ove richiesto - sottoscriva e ritrasmetta la polizza all'assicuratore, anche attraverso un qualsiasi mezzo telematico o informatico (art. 73 Reg. IVASS 40/2018).

Ora, almeno nei limiti in cui il contraente opti per la trasmissione della documentazione in formato cartaceo, entrambe la parti dovrebbero comunque entrare in possesso, sia pur a distanza di tempo dalla conclusione del contratto, di una prova scritta ai sensi dell'art. 2702 c.c. e ss.: il contraente potrà, infatti, ricevere a mezzo posta la scheda di polizza in originale e ritrasmettere all'impresa la copia da lui sottoscritta.

D'altro canto, è molto frequente che alla conclusione del contratto a distanza sia associata la scelta del contraente di scambiare la documentazione contrattuale in formato elettronico. In tal caso la polizza potrebbe essere formata «come documento informatico sottoscritto con firma elettronica avanzata, con firma elettronica qualificata o con firma digitale, nel rispetto delle disposizioni normative vigenti in materia» (art. 62 Reg. IVASS 40 del 2 agosto 2018).

Tale norma contempla non casualmente – tra le differenti tipologie di firma – solo quelle che consentono di imputare con certezza le dichiarazioni contenute nel documento informatico ad un soggetto previamente identificato e che, in quanto tali, vengono equiparate dal legislatore alla sottoscrizione autografa di cui all'art. 2702 c.c. (cfr. art. 20 comma 1-bis CAD).

Nondimeno, a causa dello scarso impiego, presso il pubblico, di tali tipologie di firma (il cui utilizzo richiede, ad oggi, il ricorso a specifici servizi/dispositivi elettronici accessibili a pagamento), si sono diffuse modalità “alternative" di sottoscrizione del documento informatico.

In particolare, è molto frequente che, anche per ragioni di automatizzazione dei processi assuntivi, l'impresa ricorra a quello che potrebbe essere definito una sorta di “escamotage” estetico: la scheda di polizza viene, infatti, formata dall'impresa come documento informatico (il c.d. pdf nativo), all'interno del quale viene apposta una mera riproduzione della sottoscrizione del legale rappresentante dell'impresa (la c.d. stampigliatura); tale documento viene poi inviato a mezzo email semplice al contraente, che provvede a stampare e sottoscrivere il documento, nonché ad inviarne una “scannerizzazione” all'impresa sempre a mezzo email.

Ebbene, occorre segnalare come tali documenti informatici scambiati dalle parti non possano dirsi propriamente “sottoscritti”. Ed infatti:

  • la stampigliatura apposta dall'impresa sulla scheda di polizza - risolvendosi in una mera riproduzione della firma del legale rappresentante – non integra né una sottoscrizione olografa ai sensi dell'art. 2702 c.c. né una firma elettronica avanzata/qualificata o digitale;
  • dall'altro, la “scannerizzazione” del documento sottoscritto dal contraente assume il valore di una mera riproduzione meccanica, che forma piena prova di quanto rappresentato soltanto nei limiti in cui il contraente non ne disconosca la conformità all'originale (art. 2712 c.c.).

A stretto rigore, pertanto, i documenti di cui sopra non consentirebbero, di per sé, di provare il contratto e/o il contenuto del regolamento contrattuale (ferma, ovviamente, l'applicazione dell'art. 115 c.p.c.); nondimeno, l'idoneità degli stessi ad integrare una prova “per iscritto” potrebbe essere ricavata aliunde e, in particolare, dal fatto che gli stessi vengano scambiati a mezzo mail.

La Corte di Cassazione ha infatti chiarito che il messaggio di posta elettronica, pur non godendo della medesima efficacia di un documento sottoscritto con firma elettronica avanzata, qualificata o digitale, è nondimeno riconducibile alla più generale categoria dei “documenti informatici” (art. 1 lett. p) CAD), la cui idoneità a soddisfare il requisito della forma scritta e il cui valore probatorio sono liberamente valutabili in giudizio, ai sensi dell'art. 20 CAD, in relazione alle caratteristiche di sicurezza, integrità e immodificabilità (Cass. civ., n. 5523/2018).

Di conseguenza, l'utilizzo dell'e-mail semplice quale mezzo per la trasmissione della documentazione contrattuale consentirebbe di imputare al mittente il contenuto delle dichiarazioni contenute nel testo del messaggio e nei documenti allegati (tra cui, appunto, la scheda di polizza ed il set informativo richiamato da quest'ultima).

Invero, in un simile scenario, la parte contro cui è prodotto il documento potrebbe pur sempre contestare l'effettiva titolarità dell'account di posta da cui il messaggio risulti inviato, atteso che l'acquisizione di un indirizzo di posta elettronica semplice non richiede la previa identificazione del titolare e, di conseguenza, non è possibile affermare con certezza che l'account sia effettivamente gestito da colui che ne appare l'utilizzatore. D'altro canto, una simile contestazione finirebbe con l'assumere i contorni della temerarietà in presenza di altri elementi fattuali che consentano quantomeno di risalire per presunzioni all'effettiva titolarità dell'account di posta elettronica (si pensi all'ipotesi in cui il sito internet dell'impresa indichi, tra i vari contatti per il pubblico, proprio l'indirizzo di posta da cui la documentazione è stata inviata al contraente; o ancora, all'ipotesi in cui il contraente sia un professionista ed abbia utilizzato, per l'invio della polizza sottoscritta, un indirizzo di posta elettronica verificabile mediante accesso all'albo di appartenenza).

Casistica

Sul contratto a favore di terzo (Cass. civ., n. 9284/2005)

«Ritiene questa Corte che l'assicurazione per conto altrui o di chi spetta è un contratto stipulato da un interposto ma a favore di terzo, per far conseguire a lui un servizio, quello di assicurazione. Essa si pone come una forma speciale di contratto a favore di terzo, per cui allo stesso si applicano le norme sue proprie e del contratto di assicurazione, nella parte in cui derogano ai principi generali in tema di contratto a favore di terzo (art. 1411 e ss.). Che nella fattispecie non si tratti di un normale contratto a favore di terzo deriva dalla tipicità della regolamentazione di cui all'art. 1891 c.c., sopra detta, e dalla considerazione che, in caso di piena identità, non ci sarebbe stata la necessità di una specifica normativa.

Da ciò consegue con riferimento al concetto di interesse che esso è nella fattispecie duplice, ma con diverso contenuto.

L'interesse va valutato sia sotto il profilo dell'interesse dell'assicurato (nella specie del terzo) a norma dell'art. 1904 c.c., ai fini della validità del contratto di assicurazione, sia sotto il profilo dell'interesse dello stipulante, a norma dell'art. 1411, c.c., affinché sia valida la stipulazione dell'assicurazione in favore di terzo.

Sotto il primo profilo l'interesse assicurativo designa in sostanza la relazione economica tra un soggetto ed un bene esposto a rischio, in rapporto ad un evento futuro potenzialmente dannoso: deve trattarsi di un interesse giuridicamente qualificato, non essendo sufficiente un interesse di mero fatto.

Si è detto che nell'ambito dell'assicurazione contro i danni rientra l'assicurazione della r.c., caratterizzata non dall'eventualità della distruzione o perdita di un bene, ma dal possibile sorgere di un debito risarcitorio (Cass. civ., 17 marzo 1993, n. 7971).

Tuttavia, poiché la norma sul punto nulla prevede in merito allo stipulante, rimane operativo il principio di cui all'art. 1411 c.c., nel cui schema più generale ricade anche questo contratto assicurativo, e cioè che lo stipulante il contratto in favore di terzo abbia un proprio interesse a ciò.

Sennonché l'interesse di cui all'art. 1411 c.c., non necessariamente deve avere connotato giuridico, potendo essere anche di mero fatto o anche solo morale o "di immagine».

Sulla natura delle clausole delimitative del rischio (Cass. civ., n. 8235/2010)

«Nel contratto di assicurazione sono da considerare clausole limitative della responsabilità, agli effetti dell'art. 1341 cod. civ. (con conseguente necessità di specifica approvazione preventiva per iscritto), quelle che limitano le conseguenze della colpa o dell'inadempimento o che escludono il rischio garantito, mentre attengono all'oggetto del contratto - e non sono, perciò, assoggettate al regime previsto dalla suddetta norma - le clausole che riguardano il contenuto ed i limiti della garanzia assicurativa e, pertanto, specificano il rischio garantito».

Sulla prova del contratto per relationem (Cass. civ., n. 7763/2005)

«Seppure deve ritenersi rispettato, ex art. 1888 cod. civ., l'onere della forma scritta ad probationem quando l'assicurato abbia sottoscritto una clausola di rinvio che richiami quanto sia contenuto in un distino documento (predisposto unilateralmente da una delle parti e non anche specificamente approvato per iscritto), occorre, tuttavia, perché si realizzi tra la polizza ed il documento l'effetto proprio della relatio perfecta, che il richiamo sia effettuato dalle parti contraenti sulla premessa della piena conoscenza di esso ed al fine di integrare la disciplina del rapporto negoziale nella parte in cui nella polizza sottoscritta manca una diversa regolamentazione, sicché se ne debba dedurre che entrambi i contraenti si siano accordati per dare rilievo pattizio al contenuto del documento».

Sulla prova del sinistro (Cass. civ., n. 12837/2014)

«Il fatto che il contraente adempiente non debba - nell'ambito generale della responsabilità contrattuale - fornire la prova dell'allegato inadempimento dell'altra parte non significa che egli non si gravato dell'onere di provare innanzitutto il contratto; inteso non soltanto come formale conclusione di un accordo obbligatorio tra le parti, ma anche come regolamentazione sostanziale del rapporto giuridico dedotto. Il che significa che è onere dell'attore fornire la prova dell'assoggettamento della fattispecie dedotta in giudizio a tale regolamentazione sostanziale e, pertanto, della derivazione del proprio diritto dal contratto stesso».

Sul valore del documento informatico (Cass. civ., n. 5523/2018)

«Il messaggio di posta elettronica è riconducibile alla categoria dei documenti informatici, secondo la definizione che di questi ultimi reca il d.lgs. n. 82 del 2005, art. 1, comma 1, lett. p), ("documento informatico: il documento elettronico che contiene la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti"), riproducendo, nella sostanza, quella già contenuta nel D.P.R. n. 445 del 2000, art. 1, comma 1, lett. b).

Quanto all'efficacia probatoria dei documenti informatici, l'art. 21 del medesimo d.lgs., nelle diverse formulazioni, ratione temporis vigenti, attribuisce l'efficacia prevista dall'art. 2702 c.c. solo al documento sottoscritto con firma elettronica avanzata, qualificata o digitale, mentre è liberamente valutabile dal giudice, ai sensi del d.lgs. n. 82 del 2005, art. 20, l'idoneità di ogni diverso documento informatico (come l'e-mail tradizionale) a soddisfare il requisito della forma scritta, in relazione alle sue caratteristiche oggettive di qualità, sicurezza, integrità ed immodificabilità».

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