Lecito assumere solo il cognome materno se il padre è assente ed anaffettivo
26 Settembre 2023
Ergo è pienamente lecito che una figlia che non si identifichi più col cognome paterno, dato che l'uomo le ha negato ogni sostegno morale e patrimoniale, porti il cognome materno che meglio la identifica in questo ruolo sociale e familiare. È quanto stabilito dal Consiglio di Stato n. 8422 del 19/9/2023 confermando la sentenza di primo grado del TAR Toscana con cui era stata annullata per carenza di motivazione la decisione del Prefetto di Prato di negare il richiesto cambio di cognome di una ragazza. La stessa precisava che «il cambio di cognome, in pratica, costituisce lo strumento per recidere un legame solo di forma, impostole per legge, che negli anni ha pesato sulla sua condizione personale, in quanto del tutto estraneo alla sua identità personale» (neretto, nda). Infatti, il padre dopo il divorzio dalla madre, aveva reciso ogni rapporto con la giovane, essendo del tutto assente nella sua vita, non sostenendola economicamente ed affettivamente, tanto che quando casualmente s'incontravano non la salutava nemmeno. Aveva motivato questa scelta, ponderata e certa, maturata nel corso degli anni così: «per onorare l'impegno e la forza con cui la figura materna ha saputo compensare un vuoto e una ferita che avrebbero potuto causare conseguenze assai più dannose e cicatrici più profonde sulla mia persona e dentro di me» (neretto, nda). Il cognome è identificativo della famiglia o del singolo individuo? Il Consiglio nota che alla fattispecie non è applicabile, ratione temporis, la più recente prassi della Consulta che ha portato all'adozione del doppio cognome facoltativo ed ha spostato il baricentro del problema dal considerare il cognome come segno di appartenenza ad un gruppo familiare a essere costitutivo dell'identità del singolo come sopra esplicato, seppure sono recepibili i principi da ultimo stabiliti dalla Corte cost. 131/2022 (nel quotidiano del 1/6/22) «con cui è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale di tutte le norme che prevedono l'automatica attribuzione del cognome del padre con riferimento ai figli nati "dentro e fuori dal matrimonio" e a quelli adottivi» (v. anche TAR Lazio 8964/22 e CEDU Cusan – Fazzo c. Italia del 2014). La stessa infatti precisa che «l'automatica attribuzione del solo cognome paterno si traduce nell'invisibilità della madre ed è il segno di una disuguaglianza fra i genitori, che si riverbera e si imprime sull'identità del figlio» (neretto, nda). A conferma di questo nuovo orientamento più equo e teso a superare il patriarcalismo ma soprattutto a mettere l'individuo e la sua autodeterminazione al centro di tutto si ricordi che le recenti sentenze della Consulta, sia anteriori (Corte cost. 286/2016) che posteriori (V. Corte cost. 135/2023) a questa sopra citata, confermano che «il diritto al nome [sarebbe] indissolubilmente collegato al diritto all'identità personale e che la protezione di esso sostanzi e determini la realizzazione di quest'ultima»: è un diritto universale, fondamentale ed inviolabile tutelato dagli artt. 2 Cost., 8 Cedu e 7 Carta di Nizza. Inoltre, se anche fosse valida la precedente tesi si deve dare atto che non c'è alcun rapporto padre-figlia da tutelare stante la chiara ed incontrovertibile volontà dell'uomo, ampiamente documentata dalla giovane e dalla madre, di non averne alcuno. Ergo il cambio di cognome è l'unico strumento che la ragazza ha per recidere questo legame inesistente per cui è stata bullizzata a scuola e che le ha causato gravi sofferenze. Interesse pubblico e personale: quale bilanciamento? «La giurisprudenza è consolidata nel ritenere che la posizione giuridica del soggetto richiedente il cambio di cognome abbia natura di interesse legittimo, e che la P.A. disponga del potere discrezionale in merito all'accoglimento o meno dell'istanza (cfr. tra le tante, Cons. Stato, sez. III, 26 settembre 2019, n. 6462), tenuto conto che – a fronte dell'interesse soggettivo della persona, spesso di carattere “morale” – esiste anche un rilevante interesse pubblico alla sua 'stabile identificazione nel corso del tempo' (cfr. Cons. Stato, sez. III, 15 ottobre 2013, n. 5021; sez. IV, 26 aprile 2006, n. 2320; sez. IV, 27 aprile 2004, n. 2752)» dei rapporti familiari: nella fattispecie però sono inesistenti e grazie alla nuova sensibilità su questo delicato tema, dovuta all'evoluzione normativa e della citata recente prassi, ora si tende a far prevale l'interesse personale su quello collettivo, sì che la discrezionalità della PA è de facto limita nei termini sopra esplicati. Per le altre censure sull'assenza di motivazione e sul mancato assolvimento della PA ricorrente all'onere della prova si rinvia alla sentenza.
Fonte: dirittoegiustizia.it |