Unioni civili: scioglimento ed effetti

Annamaria Fasano
24 Maggio 2016

La legge 20 maggio 2016, n. 76 oltre a disciplinare la costituzione dell'unione civile, illustra anche le modalità di scioglimento. Il legislatore descrive in maniera dettagliata le modalità di cessazione del rapporto e gli effetti che ne conseguono anche mediante rinvio alla l. 1 dicembre n. 898 del 1970 nonché, per quanto compatibili, alle disposizioni di cui agli artt. 6 e 12 del d. l. 12 settembre 2014, n. 132.
Inquadramento

La legge 20 maggio 2016, n. 76 recante il titolo “Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze”, oltre a disciplinare la costituzione dell'unione civile, illustra anche le modalità di scioglimento. Il legislatore descrive in maniera dettagliata le modalità di cessazione del rapporto e gli effetti che ne conseguono anche mediante rinvio, salvo eccezione, alla l. 1 dicembre n. 898 del 1970, nonché, per quanto compatibili, alle disposizioni di cui agli artt. 6 e 12 d. l. 12 settembre 2014, n. 132, convertito, con modificazioni, dalla l. 10 novembre 2014, n. 162. Con d.P.C.M. del 23 luglio 2016, n. 144 è stato emanato il «Regolamento recante disposizioni transitorie necessarie per la tenuta dei registri nell'archivio dello stato civile, ai sensi dell'articolo 1, comma 34, della legge 20 maggio 2016, n. 76» con cui sono state espressamente disciplinate le modalità di costituzione e di scioglimento di una unione civile (art. 6).

La ratio

Emerge dalla lettura del testo normativo un'ampia tutela degli interessi individuali, espressione della volontà legislativa di fare emergere che la famiglia è tutelata non come “istituzione”, ma come formazione sociale orientata alla tutela delle persone che la compongono. Questo non significa rinunciare alla tutela di valori come la certezza degli “status”, o la “stabilità” del vincolo, ma significa assicurare, sia nel momento della formazione di una unione civile, le condizioni perché un consenso libero e consapevole possa effettivamente esprimersi, sia nel momento della crisi, la possibilitàdi liberarsi senza condizioni da un vincolo che non si ha più intenzione di proseguire.

La patologia del rapporto e l'autonomia negoziale

In passato, come è noto, veniva teorizzata l'esistenza di un interesse super individuale del gruppo familiare, di natura pubblicistica, preminente rispetto all'interesse dei singoli membri e, quindi, prevalente in caso di conflitto con l'interesse di questi ultimi. Conseguentemente la dottrina negava l'esistenza di una autonomia negoziale dei componenti del nucleo familiare. Con le unioni civili questa impostazione deve ritenersi ampiamente superata, e non può non evidenziarsi che la vicenda familiare si imposti ormai su concetti di privatizzazione. Il processo di privatizzazione della famiglia va inteso, nell'ambito della regolamentazione dell'istituto, come ridefinizione degli equilibri tra interessi generali ed interessi individuali e non come rinuncia dello Stato alla tutela della famiglia, anche se non fondata più sull'istituto matrimoniale.

Il legislatore ha voluto dare espressione all'autonomia privata dei singoli, non solo nella fase della costituzione dell'unione, ma anche nella fase patologica del rapporto, nel cui ambito lo sviluppo della crisi rappresenta terreno fertile per il concretizzarsi di un negozio familiare, che trova la sua causa nello scioglimento dell'unione civile.

Se la causa del negozio familiare solutorio è lo scioglimento dell'unione civile, il criterio fondamentale su cui si forma è l'uguaglianza dei partners, mentre la solidarietà rappresenta il limite che l'ordinamento impone alle scelte dei singoli, e lo strumento del controllo giudiziale. Ai sensi dell'art. 1, comma 24, della novella l'unione civile si scioglie quando le parti hanno manifestato, anche disgiuntamente, la volontà di scioglimento dinanzi all'Ufficiale di Stato civile. In tal caso, la relativa domanda va proposta decorsi tre mesi dalla data di manifestazione di volontàdi scioglimento dell'unione. L'Ufficiale di Stato civile deve svolgere una funzione certificativa della volontà delle parti e provvedere alla annotazione dello scioglimento del vincolo nei registri di Stato civile e quindi alle ulteriori incombenze di cui al d.P.R. 30 novembre 2000, n. 396. Non occorre che sia rappresentata la ragione della rottura, né che siano illustrati i fatti che non consentono la prosecuzione di una convivenza che realizzi la reciproca assistenza e collaborazione. Il funzionario pubblico, inoltre, non è tenuto ad accertare che la comunione spirituale e materiale tra i partners non possa essere mantenuta o ricostruita.

Mentre il principio dell'accordo è determinante nella fase costitutiva del rapporto, come nella fase di svolgimento dello stesso, non assume necessario rilievo nella fase conclusiva. L'art. 1, comma 24, dispone, infatti, chiaramente che le parti possono, anche disgiuntamente, presentare domanda di scioglimento. E' facile rilevare la differenza con alcuni degli istituti della separazione o del divorzio, dove il consenso dei coniugi è necessario per lo scioglimento del vincolo (separazione consensuale, divorzio congiunto).

In evidenza

Le parti possono, anche disgiuntamente, manifestare la volontà di scioglimento dell'unione civile dinanzi all'ufficiale di Stato civile. In tal caso la domanda di scioglimento dell'unione è proposta decorsi tre mesi dalla data della manifestazione di volontà di scioglimento dell'unione.

Scioglimento dell'unione: modalità

Come si è detto, per lo scioglimento di una unione civile, ciascuno dei partners, anche disgiuntamente, può recarsi dall'Ufficiale di Stato civile manifestando la volontà di sciogliere il vincolo. La dichiarazione deve essere presentata personalmente e non può essere sottoposta a termine o condizione. Se la dichiarazione è presentata senza il consenso del compagno, la domanda di scioglimento dell'unione è proposta decorsi tre mesi dalla data della manifestazione di volontà di scioglimento dell'unione. La regolamentazione dell'istituto non prevede separazione, né la necessità di una dichiarazione congiunta. L'assenza dell'accordo e la snellezza del procedimento introducono una novità nel sistema, che sembra prevedere una forma di “divorzio diretto”. Lo stato di separazione non rappresenta più un requisito dell'azione, necessario secondo la previsione dell'art. 3, n. 2, lett.b) della l. n. 898/1970, ma non richiamato dall'art. 1, comma 23, della l. n. 76/2016.

In attuazione della delega di cui al comma 28 della legge, il Governo ha adottato tre decreti legislativi (d.d.lgs. 19 gennaio 2017, nn. 5, 6, 7), pubblicati in G.U. del 27 gennaio 2017 ed entrati in vigore l'11 febbraio 2017, Per quanto qui di interesse, il d.lgs. n. 5/2017 ha introdotto disposizioni per l'adeguamento delle norme dell'ordinamento dello Stato civile in materia di iscrizioni, trascrizioni, annotazioni, nonché modifiche e integrazioni normative per la regolamentazione delle unioni civili. É stato chiarito un punto della l. n. 76/2016 rimasto oscuro, ed in particolare che la volontà di scioglimento dell'unione civile può essere manifestata anche da una sola parte, purchè l'altra ne venga informata mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento alla residenza anagrafica o, in mancanza, all'ultimo indirizzo noto o con altra forma di comunicazione parimenti idonea.

Ai sensi dell'art. 69, comma 1-bis, lett. e) d.P.R. n. 396/2000, come novellato dal d.lgs. n. 5/2017, gli accordi di scioglimento dell'unione civile ricevuti dell'Ufficiale dello stato civile devono essere annotati nell'atto di costituzione dell'unione civile e negli atti di nascita, ex art. 49 lett. g-ter d.P.R. n. 396/2000.

L'art. 1, comma 23, stabilisce, inoltre, che l'unione civile si scioglie nei casi previsti dall'art. 3, nn. 1 e 2, lett. a), c), d) ed e) della l. 1 dicembre 1970, n. 898. La riforma prevede la possibilità di applicazione, in quanto compatibili, degli artt. 4, 5, primo comma e dal quinto all'undicesimo comma, 8, 9, 9 bis, 10, 12 bis, 12 ter, 12 quater, 12, quinquies e 12 sexies l. 1 dicembre 1970, n. 898, nonché le disposizioni di cui al Titolo II del Libro quarto del codice di procedura civile.

Ne consegue che per lo scioglimento dell'unione, le parti posso azionare un giudizio applicando la disciplina sul divorzio. É, altresì, possibile sciogliere l'unione utilizzando la procedura della “negoziazione assistita”, in quanto compatibile, in ragione dell'espresso richiamo agli artt. 6 e 12 del d.l. 12 settembre 2014, n. 132, convertito, con modificazioni, dalla l. 10 novembre 2014, n. 162.

La morte o la dichiarazione di morte presunta

La morte o la dichiarazione di morte presunta di una delle parti dell'unione ne determina lo scioglimento (art. 1, comma 22). Ai sensi del rinvio agli artt. 65 e 68 c.c., anche per le unioni civili, divenuta eseguibile la sentenza che dichiara la morte presunta, il coniuge può contrarre una nuova unione (o un matrimonio). Il vincolo contratto successivamente diviene nullo quando la persona della quale fu dichiarata la morte presunta ritorni o ne sia accertata l'esistenza. Sono salvi gli effetti civili del matrimonio e dell'unione civile dichiarata nulla.

La sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso

In tema di rettificazione di sesso, secondo la disciplina introdotta dall'art. 1 della l. 14 aprile 1982, n. 164, è consentita l'attribuzione di un sesso diverso da quello enunciato nell'atto di nascita, non soltanto nel caso di evoluzione naturale di situazione originariamente non ben definita, ma anche nel caso in cui, sulla base di una dichiarata psicosessualità in contrasto con la presenza di organi chiaramente dell'altro sesso, si intervenga con operazioni demolitorie e ricostruttive, alterando organi esistenti per conferire al soggetto la mera apparenza del sesso opposto. Ai sensi dell'art. 1, comma 26, l. n. 76 del 2016, la sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso determina lo scioglimento dell'unione civile tra persone dello stesso sesso. Per il legislatore è all'origine un negozio giuridico che implica l'identità sessuale tra i partners; se questa viene meno, l'unione deve sciogliersi automaticamente. Si prevede una soluzione inversa, invece, nel caso in cui sia stato contratto un matrimonio. Ai sensi dell'art. 1, comma 27, alla rettificazione anagrafica di sesso, ove i coniugi abbiano manifestato la volontà di non sciogliere il matrimonio o di non cessarne gli effetti civili, consegue l'automatica instaurazione dell'unione civile tra persone dello stesso sesso. La disposizione legislativa risponde all'esigenza emersa dalla prassi, recentemente affrontata dalla giurisprudenza di legittimità con la sentenza, n. 8097 del 21 aprile 2015, secondo cui «la rettificazione di attribuzione di sesso di persona coniugata non può comportare, a seguito della declaratoria di illegittimità costituzionale degli artt. 2 e 4 della legge 14 aprile 1982, n. 164, operata con la sentenza, additiva di principio, n. 170 del 2014 della Corte costituzionale, la caducazione automatica del matrimonio, poiché non costituzionalmente tollerabile, attesa la tutela di cui godono le persone dello stesso sesso ai sensi dell'art. 2 Cost., una soluzione di continuità del rapporto, tale da determinare una situazione di massima indeterminatezza del nucleo effettivo già costituito, sicchè il vincolo deve proseguire, con conservazione ai coniugi del riconoscimento dei diritti e dei doveri conseguenti al matrimonio, sino a quando il legislatore non intervenga per consentire alla coppia di mantenere in vita il rapporto con altra forma di convivenza registrata che ne tuteli adeguatamente diritti ed obblighi».

La Corte costituzionale, con la sentenza dell'11 giugno 2014 n. 170 si era pronunciata sulle sorti del matrimonio in cui un coniuge ha proceduto alla rettificazione del proprio sesso. La Consulta ha ritenuto che il divorzio, in caso di rettificazione del sesso rimane automatico, ai sensi degli artt. 2 e 4 della legge n. 164 del 1982, finché il legislatore non intervenga con disposizioni legislative definendo i modelli di una “unione registrata” che potranno offrire alle coppie interessate un sorta di prosecuzione, rilevante anche sul piano giuridico del rapporto matrimoniale che esisteva prima del mutamento di sesso. Va ricordato che la Suprema Corte, con sentenza, 20 luglio 2015, n. 15138, ha stabilito che, alla stregua di un interpretazione costituzionalmente orientata e conforme alla giurisprudenza della CEDU, dell'art. 1 della l. n. 164 /1982 (nonché del successivo art. 3 della medesima legge, attualmente confluito nell'art. 31, comma 4, del d.lgs. n. 150/2011), per ottenere la rettificazione di sesso nei registri di stato civile deve intendersi non obbligatorio l'intervento chirurgico demolitorio e/o modificatorio dei caratteri sessuali anatomici primari. Secondo la Corte, l'acquisizione di una nuova identità di genere impone però la serietà ed univocità del percorso scelto, mentre la compiutezza dell'approdo finale deve essere oggetto, ove necessario, di accertamento tecnico in sede giudiziale.

La disciplina contenuta nella l. n. 76/2016 è stata integrata dal d.lgs. n. 5/2017, che ha portato modifiche al d.lgs. n. 150/2011. Nello specifico il decreto ha inserito il comma 4-bis dell'art. 31 d.lgs. n. 150/2011, ai sensi del quale nel procedimento giudiziale di rettificazione dell'attribuzione di sesso, il ricorrente ed il coniuge possono, con dichiarazione congiunta resa personalmente in udienza fino alla precisazione delle conclusioni, esprimere la volontà, in caso di accoglimento della domanda, di costituire l'unione civile, effettuando le eventuali dichiarazioni riguardanti la scelta del cognome ed il regime patrimoniale. Il tribunale, con sentenza che accoglie la domanda, ordina all'Ufficiale dello stato civile del comune di celebrazione del matrimonio o di trascrizione se avvenuto all'estero, di iscrivere l'unione civile nel registro delle unioni civili e di annotare le eventuali dichiarazioni rese dalle parti relative alla scelta del cognome ed al regime patrimoniale.

Orientamento a confronto

Rettificazione di sesso

Rettificazione di attribuzione di sesso

La rettificazione di attribuzione di sesso di persona coniugata non può comportare, a seguito della declaratoria di illegittimità costituzionale degli artt. 2 e 4 della l. 14 aprile 1982, n. 164, operata con sentenza, additiva di principio, n. 170 del 2014 della Corte costituzionale, la caducazione automatica del matrimonio, poiché non è costituzionalmente tollerabile, attesa la tutela di cui godono le persone dello stesso sesso, ai sensi dell'art. 2 Cost., una soluzione di continuità del rapporto, tale determinare una situazione di massima indeterminatezza del nucleo affettivo già costituito, sicché il vincolo deve proseguire, con conservazione ai coniugi del riconoscimento dei diritti e dei doveri conseguenti al matrimonio, sino a quando il legislatore non intervenga per consentire alla coppia di mantenere in vita il rapporto con altra forma di convivenza registrata che ne tutela adeguatamente diritti ed obblighi Cass. civ., sez. I, 21 aprile 2015, n. 8097

La volontà di mantenere un rapporto di coppia nonostante la rettificazione di sesso

Va dichiarata l'illegittimità costituzionale degli artt. 2 e 4 della l. 14 aprile 1982, n. 164, con riferimento all'art. 2 Cost., nella parte in cui non prevedono che la sentenza di rettificazione dell'attribuzione di sesso di uno dei coniugi, che comporta lo scioglimento del matrimonio, consenta, comunque, ove entrambi lo richiedano, di mantenere in vita un rapporto di coppia giuridicamente regolato con altra forma di convivenza registrata, che tuteli adeguatamente i diritti ed obblighi della coppia medesima, la cui disciplina rimane demandata alla discrezionalità di scelta del legislatore Corte Cost., 11 giugno 2014, n. 170

Il controllo giudiziale sulla rettificazione di sesso

Alla stregua di una interpretazione costituzionalmente orientata, e conforme alla giurisprudenza della CEDU, dell'art. 1 della l. n. 164/1982, nonché del successivo art. 3 della medesima legge, attualmente confluito nell'art. 31, comma 4, del d.lgs. n. 150 del 2011, per ottenere la rettificazione di sesso nei registri dello stato civile deve ritenersi non obbligatorio l'intervento chirurgico demolitorio e/o modificatorio dei caratteri sessuali anatomici primari. Invero, l'acquisizione di una nuova identità di genere può essere frutto di un processo individuale che non ne postula la necessità, purché la serietà ed univocità del percorso scelto e la compiutezza dell'approdo finale sia soggetto, ove necessario, di accertamento tecnico in sede giudiziale. Cass. civ., sez. I.,20 luglio 2015, n. 15138

Scioglimento dell'unione per sussistenza di cause impeditive

Taluni difetti del procedimento di celebrazione dell'unione possono dare luogo a mere irregolarità, come la mancata presenza dei testimoni, l'incompetenza dell'ufficiale dello Stato civile o il mancato rispetto da parte sua di altre formalità ecc... Tali irregolarità possono portare come conseguenze l'irrogazione di una sanzione pecuniaria a carico del funzionario pubblico ed eventualmente a carico delle parti. I vizi che riguardano la ricorrenza di cause impeditive determinano una invalidità dell'unione che, in alcuni casi, non può essere sanata. In presenza di cause impeditive l'invalidità dell'unione si ricollega a difetti genetici dell'atto, di per sé stesso insanabili (come la mancanza di libertà di stato o la condanna definitiva di un contraente per omicidio consumato o tentato a danno del coniugato o unito civilmente), nonché di vincolo parentale (di cui all'art. 87, comma 1, c.c.) mentre per altre ipotesi, ed il particolare per quelle disciplinate dall'art. 1, comma 7, (come nel caso di consenso estorto con violenza o con errore sull'identità della persona), il difetto genetico può essere sanato mediante la coabitazione protrattasi per un anno. Tra le cause impeditive insanabili, che possono essere sanzionate penalmente, assume un rilievo fondamentale la libertà di stato, per cui non può contrarre una unione chi sia stato già vincolato da un legame matrimoniale, o da altra unione civile. In questo caso, la creazione di un vincolo, in assenza di libertà di stato, potrebbe configurare il reato di bigamia di cui all'art. 556 c.p., anche se sul punto si sono già registrate opinioni discordanti da parte di primi commentatori.

Ai sensi dell'art. 1, comma 7, l. n. 76/2016 l'unione civile può essere impugnata dalla parte il cui consenso è stato estorto con violenza o determinato da timore di eccezionale gravità determinato da cause esterne alla parte stessa. Ai sensi dell'art. 1, comma 16, la violenza è causa di annullamento anche quando il male minacciato riguarda la persona o i beni dell'altra parte dell'unione civile costituita dal contraente o da un discendente o ascendente di lui. In questo caso, ai sensi dell'art. 1, comma 14, se la condotta da parte dell'unione civile è causa di grave, pregiudizio all'integrità fisica o morale ovvero alla libertà dell'altra parte, il giudice, su istanza di parte, può adottare con decreto uno o più dei provvedimenti di cui all'art. 342-ter c.c. (l. 4 aprile 2001, n. 154).

Può essere, altresì, impugnata dalla parte il cui consenso è stato dato per effetto di errore sull'identità della persona o di errore essenziale su qualità personali dell'altra parte. Come si è detto, l'azione non può essere proposta se vi è stata coabitazione per un anno dopo che è cessata la violenza o le cause che hanno determinato il timore, ovvero sia stato scoperto l'errore. L'efficacia sanante della coabitazione assume il significato di avere l'intenzione di ristabilire una vita comune. L'effettività del rapporto prevale sulla tutela dell'atto, rendendo irrilevante il vizio originario. Il fatto che, decorso il termine di decadenza, l'azione non sia più proponibile, esprime, nell'attuale contesto, non solo un'esigenza di certezza degli status ma, ancor prima, è indice della responsabilità dei partners che, proseguendo nella vita comune, attestano la vitalità del rapporto dal quale non possono successivamente sciogliersi denunciandone il vizio originario.

Effetti dello scioglimento del vincolo

Lo scioglimento dell'Unione civile comporta fondamentalmente l'estinzione dei doveri reciproci che derivano dal rapporto a carico delle parti, cioè dei doveri di coabitazione, assistenza morale e materiale, collaborazione. A seguito del procedimento di scioglimento del rapporto svoltosi davanti al funzionario pubblico o innanzi al tribunale, viene disposta la relativa annotazione nei registri di stato civile. Lo scioglimento dell'unione restituisce agli ex partners lo stato libero e consente loro di contrarre un nuovo matrimonio o un'altra unione civile. Le parti non possono più usare il cognome comune, come indicato al momento della costituzione dell'unione.

La parte, al momento della costituzione dell'unione, non subisce una modificazione anagrafica del proprio cognome, consentendogli la legge solo l'uso di quello del partner se scelto per la durata del rapporto. Nell'ottica di tale interpretazione, il d.lgs. n. 5/2017 ha aggiunto l'art. 20 d.P.R. n. 223/1989 in materia di regolamento anagrafico, una disposizione chiarificatrice secondo cui, per le parti dell'unione civile le schede anagrafiche devono essere intestate al cognome posseduto prima dell'unione civile (art. 20, comma 3-bis, d.P.R. n. 223/1989).

Con la cessazione dell'unione cessa la comunione legale e si scioglie anche il fondo patrimoniale. All'unione civile tra persone dello stesso sesso si applicano gli artt. 128,129,129-bis c.c. in materia di matrimonio putativo, con la conseguenza che gli effetti dell'unione si producono, in favore dei coniugi, fino alla sentenza che pronunzia la nullità.

Se le parti propongono domanda di scioglimento dell'unione civile innanzi al tribunale, secondo la procedura disciplinata dagli artt. 4 e 5 l. 1 dicembre 1970, n. 898, applicabile in quanto compatibile, con la sentenza che pronuncia lo scioglimento dell'unione, il giudice - tenuto conto delle condizioni delle parti, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del rapporto - dispone l'obbligo per una delle parti dell'unione di somministrare periodicamente a favore dell'altra un assegno quando quest'ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive. Per l'accertamento del diritto all'assegno, il giudice non si deve limitare a prendere in esame le condizioni economiche del partner richiedente, essendo necessario mettere a confronto le rispettive potenzialità economiche, intese non come disponibilità di beni ed introiti, ma anche come attitudini a procurarsene in grado ulteriore, raffrontandole con lo stile di vita mantenuto dalle parti in costanza di rapporto. Su accordo delle parti, la corresponsione può avvenire in un'unica soluzione ove questa sia ritenuta equa dal tribunale. L'obbligo di corresponsione dell'assegno cessa se la parte contrae un'altra unione. Alla parte che si sottrae all'obbligo di corresponsione dell'assegno dovuto, a norma dell'art. 5, l. n. 898/1990, si applicano le pene previste dall'art. 570 c.p..

Tra i diritti che conseguono dalla dichiarazione di scioglimento dell'unione, nel caso la parte che è titolare dell'assegno di cui all'art. 5 l. n. 898/1970, essa ha diritto, se non ha contratto una nuova unione, ad una percentuale dell'indennità di fine rapporto percepita dal compagno all'atto di cessazione del rapporto di lavoro anche se l'indennità viene a maturare dopo la sentenza. Tale percentuale è pari al quaranta per cento dell'indennità totale riferibile agli anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio. Il legislatore, operando un rinvio agli artt. 5 e 12-bis l. div., ha inteso provvedere alla tutela della parte più debole. Ciò è espressione di una pretesa solidarietà post unione il cui presupposto è determinato dalla mancanza di mezzi adeguati e nella impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive.

Ai sensi dell'art. 9 l. div., richiamato dall'art. 1, comma 25, l. n. 76/2016, in caso di morte dell'ex partner spetta al superstite la pensione di reversibilità e qualora vi sia un altro partner, poiché è stata stipulata un'altra unione civile (o un matrimonio), in concorso con questi, una quota della pensione deve essere determinata, secondo giudizio del tribunale, tenendo conto della durata del rapporto. In ragione del rinvio espresso all'art. 9 bis l. n. 898/1970 (introdotto con la l. n. 436/ 1978) è prevista l'attribuzione all'ex partner superstite, al quale sia stato riconosciuto il diritto alla corresponsione di una somma di denaro in base all'art. 5 l. div., che versi in stato di bisogno, di un assegno periodico a carico dell'eredità. La determinazione dell'assegno va commisurata alla quantificazione delle somme di denaro percepite ex art. 5 l. div., dell'entità del bisogno, dell'eventuale pensione di reversibilità, delle sostanze ereditarie, del numero e della quantità di eredi e delle condizioni economiche. A tale riguardo l'entità del bisogno deve essere valutata non già con riferimento alle norme dettate da leggi speciali per finalità di ordine generale di sostegno dell'indigenza, bensì in relazione al contesto socio – economico del richiedente e del de cuius (Cass., Sez. I, 27 gennaio 2012, n. 1253, con riferimento al matrimonio). L'art. 9-bis l. div. vale ad attribuire una somma che non è la prosecuzione o lo strumento di garanzia dell'adempimento dell'assegno di divorzio quanto, piuttosto, l'espressione di un autonomo e distinto diritto che nasce dopo la cessazione dell'obbligo di cui all'art. 5 l. div. e sulla base di presupposti e condizioni che non coincidono con quelli che giustificano l'assegno ex art. 5, ispirato a ragioni assistenziali come per il matrimonio. L'assegno non spetta se gli obblighi patrimoniali previsti dall'art. 5 l. div. sono stati soddisfatti in un'unica soluzione.

Il riconoscimento delle unioni civili contratte all'estero

In ragione del rinvio all'art. 12-quinquies l. n. 898/1970, allo straniero legato da una unione civile con un cittadino italiano, la cui legge nazionale non disciplina lo scioglimento dell'unione, si applicano le disposizioni della l. n. 898/1970 (v. art. 1, comma 25, l. n. 76/2016).

Ai sensi dell'art. 1, comma 28, il Governo è delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi in materia di unione civile fra persone dello stesso sesso nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi:

a) adeguamento delle previsioni della presente legge alle disposizioni dell'ordinamento dello stato civile in materia di iscrizioni, trascrizioni ed annotazioni;

b) modifica e riordino delle norme in materia di diritto internazionale privato, prevedendo l'applicazione della disciplina dell'unione civile tra persone dello stesso sesso regolata dalle leggi italiane alle coppie formate tra persone dello stesso sesso che abbiano contratto all'estero matrimonio, unione civile o altro istituto analogo;

c) modificazioni ed integrazioni normative per il necessario coordinamento con la presente legge delle disposizioni contenute nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti e nei decreti.

In attuazione della delega di cui al comma 28, il Governo ha adottato il d.lgs. 19 gennaio 2017, n. 7, recante «Modifiche e riordino delle norme di diritto internazionale privato per la regolamentazione delle unioni civili, ai sensi dell'art. 1, comma 28, lett. b) l. 20 maggio 2016, n. 76». Il d.lgs. n. 7 cit. è intervenuto sulla l. 31 maggio 1995, n. 218 modificandone l'art. 45 ed introducendo apposite disposizioni concernenti l'unione civile tra persone dello stesso sesso ed il matrimonio omosessuale, in particolare, inserendo gli artt. 32-bis, 32-ter, 32-quater e 32-quinquies.

Ai sensi dell'art. 32-bis l. n. 218/1995, il matrimonio contratto all'estero da cittadini italiani con persona dello stesso sesso produce gli effetti dell'unione civile regolata dalla legge italiana. L'art. 32-ter individua, invece, i criteri per individuare la legge applicabile alle unioni civili composte da cittadini aventi differenti nazionalità. L'art. 32-quinquies risponde alla finalità anti elusiva sottesa alla delega di cui all'art. 1, comma 28, l. n. 76/2016, statuendo che l'unione civile, o altro istituto analogo, costituiti all'estero tra cittadini italiani dello stesso sesso abitualmente residenti in Italia produce gli effetti dell'unione civile regolata dalla legge italiana. Giova precisare che la l. n. 76/2016 non riserva la possibilità di costituire una unione civile in Italia a chi sia legato al nostro ordinamento da vincoli di cittadinanza e/o residenza. Qualsiasi straniero può contrarre un'unione civile in Italia, anche il soggetto la cui legge nazionale non consente tale forma di unione (art. 32-ter, comma 1, l. n. 218/1995).

Va segnalato che il d.lgs. n. 5/2017, attuativo della delega al Governo, ha introdotto alcune modifiche al Titolo IV del d.P.R. n. 396/2000, intitolato «Degli atti dello Stato civile formati all'estero». Ai sensi del novellato art. 16, al pari di quanto avviene per il matrimonio, quando le parti dell'unione civile sono entrambe cittadini italiani o uno di essi è cittadino italiano e l'altro è cittadino straniero, l'unione civile all'estero può essere validamente costituita innanzi all'autorità diplomatica o consolare competente, oppure innanzi all'autorità locale secondo la legge del luogo. Ciò significa che, come avviene per i matrimoni, le unioni civili contratte all'estero da almeno un cittadino italiano secondo i criteri forniti dall'art. 16 d.P.R. n. 396/2000 e nel rispetto della legge applicabile individuata dall'art. 32-ter l. n. 218/1995, sono pienamente valide in Italia, senza che sia necessario ricorrere a procedimenti di riconoscimento.

*Scheda aggiornata ai Decreti di attuazione della Legge sulle Unioni civili (d.lgs. n. 5, 6, 7/2017)

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