Unioni civili: forma, diritti e doveri

Annamaria Fasano
12 Maggio 2016

La nuova legge recante il titolo «Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze», introduce nel nostro ordinamento l'unione civile definita come la relazione interpersonale tra persone maggiorenni dello stesso sesso, di natura affettiva, che si esplica in una comunanza di vita e di interessi e nella reciproca assistenza morale e materiale.
Inquadramento

La nuova legge recante il titolo «Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze», introduce nel nostro ordinamento l'unione civile, che può essere definita come la relazione interpersonale tra persone maggiorenni dello stesso sesso, di natura affettiva, che si esplica in una comunanza di vita e di interessi e nella reciproca assistenza morale e materiale. L'art. 1 comma 1 la qualifica come formazione sociale, ai sensi e per gli effetti degli artt. 2 e 3 Cost. Per formazione sociale deve intendersi ogni forma di comunità, semplice o complessa, idonea a favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione, nel contesto di una valorizzazione del modello pluralistico.

La ratio dell'istituto

L'unione civile è una realtà che nasce dalla libera scelta delle persone e si basa su vincoli di affetto e di solidarietà, il cui perdurare legittima lo stesso vincolo giuridico. Secondo la Corte di Cassazione «il processo di costituzionalizzazione delle unioni tra persone dello stesso sesso non si fonda sulla violazione del canone indiscriminatorio dettato dalla inaccessibilità al modello matrimoniale, ma sul riconoscimento di un nucleo comune di diritti e doveri di assistenza e solidarietà propri delle relazioni affettive di coppia e sulla riconducibilità di tali relazioni nell'alveo delle formazioni sociali dirette allo sviluppo, in forma primaria, della personalità umana.» (Cass. civ. 9 febbraio 2015, n. 2400).

Le unioni civili sono una novità legislativa del nostro ordinamento e rappresentano una rivoluzione epocale nella cultura sociale e politica del Paese. La ratio della novella è stata, principalmente, quella di garantire la tutela dei diritti fondamentali delle persone che ne fanno parte. La necessità di introdurre nel sistema giuridico l'istituto, e di disciplinare le conseguenze legali della costituzione, è nata sulla spinta di un ampio consenso europeo, dimostrato anche dall'adozione, nell'ambito dell'Unione, di una legislazione che ha incluso il partner dello stesso sesso tra i familiari (Direttiva 2003/86 sul diritto al ricongiungimento familiare e 2004/38 sul diritto alla libera circolazione). La Corte di Strasburgo ha definito “artificiale” un approccio che continui ad escludere dal concetto di vita familiare le coppie dello stesso sesso stabilmente legate, con la conseguenza che i Governi sono tenuti ad assicurare il rispetto della vita familiare alle coppie omosessuali (Corte EDU, 22 luglio 2010, P.B. e J.S. c. Austria; 28 settembre 2010, J.M. c. Regno Unito). Nell'Unione europea, le unioni civili sono riconosciute in Svizzera, Austria, Germania, Ungheria, Croazia, mentre sono 14 gli Stati membri che hanno legiferato per riconoscere il matrimonio per le coppie gay.

In evidenza

L'unione civile è una formazione sociale (art. 2 Cost.), riconosciuta dall'ordinamento giuridico, caratterizzata da una relazione interpersonale tra persone maggiorenni dello stesso sesso di natura affettiva, che si esplica nella comunanza di vita e di interessi e nella reciproca assistenza morale e materiale.

Unione civile e matrimonio

Per quanto la novella legislativa faccia rinvio, salvo eccezione, alla disciplina del rapporto di coniugio fondato sul matrimonio, va riconosciuta la differenza ontologica tra l'unione civile tra persone dello stesso sesso e l'istituto matrimoniale. E' esclusa, infatti, qualsiasi assimilazione tra il regime matrimoniale e le unioni omo-affettive, in linea con quanto affermato dalla Corte costituzionale con le sentenze n. 138/2010 e n. 170/2014. Il matrimonio ha un forte valore simbolico, rappresentando l'unione tra persone di sesso diverso, legate da vincoli affettivi, in quanto rende socialmente rilevante un proprio modo di essere della coppia all'esterno del nucleo familiare, con conseguenze che coinvolgono gli aspetti giuridici del vivere civile. L'istituto, secondo la dottrina canonistica, si basa sulla diversità sessuale dei nubendi, da cui scaturisce l'unione fisica e la finalità procreativa. La procreazione è l'essenza del matrimonio canonico. Tale conclusione, oltre che obbedire ad una norma dello ius naturale, discende dai principi costituzionali, laddove si stabilisce che «la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio» (art. 29 Cost.). Questa impostazione non vale per il matrimonio civile, che pur essendo inteso ad instaurare la comunione materiale e spirituale tra i coniugi, non orienta il rapporto alla generazione della prole, in ragione del fatto che la decisione di procreare è liberamente affidata all'autonomia dei coniugi.

L'unione civile e la famiglia

Dopo aver definito gli ambiti entro i quali inquadrare l'istituto “unione civile”, nasce spontaneo registrare la profonda trasformazione che, a seguito della riforma, si è verificata nell'ambito della famiglia italiana. Ormai da tempo la legislazione proveniente dai Paesi dell'UE e dalla giurisprudenza delle Corti di Strasburgo e Lussemburgo determinavano interrogativi sulla natura della “famiglia” come fondata sull'istituto matrimoniale. La famiglia, oggi, è una istituzione “plurale”. Il modello più diffuso resta quello della “famiglia eterosessuale monogamica fondata sul matrimonio”, ma non sono pochi gli Stati membri dell'Unione che ammettono anche le convivenze non matrimoniali, sia registrate che di fatto, sia etero che omosessuali, come pure lo stesso matrimonio same sex, con discipline anche esse variamente diversificate, spesso similari a quelle della famiglia tradizionale, rimesse in larga misura alla determinazione pattizia (patti civili di solidarietà, contratti di convivenza, accordi di partenariato). La Corte EDU individua la nozione di famiglia, come contemplata dall'art. 8 CEDU, non solo nelle relazioni fondate sul matrimonio, ma in tutti gli altri legami familiari di fatto non fondati sul vincolo matrimoniale (Corte EDU, 25 maggio 1994, Keegan c. Irlanda).

La “dimensione plurale” dell'istituzione familiare esclude la diversità di sesso come il presupposto fondamentale per il riconoscimento dell'istituto e conduce a ritenere “famiglia” tutte le unioni fondate su vincoli di solidarietà e legami affettivi, caratterizzate da continuità e stabilità. In questo contesto normativo e giurisprudenziale, la famiglia “europea”, e quindi quella italiana, viene così disancorata dal matrimonio, e questo a sua volta scisso dal requisito della diversità di sesso, un tempo valutato come «l'unico presupposto veramente costante» dell'istituto. Per la Corte europea dei diritti dell'uomo il diritto al matrimonio spetta anche alle persone dello stesso sesso, anche se l'ammissibilità viene, comunque, riservata al potere legislativo dei singoli Stati (Corte EDU, 11 luglio 2002, Goodwin c. Regno Unito e, sulla scia di tale revirement si segnala anche la sentenza della Corte Giustizia UE, 7 gennaio 2004, C-117/2001; il principio è stato ribadito anche dalla pronuncia Corte EDU, 15 marzo 2012, Gas e Dubois c. Francia, che fa il punto anche sugli orientamenti giurisprudenziali in materia). Sull'ammissibilità del matrimonio tra persone dello stesso sesso, la Corte di Giustizia non ha avuto ancora occasione di pronunciarsi in maniera definitiva, per il resto, essa è attestata sulle stesse posizioni della Corte EDU, dalla quale sino ad oggi non ha esitato a recepire tutti gli orientamenti, compreso quello della non automatica estensione alle unioni non matrimoniali degli stessi effetti discendenti dal matrimonio. L'analisi delle sentenze di entrambe le Corti consente di rilevare un approccio prevalentemente casistico, con particolare riferimento a ben definite situazioni, nelle quali, in applicazione del principio di non discriminazione o in attuazione di diritti fondamentali, si è trattato di garantire anche ai partners di unioni non coniugali il godimento di taluni benefici invece legislativamente accordati alle tradizionali coppie coniugate (come, ad esempio, in materia pensionistiche o in tema di esercizio della funzione genitoriale). La Corte di Cassazione, sez. I, sentenza 15 marzo 2012, n. 4184, ha ammesso la rilevanza del matrimonio same sex anche nell'ordinamento italiano, ma ne ha negato l'efficacia, sostenendo che il matrimonio civile tra persone dello stesso sesso, celebrato all'estero, non è inesistente, ma soltanto inidoneo a produrre effetti giuridici, anche ai sensi dell'art. 12 CEDU, come evolutivamente interpretato dalla Corte di Strasburgo, secondo cui la diversità di sesso dei nubendi non costituisce presupposto “naturalistico” di esistenza del matrimonio. La Corte costituzionale italiana, 15 aprile 2010, n. 138, è stata chiamata a pronunciarsi sul matrimonio omosessuale, definendo tale unione come «stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso, cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone, nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge, il riconoscimento giuridico con connessi diritti e doveri». La decisione della Consulta si è espressa in termini di apertura verso il riconoscimento di vincoli improntati sulla base del principio della solidarietà familiare (art. 2 Cost.). E' in questo contesto giuridico e sociale che nascono le unioni civili tra persone dello stesso sesso, espressione di un percorso evolutivo internazionale propenso a riconoscere tutela giuridica a tutti i vincoli tra persone, indipendentemente dal sesso, generati dall'affetto, dalla solidarietà, dalla comunanza di vita e di interessi. L'introduzione nel nostro ordinamento delle unioni civili ha creato un nuovo “status familiae”, con la conseguenza che occorre ormai riconoscere il ruolo giuridico di “familiare” alla persona unita civilmente. Da ultimo, in ragione di tale principio, con Circolare 5 agosto 2016 n. 3511 il Ministero dell'Interno ha fornito indicazioni operative ai fini del rilascio del nulla osta al ricongiungimento familiare, stabilendo che sarà possibile concederlo anche al partner unito civilmente, purché maggiormente e non legalmente separato.

Realtà a confronto

Unioni civili e famiglia

Per la Corte di Strasburgo, la nozione di famiglia comprende, come contemplata dall'art. 8 CEDU, non solo le relazioni fondate sul matrimonio, ma tutti gli altri legami familiari di fatto non fondati sul vincolo matrimoniale (Corte EDU, 25 maggio 1994, Keegan c. Irlanda)

Unioni civili e “vita familiare”

Le persone dello stesso sesso conviventi in stabile relazione di fatto sono titolari del diritto alla “vita familiare “ ex art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo; pertanto, nell'esercizio del diritto inviolabile di vivere liberamente la condizione di coppia, esse possono adire il giudice per rivendicare, in specifiche situazioni correlate ad altri diritti fondamentali, un trattamento omogeneo a quello assicurato dalla legge alle coppie coniugate (Cass., sez. I, 15 marzo 2012, n. 4184)

Il matrimonio tra omosessuali

E' legittima la mancata estensione del regime matrimoniale (nella specie, della possibilità di pubblicazioni del matrimonio) alle unioni omo-affettive, che non rientrano tra le ipotesi legislative di unione coniugale – in linea con quanto affermato dalle sentenze n. 138/2010 e n. 170/2014 della Corte costituzionale, il cui approdo non è superato dalle decisioni della Corte di Strasburgo che non impongono una equiparazione – ancorché il sicuro rilievo costituzionale ex art. 2 Cost. di tali formazioni sociali, e del nucleo affettivo – relazionale che la caratterizza, comporta che queste unioni possano acquisire un grado di protezione e tutela, anche ad opera del giudice ordinario, tenuto ad una interpretazione della norma costituzionalmente e convenzionalmente orientata, equiparabile a quella matrimoniale in tutte le situazioni nelle quali la mancanza di una disciplina legislativa determini una lesione di diritti fondamentali (Cass., sez. I, 9 febbraio 2015, n. 2400)

Il processo di costituzionalizzazione delle unioni omo-affettive

Il processo di costituzionalizzazione delle unioni tra persone dello stesso sesso non si fonda sulla violazione del canone indiscriminatorio dettato dalla inaccessibilità al modello matrimoniale, ma sul riconoscimento di un nucleo comune di diritti e doveri di assistenza e solidarietà propri delle relazioni affettive di coppia e sulla riconducibilità di tali relazioni nell'alveo delle formazioni sociali dirette allo sviluppo, in forma primaria, della personalità umana. Da tale riconoscibilità sorge l'esigenza di un trattamento omogeneo di tutte le situazioni che presentano un deficit o un'assenza di tutela dei diritti del componente l'unione, derivante dalla mancanza di uno statuto protettivo delle relazioni diverse da quelle matrimoniali nel nostro ordinamento (Cass., sez. I, 9 febbraio 2015, n. 2400)

La forma

L'unione civile si costituisce mediante dichiarazione resa di fronte all'Ufficiale di stato civile ed alla presenza di due testimoni (art. 1 comma 2). L'Ufficiale di stato civile provvede alla registrazione degli atti dell'unione nell'archivio di stato civile. Con d.p.c.m. 23 luglio 2016, n. 144 è stato emanato un Regolamento recante disposizioni transitorie necessarie per la tenuta dei registri nell'archivio dello Stato civile, ai sensi dell'art. 1, comma 34, l. n. 76/2016. Alcuni giorni dopo, con decreto del 28 luglio 2016, il Ministero dell'Interno ha approvato apposite formule per gli adempimenti a cui sono tenuti i funzionari dello Stato, al momento della costituzione di una unione. La forma pubblica non modifica la formazione negoziale dell'istituto, in quanto il funzionario pubblico ha solo una funzione “certificativa”, o “ricognitiva”, della volontà delle parti.

Pur nel silenzio della legge, si può ritenere che il pubblico ufficiale sia tenuto a verificare che il contenuto della dichiarazione sia conforme ai principi dell'ordinamento giuridico, quindi non sia contraria a norme imperative, all'ordine pubblico e al buon costume.

Si notano delle consonanze con l'istituto matrimoniale, ma la differenza consiste nel fatto che nel matrimonio la celebrazione è necessariamente preceduta dalla pubblicazione del proposito dei nubendi, trattandosi di un passaggio funzionale all'eventuale proposizione di opposizione da parte di terzi interessati (art. 93 c.c.). Nell'unione civile questo atto preliminare è superato, mentre rimane confermata la necessità di certificare il rapporto mediante un documento attestante la costituzione dell'unione, che deve contenere i dati anagrafici delle parti, l'indicazione del loro regime patrimoniale e della loro residenza, oltre i dati anagrafici e la residenza dei testimoni (art. 1 comma 9). In mancanza di espressa indicazione, il regime patrimoniale è costituito dalla comunione dei beni. In materia di forma, modifica, simulazione e capacità per la stipula delle convenzioni patrimoniali si applicano gli artt. 162, 163, 164 e 166 c.c. (art. 1 comma 13). Uno dei principi ispiratori del rapporto è l'uguaglianza tra i partners. Il concetto di uguaglianza deve coniugarsi con quello di pari opportunità di svolgimento e di realizzazione della personalità del singolo all'interno del rapporto, senza che ciò si riduca a significare una riduttiva parità quantitativa di diritti e doveri. Questa tensione verso l'uguaglianza si esprime anche con l'avvertita esigenza di consentire ai componenti dell'unione civile di scegliere l'attribuzione del cognome familiare. Infatti, mediante dichiarazione resa all'Ufficiale di stato civile le parti possono stabilire di assumere, per la durata del rapporto, un cognome comune scegliendolo tra i loro cognomi. La parte può anteporre o posporre al cognome comune il proprio cognome, se diverso, facendone dichiarazione al pubblico ufficiale (art. 1 comma 10). La parità tra i componenti il nucleo familiare si esprime anche nel fatto che le parti concordano tra loro l'indirizzo della vita familiare e fissano la residenza comune, a ciascuna delle parti spetta il potere di attuare l'indirizzo concordato (art. 1 comma 12).

In attuazione della delega di cui al comma 28 della legge, il Governo ha adottato tre decreti legislativi, tutti pubblicati in G.U. 27 gennaio 2017 ed entrati in vigore l'11 febbraio 2017.

Per quanto qui di interesse, si pone l'attenzione al d.lgs. n. 5/2017 con cui sono state introdotte le necessarie disposizioni per l'adeguamento delle norme dell'ordinamento dello stato civile, in materia di iscrizioni, trascrizioni, annotazioni, nonché modifiche e integrazioni normative per la regolamentazione delle unioni civili. In particolare, sono stati effettuati interventi normativi su:

  • r.d. 9 luglio 1939, n. 1238 (Ordinamento dello stato civile);
  • d.P.R. 30 maggio 1989, n. 223 (Regolamento anagrafico della popolazione residente);
  • d.lgs. 3 febbraio 2011, n. 71 (Ordinamento e funzioni degli uffici consolari);
  • d.lgs. 1 settembre 2011, n. 150 nella parte in cui disciplina le controversie in materia di rettificazione di attribuzione di sesso.

Si è provveduto, inoltre, in via di coordinamento, a disciplinare l'adeguamento del d.m. 27 febbraio 2001 recante «Tenuta dei registri dello stato civile nella fase antecedente all'entrata in funzione degli archivi informatici».

É stata prevista una disciplina ad hoc per la regolamentazione dell'istituto dell'unione civile, mediante l'inserimento, dopo l'art. 70 d.P.R. n. 396/2000, di un autonomo Titolo VIII-bis «Della richiesta e della costituzione dell'unione civile», relativo al contenuto dell'atto di costituzione dell'unione civile, regime delle annotazioni nell'atto di costituzione, registrazione delle unioni civili negli archivi dello stato civile, disciplina della richiesta e della costituzione dell'unione civile, regime delle opposizioni alla costituzione dell'unione civile.

Tra le novità rilevanti, con riferimento alla costituzione dell'unione, va segnalato che l'art. 3 d.lgs. n. 5/2017 ha modificato il d.P.R. 30 maggio 1989, n. 223, introducendo il necessario coordinamento agli artt. 4, 12 e 20, il cui comma 3-bis precisa che «per le parti dell'unione civile le schede devono essere intestate al cognome posseduto prima dell'unione civile». In tal modo è stato chiarito che la parte dell'unione civile che abbia scelto di assumere il cognome comune, non perde il precedente, in quanto non viene aggiornata la scheda anagrafica. La disposizione differisce da quella dell'art. 4, comma 2, d.P.C.M. n. 144/2016 secondo cui a seguito della dichiarazione relativa al cognome gli Ufficiali di stato civile procedono all'annotazione dell'atto di nascita e all'aggiornamento della scheda anagrafica. Pertanto, il successivo art. 8 d.lgs. n. 5/2017 introduce una norma di coordinamento che chiarisce che, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto, l'Ufficiale di stato civile deve annullare l'annotazione relativa alla scelta del cognome effettuata ai sensi del citato d.P.C.M. In ogni caso, si prevede espressamente che per le parti dell'unione, le schede anagrafiche devono essere intestate al cognome posseduto prima dell'unione civile.

L'art. 5 d.lgs. n. 5/2017 introduce modifiche a specifici articoli del codice della navigazione, al fine di adeguare le norme relative alla celebrazione del matrimonio in imminente pericolo di vita alle nuove disposizioni in tema di unioni civili. Ai sensi dell'art. 6 d.lgs. cit. sono state apportate anche modifiche al d.lgs. 3 febbraio 2011, n. 71, prevedendo modalità di costituzione delle unioni civili all'estero davanti all'autorità consolare. Si evidenzia, infine, che l'art. 7 d.lgs. cit. ha modificato il d.lgs. 1 settembre 2011, n. 150, disciplinando la possibilità per i coniugi, nell'ambito di un procedimento per la rettificazione di sesso in ambito di matrimonio, di manifestare sino all'udienza di precisazione delle conclusioni, la volontà, in caso di accoglimento della domanda, di costituire l'unione civile, con l'inserimento del comma 4-bis all'art. 31 d.lgs. n. 150/2011.

Le cause impeditive

La legge stabilisce precise cause impeditive alla costituzione di un'unione civile tra persone dello stesso sesso.

L'insussistenza di causa impeditive è espressamente prevista dall'art. 70-bis d.P.R. n. 396/2000, introdotto dal d.lgs. n. 5/2017. L'Ufficiale dello stato civile è tenuto a verificare questo requisito ai fini della costituzione dell'unione, ed ha la facoltà di acquisire d'ufficio eventuali documenti che ritenga necessari per provare l'inesistenza di impedimenti. Le verifiche devono essere effettuate nel termine massimo di trenta giorni dalla redazione del verbale di richiesta della costituzione (art. 70-ter, comma 1, d.P.R. n. 396/2000). Se durante la verifica, l'Ufficiale dello stato civile accerta l'insussistenza dei presupposti di legge o la sussistenza di un impedimento, è tenuto a darne comunicazione alle parti e non procede alla costituzione dell'unione civile (art. 70-ter, comma 2, d.P.R. n. 396/2000). Egli è anche tenuto ad informare immediatamente il procuratore della Repubblica, affinchè questi possa proporre opposizione alla costituzione dell'unione civile. É prevista una ipotesi di esonero dalle verifiche (art. 70-decies d.P.R. n. 396/ 2000) nel caso di imminente pericolo di vita di una delle parti, a condizione che dichiarino, con giuramento, che non esistono tra loro impedimenti.

Rappresenta presupposto imprescindibile la libertà di stato. Le parti, per contrarre una unione civile, non devono aver contratto un'altra unione o matrimonio. Sono cause impeditive:

a) la sussistenza, per una delle parti, di un vincolo matrimoniale o di un'altra unione civile;

b) l'interdizione di una delle parti per infermità di mente; se l'istanza di interdizione è soltanto promossa, il pubblico ministero può chiedere che si sospenda la costituzione dell'unione civile, in tal caso il procedimento non può avere luogo finché la sentenza che ha pronunciato sull'istanza non sia passata in giudicato;

c) la sussistenza tra le parti dei rapporti cui all'art. 87, comma 1, c.c.;

d) la condanna definitiva di un contraente per omicidio consumato o tentato nei confronti di chi sia coniugato o unito civilmente con l'altra parte; se è stato disposto soltanto rinvio a giudizio ovvero sentenza di condanna di primo o secondo grado ovvero una misura cautelare, la costituzione dell'unione civile è sospesa sino a quando non è pronunciata sentenza di proscioglimento.

Il legislatore sanziona con la nullità la costituzione di unione civile effettuata nonostante la sussistenza di una causa impeditiva. Ai sensi dell'art. 1 comma 5 all'istituto si applicano gli artt. 65 e 68 c.c., nonché le disposizioni di cui agli artt. 119, 120, 123, 125, 126, 127, 128, 129 e 129 bis c.c.. La parte può, in qualunque momento, impugnare il matrimonio o l'unione civile dell'altra parte. Se si oppone la nullità della prima unione civile, tale questione deve essere preventivamente giudicata (art. 1 comma 8). L'unione civile contratta in violazione di legge può essere impugnata da ciascuna delle parti, dagli ascendenti prossimi, dal pubblico ministero e da tutti coloro che hanno un interesse legittimo ed attuale (art. 1 comma 6). La disposizione ricalca il contenuto dell'art. 102 c.c. in materia di matrimonio, ampliando la legittimazione a proporre opposizione a chiunque abbia un interesse attuale e legittimo. Il requisito di legittimità dell'interesse deve essere inteso in ragione della conformità dello stesso ai precetti legislativi, ossia nel senso che deve ritenersi sussistere un interesse legittimo laddove sia esistente una causa ostativa alla costituzione dell'unione, concreta ed attuale.

Il difetto di consenso è causa di nullità dell'accordo, come per il matrimonio. Ma in tal caso l'impugnazione può essere proposta solo dalla parte il cui consenso è stato estorto con violenza o determinato da timore di eccezionale gravità per cause esterne alla parte stessa. Assume rilevanza anche l'errore sull'identità della persona o l'errore essenziale su qualità personali dell'altra parte (art. 1 comma 7).

La proponibilità dell'impugnazione è subordinata solo nel caso in cui non vi sia stata coabitazione per un anno dopo che è cessata la violenza o siano cessate le cause che hanno determinato il timore o è stato scoperto l'errore. Con riferimento all'errore, il legislatore regolamenta una disciplina più precisa. Si afferma che l'errore sulle qualità personali è essenziale qualora, tenute presenti le condizioni dell'altra parte, si accerti che la stessa non avrebbe prestato il consenso se le avesse esattamente conosciute, purché l'errore riguardi: a) l'esistenza di una malattia fisica o psichica, tale da impedire lo svolgimento della vita comune; b) le circostanze di cui all'art. 122, comma 3, nn. 2, 3 e 4 c.c..

Il d.lgs. n. 5/2017 ha introdotto una importante previsione relativa all'applicabilità per le unioni civili di un regime di opposizioni, inizialmente escluso dalla l. n. 76/2016 e, nel regime transitorio, anche dal d.P.C.M. n. 144/2016. É previsto che se l'Ufficiale di stato civile, durante le verifiche che è tenuto ad effettuare dopo la richiesta di costituzione dell'unione civile, viene a conoscenza di un impedimento non dichiarato, deve immediatamente informare il Procuratore della Repubblica, affinchè provveda a proporre ricorso al Presidente del tribunale il quale, sentite le parti, decide con decreto motivato sull'opposizione.

I diritti e doveri

I principi ispiratori dell'unione civile tra persone dello stesso sesso sono: uguaglianza dei diritti e reciprocità dei doveri.

Con la costituzione dell'unione civile le parti acquistano gli stessi diritti e assumono gli stessi doveri (art. 1 comma 11). Le parti non possono derogare né ai diritti né ai doveri previsti dalla legge per effetto dell'unione (art. 1 comma 13). Dal rapporto derivano l'obbligo reciproco all'assistenza morale e materiale e alla coabitazione. Entrambe le parti sono tenute, ciascuna in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale e casalingo, a contribuire ai bisogni comuni. Il diritto all'assistenza morale e materiale è sospeso nei confronti del compagno che, allontanandosi senza giusta causa dalla residenza familiare, vi rifiuta di tornarvi (art. 1 comma 19). La novella, pertanto, non estende all'unione civile l'intera disciplina relativa ai rapporti personali tra coniugi, escludendo, per esempio l'obbligo di fedeltà.

Il dovere di assistenza viene preferito al dovere di fedeltà, trattandosi di un dovere arricchito di aspetti profondamente morali, oltre che materiali.

I primi commentatori hanno rilevato come il legislatore, ritenendo che il costume sociale non imponesse un tale obbligo, abbia voluto evitare le conseguenze dell'addebito a seguito di scioglimento dell'unione, stante il generico rinvio della novella alle disposizioni sul matrimonio.

Un altro indirizzo, invece, ha considerato che tale scelta deriva dal ritenuto assorbimento del dovere di fedeltà nel dovere di assistenza, inteso quale dedizione non solo fisica, ma anche spirituale, che deve caratterizzare l'unione per tutte la sua durata. Il dovere di assistenza, pertanto, presupporrebbe quello di fedeltà, come perfetta corrispettività di interessi, e comunione di intenti, riconducibili alla logica della solidarietà. Nell'ambito del dovere di assistenza morale e materiale, deliberatamente indefinito, sono ricomprese tutte le esigenze della parti dell'unione, così potendosi passare dalle più elementari necessità materiali, a quelle più profonde, di carattere morale, quale può essere il dovere di sostenere il proprio compagno sotto il profilo psicologico, affettivo e spirituale. Inoltre, ove si consideri la fedeltà alla stregua di un impegno di lealtà e di correttezza per la vita a due, non vi sarebbe motivo di ritenere la sua violazione legittima nell'ambito di qualsiasi relazione affettiva.

L'unione civile contiene, pertanto, una serie di “doveri impliciti” assorbiti nell'ambito del generico obbligo reciproco di assistenza morale e materiale, opportunamente non codificati, ispirati al perseguimento del rispetto della personalità del singolo secondo il generale dovere di solidarietà (art. 2 Cost.), che impone il riconoscimento dei diritti inviolabili della persona nell'ambito delle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità. Il legislatore affida sostanzialmente all'accordo dei sottoscrittori dell'unione il modo di atteggiarsi dei diritti e doveri, dai contenuti non specificamente delineati, ma i cui limiti sono rappresentati dalla sanzione prevista dall'ordinamento per i pregiudizi arrecati al “valore persona”. Si pensi all'espresso rinvio alla l. 4 aprile 2001, n. 154, operato dall'art.1 comma 14, secondo cui: «quando la condotta della parte dell'unione civile è causa di grave pregiudizio all'integrità fisica o morale ovvero alla libertà dell'altra parte, il giudice, su istanza di parte, può adottare con decreto uno o più dei provvedimenti di cui all'art. 342-ter c.c.».

Tra gli obblighi espressamente previsti dal legislatore vi è quello di coabitazione,che scaturisce necessariamente dalla comunanza di vita e di interessi e dall'affectio quotidiana di ciascuna delle parti.

Con la dichiarazione che fonda l'unione civile, le parti concordano l'indirizzo della vita familiare e fissano la residenza comune. Ai sensi dell'art. 1 comma 12 ciascuna delle parti ha il diritto di attuare l'indirizzo concordato. In ragione del legame affettivo e di solidarietà che unisce le parti, il partner ha diritto di poter essere scelto, tra gli altri parenti, dal giudice tutelare come amministratore di sostegno del compagno, e può promuovere giudizio di interdizione o di inabilitazione e di presentarne revoca quando cessa la causa (art. 1 comma 15). Tra gli altri diritti riconosciuti dalla novella, vi è il diritto agli alimenti, in ragione del rinvio alle disposizioni del Titolo XIII del libro primo del codice civile, nonché i diritti successori, quale legittimario ai sensi del rinvio al Capo X del Titolo I, al Titolo II, del codice civile (art. 1 comma 21).

L'istituzionalizzazione dei diritti e dei doveri dei partners è la manifestazione che l'ordinamento ha preso atto dell'impegno e della volontà espresso nell'unione civile e, pertanto, dà garanzia sociale e giuridica al contenuto pattizio del rapporto.

Ai sensi dell'art. 1 comma 20, al solo fine di assicurare l'effettività della tutela dei diritti e il pieno adempimento degli obblighi derivanti dall'unione civile, le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole “coniuge”, “coniugi”, o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna delle parti dell'unione civile tra persone dello stesso sesso. Il legislatore opera, quindi, un generale rinvio alle leggi speciali che si riferiscono al rapporto di coniugio, genericamente inteso, con l'unica eccezione rappresentata dalla l. 4 maggio 1983, n. 184. Mentre, con riferimento alle norme del codice civile si stabilisce: «La disposizione di cui al periodo precedente non si applica alle norme del codice civile non richiamate espressamente dalla presente legge». La clausola di salvaguardia induce a ritenere che l'applicazione delle norme richiamate è possibile solo nelle situazioni in cui sia necessario assicurare l'effettività della tutela dei diritti ed il pieno adempimento degli obblighi derivanti dall'unione, mentre con particolare riferimento alla legge dell'adozione consegue l' inapplicabilità dell'istituto.

*Scheda aggiornata ai Decreti di attuazione della Legge sulle Unioni civili (d.lgs. n. 5, 6, 7/2017)

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