Famiglie
ilFamiliarista

Rettificazione di sesso

Luca Bardaro
Anna Maria Princiotta
04 Aprile 2022

L'ordinamento riconnette alla nascita di un individuo una serie di prerogative. La persona umana viene identificata attraverso l'attestazione di avvenuta nascita e le dichiarazioni rese all'ufficiale di stato civile dai genitori o da ulteriori soggetti pur tenuti a tali adempimenti. L'attestazione enuclea le generalità del nato, riportandone il sesso («sesso anagrafico») ricavato dall'esame morfologico dei suoi organi genitali. L'equazione sesso anagrafico-sesso biologico, che verosimilmente caratterizza il nostro ordinamento giuridico, lascia intendere che il primo debba rispecchiare fedelmente le componenti sessuali del titolare, quantunque nella realtà tale coincidenza non sempre sussiste.
Inquadramento

L'ordinamento giuridico riconnette alla nascita di un individuo una serie di prerogative. La persona umana viene identificata attraverso l'attestazione di avvenuta nascita e le dichiarazioni rese all'ufficiale di stato civile dai genitori o da ulteriori soggetti pur tenuti per legge (art. 30 d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396). L'attestazione enuclea le generalità del nato, incluso il sesso («sesso anagrafico») come ricavato dall'esame morfologico dei suoi organi genitali.

L'equazione sesso anagrafico-sesso biologico - che caratterizza il nostro ordinamento giuridico - presuppone che il primo rispecchi fedelmente le componenti sessuali del titolare, sebbene nella realtà tale coincidenza non sempre sussiste. Accade, non di rado, che le molteplici componenti della sessualità umana (genetica, fenotipica, endocrinica, psicologica, culturale e sociale) entrino in rotta di collisione. L'emergere nel corso della vita di un individuo di tendenze comportamentali e psichiche, consone a un sesso divergente da quello originario, demanda al giurista il delicato compito di stabilire se la fattispecie necessiti di una nuova qualificazione giuridica. Prezioso si rivela, pertanto, il contributo dell'interprete chiamato ad indagare la recettività nel diritto di istanze a lungo sottaciute e, di conseguenza, ad interrogarsi sui loro fondamenti e sulla meritevolezza degli interessi che esprimono.

Analoghe problematiche erano state, invero, poste già all'attenzione della Corte costituzionale che, in un noto e risalente precedente (Corte cost., 24 maggio 1985, n. 161) aveva negato categoricamente che l'identità sessuale di una persona potesse ricondursi o desumersi dai soli caratteri fisici (e, in specie, dalla conformazione degli organi genitali), dovendosi desumere anche dai fattori di natura psicologica e sociale.

Mosso probabilmente da tale convincimento, il legislatore si è premurato di garantire il diritto della persona ad avere riconosciuta giuridicamente la diversa (rispetto a quella documentata nei registri) identità sessuale, sebbene, come detto, il diritto tende a non allontanarsi dal dato biologico.

Nello stesso ordine di idee si è per lungo tempo assestata la giurisprudenza che, in più occasioni, ha privilegiato l'identità biologica (sia d'esempio per tutti il celebre caso del 1971 [v. Corte Suprema delle Filippine, 22 ottobre 2007, Silverio v. Philippines, in International Commission of Jurists (ed.), Sexual Orientation, Gender Identity and Justice: A Comparative Law Casebook, Geneva 2011, 183 ss.], nel qual caso un giudice inglese declinava la validità del matrimonio sul presupposto che la “donna” coniugata aveva percepito di essere un uomo quantunque fosse stata considerata “donna” sotto tutti gli aspetti, incluso quello sessuale).

L'evidenza identitaria non può, d'altronde, essere slegata dall'autopercezione sociale del soggetto interessato e dalla relazione che egli si sviluppa con la società «in un'interazione costante fra cervello, corpo, esperienza» spiegherà in tempi più recenti la Corte di cassazione (Cass. civ., 20 luglio 2015, n. 15138).

Si dà peraltro il caso che l'impostazione che tende a privilegiare l'elemento fenotipico ovverosia cromosomico della sessualità finisce per «disconoscere l'esistenza di un'intera «galassia» di sessualità diverse e ignorare i fenomeni reali come l'intersessualità (ermafroditismo), il transgenderismo e il transessualismo» (M. Winkler, Cambio di sesso del coniuge e scioglimento del matrimonio: costruzione e implicazioni del diritto fondamentale all'identità di genere, in Giur. Mer.,3, 2012). Si tenga conto che situazioni di questo tipo potrebbero spuntare già nella fase preadolescenziale come si evince, viepiù, dalla prassi che mostra la tendenza degli adolescenti a ricorrere a terapie ormonali, al sostegno psicoterapeutico quando non alla chirurgia estetica.

Sullo sfondo di tali problematiche, emerge il genere più che il sesso anagrafico o biologico, ovverosia la qualità della persona in senso maschile o femminile che può non di rado assumere nel corso del tempo varie declinazioni.

In questa prospettiva, il richiamo al concetto di “identità di genere” diviene fondamentale in quanto identifica l'individuo nella sua complessità, al punto che la direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 dicembre 2011 l'ha richiamato, nel trentesimo considerando, assieme ad ulteriori aspetti legati al sesso del richiedente che potrebbero essere motivo di persecuzione.

Il genere sessuale

È indubbio che il tema dell'identità personale si intrecci con l'interesse pubblico dello Stato alla certezza dei rapporti giuridici. La l. 14 aprile 1982 n. 164, successivamente modificata dal d.lgs. 1 settembre 2011 n. 150 sancisce che la rettificazione di attribuzione di sesso implica le intervenute modificazioni dei caratteri sessuali, in forza di sentenza del tribunale passata in cosa giudicata (art. 1 l. n. 164/1982). L'art. 31, comma 4, del decreto del 2011, postula inoltre che «quando risulta necessario un adeguamento dei caratteri sessuali da realizzare mediante trattamento medicochirurgico, il tribunale lo autorizza con sentenza passata in giudicato». Al giudice è, quindi, demandato un compito alquanto delicato, dovendo egli stabilire se il richiamo a mere clausole in bianco “quando risulti necessario” e “caratteri sessuali” assumano contenuto precettivo univoco (i.e. preventiva modifica dei caratteri sessuali primari) o se, contrariamente, gli sia consentito offrire una soluzione differente e compatibile con i parametri costituzionali e convenzionali che sorreggono il riconoscimento dell'identità di genere (v. infra). D'altro canto, il legislatore si è premurato di riconoscere al soggetto portatore di disforia di genere (c.d. DIG) il diritto di risolvere la cesura esistente tra il sesso anagrafico e quello psicologico attraverso la modifica dei registri dello stato civile; ciò perché la corrispondenza della persona al suo genere sessuale, in sede di dichiarazione di nascita, è scandita dall'esigenza di rispondenza del prenome al genere sessuale del nato. Detto in termini più precisi, i genitori sono tenuti ad attribuire al nato un nome in funzione del sesso, al punto che, nel caso di violazione della prescrizione, il prenome risulterà ridicolo quando non vergognoso (Cass. civ., 20 ottobre 2008, n. 25452, in Dir. Fam. Pers., 2, 2009, con nota di L. Bardaro e, più di recente, L. Bardaro, Persona umana e diritto al nome, Esi, 2020). Valga per tutti l'esempio del prenome Andrea che tanti genitori hanno attribuito, prima dell'intervento decisivo della Cassazione nel 2012 (Cass. civ., sez. I, 20 novembre 2012, n. 20385, in Fam. Dir., 8-9, 2013, con nota di L. Bardaro), alle proprie figlie, quantunque fosse note che in Italia il suddetto appellativo identificasse pacificamente, anche per la sua radice etimologica, solo i maschi.

Identità della persona e caratteri sessuali

La giurisprudenza è stata chiamata in più occasioni a stabilire se il trattamento medico-chirurgico sia necessario per realizzare l'adeguamento del richiedente alla nuova identità sessuale. Secondo l'indirizzo più “formalistico” – basato su una interpretazione letterale e storica delle previsioni normative - il raggiungimento dell'identità sessuale, divergente da quella anagrafica, è realizzabile qualora l'interessato si sottoponga ad un intervento medico chirurgico di adeguamento dei caratteri sessuali al genere desiderato (Trib. Vercelli, sez. I civ., sent. 27 novembre 2014, n. 159, in www.altalex.com, 8 gennaio 2015, con nota di G. Mattiello; App. Bologna sez. I civ.,sent. 22 febbraio 2013, in www.articolo29.it). Per i giudici la normativa in tema di transessualismo esprimerebbe la tutela esclusiva dell'interesse statuale, finalizzata a dare certezza sul genere, maschile o femminile, di un soggetto: un interesse preminente che escluderebbe qualsiasi forma di bilanciamento con gli interessi delle persone coinvolte (ne dà atto C.cost., 11 giugno 2014).

Tale concezione presenta limiti tutt'altro che trascurabili. Anzitutto la soluzione non tiene conto della stabilità emotiva del richiedente tutela che potrebbe aver raggiunto un'armonia con il proprio corpo verso il sesso desiderato a prescindere dal ricorso al trattamento chirurgico (Cass. civ., 20 luglio 2015, n. 15138). La scelta di sottoporsi alla modificazione chirurgica dei caratteri sessuali primari «non può che essere una scelta espressiva dei diritti inviolabili della persona, sacrificabili soltanto se vi siano interessi superiori di carattere collettivo da tutelare espressamente indicati dal legislatore» (Cass. civ., 20 luglio 2015, n. 15138, cit.). A ciò si aggiungano le complicanze di natura sanitaria legate all'operazione demolitorio-ricostruttiva degli organi sessuali primari che è un procedimento sofferto ed invasivo (Trib. Brescia, 15 ottobre 2004, in Fam. Dir., V, 2005, 527 ss., con nota critica di P. Veronesi, Cambiamento di sesso tra (previa) autorizzazione e giudizio di rettifica. Per Trib. Roma, 18 ottobre 1997, in Dir. Fam. Pers., 1998, 1033, con nota di M. C. La Barbera, Transessualismo e mancata volontaria, seppur giustificata, ffettuazione dell'intervento medico-chirurgico, se l'operazione è rischiosa per lo stato di salute, la stessa è rinunciabile). Non si dimentichino, peraltro, i casi in cui (es. falloplastica) l'intervento non è opportuno per le crisi di rigetto legate alla costruzione dell'organo genitale maschile, da cui potrebbero conseguire problemi uro-genitali. Queste sono in fondo le ragioni per le quali il dibattito sulla prerogativa o meno della sottoposizione al bisturi non sembra sopito.

Un punto di discontinuità nel formante giurisprudenziale si riscontra in alcune decisioni che tendono a confutare, piuttosto, la mera eventualità dell'intervento chirurgico. La Cassazione (Cass. civ., 20 luglio 2015, n. 15138, cit.) ha sostenuto, ad esempio, che l'art. 1 della l. n. 164/1982 faccia generico riferimento ai «caratteri sessuali» (pur essendo al tempo della confezione della disciplina già nota la distinzione tra caratteri sessuali primari e secondari) e che il successivo art. 3 lascerebbe intendere che l'intervento chirurgico debba essere autorizzato «quando necessario». L'interpretazione congiunta delle due disposizioni non potrebbe, pertanto, ritenersi pertanto espressiva di un contenuto precettivo univoco. Anzi, proprio il sintagma “quando risulta necessario” dirimerebbe ogni equivoco interpretativo perché fa propendere per la sua mera “eventualità” (Trib. Rovereto, 03 maggio 2013, in Nuova giurisprudenza civile commentata, 2013, I, 1116, con nota di F. Bilotta, Identità di genere e diritti fondamentali della persona;

Trib. Roma, 11 marzo 2011 e Trib. Roma, 22 marzo 2011, in Nuova giurisprudenza civile commentata, 2012, 243 ss., con nota di A. Schuster, Identità di genere: tutela della persona o difesa dell'ordinamento?). Per tale via, la locuzione normativa lascerebbe all'interprete il compito di definire il perimetro di tali modificazioni e le modalità attraverso le quali realizzarle. La Consulta ha chiarito che «la mancanza di un riferimento testuale alle modalità (chirurgiche, ormonali, ovvero conseguenti ad una situazione congenita), attraverso le quali si realizzi la modificazione, porta ad escludere la necessità, ai fini dell'accesso al percorso giudiziale di rettificazione anagrafica, del trattamento chirurgico, il quale costituisce solo una delle possibili tecniche per realizzare l'adeguamento dei caratteri sessuali» (C. cost., 5 novembre 2015, n. 221).

L'intervento sanitario non è stato ritenuto indispensabile, ad esempio, nei casi in cui la discrepanza tra il sesso anatomico e la percezione psicologica non abbia determinato un atteggiamento conflittuale di rifiuto degli organi sessuali (Trib. Roma, 14 aprile 2011, n. 5896, in Fam. Dir.,2, 2012).

La soluzione dell'indefettibilità dell'intervento chirurgico, ai fini della rettificazione di sesso, comprime invece l'identità personale (di cui l'identità di genere è, sotto il profilo relazionale, suo aspetto costitutivo), specie quando la modificazione chirurgica possa risolversi in un danno alla salute fisica o psicologica del soggetto, costituzionalmente tutelata ai sensi dell'art. 32 Cost..

Una possibile «bussola», capace di orientare il giudice nel percorso interpretativo, potrebbe astrattamente individuarsi nella ricerca di indicatori che possano sostenerne il percorso argomentativo, senza ricadere in una contrapposizione manichea tra imposizione o mera eventualità al bisturi. Orientando il focus della disanima dal piano della logica a quello del bilanciamento degli interessi, gli ermellini hanno sottolineato come il tentativo di giungere ad un criterio ragionevole possa trovare un opportuno riferimento nel principio di proporzionalità. In questa maniera, l'interprete verrebbe posto nelle condizioni di stabilire se la compressione di un diritto individuale sia necessaria per il perseguimento di un obiettivo di interesse generale, che, nel caso specifico, è l'interesse alla certa e pubblica demarcazione dell'appartenenza sessuale degli individui. Una simile soluzione è avvalorata dalla ratio della trama normativa finalizzata a promuovere la garanzia dell'identità della persona (di cui l'identità sessuale è species, cfr. C.cost. 24 maggio 1985 n. 161) e del suo benessere mentale e corporale (C. cost., ord., 24 maggio 1985 n. 161). Rimane così ineludibile, afferma la Consulta, «un rigoroso accertamento giudiziale delle modalità attraverso le quali il cambiamento è avvenuto e del suo carattere definitivo. Rispetto ad esso il trattamento chirurgico costituisce uno strumento eventuale, di ausilio al fine di garantire, attraverso una tendenziale corrispondenza dei tratti somatici con quelli del sesso di appartenenza, il conseguimento di un pieno benessere psichico e fisico della persona» (C. cost., 05 novembre, 2015, n. 221

, cit.). Scartata l'opzione dell'indefettibilità dell'intervento chirurgico, è indubbio che la scelta sulle modalità attraverso le quali realizzare il percorso di transizione – con l'assistenza del medico e di altri specialisti - debba rimettersi all'interessato. Un percorso certamente delicato che va affrontato alla luce degli «aspetti psicologici, comportamentali e fisici che concorrono a comporre l'identità di genere» (C. cost., 5 novembre 2015, n. 221, cit.). Si tenga conto che la giurisprudenza italiana ha ritenuto sufficiente per il processo di conversione l'adeguamento mediante il ricorso ad una cura ormonale del fenotipo al sesso mentale, confutando che tale soluzione avrebbe consentito all'interessato di raggiungere stabilità e benessere psicofisico (Trib. Messina, 4 novembre 2014, in Dir. Civ. cont., 7 marzo 2015). Questo è, d'altro canto, il significato da accordare al termine “adeguamento” che non si risolve necessariamente in una operazione chirurgica (art. 31 del d.lgs. n. 150/2011) dovendo rimettersi la modificazione dei caratteri sessuali, primari e secondari, piuttosto, a una valutazione basata sul caso concreto (il Trib. Messina,sez. Iciv., 4 novembre 2014, avalla la tesi dell'eventualità del trattamento chirurgico qualora la persona abbia raggiunto già un equilibrio psico-somatico e sia fermamente convinta della propria identità sessuale).

È anche interessante notare che l'ambito di operatività della l. 164/82 differisce da quella sulla «protezione dai trattamenti di conversione» («Gesetz zum Schutz vor Konversionsbehandlungen» – KonvBG) recentemente entrata in vigore in Germania (la legge è consultabile al link https://www.bgbl.de/xaver/bgbl/start.xav#__bgbl__%2F%2F*%5B%40attr_id%3D%27I_2020_28_inhaltsverz%27%5D__1594822978281), come giustamente ha fatto notare la dottrina (F. Bertelli, La tutela dell'orientamento sessuale e dell'identità di genere in Germania: la legge «zum Schutz vorKonversionsbehandlungen», in Pers. merc., 2020, I, pp. 263 ss.). Una ragione per tutti la si ritrae nel fatto che in Germania il divieto di terapie di conversione introdotto dalla KonvBG si riferisce «a qualunque trattamento condizionante l'orientamento sessuale o l'identità di genere di una persona, mentre la l. 164/1982 evoca, in via esclusiva, interventi diretti alla modificazione dei «caratteri sessuali» dell'individuo e si colloca dunque in un momento logico e cronologico successivo a quello nel quale potrebbe astrattamente prospettarsi il ricorso ad una «conversione» (lo si ritrae in A. Venturelli, «Conversione» dell'identità di genere e rettificazione dell'attribuzione di sesso, in Pers. Merc., 2021, 2, 324).

La tenuta operativa del vincolo coniugale

Il discorso sin qui condotto rimarrebbe chiaramente incompleto ove non si desse conto dell'annoso problema dello scioglimento del matrimonio a seguito del mutamento di sesso di uno dei coniugi («la sentenza di rettificazione di sesso provoca lo scioglimento del matrimonio[omissis]) per come sancito dall'art. 4 l. n. 164/1982 (ora art. 31 comma 6, d.lgs. n. 150/2011). La questione, ben nota in dottrina e in giurisprudenza, attiene all'inserimento di tale principio all'interno del sistema. Dal canto suo la l. 6 marzo 1987, n. 74 modificava la legge sul divorzio(art. 3 comma 2, lett. g, l. 1 dicembre 1970, n. 898), configura il passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione di sesso quale causa idoneo per richiedere la cessazione degli effetti civili del matrimonio. La previsione sembra voglia indirizzarsi a «sciogliere gli interrogativi suscitati dall'art. 4 l. n. 164/1982 e, ad offrire, una più intensa tutela agli ex coniugi e all'eventuale prole» (testualmente G. Bonilini, La sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso, a norma della l. n. 164/1982, in G. Bonilini- F. Tommaseo, Lo scioglimento del matrimonio,in Il codice civile. Commentario, Milano, 2010, 300). A prima vista sembra che la norma abbia generato un contrasto tra l'automaticità dello scioglimento del matrimonio sancita dalla legge del 1982, da un lato, e la presunta necessità dell'impulso di parte nella disciplina del divorzio dall'altro. D'altro canto il matrimonio è fondato sul paradigma dell'eterosessualità ovverosia sulla diversità di sesso fra coniugi, quale presupposto essenziale per la sua esistenza. Non aveva fatto breccia in tale granitico convincimento neppure il dubbio che l'automatico scioglimento del vincolo coniugale determinasse una lesione permanente all'esercizio del diritto, da parte delle persone transessuali, all'identità personale (recte identità sessuale). Venendo in gioco diritti fondamentali della persona, occorre porsi l'interrogativo se l'esito consequenziale (e cioè lo scioglimento automatico dello status di coniuge) sia giustificato e altresì proporzionato (sia consentito rinviare a L. Bardaro, La transizione sessuale: stato dell'arte e prospettive evoluzionistiche, in Dir. succ. e fam., 1, 2017).

Spunta, a tal proposito, il conflitto esistente tra la realizzazione dell'identità sessuale e il diritto alla stabilità del vincolo matrimoniale, entrambi costituzionalmente garantiti (L. Bardaro, La transizione sessuale: stato dell'arte e prospettive evoluzionistiche, cit.).

L'attuazione dell'uno si ripercuote sull'altro, secondo la logica del “sacrificio imposto”, nell'alternativa tra «l'improvviso sfaldamento del legame familiare o la coartata repressione del proprio essere» (M. Winkler, Cambio di sesso del coniuge e scioglimento del matrimonio: costruzione e implicazioni del diritto fondamentale all'identità di genere,cit.). Sulla primaria importanza di entrambe le situazioni giuridiche, si è più volte espressa la Corte costituzionale chiarendo che i diritti fondamentali, incluso il diritto di contrarre matrimonio, «spettano ai singoli non in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma in quanto esseri umani», precludendo ogni differenziazione di natura personale, come quelle derivanti dall'identità di genere(C. cost., 25 luglio 2011, n. 245, in Nuova giur. civ. comm., 2011, 1239 ss., 1243, con nota di M. Winkler). Riconoscere, dunque, il pieno diritto all'identità di genere significa porre sullo stesso piano le persone transessuali, affermando con decisione il loro essere «persone» a tutti gli effetti. In un simile caotico contesto, la soluzione più coerente con gli interessi in conflitto non può che essere quella adottata recentemente dalla Cassazione. Prendendo lo spunto dalla sentenza n. 170/2014 della Corte costituzionale – che ha dichiarato l'illegittimità delle norme in tema di rettifica del sesso nella parte in cui non prevedono la possibilità di mantenere in vita il rapporto di coppia con altra forma di convivenza giuridicamente riconosciuta, con modalità da statuire dal legislatore – si potrebbe ritenere costituzionalmente necessario conservare alla coppia il riconoscimento dei diritti e dei doveri conseguenti al matrimonio, quantomeno fino a quando il legislatore non intervenga puntualmente sull'argomento. A dirla tutta, anche la giurisprudenza di merito ha riconosciuto la facoltà ai coniugi, in occasione del procedimento di rettifica dell'identità di genere, di formulare istanza al giudice per essere autorizzati a mantenere in vita la coppia, anche se in forma diversa dal matrimonio (cfr. Trib. Milano, 22 aprile 2015); in difetto, seguirà il divorzio imposto a cui può provvedere l'Ufficiale di Stato civile.

Orientamenti a confronto

SCIOGLIMENTO DEL VINCOLO CONIUGALE

Scioglimento automatico del vincolo coniugale al momento del passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione di sesso ex artt. 2 e 4 della l. n. 164/1982.

La sentenza di rettifica di sesso di un coniuge legittima l'ufficio dello stato civile ad annotare nell'atto di matrimonio l'avvenuto scioglimento del matrimonio, essendo venuto meno il presupposto indispensabile del rapporto matrimoniale dato dalla diversità sessuale dei coniugi e dovendosi quindi considerare tale rapporto sciolto di diritto per effetto della rettificazione (App. Bologna, 04 febbraio 2012).

Mantenimento del regime coniugale nel caso di impulso dei coniugi in tal senso, almeno fino a quando il legislatore non introduca altre forme di convivenza giuridicamente riconosciute

(Cass., 21 aprile 2015, n. 8097)

La legge sulla “Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze”

Proprio la vicenda dei coniugi Bernaroli che ha interessato la Corte costituzionale nella decisione n. 170/2014 (sulla peculiarità della vicenda giudiziaria, v. P. Veronesi, Il “caso Bernaroli” alla Corte costituzionale: ancora un bivio sul tema dell'eterosessualità del matrimonio, in Mutamento di sesso e divorzio imposto: il diritto all'identità di genere e al matrimonio, 48 e ss.) consente di ritenere che occorre emanciparsi dalla logica dell'automatismo. È d'altro canto innegabile che i Bernaroli, pur coinvolti dal sopravvenuto mutamento del sesso di uno dei partner, non intendevano svincolarsi dal legame coniugale. Si imponeva, pertanto, la rivisitazione dell'impostazione tradizionale che non individuava nella volontà dei coniugi un requisito indispensabile per la permanenza del matrimonio omogenere, finendo per folgorare il vissuto di tali coppie. Tale ricostruzione strideva, infatti, con il principio fondamentale consacrato nell'art. 13 Cost. di autodeterminazione del singolo in relazione alla libertà di scioglimento del matrimonio. L'esigenza di offrire una copertura normativa nella situazione di tale caratura sembra potersi realizzare nel comma 27, l. n. 76/2016, lì dove prefigura la possibilità per i coniugi di optare (e dunque di conferire una forma diversa al proprio “vissuto” di coppia) per l'unione civile. Ciò a condizione che non venga manifestata una diversa volontà da parte dei coniugi, nel senso «di non sciogliere il matrimonio o di non cessarne gli effetti civili».

La volontà di costituire l'unione civile può essere resa anche dal solo coniuge che ha proposto la domanda di rettificazione di attribuzione di sesso, fino all'udienza di precisazione delle conclusioni (art. 7 d.lgs. 19 gennaio 2017, n. 5 in G.U. n. 22 del 27 gennaio 2017, attuativo della disciplina delle unioni civili).

Il legislatore non ha, tuttavia, mutuato una previsione simile nel caso contrario in cui la rettificazione di sesso investa uno degli uniti civili. La previsione dell'art. 1, comma 26, l. 20 maggio 2016 n. 76 nel delineare lo scioglimento ex lege dell'unione civile nel caso di rettificazione anagrafica di sesso del partner cela, pertanto, una irragionevole discriminazione fra soggetti coinvolti in situazioni analoghe (L. Bardaro, La transizione sessuale: stato dell'arte e prospettive evoluzionistiche, cit.), Anche per i componenti dell'unione civile dovrebbe prefigurarsi, infatti, la stessa prerogativa accordata ai coniugi, in relazione alla necessità di salvaguardare il vissuto della coppia, individuando nell'autodeterminazione un requisito indispensabile per lo scioglimento del vincolo. Si dà invece il caso che il Legislatore ha adottato soluzioni diverse tra matrimonio ed unione civile, in presenza della rettificazione di sesso di uno dei coniugi o di una delle parti. Era indubbio che la questione sarebbe stata prima o poi posta all'attenzione della Consulta e una conferma si ritrae in una recente decisione di merito (Tribunale di Lucca, 14 gennaio 2022), nel qual caso il giudice è stato chiamato ad affrontare una vicenda che ricorda molto da vicino quella dei coniugi Bernaroli con l'unica differenza che, in tal caso, i partners erano legati da un'unione civile. A differenza dell'art. 1 comma 26 della l, 20 maggio 2016, n. 76 nella parte in cui dispone che nel caso di unione civile, la rettificazione di sesso di una delle parti determina lo scioglimento dell'unione civile, senza alcuna possibilità di una scelta diversa, l'art. 1, comma 27 del medesimo saggio di legiferazione ha previsto che alla rettificazione di sesso di uno dei coniugi, ove gli stessi abbiano manifestato volontà di mantenere in vita il vincolo di coppia, consegue automaticamente l'instaurazione dell'unione civile tra persone dello stesso sesso.

Diffusione di dati sul cambiamento di sesso e responsabilità civile. Approcci applicativi

Una volta ripercorse, seppur solo per vie generali, le maglie degli istituti coinvolti, con buona dose di certezza è possibile pervenire alla conclusione che le informazioni sul cambiamento di sesso costituiscono dati sensibili e meritano pertanto una tutela rafforzata (Cass. civ., sez. I, 07 ottobre 2014, n. 21107). Il trattamento dei dati personali da parte dei soggetti pubblici è disciplinato dal d.lgs. n. 196/2003 (c.d. codice in materia di protezione dei dati personali) che all'art. 18, comma 2, sancisce il principio generale secondo cui tale trattamento è consentito solo per lo svolgimento delle funzioni istituzionali dell'ente; al comma 3 esso precisa che, nel trattare i dati, il soggetto pubblico deve osservare i presupposti e i limiti stabiliti dal medesimo codice, anche in relazione alla diversa natura dei dati, nonché dalla legge e dai regolamenti. Con particolare riferimento ai dati sensibili, il codice annovera tra l'altro quelli idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale dell'interessato (art. 4, comma 1, lett. e). In un recente arresto, la Corte di Cassazione (Cass. civ., sez. I, 13 maggio 2015 n. 9785) ha esaminato il delicato tema dell'illegittima divulgazione dei dati sensibili legali al cambiamento di sesso della persona danneggiata. Nel dettaglio, era stato trasmesso il fascicolo personale della vittima dell'illecito da un ufficio elettorale di un Comune ad altro Comune; in esso venivano riportati i dati anagrafici e la annotazione della sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso. Si configurava pertanto un'indebita diffusione di dati sensibili, dato che una imprecisabile schiera di soggetti ne era venuta a conoscenza. Da qui la violazione della riservatezza del danneggiato, con conseguenze anche sulla salute psichica, sulla vita coniugale e sulle relazioni in ambiente lavorativo. Preme, a tal proposito, ricordare che con riferimento alle attestazioni di stato civile riferite a persona della quale sia stata giudizialmente rettificata l'attribuzione di sesso, l'art. 5 l. 14 aprile 1982, n. 164 prescrive il rilascio della sola indicazione del nuovo sesso e del nome. La vicenda diede luogo ad una controversia giudiziaria giunta poi fino all'ultimo grado di giudizio. Il giudice di merito riconobbe la violazione appena prospettata e condannò il Comune al pagamento della somma pecuniaria di € 75.000,00 a titolo di risarcimento dei danni; la decisione fu confermata in toto dalla Corte di cassazione (Cass. civ., sez. I, 13 maggio 2015, n. 9785, cit.). Gli ermellini osservarono che il diritto alla riservatezza dell'individuo è, probabilmente più di altri aspetti di tutela della personalità, strettamente collegato alle profonde trasformazioni operate dalla società industriale. L'individuo in genere e il giurista devono pertanto fare i conti con il segnare dei tempi. Difatti l'incessante progresso tecnologico implica il diffondersi di mezzi di comunicazione di massa e di strumenti di raccolta dei dati che possono attentare agli aspetti più intimi della personalità. L'auspicio è che il legislatore possa tornare a riflettere su tali problematiche, individuando più efficaci ed adeguate difese a favore dei titolari dei dati.

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