Opposizione al diniego del nulla osta al ricongiungimento familiare

17 Marzo 2020

Avverso il diniego del nulla osta al ricongiungimento familiare e del permesso di soggiorno per motivi familiari, nonché contro gli altri provvedimenti dell'autorità amministrativa in materia di diritto all'unità familiare, l'interessato può proporre opposizione all'autorità giudiziaria ordinaria (art. 30, comma 6, d.lgs. n. 286/1998).
Inquadramento

L'art. 30 del d.lgs. n. 286/1998, rubricato “Permesso di soggiorno per motivi familiari (Legge 6 marzo 1998, n. 40, art. 28)”, stabilisce che «[f]atti salvi i casi di rilascio o di rinnovo della carta di soggiorno, il permesso di soggiorno per motivi familiari è rilasciato: a) allo straniero che ha fatto ingresso in Italia con visto di ingresso per ricongiungimento familiare, ovvero con visto di ingresso al seguito del proprio familiare nei casi previsti dall'articolo 29, ovvero con visto di ingresso per ricongiungimento al figlio minore; b) agli stranieri regolarmente soggiornanti ad altro titolo da almeno un anno che abbiano contratto matrimonio nel territorio dello Stato con cittadini italiani o di uno Stato membro dell'Unione europea, ovvero con cittadini stranieri regolarmente soggiornanti; c) al familiare straniero regolarmente soggiornante, in possesso dei requisiti per il ricongiungimento con il cittadino italiano o di uno Stato membro dell'Unione europea residenti in Italia, ovvero con straniero regolarmente soggiornante in Italia. In tal caso il permesso del familiare è convertito in permesso di soggiorno per motivi familiari. La conversione può essere richiesta entro un anno dalla data di scadenza del titolo di soggiorno originariamente posseduto dal familiare. Qualora detto cittadino sia un rifugiato si prescinde dal possesso di un valido permesso di soggiorno da parte del familiare; d) al genitore straniero, anche naturale, di minore italiano residente in Italia. In tal caso il permesso di soggiorno per motivi familiari è rilasciato anche a prescindere dal possesso di un valido titolo di soggiorno, a condizione che il genitore richiedente non sia stato privato della potestà genitoriale secondo la legge italiana».

Il comma 1-bis dispone invece che «[i]l permesso di soggiorno nei casi di cui al comma 1, lettera b), è immediatamente revocato qualora sia accertato che al matrimonio non è seguita l'effettiva convivenza salvo che dal matrimonio sia nata prole. La richiesta di rilascio o di rinnovo del permesso di soggiorno dello straniero di cui al comma 1, lettera a), è rigettata e il permesso di soggiorno è revocato se è accertato che il matrimonio o l'adozione hanno avuto luogo allo scopo esclusivo di permettere all'interessato di soggiornare nel territorio dello Stato».

L'opposizione avverso il provvedimento di diniego adottato dall'autorità amministrativa

Avverso il diniego del nulla osta al ricongiungimento familiare e del permesso di soggiorno per motivi familiari, nonché contro gli altri provvedimenti dell'autorità amministrativa in materia di diritto all'unità familiare, l'interessato può proporre opposizione all'autorità giudiziaria ordinaria (art. 30, comma 6, d.lgs. n. 286/1998).

La devoluzione al giudice ordinario delle controversie in materia di ricongiungimento familiare si spiega in ragione della natura di diritto soggettivo della situazione giuridica che fa capo a colui che chiede il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi familiari: quest'ultimo, difatti, è atto dovuto in presenza delle specifiche condizioni tassativamente previste dalla normativa in esame e, come tale, è sottratto a valutazioni discrezionali della pubblica amministrazione, con conseguente inconfigurabilità di posizioni di interesse legittimo tutelabili dinanzi alla giurisdizione amministrativa (cfr. Cons. St. n. 1940/2007; Cass. civ., Sez. Un., n. 383/2005).

Come ricordato anche da Cass. civ., Sez. Un., n. 22612/2014, la giurisprudenza di legittimità «ha da tempo affermato la natura di diritti soggettivi dei diritti all'unità familiare e al ricongiungimento familiare, il cui riconoscimento è disciplinato da un apposito procedimento amministrativo di natura complessa e a formazione progressiva, che coinvolge un'attività valutativa dell'autorità amministrativa e dell'autorità diplomatica di natura non discrezionale ma vincolata all'accertamento dei requisiti e delle condizioni stabiliti dalla legge, e l'eventuale ricorso, di natura non impugnatoria, al Giudice ordinario, secondo quanto previsto dal menzionato art. 30, comma 6,d.lgs. n. 286/1998, (cfr., ex plurimis, la sentenza n. 15247/2006, la sentenza di queste Sezioni Unite n. 21108/2013, nonché le ordinanze nn. 17574/2010, 7218/2011, 22307/2013)».

L'ampia formulazione letterale utilizzata dal legislatore comporta che la giurisdizione ordinaria deve ritenersi estesa a qualunque caso di impugnazione di un diniego di permesso di soggiorno per motivi di famiglia (cfr. Cons. St. n. 4318/2008).

Tra gli atti opponibili dinanzi al giudice ordinario va ricompreso anche il atti prevista espressamente dall'art. 6-bis del d.P.R. n. 394 del 1999, indipendentemente dalla configurabilità del visto d'ingresso come attodiniego del visto di ingresso da parte dell'autorità diplomatica o consolare italiana: l'autonoma impugnabilità di tale diniego è inf presupposto del nulla osta al ricongiungimento familiare.

La mancanza nell'art. 30, comma 6, d.lgs. n. 286/1998 di uno specifico riferimento al provvedimento in questione, comunque annoverabile tra quelli in materia di diritto all'unità familiare, trova giustificazione nella circostanza che ordinariamente la relativa impugnazione è devoluta alla giurisdizione amministrativa, in considerazione dell'ampia e specifica discrezionalità di cui gode l'autorità amministrativa nel rilascio del visto (cfr. Cass. civ., Sez. Un., n. 6426/2005 e Cass. civ., n. 1417/2004). Ciononostante, laddove la richiesta di rilascio del visto d'ingresso sia collegata al ricongiungimento familiare o al permesso di soggiorno per motivi familiari, la posizione del richiedente è qualificabile come diritto soggettivo, con la conseguente spettanza alla giurisdizione ordinaria della cognizione in ordine all'impugnazione del provvedimento di diniego (in questi termini, testualmente, Cass. civ., n. 23412/2019 che richiama Cass. civ., n. 28775/2011 e Cass. civ., n. 27224/2008).

La cognizione del giudice ordinario si estende anche alle domande risarcitorie dei danni derivanti dalla violazione del diritto all'unità familiare.

Qualora però lo straniero promuova una controversia al fine di ottenere il risarcimento del danno da ritardo nel rilascio del visto d'ingresso per ricongiungimento familiare – correlato al comportamento omissivo “illegittimo” (ultra diem) dell'amministrazione consistito nell'inosservanza del termine di conclusione del procedimento amministrativo avente ad oggetto il riconoscimento del diritto all'unità familiare – la giurisdizione spetta al giudice amministrativo, ai sensi dell'art. 133, comma 1, lett. a), n. 1, c.p.a., non essendo in tali casi dedotta la violazione del diritto soggettivo al ricongiungimento familiare, ma la mera inosservanza del termine di chiusura del procedimento (Cass. civ., Sez. Un. n. 22612/2014 cit.).

La disciplina processuale

L'art. 30, comma 6, d.lgs. n. 286/1998 stabilisce espressamente che l'opposizione è disciplinata dall'articolo 20 del d.lgs. n. 150/2011, sicché, ove non diversamente disposto, le relative controversie sono regolate dal rito sommario di cognizione (artt. 702-bis ss. c.p.c.).

La legittimazione attiva a impugnare i provvedimenti in materia di diritto all'unità familiare spetta allo straniero residente in Italia che ha avanzato richiesta di ricongiungimento o di permesso di soggiorno e ha ottenuto il diniego dell'amministrazione.

La legittimazione passiva spetta invece in via esclusiva al Ministro degli interni: il Questore, al contrario, non può ritenersi titolare di legittimazione processuale nei procedimenti in materia di diritto all'unità familiare, ove manchi una attribuzione esclusiva ed espressa di capacità processuale, essendo soggetto privo di autonoma capacità giuridica e personalità (cfr. Cass. civ., n. 6938/2004 e Cass. civ., n. 9793/2000; cfr. anche Cass. civ., n. 11325/2004, secondo cui «la legittimazione attiva e passiva in ordine al ricorso per Cassazione proposto avverso il provvedimento del tribunale in materia di permesso di soggiorno per motivi familiari pronunciato dal competente Questore spetta al Ministro degli interni in qualità di legittimato in via esclusiva in quanto soggetto con personalità giuridica sovraordinato al Questore, e non anche a quest'ultimo privo di autonoma capacità giuridica e personalità»).

A seguito delle modifiche apportate con il d.l. 17 febbraio 2017, n. 13, convertito con modificazioni dalla l. 13 aprile 2017, n. 46, la competenza a decidere sulle opposizioni spetta al tribunale sede della sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell'Unione europea del luogo in cui ha sede l'autorità che ha adottato il provvedimento impugnato.

Il tribunale giudica in composizione monocratica (art. 3, comma 4, d.l. n. 13/2017).

L'art. 21, comma 1,d.l. n. 13/2017 stabilisce peraltro che la nuova disposizione sulla competenza per materia e per territorio delle sezioni specializzate si applica alle cause e ai procedimenti giudiziari sorti dopo il centottantesimo giorno dalla data di entrata in vigore del decreto, avvenuta il 18 febbraio 2017. Per i giudizi introdotti fino al 17 agosto 2017 (ossia anteriormente alla scadenza di quel termine) si continuano dunque ad applicare le disposizioni previgenti, e segnatamente quella contenuta all'art. 20, comma 2, d.lgs. n. 150/2011 che attribuiva la competenza al tribunale in composizione monocratica del luogo in cui il ricorrente ha la residenza. La previsione di una norma sulla competenza territoriale ancorata al luogo di residenza dell'interessato era chiaramente ispirata all'esigenza di favorire l'accesso al giudice della parte più bisognosa, in deroga all'ordinario criterio di competenza del foro erariale previsto dall'art. 6 del R.d. 3 ottobre 1933, n. 1611 e dell'art. 25 c.p.c., la cui operatività era destinata a venir meno in presenza della norma di carattere speciale (cfr. Cass. civ., n. 11862/2004; Cass. civ., n. 5004/2003).

Il giudizio di opposizione si introduce con ricorso e si svolge secondo le regole proprie del rito sommario di cognizione di cui agli artt. 702 ss. c.p.c.

Gli atti del procedimento sono esenti da imposta di bollo e di registro e da ogni altra tassa (art. 20, comma 4, d.lgs. n. 150/2011).

La normativa in esame non prevede un termine entro il quale l'opposizione deve essere proposta a pena di inammissibilità della domanda: sembra dunque che in materia di diritto all'unità familiare non si possa predicare l'esistenza di un termine decadenziale per ricorrere all'autorità giudiziaria, né che si possano estendere analogicamente a tali procedimenti i termini perentori previsti per le altre opposizioni amministrative, stante il carattere eccezionale di simili norme (cfr. Trib. Roma, ord. n. 11006/2015).

Con riferimento all'ambito e all'estensione del sindacato giurisdizionale, è opinione diffusa e sostanzialmente condivisa da gran parte degli interpreti che il giudice ordinario investito dell'opposizione è dotato non solo del potere di dichiarare l'illegittimità dei provvedimenti amministrativi che violano il diritto all'unità familiare, ma anche del potere di accertare il diritto all'unità familiare e di impartire all'autorità amministrativa ordini di fare.

A conferma di tale assunto si richiama l'art. 20, comma 3, d.lgs. n. 150/2011 secondo cui l'ordinanza che accoglie il ricorso dell'interessato può disporre il rilascio del visto anche in assenza del nulla osta.

Questa disposizione, nella sostanza, replica il contenuto dell'art. 28, comma 6, l. n. 40/1998, secondo cui contro il diniego del nulla osta al ricongiungimento familiare l'interessato poteva presentare ricorso al pretore del luogo di residenza, il quale provvedeva, dopo averlo sentito, nei modi di cui agli artt. 737 ss. c.p.c., emettendo un decreto che, in caso di accoglimento del ricorso, poteva disporre il rilascio del visto anche in assenza del nulla osta. Rispetto a tale norma, la Corte costituzionale, con ordinanza n. 140/2001, aveva peraltro dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata in riferimento agli artt. 3, 24 e 113 Cost., escludendo, in particolare, che il riconoscimento in capo al giudice di poteri di intervento – anche sostitutivo – in ambiti naturalmente riservati alla discrezionalità amministrativa (quali l'accertamento del possesso di determinati requisiti in capo ai familiari di colui al quale sia stato negato, o nei cui confronti si sia omesso di concedere, il visto, e l'apprezzamento di particolari condizioni o stati personali, come la sussistenza di precedenti penali nel paese di provenienza, ovvero di patologie epidemiche) potesse dare luogo a una violazione del principio di separazione tra i poteri dello Stato, dal momento che:

  • «non esiste un principio costituzionale che escluda la possibilità per il legislatore ordinario, in determinati casi (rimessi alla scelta discrezionale dello stesso legislatore), in sede di affidamento della tutela giurisdizionale dei diritti soggettivi nei confronti della pubblica amministrazione, di attribuire al giudice ordinario anche un potere di annullamento e speciali effetti talora sostitutivi dell'azione amministrativa, inadempiente rispetto a diritti che lo stesso legislatore considera prioritari, anche se ciò può comportare la necessità da parte del giudice di valutazioni ed apprezzamenti non del tutto vincolati, ma sempre riguardanti situazioni regolate da una serie di previsioni legislative, che prevedano espressamente l'esercizio di tali poteri»;
  • la norma censurata «può inquadrarsi […] come esempio, ormai non del tutto isolato, applicativo della specifica previsione dell'art. 113, comma 3, Cost., soprattutto nella tendenza di rafforzare la effettività della tutela giurisdizionale, in modo da renderla immediatamente più efficace, anche attraverso una migliore distribuzione delle competenze ed attribuzioni giurisdizionali, a seconda delle esigenze delle materie prese in considerazione».

La definizione nei termini sopra precisati dell'oggetto e della portata del sindacato giurisdizionale, non limitato alla mera legittimità del provvedimento amministrativo ma esteso alla sussistenza del diritto azionato dal ricorrente, fa poi sì che il giudice ordinario possa essere investito del ricorso anche quando la violazione del diritto all'unità familiare sia avvenuta in assenza di attività provvedimentale, ossia nelle ipotesi di silenzio o inadempimento dell'amministrazione (Morozzo Della Rocca, che sul punto richiama Tribunale Brindisi, decreto del 12.03.2012).

L'appello

L'ordinanza che accoglie o rigetta l'opposizione può essere impugnata dinanzi alla Corte d'appello a norma dell'art. 702-quater c.p.c.

L'appello deve essere proposto nelle forme dell'atto di citazione (e non del ricorso), in conformità alla regola generale più volte affermata dalla giurisprudenza di legittimità e non derogata dalla disciplina sull'impugnazione della decisione di primo grado assunta con il rito sommario di cognizione (cfr. Cass.civ., n. 14502/2014 che richiama Cass.civ., Sez. Un.,n. 2907/2014; cfr. Cass. civ., n. 2579/2017 e Cass. civ., n. 13815/2016).

Ne consegue che la verifica della tempestività dell'impugnazione va effettuata calcolando il termine di trenta giorni dalla data di notifica dell'atto introduttivo alla parte appellata e non dalla data del relativo deposito in cancelleria.

Riferimenti
  • Caineri M., Art. 30 t. u. imm., in Manzione D., Codice dell'immigrazione e asilo, Milano, 2018, pagg. 410 ss.;
  • Morozzo Della Rocca P., Le discipline del ricongiungimento familiare con il cittadino straniero e della coesione familiare con il cittadino italiano, in Morozzo Della Rocca P. (a cura di), Immigrazione, asilo e cittadinanza. Discipline e orientamenti giurisprudenziali, Santarcangelo di Romagna, 2018, pagg. 113 ss.

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