Riconoscimento della protezione internazionale (semplificazione dei riti)

Carlo Salvatore Hamel
22 Maggio 2019

L'istituto della protezione internazionale, introdotto con la Direttiva 2004/83/CE, recepita in Italia con il d.lgs. n. 251/2007 (il cd. “decreto qualifiche”), include lo status di rifugiato, ai sensi della Convenzione di Ginevra del 1951, e lo status di protezione sussidiaria.
Inquadramento

L'istituto della protezione internazionale, introdotto con la Direttiva 2004/83/CE, recepita in Italia con il d.lgs. n. 251/2007 (il cd. “decreto qualifiche”), include lo status di rifugiato, ai sensi della Convenzione di Ginevra del 1951, e lo status di protezione sussidiaria.

In evidenza

La procedura per il riconoscimento della protezione internazionale si articola in una fase iniziale, di carattere amministrativo, ed una successiva, di natura giurisdizionale, meramente eventuale, a seguito di provvedimento amministrativo di diniego sulla domanda di protezione.

La fase amministrativa della procedura si svolge innanzi alle “Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale”, insediate presso le prefetture - uffici territoriali del Governo.

L'art. 32 d.lgs. n. 25/08 individua i provvedimenti che possono essere adottati dalla Commissione territoriale, in ordine al riconoscimento della protezione internazionale o di quella sussidiaria, o, ancora, in ordine al diniego della richiesta di protezione.

Avverso la decisione della Commissione territoriale e la decisione della Commissione nazionale sulla revoca o sulla cessazione dello status di rifugiato o di persona cui è accordata la protezione sussidiaria è ammesso ricorso dinanzi all'autorità giudiziaria ordinaria. Il ricorso è ammesso anche nel caso in cui l'interessato abbia richiesto il riconoscimento dello status di rifugiato e sia stato ammesso esclusivamente alla protezione sussidiaria.

Il ricorso va proposto entro 30 giorni dalla notifica del provvedimento (60 giorni se il richiedente asilo risiede all'estero; 15 giorni nei casi previsti dall'art. 28-bis d.lgs.n. 25/08), innanzi ad una delle Sezioni specializzate, competenti in materia di immigrazione, istituite in ogni Tribunale Ordinario sede di Corte d'Appello, che decidono con le modalità dei procedimenti in camera di consiglio (art. 35-bis d.lgs. n. 25/08).

Il ricorso. Efficacia sospensiva

Il legislatore con il d.l. n. 13/2017 (cd. Decreto Minniti-Orlando) è ritornato all'impostazione originaria del d.lgs. n. 25/08, che prevedeva il rito camerale per la trattazione delle impugnazioni delle decisioni della Commissione in materia di protezione internazionale.

Il comma 3, dell'art. 35-bis d.lgs.n. 25/2008, dispone che la tempestiva proposizione del ricorso determina l'automatica sospensione dell'efficacia dell'atto impugnato, ad eccezione delle ipotesi in cui si presume ex lege la strumentalità della domanda (impugnazione proposta da soggetto trattenuto nei centri di cui all'articolo 10-ter del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ovvero nei centri di cui all'articolo 14 del medesimo d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286; impugnazione di un provvedimento che dichiari l'inammissibilità della domanda di protezione ovvero la dichiari manifestamente infondata; impugnazione avverso il provvedimento adottato nei confronti dei soggetti di cui all'articolo 28-bis, commi 1-ter e 2, lettera c) – soggetto che presenta la domanda dopo essere stato fermato per avere eluso o tentato di eludere i controlli alla frontiera, oppure fermato in condizioni di soggiorno illegale, al solo scopo di impedire l'adozione o l'esecuzione di un provvedimento di espulsione o respingimento).

In tali ultimi casi, viene, comunque, fatta salva la possibilità per l'interessato di chiedere tutela cautelare, formulando un'apposita istanza ed adducendo “gravi e circostanziate ragioni”. Il giudice, membro del collegio designato per la trattazione della causa, si pronuncia con decreto motivato inaudita altera parte entro cinque giorni dal deposito dell'istanza di sospensiva. Il decreto con cui viene riconosciuta o negata la sospensione del provvedimento amministrativo impugnato, è notificato, unitamente alla domanda di sospensione, alle parti, le quali hanno facoltà di depositare note difensive nei successivi cinque giorni e note di replica nei cinque giorni ancora successivi. Nel caso in cui tali note siano state depositate, il giudice, nei cinque giorni successivi, si pronuncia con nuovo decreto, non impugnabile né revocabile, che conferma, modifica o revoca il provvedimento già emanato, chiudendo in questo modo il sub procedimento cautelare ante causam. In ogni caso, non può essere sospesa l'efficacia esecutiva del provvedimento della Commissione che dichiara, per la seconda volta, la domanda di protezione inammissibile.

Rito camerale

Entro venti giorni dal deposito del ricorso, la Commissione territoriale che ha adottato il provvedimento di diniego impugnato, rende disponibili al Tribunale tutti gli atti posti a fondamento della propria decisione (copia della domanda di protezione internazionale, copia della videoregistrazione e del verbale di trascrizione della videoregistrazione, copia di tutta la documentazione acquisita nel corso della fase amministrativa e C.O.I. -Country Origin Information- utilizzate).

Il procedimento è trattato in camera di consiglio, e non viene fissata udienza di comparizione delle parti, fatti salvi i casi previsti dall'art. 35-bis, commi 10 e 11, del d.lgs. n. 25/2008.

É previsto, in particolare, che il giudice, dopo aver visionato la videoregistrazione del colloquio dell'interessato, possa comunque disporne l'audizione, se ritenga indispensabile chiedere chiarimenti alle parti; ancora, l'udienza è prevista allorché il giudice disponga l'assunzione di mezzi di prova o consulenza tecnica d'ufficio.

In base alla normativa in esame, l'udienza “è altresì disposta” quando la videoregistrazione del colloquio personale non sia disponibile – e, dunque, anche qualora l'interessato non intenda avvalersene –, là dove l'impugnazione si fondi su elementi non dedotti nella procedura amministrativa innanzi alla Commissione o il richiedente ne abbia fatto richiesta motivata in sede di ricorso.

La residualità della comparizione delle parti, dunque, crea la tendenza ad un modello processuale “cartolare”, in cui il contraddittorio viene garantito per iscritto.

Fissazione dell'udienza e contraddittorio

Proprio la possibile pretermissione dell'udienza di comparizione delle parti costituisce uno degli aspetti maggiormente discussi della riforma introdotta col decreto Minniti- Orlando.

Si è posto il problema della necessità di fissazione dell'udienza di comparizione delle parti, in caso di indisponibilità della videoregistrazione dell'audizione personale del richiedente.

Una parte della giurisprudenza, nelle prime applicazioni della normativa in materia, ha reputato superflua la disponibilità della videoregistrazione, considerata la trascrizione automatica in lingua italiana dell'audizione in Commissione territoriale, poi sottoscritta dal componente della Commissione che ha condotto il colloquio e dal richiedente protezione internazionale, ove possibile, anche accompagnato da un legale o, se necessario, da un tutore, in caso si tratti di richiedente “vulnerabile”.

In quest'ottica, dunque, il diritto del richiedente di essere ascoltato non potrebbe configurarsi come diritto assoluto, con esclusione dell'obbligatorietà della fissazione dell'udienza.

Non può, però, sottovalutarsi la possibile compressione, ad opera del modello processuale disegnato dal riformatore, del diritto di difesa dei richiedenti la protezione internazionale, e del principio del contraddittorio, che trova la più̀ alta forma di garanzia nel principio di oralità.

La Corte di cassazione, con sentenza n. 17717/2018, è intervenuta sul punto, con una pronuncia che ha anche fugato alcuni dei dubbi di costituzionalità della normativa in esame.

Sul punto della necessaria fissazione dell'udienza di comparizione, in mancanza di videoregistrazione del colloquio da parte della Commissione, la Suprema Corte ha affermato che nel giudizio di impugnazione della decisione della Commissione territoriale innanzi all'autorità giudiziaria, in caso di mancanza della videoregistrazione del colloquio, il giudice deve necessariamente fissare l'udienza per la comparizione delle parti, configurandosi, in difetto, la nullità del decreto con il quale viene deciso il ricorso, per violazione del principio del contraddittorio. Tale interpretazione, secondo la Corte, è resa evidente non solo dalla lettura, in combinato disposto, dei commi 10 ed 11 dell'art. 35-bis del d.lgs. n. 25/2008, che distinguono, rispettivamente, i casi in cui il giudice può fissare discrezionalmente l'udienza, da quelli in cui egli deve necessariamente fissarla, ma anche dalla valutazione delle intenzioni del legislatore che ha previsto la videoregistrazione quale elemento centrale del procedimento, per consentire al giudice di valutare il colloquio con il richiedente in tutti i suoi risvolti, inclusi quelli non verbali, anche in ragione della natura camerale non partecipata della fase giurisdizionale.

L'unica eccezione al principio suesposto ammessa riguarderebbe il caso di accoglimento dell'istanza del richiedente stesso di non avvalersi del supporto contenente la registrazione del colloquio.

L'interpretazione costituzionalmente orientata della norma data dall'arresto richiamato consente anche di ritenere superati i dubbi di costituzionalità della nuova normativa sul punto: la Cassazione ha, infatti, chiarito che «è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, per violazione del diritto di difesa e del principio del contraddittorio, dell'art. 35-bis, comma 1, del d.lg. n. 25/2008, poiché il rito camerale ex art. 737 c.p.c., che è previsto anche per la trattazione di controversie in materia di diritti e di "status", è idoneo a garantire il contraddittorio anche nel caso in cui non sia disposta l'udienza, sia perché tale eventualità è limitata solo alle ipotesi in cui, in ragione dell'attività istruttoria precedentemente svolta, essa appaia superflua, sia perché in tale caso le parti sono comunque garantite dal diritto di depositare difese scritte».

Eliminazione del secondo grado di giudizio

Il Tribunale, in composizione collegiale, decide della controversia sulla base degli elementi esistenti al momento della decisione, entro quattro mesi dalla presentazione del ricorso – si tratta di un termine ordinatorio –, con decreto.

Il comma 13 del nuovo art. 35-bis del d.lgs. n. 25/2008 introduce una peculiare eccezione rispetto alle previsioni generali di cui all'art. 739 c.p.c., con l'abolizione del grado di appello per il richiedente nei cui confronti sia stata rigettata la richiesta per il riconoscimento della protezione internazionale dal giudice di prime cure.

Infatti, il decreto con cui viene deliberato il rigetto del ricorso avverso la decisione della Commissione territoriale, oggi, non è più reclamabile, ma esclusivamente ricorribile per cassazione nel termine di 30 giorni dalla comunicazione del decreto a cura della cancelleria.

Il deposito del ricorso per Cassazione non sospende automaticamente gli effetti della pronuncia di primo grado.

Solo in presenza di fondati motivi, il giudice di primo grado che ha deciso la controversia di merito può disporre la sospensione degli effetti del proprio decreto di rigetto.

Si apre, allora, un sub procedimento cautelare post causam, che inizia con il deposito dell'istanza cautelare entro cinque giorni dalla proposizione del ricorso per cassazione e che deve essere comunicata, a cura della cancelleria, alla controparte, la quale ha facoltà di depositare una nota difensiva nei cinque giorni successivi.

A decide sull'istanza cautelare con decreto non impugnabile entro il termine dei successivi cinque giorni è lo stesso Collegio che ha definito la causa.

Secondo il legislatore della riforma la creazione delle sezioni speciali e le competenze specifiche dei giudici che le compongono, e che decidono in composizione collegiale, sarebbero una garanzia sufficiente per determinare l'adeguatezza di una pronuncia di merito sulla richiesta di protezione internazionale.

Anche per tale profilo, è intervenuto un importante arresto della giurisprudenza di legittimità, a dissipare le perplessità in ordine alla legittimità costituzionale della normativa in materia (cfr. Cass. civ., n. 28119/2018): si è affermato che il doppio grado di giudizio è «privo di copertura costituzionale», e che, in particolare, con riferimento al procedimento per il riconoscimento della protezione internazionale, pur dovendosi considerare «il rilievo primario del diritto in contesa, deve per altro verso sottolinearsi che il ricorso in esame è preceduto da una fase amministrativa, destinata a svolgersi dinanzi ad un personale specializzato, nell'ambito del quale l'istante è posto in condizioni di illustrare pienamente le proprie ragioni attraverso il colloquio destinato a svolgersi dinanzi alle C.T., di guisa che la soppressione dell'appello si giustifica anche per il fatto che il giudice è chiamato ad intervenire in un contesto in cui è stato già acquisito l'elemento istruttorio centrale – per l'appunto il colloquio – per i fini dello scrutinio della fondatezza della domanda di protezione, il che concorre a far ritenere superfluo il giudizio di appello».

Sempre in ordine ai rimedi avverso il decreto del Tribunale, si sono avanzati dubbi di legittimità costituzionale in ordine al previsto termine di trenta giorni per proporre ricorso per cassazione.

La Cassazione ha però ritenuto la previsione di tale termine espressione della discrezionalità del legislatore, trovando fondamento nelle esigenze di speditezza del procedimento, con manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale sollevata sul punto (cfr. Cass. civ., n. 17717/2018).

La protezione umanitaria

Un cenno obbligato va fatto, al termine della presente disamina, anche alle modifiche introdotte dal d.l. n. 113/18 in tema di protezione umanitaria.

All'interno del sistema pluralistico della protezione internazionale, si inseriva, come detto, la c.d. protezione umanitaria, introdotta dalla l. n. 40/1998, e trasfusa nel d.lgs. n. 286/1998, quando ancora non era vigente il sistema comunitario di protezione internazionale. Anche a seguito dell'esordio della protezione sussidiaria nel 2007, a livello giurisprudenziale, si affermò che i requisiti della protezione sussidiaria non coincidessero con quelli richiesti per l'adozione della protezione umanitaria, la quale si fonda sul principio di non refoulement, incentrato su ragioni umanitarie nuove e diverse, in senso oggettivo e soggettivo, da quelle già oggetto del procedimento per il riconoscimento di protezione internazionale.

La protezione umanitaria è stata oggi soppressa come categoria generale dal d.l. n. 113/2018, sostituita da figure tipiche e circoscritte.

L'art. 5, comma 6, d.lgs. n. 286/1998 (TU immigrazione), prima delle modifiche introdotte con il d.l. n. 113/18, prevedeva la possibilità di rilascio del permesso di soggiorno in presenza di «seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali».

La norma è stata modificata nel senso di espungere tale possibilità, con modifica conseguente anche dell'art. 32, comma 3, d.lgs. n. 25/2008, che, nella versione attuale, non dispone più che la Commissione territoriale trasmetta gli atti al questore per il rilascio del permesso di soggiorno nei casi di cui al citato art. 5, comma 6 TU, bensì solo nei casi in cui non venga accolta la domanda di protezione internazionale e ricorrano i presupposti di cui all'art. 19, commi 1 e 1.1, del d.lgs. 286/1998.

In questo caso, la trasmissione degli atti al questore avviene per il rilascio di un permesso di durata annuale, «rinnovabile, previo parere della Commissione territoriale», che «consente di svolgere attività lavorativa ma non può essere convertito in permesso di soggiorno per motivi di lavoro», recando la dicitura «protezione speciale».

Il rilascio del permesso di soggiorno è oggi previsto per “casi speciali”: per cure mediche(allorché́ lo straniero versi in condizioni di salute di eccezionale gravità tali da determinare un irreparabile pregiudizio alla salute in caso di rientro del medesimo nel Paese di provenienza – art. 19, comma 2 lett. d-bis), e nei casi previsti dagli articoli 18 (motivi di protezione sociale), 18-bis (vittime di violenza domestica), 20-bis (per calamità), 22, comma 12-quater (nelle ipotesi di particolare sfruttamento lavorativo), e 42-bis (per atti di particolare valore civile).

Da diverse parti sono stati sollevati dubbi di compatibilità della nuova disciplina con il diritto sovranazionale e con la Costituzione.

Sul piano del diritto europeo, però, a ben vedere, viene imposto solo il riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, fatta salva la possibilità per gli Stati membri di rilasciare, in qualsiasi momento, un permesso di soggiorno autonomo o un'altra autorizzazione che consenta a un cittadino di un paese terzo, la cui permanenza sarebbe altrimenti irregolare, di soggiornare nel proprio territorio, per motivi caritatevoli, umanitari o di altra natura (art. 6, par. 4, direttiva 2018/115).

Si sono, invece, ipotizzati possibili profili di violazione della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, che potrebbero sorgere nel caso in cui, dal mancato riconoscimento di protezione, possa discendere per la persona del richiedente un concreto rischio di essere sottoposta a tortura o ad un trattamento inumano.

In ordine alla legittimità costituzionale della normativa in esame, preme ricordare che si è attribuito in passato, da parte della giurisprudenza prevalente, al permesso di soggiorno umanitario, copertura costituzionale, quale forma, insieme allo status di rifugiato ed alla protezione sussidiaria, di attuazione del diritto di asilo, costituzionalmente garantito dall'art. 10, comma 3, della Costituzione.

L'art. 5 del d.lgs. n. 286/1998, nella formulazione originaria, priva di previsioni tipiche e, dunque, coerente con il carattere aperto della protezione umanitaria, poteva rappresentare, seguendo tale impostazione, l'attuazione, a livello di normativa primaria nazionale, di un obbligo costituzionale inderogabile.

A fronte di tali problematiche, alcuni dei primi commentatori della nuova normativa sono arrivati a ipotizzare una diretta applicabilità dell'art. 10, comma 3, Cost. a privare parzialmente di efficacia la modifica introdotta col decreto sicurezza, rimanendo applicabile la concessione del permesso umanitario, quale attuazione del diritto di asilo, nel caso in cui si verifichi una privazione dei diritti fondamentali dell'uomo nel paese di appartenenza.

Profili di diritto intertemporale con riguardo al d.l. n. 113/2018

Altra questione rilevante e discussa con riferimento alla disciplina introdotta col decreto sicurezza riguarda l'applicabilità ai giudizi in corso del nuovo “sistema” dei permessi per casi speciali e per protezione speciale.

Il d.l. n. 113/2018 ha incisivamente modificato le fattispecie che consentivano l'accesso alla tutela cd. umanitaria (condizioni di vulnerabilità̀): da una pluralità non predeterminata di situazioni di vulnerabilità̀ derivanti da una norma “aperta”, si è passati a un regime che prevede un numero chiuso di permessi per “casi speciali”.

Con l'entrata in vigore della nuova normativa, i fatti che avevano condotto il richiedente alla proposizione della domanda potrebbero non integrare più il paradigma del riconoscimento del diritto alla concessione del permesso umanitario.

I commi 8 e 9 dell'art. 1, d.l. n. 113/18, prevedono una disciplina di raccordo temporale tra la vecchia e la nuova normativa. Il comma 8 disciplina i casi di permesso umanitario, già riconosciuto ai sensi del previgente art. 32, comma 3, d.lgs.n. 25/2008 (ovvero quelli riconosciuti dalle Commissioni territoriali o dal giudice all'esito del giudizio sulla domanda di protezione internazionale), in corso di validità̀ alla data di entrata in vigore del decreto (5 ottobre 2018): tali permessi conservano efficacia, pur dovendosi, alla scadenza, valutare il rinnovo alla stregua del parametro dell'art. 32 comma 3 come novellato.

Il comma 9 regola, invece, i casi in cui la Commissione territoriale non abbia accolto la domanda di protezione internazionale, ma abbia “ritenuto sussistenti gravi motivi di carattere umanitario” per il rilascio di un permesso di soggiorno recante la dicitura “casi speciali”.

Non viene, invece, espressamente regolato il caso in cui la commissione non si sia ancora pronunciata o si sia pronunciata negativamente sulla domanda di protezione.

Ebbene va ritenuto che il d.l.n. 113/2018 non escluda il rilascio del permesso per casi speciali a chi abbia già maturato il diritto al permesso di soggiorno umanitario prima del 5 ottobre 2018, anche per ragioni di tutela dell'affidamento del richiedente e in applicazione del principio di irretroattività di cui all'art. 11 delle preleggi del codice civile.

Gran parte della giurisprudenza di merito si è conformata a tale interpretazione, con irretroattività della novella legislativa in tema di permesso per casi speciali ai giudizi introdotti anteriormente all'entrata in vigore del d.l. (ad es. Trib. Genova, sez.XI, 23 ottobre 2018).

Anche la Corte di cassazione ha optato di recente per tale soluzione affermando che «La normativa introdotta dal decretolegge n. 113 del 2018, nella parte in cui ha modificato la disciplina del permesso di soggiorno per motivi umanitari, non si applica alla domanda giudiziale presentata prima dell'entrata in vigore delle nuove norme (5 ottobre 2018). In caso di accoglimento della domanda, il Questore rilascerà un permesso di soggiorno contrassegnato dalla dicitura "casi speciali" e soggetto alla disciplina e all'efficacia temporale prevista dall'articolo 1, comma 9, del decreto legge menzionato» (cfr. Cass. civ., sez. I, 19 febbraio 2019, n. 4890).

CASISTICA

L'istruttoria nel procedimento di riconoscimento della protezione internazionale

  • Il procedimento nei confronti di un provvedimento della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale può essere istruito da un giudice onorario (Cass. civ., sez. VI, 5 febbraio 2019, n.3356)
  • La valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, ex art. 3, comma. 5, lett. c) del d.lgs. n. 251/2007. Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l'ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Cass. civ., sez. I, 5 febbraio 2019, n.3340)

Nozione di atti persecutori o danno grave

  • Ai fini della concessione della protezione internazionale, la circostanza per cui l'omosessualità sia considerata un reato dall'ordinamento giuridico del Paese di provenienza è rilevante, costituendo una grave ingerenza nella vita privata dei cittadini omosessuali, che compromette grandemente la loro libertà personale e li pone in una situazione oggettiva di persecuzione, tale da giustificare la concessione della protezione richiesta; devono, pertanto, essere acquisite le prove, necessarie al fine di acclamare la circostanza della omosessualità del richiedente, la condizione dei cittadini omosessuali nella società del Paese di provenienza e lo stato della relativa legislazione, nel rispetto del criterio direttivo della normativa comunitaria e italiana in materia di istruzione ed esame delle domande di protezione internazionale – decisione riferita al previgente modello del rito sommario di cognizione – (Cass. civ., sez. VI, 19 aprile 2017, n.9946)
  • In tema di protezione internazionale dello straniero, il principio secondo cui il diritto al riconoscimento dello status di rifugiato politico (o della misura più gradata della protezione sussidiaria) non può essere escluso, nel nostro ordinamento, in quanto l'Italia non ha inteso avvalersi della facoltà prevista dall' art. 8 della direttiva 2004/83/CE (ossia della facoltà di «stabilire che il richiedente non necessita di protezione internazionale se in una parte del territorio del paese d'origine egli non abbia fondati motivi di temere di essere perseguitato o non corra rischi effettivi di subire danni gravi e se è ragionevole attendere dal richiedente che si stabilisca in quella parte del paese») – decisione riferita al previgente modello del rito sommario di cognizione – (Cass. civ., sez. I, 11 gennaio 2019, n. 538)
  • In tema di concessione della protezione internazionale, la generale violazione dei diritti umani nel Paese di provenienza costituisce senz'altro un necessario elemento da prendere in esame nella definizione della posizione del richiedente: tale elemento, tuttavia, deve necessariamente correlarsi alla vicenda personale dell'istante, perché altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese d'origine in termini del tutto generali ed astratti in contrasto col parametro normativo di cui al d.lgs. n. 286/1998, art. 5, comma 6, che nel predisporre uno strumento duttile quale il permesso umanitario, demanda al giudice la verifica della sussistenza dei "seri motivi" attraverso un esame concreto ed effettivo di tutte le peculiarità rilevanti del singolo caso, quali, ad esempio, le ragioni che indussero lo straniero ad abbandonare il proprio Paese e le circostanze di vita che, anche in ragione della sua storia personale, egli si troverebbe a dover affrontare nel medesimo Paese, con onere in capo al medesimo quantomeno di allegare i suddetti fattori di vulnerabilità (Cass. civ., sez. VI, 8 gennaio 2019, n. 231)
  • In tema di protezione internazionale, il riscontro di un'effettiva situazione di vulnerabilità non può non partire dalla situazione oggettiva del paese di origine del richiedente correlata alla condizione personale che ha determinato la ragione della partenza. Tale punto di avvio dell'indagine è intrinseco alla ratio stessa della protezione umanitaria, non potendosi eludere la rappresentazione di una effettiva deprivazione dei diritti umani che ne abbia giustificato l'allontanamento. Non può pertanto condividersi l'opzione interpretativa che in buona sostanza va a concentrare la situazione di vulnerabilità, di cui la protezione in discorso, nella sussistenza di una fortissima sproporzione tra le condizioni di vita presenti nel paese di partenza e quelle correnti nel paese di accoglienza – decisione riferita al previgente modello del rito sommario di cognizione – (Cass. civ., sez. VI, 12 dicembre 2018, n. 32213)
  • Nella domanda di protezione internazionale, l'allegazione da parte del richiedente che in un Paese di transito (nella specie la Libia) si consumi un'ampia violazione dei diritti umani, senza evidenziare quale connessione vi sia tra il transito attraverso quel Paese ed il contenuto della domanda, costituisce circostanza irrilevante ai fini della decisione, perché l'indagine del rischio persecutorio o del danno grave in caso di rimpatrio va effettuata con riferimento al Paese di origine o alla dimora abituale ove si tratti di un apolide. Il paese di transito potrà tuttavia rilevare (dir. UE n. 115/2008, art.3) nel caso di accordi comunitari o bilaterali di riammissione, o altra intesa, che prevedano il ritorno del richiedente in tale paese – decisione riferita al previgente modello del rito sommario di cognizione – (Cass. civ., sez. I, 6 dicembre 2018, n. 31676)

Vizi del procedimento

  • Nel vigore del d.lgs.n. 150/2011, art. 19, così come modificato dal d.lgs.n. 142/2015, art. 27, comma 1, lett. e,) l'appello ex art. 702-quater c.p.c., proposto avverso la decisione di primo grado sulla domanda volta al riconoscimento della protezione internazionale deve essere introdotto con ricorso, in aderenza alla volontà del legislatore desumibile dal nuovo tenore letterale della norma – decisione riferita al previgente modello del rito sommario di cognizione – (Cass. civ., sez. VI, 16 gennaio 2019, n. 1007)
  • Nel giudizio di impugnazione della decisione della Commissione territoriale innanzi all'autorità giudiziaria, in caso di mancanza della videoregistrazione del colloquio, il giudice deve necessariamente fissare, pena la violazione del contraddittorio, l'udienza per la comparizione delle parti, configurandosi, in difetto, la nullità del decreto con il quale viene deciso il ricorso, senza che sorga tuttavia l'automatica necessità di dare corso all'audizione il cui obbligo, conformemente alla direttiva 2013/32/CE, grava esclusivamente sull'autorità amministrativa incaricata di procedere all'esame del richiedente; ne consegue che il giudice può decidere in base ai soli elementi contenuti nel fascicolo, ivi compreso il verbale o la trascrizione del colloquio svoltosi dinanzi alla Commissione (Cass. civ., sez. VI, 31 gennaio 2019, n. 2817)
  • In tema di richiesta di protezione internazionale, l'omissione dell'avvertenza allo straniero in merito alla possibilità di essere sentito dall'organo collegiale, anziché da un singolo componente della speciale commissione amministrativa territoriale, non dà luogo alla nullità dell'audizione, che è pienamente consentita anche in forma monocratica, a meno che il difetto dell'avvertenza di legge – di cui all'art. 12, comma 1-bis, del d.lgs. n. 25/2008 – abbia cagionato al richiedente asilo una specifica e sicura lesione dei suoi diritti fondamentali, circostanza che deve essere allegata in modo puntuale, e denunciata in sede di prima impugnazione giurisdizionale – decisione riferita al previgente modello del rito sommario di cognizione – (Cass. civ., sez. VI, 17 luglio 2018, n. 19040)
  • In tema di protezione internazionale, la nullità del provvedimento amministrativo, emesso dalla Commissione territoriale, per omessa traduzione in una lingua conosciuta dall'interessato o in una delle lingue veicolari, non esonera il giudice adito dall'obbligo di esaminare il merito della domanda, poiché oggetto della controversia non è il provvedimento negativo ma il diritto soggettivo alla protezione internazionale invocata, sulla quale comunque il giudice deve statuire, non rilevando in sé la nullità del provvedimento ma solo le eventuali conseguenze di essa sul pieno dispiegarsi del diritto di difesa – decisione riferita al previgente modello del rito sommario di cognizione – (Cassazione civile, sez. VI, 22/03/2017, n. 7385)
  • Le controversie in materia di protezione internazionale, instaurate in data successiva all'entrata in vigore del d.lgs. n. 150/2011, sono assoggettate al rito sommario di cognizione ai sensi degli artt. 19 e 36 di tale decreto legislativo, con contestuale abrogazione del rito speciale già disciplinato dall'art. 35 del d.lgs. n. 25/2008. Ne consegue che il ricorso per cassazione relativo ad un giudizio svolto in primo grado con il rito sommario resta assoggettato alla disciplina ordinaria e, pertanto, va notificato alla controparte a cura del ricorrente (e non più della cancelleria) a pena d'inammissibilità, non sanabile attraverso la fissazione di un termine per la nuova notifica del ricorso, trattandosi di inesistenza e non di mera nullità della notifica ed avuto riguardo all'intervenuto passaggio in giudicato della sentenza impugnata conseguente alla scadenza del termine di cui all'art. 327 c.p.c. – decisione riferita al previgente modello del rito sommario di cognizione – (Cass. civ., sez. VI, 7 luglio 2016, n. 13830)
Riferimenti
  • Corrado Azzariti, A proposito della nuova normativa in materia di migrazioni: le incostituzionalità non discusse, Questione giustizia, 2019;
  • Antonio Caratta, La "semplificazione" dei riti e le nuove modifiche del processo civile, Torino, 2012;
  • Salvatore Casciaro, Il processo volto al riconoscimento della protezione internazionale: i primi orientamenti giurisprudenziali, Questione Giustizia, 2018;
  • Angelo Danilo De Santis, L'eliminazione dell'udienza (e dell'audizione) nel procedimento per il riconoscimento della protezione internazionale. Un esempio di sacrificio delle garanzie, Questione Giustizia, fasc. 2/2018;
  • Giovanni D'Alessando, Rilievi sulla (in)costituzionalità della nuova disciplina processuale delle controversie in materia di riconoscimento della protezione internazionale introdotta dal decreto-legge n. 13/2017 (convertito con modificazioni nella legge n. 46/2017), Archivio Penale, Fasc. n. 2/2017;
  • Carlo Padula, Quale sorte per il permesso di soggiorno umanitario dopo il dl 113/2018?, Questione Giustizia, 2018.
Sommario