Pensione (di reversibilità)

Andrea Russo
Benedetta Rossi
Apollonia Musio
27 Settembre 2022

La pensione di reversibilità, appartenente al più ampio genus delle pensioni ai superstiti, è una forma di tutela previdenziale che viene riconosciuta, nel caso di morte del pensionato, ai familiari del defunto, ossia al coniuge superstite e ai figli minori e, a particolari condizioni, anche ai figli maggiorenni, ai nipoti minori, genitori, fratelli e sorelle
Inquadramento

La pensione di reversibilità, appartenente al più ampio genus delle pensioni ai superstiti, è una forma di tutela previdenziale che viene riconosciuta, nel caso di morte del pensionato, ai familiari del defunto, ossia al coniuge superstite, alla parte superstite dell'unione civile tra persone dello stesso sesso (art. 1 comma 20 l. 20 maggio 2016 n. 76) e ai figli minori e, a particolari condizioni, anche ai figli maggiorenni, ai nipoti minori, genitori, fratelli e sorelle (art. 13 R.D.L. 14 aprile 1939, n. 636, così come prima modificato dall'art. 2, l. 4 aprile 1952, n. 218 e poi sostituito dall'art. 22, l. 21 luglio 1965, n. 903). La medesima tutela previdenziale è riconosciuta, in presenza di determinate condizioni prescritte dalla legge, al coniuge superstite separato e al coniuge divorziato (a cui adesso è equiparata la parte dell'unione civile sciolta - art. 1 comma 23 L. 20 maggio 2016 n. 76), anche nel caso in cui il defunto abbia contratto nuovo matrimonio o unione civile e il nuovo coniuge o parte dell'unione civile sia ancora in vita.

Condizioni di accesso

Il diritto alla pensione di reversibilità, oltre ad essere subordinato alla morte del pensionato, dipende dal verificarsi di ulteriori condizioni che riguardano la posizione previdenziale del defunto e le condizioni soggettive dei superstiti (art. 13 R.D.L. n. 636/1939).

Il diritto a fruire della pensione di reversibilità sorge automaticamente in capo ai superstiti se il pensionato, al momento della morte, risulta titolare di trattamento pensionistico di vecchiaia, anticipata, anzianità, invalidità o inabilità, oppure avendone diritto, ne abbia in corso la liquidazione.

Per quanto concerne le condizioni soggettive dei superstiti, la legge individua come soggetti beneficiari della pensione di reversibilità tutti quei familiari viventi a carico del pensionato che vengono a trovarsi in una situazione di bisogno proprio a causa della morte del loro familiare defunto. Il trattamento pensionistico di reversibilità è riconosciuto, innanzitutto, al coniuge (anche se separato o divorziato purché in possesso dei requisiti specifici prescritti dalla legge che più avanti saranno esaminati), alle medesime condizioni del coniuge, alla parte dell'unione civile tra persone dello stesso sesso e ai figli che, al momento della morte del pensionato, non abbiano superato il 18° anno di età, (senza che sia necessario, stante la lettera dell'art. 13, commi 1 e 6, R.D.L. n. 636/1939, dare prova del requisito della vivenza a carico, la quale, per i figli o equiparati di età inferiore ai 18 anni si presume), nonché i figli riconosciuti inabili al lavoro (indipendentemente dall'età) e i figli studenti che non abbiano compiuto 21 anni o universitari per tutta la durata del corso di laurea (ma non oltre il 26 anno di età) tutti purché a carico del genitore al momento del decesso.

Ai sensi e per gli effetti dell'art. 2, d.lgs. Lgt. n. 39/1945 (così come modificato dall'art. 105 d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154 che ha apportato significative riforme della filiazione), il diritto alla pensione di reversibilità spetta sia ai figli superstiti nati nel matrimonio, sia a quelli nati fuori del matrimonio legalmente riconosciuti o giudizialmente dichiarati, nonché ai soggetti ad essi equiparati, ossia i figli adottivi, gli affiliati, i figli non riconoscibili dal pensionato per i quali questi era tenuto al mantenimento o agli alimenti in virtù di sentenza, nei casi previsti dall'art. 279 c.c., i figli non riconoscibili dal pensionato che nella successione del genitore hanno ottenuto il riconoscimento del diritto all'assegno vitalizio (ex artt. 580 e 594 c.c.), i minori affidati ai sensi dell'art. 404 c.c., i figli nati da precedente matrimonio del coniuge del pensionato, o da questi riconosciuti o giudizialmente dichiarati, figli postumi, nati entro il trecentesimo giorno dalla data del decesso del pensionato, che risultino, al momento della morte del pensionato, a suo carico (v. anche artt. 38, 39 e 40, d.P.R. n. 818/1957).

Possono poi fruire del trattamento pensionistico di reversibilità (secondo le regole di concorrenza più avanti indicate) i nipoti (figli dei figli) minori al momento del decesso del pensionato, anche se formalmente non affidati, , o maggiorenni ma orfani e inabili al lavoro, che risultino a carico degli ascendenti (nonno o nonna) al momento della morte di questi ultimi (cfr. C. cost. n. 180/1999), nonché i genitori, i fratelli celibi e le sorelle nubili, che si trovino nelle particolari condizioni indicate dal legislatore per ciascuna categoria e che risultino, al momento del decesso del pensionato, a suo carico (art. 13, comma 6, R.D.L. n. 636/1939).

Il coniuge o la parte di un'unione civile e i figli, se entrambi superstiti, concorrono tra loro nel riconoscimento e nella fruizione della pensione. Qualora viceversa non vi siano né coniuge o parte di un'unione civile, né figli superstiti oppure, ove esistenti, non abbiano titolo alla pensione, la pensione di reversibilità spetta ai genitori e ai fratelli celibi e sorelle nubili in via alternativa tra loro: prima il genitore, poi, in ultima istanza, i fratelli e le sorelle (art. 13, comma 5, R.D.L. n. 636/1939).

Ai genitori, in seguito allo scioglimento del matrimonio o dell'unione civile di cui erano parte, spetta, in parti uguali, la pensione di reversibilità del figlio deceduto per fatti di servizio, secondo le regole stabilite dall'art. 12 ter l. 1 dicembre 1970 n. 898 (espressamente richiamato per le unioni civili dal comma 25 art. 1 l. 20 maggio 2016, n. 76).

Requisito della vivenza a carico

Il requisito della vivenza a carico del titolare della pensione, richiesto ai fini del riconoscimento della pensione di reversibilità a favore dei figli inabili, dei figli studenti o universitari, genitori, fratelli celibi e sorelle nubili, nonché, a seguito di intervento della Corte Costituzionale, dei nipoti minori nonché dei nipoti maggiori di età, orfani e inabili al lavoro, sussiste allorquando il pensionato, prima del decesso, provvedeva al sostentamento dei familiari in maniera continuativa (art. 13, comma 6, R.D.L. n. 636/1939).

Sul punto, la Corte di Cassazione, ha costantemente ritenuto che, ai fini dell'erogazione del contributo, da un lato, non è necessariauna situazione di totale soggezione finanziaria del superstite rispetto al pensionato e, dall'altro che la semplice convivenza non è sufficiente; la convivenza, invero, non esclude a priori la possibile autonomia socio-economica del soggetto che, pertanto, in tale ipotesi, non potrà beneficiare del trattamento pensionistico di reversibilità se non prova che il pensionato provvedeva in via continuativa e in misura concorrente in misura rilevante, decisiva e, comunque prevalente al sostentamento (per la pensione di reversibilità a favore del figlio superstite maggiorenne e riconosciuto inabile al lavoro, v. Cass. civ. sez. VI - Lavoro Ord., 27 dicembre 2021, n. 41548; Cass. civ. sez. VI – Lavoro ord., 22 ottobre 2020 n. 23058; Cass. civ., sez. lav., 14 febbraio 2013, n. 3678).

L'INPS ai fini della verificazione della vivenza a carico richiede che sussistano due condizioni: lo stato di bisogno del superstite dovuto alla sua condizione di non autosufficienza economica con riferimento a specifici parametri (cfr. circolare INPS, 18 novembre 2015 n. 185) e l'abitualità del mantenimento del superstite (ossia in maniera rilevante e continuativa) da parte del pensionato, che è diversamente valutata a seconda che ricorresse o meno la convivenza con il de cuius.

Ammontare e limiti di cumulabilità

L'ammontare della pensione di reversibilità è soggetta a riduzione in base al reddito imponibile IRPEF del superstite che deve beneficiarne. L'art. 1, comma 41 e Tabella F allegata, l. 8 agosto 1995, n. 335, modificando la normativa precedente ha infatti introdotto limiti di cumulabilità della pensione del defunto con i redditi del beneficiario.

L'importo della pensione di reversibilità è ricalcolato se il reddito personale del beneficiario è superiore ad una certa soglia, pari a tre, quattro o cinque volte il trattamento minimo Inps. I limiti di reddito variano ogni anno, poiché si calcolano sull'ammontare del trattamento minimo di pensione.

Tali limiti di cumulabilità non si applicano qualora il beneficiario faccia parte di un nucleo familiare con figli di minore età, studenti oppure inabili.

La Corte Costituzionale, con sentenza 8-30 giugno 2022, n. 162 (Gazz. Uff. 6 luglio 2022, n. 27 – Prima serie speciale), ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del combinato disposto del terzo e quarto periodo del comma 41 e della connessa Tabella F, l. 8 agosto 1995, n. 335, nella parte in cui, in caso di cumulo tra il trattamento pensionistico ai superstiti e i redditi aggiuntivi del beneficiario, non prevedeva che la decurtazione effettiva della pensione non potesse essere operata in misura superiore alla concorrenza dei redditi stessi. L'allegato 1 alla circolare INPS n. 33 del 28 febbraio 2022 reca la tabella aggiornata del cumulo delle pensioni ai superstiti con i redditi dei beneficiari (indice di perequazione definitivo è fissato all'1,9%), e la l. 30 dicembre 2021 n. 234 (legge di bilancio 2022) ha previsto alcune modifiche alle aliquote IRPEF e alle detrazioni fiscali che impattano sul calcolo della pensione di reversibilità.

Coniuge o parte di unione civile superstite

Il diritto del coniuge superstite a percepire la pensione di reversibilità non è subordinato al ricorrere di alcuna condizione soggettiva. Alla condizione di coniuge è equiparata quella di parte dell'unione civile tra persone dello stesso sesso di cui alla l. 20 maggio 2016 n. 76 art. 1, commi 2-35).

L'INPS ha espressamente recepito tale equiparazione con messaggio 21 dicembre 2016, n. 5171 nel quale si legge che «a decorrere dal 5 giugno 2016, ai fini del riconoscimento del diritto alle prestazioni pensionistiche e previdenziali (es. pensione ai superstiti, integrazione al trattamento minimo, maggiorazione sociale, successione iure proprio, successione legittima, etc.) e dell'applicazione delle disposizioni che le disciplinano, il componente dell'unione civile è equiparato al coniuge».

Al riguardo la giurisprudenza ha affermato che la pensione di reversibilità non possa viceversa essere riconosciuta, nella vigenza della disciplina antecedente alla data di entrata in vigore della l n. 76/2016, a favore di superstite già legato da stabile convivenza con persona dello stesso sesso poi deceduta, avuto riguardo al principio di irretroattività dettato dall'art. 11 preleggi. Ad analoga conclusione si è pervenuti per escludere il diritto alla reversibilità della pensione di inabilità a favore del convivente more-uxorio in una unione eterosessuale(cfr. Cass. civ., sez. I ord., 14 marzo 2022, n. 8241) ed è stata ritenuta irrilevante la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, l. n. 76/2016 nella parte in cui non prevede la possibilità di una sua applicabilità retroattiva a tutte le coppie omosessuali conviventi in modo stabile (cfr. Cass. civ. sez. lavoro, 14 settembre 2021, n. 24694).

L'ammontare dell'aliquota percentuale della pensione di reversibilità spettante ai superstiti di assicurato e pensionato nell'ambito del regime dell'assicurazione generale obbligatoria e delle forme esclusive o sostitutive di detto regime, nonché della gestione separata (di cui all'art. 2, comma 26, l. 8 agosto 1995, n. 335) era stata ridotta ricorrendo particolari requisiti temporali di seguito indicati in virtù dell'art. 18 comma 5, d.l. 6 luglio 2011 n. 98. Infatti nei casi in cui il matrimonio con il defunto fosse stato contratto quando quest'ultimo aveva età superiore a settanta anni e la differenza di età tra i coniugi era superiore a venti anni, l'importo della pensione spettante al coniuge superstite era ridotta del 10 per cento per ogni anno di matrimonio che mancasse rispetto al numero di 10. Nei casi di frazione di anno la predetta riduzione percentuale era proporzionalmente rideterminata. Tali riduzioni non trovavano applicazione nei casi di presenza di figli di minore età, studenti, ovvero inabili. Restava fermo il regime di cumulabilità della pensione di reversibilità con i redditi del beneficiario ma l'importo della pensione sarebbe ridotto al crescere del reddito. Il comma 5 dell'art. 18, d.l. 6 luglio 2011 n. 98 è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo con sentenza n. 174 del 14 luglio 2016 in riferimento agli articoli 3, 36 e 38 della Costituzione. «Nell'attribuire rilievo all'età del coniuge titolare di trattamento pensionistico diretto al momento del matrimonio e alla differenza di età tra i coniugi, la disposizione in esame introduce una regolamentazione irragionevole, incoerente con il fondamento solidaristico della pensione di reversibilità, che ne determina la finalità previdenziale, presidiata dagli artt. 36 e 38 Cost. e ancorata dal legislatore a presupposti rigorosi. Una tale irragionevolezza diviene ancora più marcata, se si tiene conto dell'ormai riscontrato allungamento dell'aspettativa di vita». A seguito di tale sentenza, con la circolare n. 178 del 21 settembre 2016 sono state aggiornate le procedure di calcolo. In merito ai requisiti per poter fruire della pensione di reversibilità giova menzionare come nel corso degli anni si siano susseguiti numerosi interventi della Corte Costituzionale volti a dichiarare l'illegittimità di norme che limitavano i benefici previdenziali del coniuge superstite in relazione all'età e alla durata del matrimonio. Così ad esempio la sentenza n. 587/1988, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di una serie di disposizioni che escludevano il diritto alla pensione di reversibilità in presenza di una determinata differenza di età (20 e 25 anni) tra i coniugi; la sentenza n. 123/1990, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di una serie di disposizioni che subordinavano il diritto alla pensione di reversibilità ad una certa durata del matrimonio;la sentenza n. 189/1991, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di una norma che escludeva, in via generale, il diritto alla pensione di riversibilità per il coniuge quando il lavoratore pensionato ha contratto matrimonio dopo il compimento del 72° anno d'età ed il matrimonio non è durato almeno 2 anni; la sentenza n. 187/2000, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di una norma che escludeva il diritto alla pensione di reversibilità in favore del coniuge che avesse contratto matrimonio successivamente al pensionamento dell'assicurato.

Sebbene negativa, nel senso di aver ritenuto non fondata la questione di illegittimità costituzionale, giova comunque menzionare la sentenza della Corte cost. 26 gennaio 2017, n. 23. La Corte ha ritenuto che non sia costituzionalmente illegittima la norma di cui all'art. 1, comma 14, l. 8 agosto 1995 n. 335, nella parte in cui non prevede, per il calcolo della pensione ai superstiti di assicurati deceduti anteriormente ai 57 anni di età, l'attualizzazione del coefficiente di trasformazione ai nuovi limiti d'età pensionabile in vigore.

Di recente con la sent. 05 aprile 2022, n. 88 la Corte Costituzionale ha affermato che, posto che il legame sotteso al rapporto tra nonno e nipote minorenne, come presupposto per l'accesso al trattamento pensionistico di reversibilità, deve essere ritenuto meritevole di tutela, analoga valutazione di meritevolezza, collegata al fondamento solidaristico, che il legislatore è chiamato a specificare e modulare nelle diverse situazioni in modo coerente con i principi di uguaglianza e di ragionevolezza, non può non riguardare anche il legame familiare tra l'ascendente e il nipote, maggiore di età, orfano e inabile al lavoro. La relazione appare in tutto e per tutto assimilabile a quella che si instaura tra ascendente e nipote minore di età, per essere comuni ai due tipi di rapporto la condizione di minorata capacità del secondo e la vivenza a carico del primo al momento del decesso di questo. Risultando, dunque, illogico ed ingiustamente discriminatorio che i soli nipoti orfani maggiorenni e inabili al lavoro viventi a carico del de cuius siano esclusi dal godimento del trattamento pensionistico dello stesso, pur versando in una condizione di bisogno e di fragilità particolarmente accentuata, va dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 38 del D.P.R. 26 aprile 1957, n. 818 nella parte in cui non include tali soggetti tra i destinatari diretti ed immediati della pensione di reversibilità.

Ex coniuge o parte di unione civile superstite divorziato

L'art. 9, comma 2, legge 1° dicembre 1970, n. 898 stabilisce che, in caso di morte dell'ex coniuge (cui deve essere equiparato la ex parte dell'unione civile dopo lo scioglimento della medesima), l'ex coniuge divorziato o la parte dell'unione civile sciolta ha diritto a fruire della pensione di reversibilità a condizione che:

a) lo stesso sia titolare di assegno di divorzio;

b) non si sia risposato o non abbia costituito nuova unione civile;

c) il rapporto da cui trae origine il trattamento pensionistico sia anteriore alla sentenza che ha disposto lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio o lo scioglimento dell'unione civile o il diverso atto da cui risulti lo scioglimento dell'unione civile.

Esiste un contrasto giurisprudenziale sul diritto alla pensione di reversibilità anche nel caso in cui la morte intervenga nel corso del procedimento per lo scioglimento del matrimonio, quando sia già intervenuta una pronuncia sul solo status, (quando dunque il coniuge superstite non sia ancora titolare di un assegno di divorzio). In tale caso il coniuge superstite ha interesse a riassumere il giudizio al fine di ottenere la determinazione dell'assegno divorzile per il riconoscimento della pensione di reversibilità (Cass. ord., 13 ottobre 2014, n. 21598 e ex multis Cass. n. 17041/2007). A tal fine con sent. Cass. civ., sez. I, ord., 29 ottobre 2021, n. 30750 è stata rimessa al Primo Presidente, per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite civili, la soluzione della questione “se il coniuge divorziato abbia o meno diritto alla pensione di reversibilità, o ad una sua quota, quando il diritto all'assegno divorzile non venga riconosciuto giudizialmente (sia nella sua esistenza, sia nel suo ammontare), per la sopravvenuta morte del coniuge obbligato, pur essendo passata in giudicato la statuizione sullo status di divorziato assunta con sentenza non definitiva”. Sul punto la Corte Costituzionale con sent. 28 gennaio 2022 n. 25 ha ritenuto l'inammissibilità della questione di illegittimità costituzionale

Il comma 3 del medesimo art. 9 l. n. 898/1970 riconosce all'ex coniuge divorziato,e all'ex parte dell'unione civile sciolta (per espresso richiamo dell'art. 1 comma 25 l. n. 76/2016 all'art. 9 l. n. 898/1970) già titolare dell'assegno di cui all'art. 5 l. n. 898/1970, il diritto ad usufruire di una quota della pensione di reversibilità anche nel caso in cui il defunto abbia contratto un nuovo matrimonio o una nuova unione civile e il secondo coniuge del defunto o la nuova parte dell'unione civile costituita con il defunto sia ancora in vita e abbia i requisiti per la pensione di reversibilità. In tal caso, la ripartizione delle aliquote spettanti tra il coniuge o la parte dell'unione superstite e l'ex coniuge superstite divorziato o l'ex parte dell'unione civile sciolta, nel silenzio della legge, è stabilita dal Tribunale a cui l'ex coniuge superstite divorziato dovrà rivolgersi affinché il proprio diritto ad una quota della pensione sia riconosciuto e ne sia determinato l'ammontare secondo la procedura più avanti illustrata.

La giurisprudenza (cfr. Cass. civ., sez. I ord., 29 ottobre 2021, n. 30750) nel determinare i criteri per la ripartizione ha ritenuto che il giudice debba tenere conto dell'elemento temporale relativo alla durata del matrimonio, la cui valutazione non può in nessun caso mancare, ma che, al contempo, non possa divenire esclusivo nell'apprezzamento del giudice e debba tenere conto di ulteriori elementi, correlati, per l'appunto, al presupposto funzionale che presiede al trattamento di reversibilità, da individuare facendo riferimento all'entità dell'assegno di mantenimento goduto dal coniuge divorziato ed alle condizioni economiche dei due, nonché alla durata delle rispettive convivenze prematrimoniali ove il coniuge interessato alleghi, e provi, la stabilità e l'effettività della comunione di vita precedente al proprio matrimonio con il "de cuius" (cfr. Cass. civ., sez. I, ord., 23 luglio 2021, n. 21247; Cass. civ. sez. VI - 1 ord., 26 febbraio 2020, n. 5269).

Le nuove nozze dell'ex coniuge superstite o la costituzione di una nuova unione civile viceversa escludono per quest'ultimo il diritto di percepire la pensione di reversibilità, ciò anche qualora alla data del decesso del pensionato il nuovo matrimonio o la nuova unione civile dell'ex coniuge superstite o dell'ex parte dell'unione civile sciolta risulti sciolto per morte o per scioglimento (cfr. circolare INPS, 18 novembre 2015 n. 185).

In virtù del richiamo del comma 20, art. 1 l. 20 maggio 2016 n. 76 le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole “coniuge”, “coniugi” o termini equivalenti, ovunque ricorrano nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano ad ognuna delle parti dell'unione civile tra persone dello stesso sesso. Inoltre per espressa previsione normativa (art. 1 comma 25 l. n. 76/2016) alla parte dell'unione civile si applica il diritto all'assegno in caso di scioglimento dell'unione e la perdita del diritto al medesimo in seguito a nuova unione civile, pertanto anche in caso di scioglimento dell'unione civile essa avrà diritto ad una quota della pensione di reversibilità dell'altra parte dell'unione al ricorrere delle condizioni indicate per i coniugi superstiti divorziati.

Titolarità dell'assegno di divorzio

In base alla disposizione di cui all'art. 9, commi 2 e 3, l. n. 898/1970, ai fini del riconoscimento all'ex coniuge divorziato e alla parte dell'unione civile che sia stata sciolta (per espresso richiamo dell'art. 1 comma 25 l. n. 76/2016 all'art. 9 l. n. 898/1970), della pensione di reversibilità o di una quota di essa (in caso di concorso con il nuovo coniuge superstite o con la parte superstite di una nuova unione civile), è necessario che il medesimo, al momento della morte dell'ex coniuge o della ex parte dell'unione civile, sia titolare di un assegno periodico di divorzio.

Sin dai primi anni ‘90 del secolo scorso sono sorti, però, contrasti in giurisprudenza circa l'interpretazione da darsi alla formula usata dal legislatore nell'art. 9 l. n. 898/1970, ossia se il diritto dell'ex coniuge divorziato alla pensione di reversibilità dovesse ritenersi condizionato alla titolarità di un assegno attribuito giudizialmente ai sensi dell'art. 5 l. n. 898/1970, oppure semplicemente alla titolarità di un assegno frutto di un mero accordo stragiudiziale tra gli ex coniugi. Il contrasto è stato definitivamente risolto, in aderenza anche a quanto statuito sia dalla giurisprudenza di legittimità (Cass., S.U., n. 5939/1991), che da quella costituzionale (C. cost. n. 87/1995), con la legge 28 dicembre 2005, n. 263, la quale ha disposto, a riguardo, che «per titolarità dell'assegno ai sensi dell'art. 5 deve intendersi l'avvenuto riconoscimento dell'assegno medesimo da parte del tribunale ai sensi del predetto art. 5 della citata l. n. 898 del 1970» (art. 5 l. n. 263/2005).

Secondo l'orientamento consolidato della Suprema Corte, dunque, il diritto dell'ex coniuge divorziato e ora anche dell'ex parte di un'unione civile sciolta alla pensione di reversibilità o a una quota di essa presuppone che il richiedente, al momento della morte dell'ex coniuge o dell'ex parte dell'unione civile, sia titolare di un assegno giudizialmente riconosciuto (anche a seguito di disposizione pattizia contenuta in un ricorso congiunto di scioglimento del matrimonio o dell'unione civile), non essendo sufficiente che egli versi nelle condizioni per ottenerlo, e neppure che, in via di fatto o per effetto di private convenzioni intercorse fra le parti, abbia ricevuto regolari elargizioni economiche (v. Cass. civ., sez. I, n. 9660/2013; Cass. civ., sez. I, n. 21002/2008).

Ai fini del riconoscimento del predetto diritto, non è sufficiente la mera debenza in astratto di un assegno di divorzio, e neppure la percezione in concreto di un assegno di mantenimento in base a convenzioni intercorse tra le parti, occorrendo invece che l'assegno sia stato liquidato dal giudice nel giudizio di divorzio ai sensi dell'art. 5 cit., ovvero successivamente, quando si verifichino le condizioni per la sua attribuzione ai sensi dell'art. 9 cit. (cfr. Cass. civ., sez. VI - 1, ord., 21 gennaio 2022, n. 1895).

Nel caso in cui tale assegno manchi, perché non attribuito giudizialmente o perché viene percepito unicamente un mantenimento per i figli, l'ex coniuge divorziato o l'ex parte dell'unione civile non ha diritto alla pensione di reversibilità, né si determina alcun concorso tra costui e il coniuge effettivo superstite o la parte attuale della nuova unione civile, con la conseguenza, in questa seconda ipotesi, che il primo non ha diritto alla quota di pensione e il secondo ha diritto a percepire integralmente il trattamento pensionistico di cui si discute.

Inoltre, la giurisprudenza ha stabilito che, se la ratio dell'attribuzione del trattamento di reversibilità al coniuge divorziato è da rinvenirsi nella continuazione del sostegno economico prestato in vita all'ex coniuge, non possa considerarsi idoneo allo scopo un assegno determinato in misura minima o anche meramente simbolica. È necessario che l'assegno attribuito al coniuge divorziato sia idoneo ad assolvere alle finalità di tipo assistenziale e perequativo-compensativa che gli sono proprie, cosicché, pur non dovendo risultare volto al conseguimento dell'autosufficienza economica, consenta tuttavia all'ex coniuge il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare. Ai fini del diritto del coniuge divorziato alla pensione di reversibilità, il requisito della titolarità dell'assegno divorzile, che presuppone il riconoscimento con determinazione giudiziale dell'erogazione di una prestazione periodica finalizzata al sostentamento economico dell'ex coniuge, non si configura nel caso di titolarità del diritto ad una somma esigua e puramente simbolica (Cass. civ. sez. lavoro, 28 settembre 2020, n. 20477 - nella specie, la Suprema corte ha ritenuto non equiparabile all'assegno divorzile il “sostegno alla moglie” nella misura di un dollaro all'anno riconosciuto all'ex coniuge superstite in occasione di divorzio sancito dal Tribunale superiore della California).

Coniuge superstite separato

Anche il coniuge separato ha diritto alla pensione di reversibilità (cfr. INPS circolare 18 novembre 2015, n. 185), tuttavia, quanto ai requisiti per poter riconoscere al coniuge superstite separato il diritto alla pensione di reversibilità, la giurisprudenza si è a lungo interrogata sulla configurabilità o meno del diritto alla pensione di reversibilità in capo al coniuge separato che non percepisca né un contributo al mantenimento (a seguito della dichiarazione di addebito della separazione), né sia titolare di un assegno alimentare (non versando in stato di bisogno). Sull'argomento si sono venuti a delineare due contrapposti orientamenti giurisprudenziali di cui si dà atto in questa sede.

Prima di ogni cosa, però, occorre rilevare come il confronto giurisprudenziale di cui si discute abbia preso avvio da alcune decisioni della Corte Costituzionale intervenute sul tema dei diritti del coniuge separato all'indomani della riforma del diritto di famiglia (v. C. cost. 28 luglio 1987, n. 286; C. cost. 30 luglio 1997, n. 284). In particolare, il Giudice costituzionale con sentenza del 28 luglio 1987, n. 286 ha ritenuto che il coniuge separato abbia diritto a fruire della pensione di reversibilità anche se, a seguito della dichiarazione di addebito, non risulti titolare dell'assegno di mantenimento o, in assenza di stato di bisogno, non risulti titolare dell'assegno alimentare.

La Consulta ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 1 d.lgs. Lgt. n. 39/1945, nella parte in cui escludeva dal diritto alla pensione di reversibilità il coniuge separato per colpa (corrispondente, nell'attuale disciplina della separazione, al coniuge separato con addebito di responsabilità), ritenendo che siffatta esclusione contrastasse con i precetti costituzionali di cui agli artt. 3 e 38 Cost. e creasse una evidente disparità di trattamento sia rispetto al coniuge divorziato (al quale poteva essere riconosciuto, in presenza dei determinati requisiti, il diritto alla pensione di reversibilità o una sua quota), sia rispetto al coniuge del dipendente statale (il quale aveva diritto, anche se separato per colpa, ad una quota della pensione di reversibilità ex art. 81, comma 4, e art. 88, comma 5 e 6, d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, «Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato»).

Proprio a seguito di tale decisione della Corte Costituzionale si sono venuti a delineare due diversi orientamenti giurisprudenziali. Secondo un primo orientamento ad oggi maggioritario, il coniuge separato con addebito «ha diritto alla pensione di reversibilità, indipendentemente dalla circostanza che versi o meno in stato di bisogno e senza che rilevi l'attribuzione di un assegno di mantenimento o altra provvidenza di tipo alimentare» (Cass. civ., sez. lav., 16 ottobre 2003, n. 15516).

In seguito si è registrato un secondo orientamento della Suprema Corte (a lungo seguito dall'INPS) secondo il quale la pensione di reversibilità andasse riconosciuta al coniuge superstite separato solo nel caso in cui egli avesse diritto all'assegno di mantenimento o agli alimenti a carico del coniuge deceduto perché, in tali situazioni, «la pensione di reversibilità costituisce la prosecuzione della funzione di sostentamento del coniuge superstite separato prima indirettamente assicurata dalla pensione di cui era titolare il coniuge defunto, debitore dell'assegno», mentre «Il coniuge superstite, che risulti separato senza l'attribuzione di un assegno di mantenimento né alimentare, non ha diritto alla pensione di reversibilità» (Cass. civ., sez. lav., 18 giugno 2004, n. 11428).

Il primo dei due orientamenti sopra illustrati è stato confermato con decisioni più recenti (Cass. civ. sez. lav., 2 febbraio 2018, n. 2606; Cass. civ. sez. lav., 15 marzo 2019, n. 7464; Cass. civ., sez. lav., 25 febbraio 2009, n. 4555; Cass civ., sez. lav., 19 marzo 2009, n. 6684), con le quali la Cassazione ha affermato che, anche qualora il coniuge deceduto non sia tenuto a versare un contributo al mantenimento o un assegno alimentare al coniuge superstite (perché è stato dichiarato l'addebito e non sussiste lo stato di bisogno), sussisterebbe ugualmente il diritto alla pensione di reversibilità per il coniuge superstite, poiché per il coniuge separato per colpa o con addebito della separazione si ritiene operare una presunzione legale di “vivenza a carico” del lavoratore assicurato al momento della morte. In altri termini, ai fini del riconoscimento del diritto alla pensione di reversibilità, non rileva né il tipo di separazione (con o senza addebito), né la circostanza per cui il coniuge defunto fosse sia tenuto o meno a corrispondere al coniuge separato un assegno di mantenimento o alimentare ma unicamente l'esistenza del rapporto coniugale col coniuge defunto pensionato o assicurato.

Occorre precisare che INPS, ha a lungo ritenuto (cfr. INPS circolare 18 novembre 2015, n. 185) di aderire al secondo orientamento giurisprudenziale sopra esposto, orientato al rigetto delle domande di pensione presentate da coniuge superstite separato che non risultasse già titolare di assegno di mantenimento stabilito dal Tribunale. Solo con Circolare 1 febbraio 2022 n. 19 INPS ha mutato orientamento e aderito al primo orientamento della giurisprudenza di Cassazione, riconoscendo il diritto alla pensione di reversibilità anche al coniuge separato con addebito e senza assegno alimentare, in tal modo equiparandolo sotto ogni profilo al coniuge superstite. Nella ridetta circolare INPS ha indicato che devono ritenersi superate le indicazioni di cui al par. 2.1 della circolare n. 185 del 2015 ed ha fornito istruzioni in ordine alla gestione delle domande già presentate o respinte, che saranno riesaminate su richiesta degli interessati (sempre che non sia intervenuta sentenza passata in giudicato e fatte salve le disposizioni previste in tema di decadenza e prescrizione), nonché in merito alla ricostituzione o alla revoca delle pensioni già liquidate ad altre categorie di superstiti il cui diritto risulti concorrente (figli) o incompatibile (fratelli, sorelle, genitori) che avranno effetto dalla decorrenza originaria senza tuttavia procedere al recupero delle somme già corrisposte.

Requisiti per poter riconoscere al coniuge superstite il diritto alla pensione di reversibilità

Coniuge separato, diritto a fruire della pensione di reversibilità se risulta già titolare dell'assegno di mantenimento o alimentare

Cass. civ., sez. lav., 18 giugno 2004, n. 11428

Contra: coniuge separato equiparato al coniuge non separato, diritto a percepire pensione di reversibilità a prescindere da stato di bisogno e da titolarità assegno

Cass. civ. sez. lav.ord., 15 marzo 2019, n. 7464; Cass. civ., sez. lav., 19 marzo 2009, n. 6684; Cass. civ., sez. lav., 25 febbraio 2009, n. 4555;

Cass. civ.

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sez. lav., n. 15516/2003

Coniuge divorziato superstite, diritto a percepire pensione di reversibilità se titolare di assegno di divorzio

Cass. civ., sez. I, 22 aprile 2013, n. 9660

Conformandosi all'orientamento giurisprudenziale già consolidato, la Suprema Corte ha negato alla moglie divorziata il riconoscimento della quota di pensione di reversibilità poiché la relativa sentenza di divorzio non conteneva alcuna pronuncia di condanna del defunto alla corresponsione di un assegno di divorzio, ma solo l'obbligo di corrispondere il contributo per il mantenimento della figlia minorenne. Nel caso di specie i giudici hanno ritenuto del tutto priva di rilievo la circostanza per cui l'ex marito avesse continuato negli anni a fornire un contributo alle esigenze della figlia, nonostante questa avesse ormai raggiunto la propria indipendenza

L'addebito della separazione non è un elemento discriminante ai fini dell'erogazione della pensione di reversibilità in favore del coniuge «superstite» nei cui confronti è stata dichiarata la separazione per colpa e con addebito; a tal fine non rileva che il coniuge defunto non fosse tenuto a corrispondere l'assegno di mantenimento o alimentare

C. conti, sez. III giur. centr. app., 22 febbraio 2013, n. 146/A

Il coniuge superstite al quale sia stata addebitata la separazione, come già il coniuge separato per colpa nella previgente disciplina della separazione coniugale, ha diritto alla pensione di reversibilità, indipendentemente dalla circostanza che versi o meno in stato di bisogno e senza che rilevi l'attribuzione di un assegno di mantenimento o altra provvidenza di tipo alimentare.

Cass. civ. sez. lav., 2 febbraio 2018, n. 2606

La sentenza della Corte Costituzionale n. 286 del 1987 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della legge n. 153 del 1969, art. 24 e della legge n. 1357 del 1962, art. 23, comma 4, nella parte in cui escludono dall'erogazione della pensione di reversibilità il coniuge separato per colpa con sentenza passata in giudicato. Tale pensione va riconosciuta al coniuge separato per colpa o con addebito, equiparato sotto ogni profilo, al coniuge superstite (separato e non), in favore del quale opera la presunzione legale di vivenza a carico del lavoratore al momento della morte. E' stato in particolare affermato che dopo la riforma dell'istituto della separazione personale, introdotto dal novellato art. 151 c.c. e la sentenza della Corte Cost., non sia più giustificabile il diniego, al coniuge cui fosse stata addebitata la separazione, di una tutela che assicuri la continuità dei mezzi di sostentamento che il defunto coniuge sarebbe stato tenuto a fornirgli.

Cass. civ. sez. lav., 15 marzo 2019, n. 7464

Coniuge divorziato superstite, diritto alla determinazione dell'assegno di divorzio ai fini del riconoscimento della pensione di reversibilità, anche se la morte del pensionato interviene nel corso del procedimento quando, pur essendo intervenuta una sentenza sullo status, non era stato ancora posto a carico del pensionato un assegno di divorzio.

Cass. civ., ord., 13 ottobre 2014, n. 21598

Deve essere rimesso al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione della presente causa alle Sezioni Unite civili, la soluzione della questione: "se il coniuge divorziato abbia o meno diritto alla pensione di reversibilità, o ad una sua quota, quando il diritto all'assegno divorzile non venga riconosciuto giudizialmente (sia nella sua esistenza, sia nel suo ammontare), per la sopravvenuta morte del coniuge obbligato, pur essendo passata in giudicato la statuizione sullo status di divorziato assunta con sentenza non definitiva, non senza tacere degli ulteriori risvolti in tema di legittimazione processuale e sostanziale dell'altro coniuge e degli eredi del coniuge deceduto e di riassunzione del processo nei loro confronti".

Cass. civ. sez. I, ord., 29 ottobre 2021, n. 30750

Ai fini del riconoscimento della pensione di reversibilità, in favore dell'ex coniuge nei cui confronti è stato dichiarato lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, ai sensi dell'art. 9 l. 1° dicembre 1970 n. 898, nel testo modificato dall'art. 13 l. 6 marzo 1987 n. 74, la titolarità dell'assegno, di cui all'art. 5 stessa l. 1° dicembre 1970 n. 898, deve intendersi come titolarità attuale e concretamente fruibile dell'assegno divorzile al momento della morte dell'ex coniuge, e non già come titolarità astratta del diritto all'assegno divorzile che è stato in precedenza soddisfatto con la corresponsione in unica soluzione.

Cass. civ. S.U., sent. 24 settembre 2018, n. 22434

In tema di divorzio, il diritto alla quota della pensione di reversibilità previsto dall'art. 9 l. n. 898/1970 spetta all'ex coniuge titolare dell'assegno divorzile e non può essere escluso per il solo fatto che tale assegno non sia stato corrisposto per un periodo più o meno lungo senza alcuna reazione, giudiziale o stragiudiziale, dell'avente diritto, poiché tale inerzia non comporta "ipso facto" la rinuncia al menzionato assegno, in assenza della necessaria verifica giudiziale in ordine all'effettività della stessa e alle correlate modificazioni dei presupposti per la sua percezione. (Cassa con rinvio, App. Firenze, 12 dicembre 2018).

Cass. civ., sez. I ord., 12 ottobre 2021, n. 27875

Il diritto del coniuge divorziato alla pensione di reversibilità ex art. 9 della l. n. 898/1970 presuppone (anche ai sensi della norma interpretativa di cui all'art. 5 della l. n. 263 del 2005) non solo che il richiedente al momento della morte dell'ex coniuge sia titolare di assegno di divorzio giudizialmente riconosciuto, ma anche che detto assegno non sia fissato in misura simbolica, ponendosi la diversa interpretazione in contrasto con la "ratio" dell'attribuzione del trattamento di reversibilità al coniuge divorziato, da rinvenirsi nella continuazione del sostegno economico prestato in vita all'ex coniuge e non già nell'irragionevole esito di assicurare al coniuge divorziato una condizione migliore rispetto a quella già in godimento. (Cassa con rinvio, App. L'Aquila, 26 giugno 2014)

Cass. civ. sez. lav., sent., 28 settembre 2020, n. 20477
Corresponsione dell'assegno una tantum

In giurisprudenza si discute, poi, sulla possibilità che la corresponsione una tantum dell'assegno (art. 5, comma 8, l. n. 898/1970) possa costituire, al pari della corresponsione periodica dell'assegno, condizione per il riconoscimento a favore del coniuge divorziato, e ora anche della parte dell'unione civile sciolta, della pensione di reversibilità o di una quota di essa.

Secondo un orientamento giurisprudenziale più recente, la corresponsione una tantum dell'assegno, consistente per esempio nella mera erogazione di una somma, anche rateizzata, ovvero nel trasferimento di un altro bene o diritto (come ad esempio la proprietà dell'immobile), preclude il riconoscimento, per il futuro, di una nuova domanda a contenuto economico, compresa la pensione di reversibilità, perché «idonea a definire stabilmente i rapporti economici tra le parti e tale da determinare un miglioramento della situazione del beneficiario, incompatibile con ulteriori prestazioni aggiuntive, ivi compresi i trattamenti pensionistici» (Cass. civ., sez. lav., 8 marzo 2012, n. 3635).

In senso contrario, si è espressa un'altra parte della giurisprudenza, la quale ha sostenuto che l'accordo intervenuto tra i coniugi in ordine alla corresponsione dell'assegno di divorzio in un'unica soluzione, a norma dell'art. 5, comma 8, l. n. 898/1970, è idoneo a configurare la titolarità di detto assegno, alla stregua del principio che riconduce all'assegno divorzile tutte le attribuzioni operate in sede od a seguito di scioglimento del vincolo coniugale, dalle quali il beneficiario trae utilità che esprimono la natura solidaristico-assistenziale dell'istituto stesso. Consegue chela corresponsione dell'assegno pattuita fra le parti in forma una tantum (in un caso portato all'attenzione dei giudici, la costituzione del diritto di usufrutto sulla casa coniugale), in via alternativa all'ordinaria corresponsione periodica, soddisfa il requisito della previa titolarità dell'assegno di divorzio prescritto dall'art. 5 l. n. 898/1970, ai fini dell'accesso alla pensione di reversibilità, o, in concorso con il coniuge superstite, alla sua ripartizione (v. Cass. civ., sez. I, 29 luglio 2011, n. 16744; Cass. civ., sez. I, 28 maggio 2010 n. 13108).

Recentemente sono intervenute sul tema le sezioni unite della Corte di Cassazione (Cass. civ. S.U., sent. 24 settembre 2018, n. 22434) risolvendo il dibattito giurisprudenziale in favore del primo orientamento citato. Le Sez. Un. hanno ritenuto che, poiché il presupposto per l'attribuzione della pensione di reversibilità risiede nel venir meno di un sostegno economico che veniva apportato in vita dal coniuge o ex coniuge e poiché la sua finalità consiste nell'ovviare a tale perdita economica, l'indice per riconoscere l'operatività di tale finalità è quello della attualità della contribuzione economica venuta a mancare, con la conseguenza che un diritto che è stato già completamente soddisfatto non è più attuale e difetta pertanto il requisito funzionale del trattamento di reversibilità che è dato dal presupposto solidaristico finalizzato alla continuazione del sostegno economico in favore dell'ex coniuge.

Occorre precisare che, in ossequio al primo e più recente orientamento giurisprudenziale sopra esposto, la prassi attualmente in uso vede l'ente previdenziale (INPS cfr. circolare, 18 novembre 2015 n. 185) orientato al rigetto delle domande di pensione presentate da coniuge superstite divorziato che abbia ottenuto la liquidazione dell'assegno divorzile in un'unica soluzione.

Quote della pensione di reversibilità

Le categorie di superstiti sopraindicate hanno diritto ad una quota della pensione del de cuius secondo percentuali specificamente indicate. Così che ad esempio le aliquote di reversibilità spettanti al coniuge o alla parte dell'unione civile superstite senza figli ammontano al 60%; al coniuge/parte unione civile e un figlio all'80%; al coniuge/parte unione civile e due o più figli al 100%; a un figlio in assenza di coniuge/parte unione civile al 70%; a due figli in assenza di coniuge/parte unione civile all'80% e a tre o più figli in assenza di coniuge/parte unione civile al 100% (cfr. circolare INPS, 18 novembre 2015 n. 185). La quota di pensione riconosciuta ai superstiti sarà poi ridotta qualora il titolare percepisca altri redditi. La percentuale di riduzione aumenterà progressivamente in ragione del superamento di soglie specificamente individuate.

Il riconoscimento e la ripartizione delle quote della pensione di reversibilità spettanti, ai sensi dell'art. 9, comma 3, l. n. 898/1970, al coniuge divorziato titolare di assegno e a quello superstite sono decisi con sentenza del Tribunale competente secondo le forme del rito camerale. Nello stesso modo debbono essere determinati riconoscimento e ripartizione delle quote: a) tra la parte titolare di assegno dell'unione civile che sia stata sciolta e la parte superstite di una nuova unione civile; b) tra il coniuge divorziato titolare di assegno e la parte superstite di un'unione civile; c) nonché tra la parte titolare di assegno dell'unione civile che sia stata sciolta e il coniuge superstite.

Come precisato dalla giurisprudenza, l'adozione del rito camerale per i procedimenti relativi a tutte le pretese del coniuge divorziato, ora anche per la parte dell'unione civile sciolta, aventi ad oggetto la pensione di reversibilità trova applicazione anche dopo la novella ex l. 6 marzo 1987, n. 74, «Nuove norme sulla disciplina dei casi di scioglimento di matrimonio» (per effetto della quale è stato soppresso l'ultimo comma dell'art. 9 l. n. 898/1970, secondo il quale, nei procedimenti de quibus, il tribunale «provvede in camera di consiglio»). Non rileva, invero, la circostanza per cui la novella, riformulando con l'art. 13le disposizioni del cit. art. 9 l. n. 898/1970, contempli esplicitamente l'adozione del rito camerale solo con riferimento alla revisione delle disposizioni concernenti l'affidamento dei figli e di quelle riguardanti la misura e le modalità dei contributi da corrispondere ai sensi degli artt. 5 e 6 stessa legge (crf. Cass. civ., sez. I, n. 3037/2001). La Suprema Corte ha precisato come il procedimento introdotto con domanda giudiziale diretta alla ripartizione delle quota va definito con un provvedimento avente forma di sentenza, giusta disposto dell'art. 9, comma 5, l. n. 898/1970 (come sostituito dall'art. 13 l. n. 74/1987).

L'onere di adire il Giudice (rectius di proporre il ricorso ex art. 737 c.p.c.) spetta all'ex coniuge, e ora anche alla ex parte dell'unione civile sciolta, poiché, come è ovvio, l'ente previdenziale non conosce, né è tenuto a conoscere la situazione familiare pregressa del titolare di pensione e, in mancanza di ricorso, può attribuire integralmente la pensione a chi risulti coniuge o parte di un'unione civile al momento della morte del pensionato.

Per quanto riguarda i criteri di attribuzione delle quote, accanto al criterio primario della durata dei matrimoni, ora anche delle unioni civili, di cui all'art. 9, comma 3, l. n. 898/1970, la giurisprudenza ha enucleato, sulla base degli elementi interpretativi individuati dalla sentenza C. cost. n. 419/1999, una serie di ulteriori elementi, di cui il giudice deve tener conto nella ripartizione delle quote, quali l'ammontare dell'assegno riconosciuto al coniuge divorziato prima del decesso dell'ex coniuge, le condizioni economiche di ciascun coniuge, nonché la durata delle rispettive convivenze prematrimoniali, che dovranno essere ora parimenti applicati alle parti delle unioni civili (v. Cass. civ. sez. VI - 1 ord., 9 marzo 2022, n. 7623; Cass. civ., sez. VI - 1 ord., 28 settembre 2021, n. 26284;Cass. civ., sez. I ord., 23 luglio 2021, n. 21247; Cass. civ., sez. VI - 1, ord., 13 novembre 2020, n. 25656; Cass. civ., sez. lav., ord., 28 aprile 2020, n. 8263; Cass. civ. sez. I, ord., 9 maggio 2018, n. 11202; Cass. civ., sez. VI - 1 ord., 5 luglio 2017, n. 16602; Cass. civ., sez. I, 21 settembre 2012, n. 16093).

Tale orientamento giurisprudenziale trova una spiegazione nel principio solidaristico sotteso all'istituto stesso, secondo cui «« L'attribuzione al coniuge divorziato di una quota della pensione di reversibilità ha una funzione solidaristica, che è la medesima dell'assegno di divorzio, finalizzata alla continuazione del sostegno economico in favore dell'ex coniuge (il quale, avendo diritto a ricevere dal titolare diretto della pensione mezzi necessari per il proprio adeguato sostentamento, vede riconosciuta la continuità di questo sostegno e la conservazione del diritto alla reversibilità di un trattamento pensionistico genericamente collegato al periodo in cui sussisteva il rapporto coniugale) e del coniuge superstite (come forma di ultrattività della solidarietà coniugale), consentendo la prosecuzione del sostentamento prima assicurato dal reddito del coniuge deceduto (Cass. civ. sez. I ord., 29 ottobre 2021, n. 30750)». Per dovere di completezza, si evidenzia come sul punto la giurisprudenza abbia più volte mutato indirizzo,

ritenendo inizialmente (Cass. civ. 27 maggio 1995, n. 5910) che la durata del matrimonio non costituisse criterio esclusivo per la ripartizione delle quote di pensione, ma andasse considerato lo scarto tra matrimonio ed effettiva convivenza, onde dare rilievo alla convivenza more uxorio (Cass. 30 agosto 1996, n. 7980; Cass. 22 aprile 1997,n. 3484; Cass. 3 settembre 1997,n. 8477). Successivamente nel 1998 una sentenza a Sezioni Unite della Suprema Corte (Cass. civ.,S.U., 12 gennaio 1998, n. 159) ha dato origine ad un orientamento restrittivo (Cass. 9 giugno 1998, n. 5662; Cass. 13 giugno 1998, n. 5926; Cass. 12 luglio 1999, n. 7329) che, prendendo come riferimento il profilo della certezza dei rapporti giuridici, ha voluto escludere qualunque correttivo al parametro legale matrimoniale ritenendo che non potesse rilevare l'eventuale periodo di convivenza more uxorio: «D'altronde, il parametro della durata del matrimonio è l'unico che sia comune sia al coniuge divorziato che a quello superstite, e, perciò, è anche l'unico che consenta una ripartizione del trattamento di reversibilità (perché di ripartizione della pensione di reversibilità si tratta e non della mera attribuzione di una quota) pienamente omogeneo».

In base a tale decisione «la quota della pensione di reversibilità spettante a ciascuno dei coniugi non può che essere data dal rapporto tra la durata legale del suo matrimonio con l'ex coniuge e la misura costituita dalla somma dei due periodi matrimoniali. Vale a dire che deve essere determinata sulla base di una frazione che ha, quale denominatore, il numero corrispondente alla somma degli anni dei due (o più, nel caso di più divorzi) periodi matrimoniali e, quale numeratore, il numero corrispondente alla durata del suo periodo matrimoniale legale. In concreto, ipotizzando che il matrimonio tra il coniuge divorziato e l'ex coniuge sia durato 17 anni e quello tra l'ex coniuge sia durato 8 anni, sicché la somma dei due periodi matrimoniali ammonti a 25 anni, la quota del coniuge divorziato è pari ai 17/25 del trattamento globale di reversibilità e la quota del coniuge superstite agli 8/25 dello stesso trattamento».

Nonostante tale orientamento, espresso con una decisione a Sezioni Unite, alcune Corti di merito hanno ritenuto di non potersi conformare all'indicazione di utilizzare, quale unico elemento, il criterio matematico proposto. In tal senso rileva la decisione del Tribunale di Taranto del 6 marzo 1998 con cui si era evidenziato come il mero criterio matematico avrebbe privilegiato il coniuge divorziato rispetto al coniuge superstite, non tenendo in debito conto situazioni particolari come ad esempio la circostanza che il matrimonio con il coniuge divorziato fosse durato moltissimi anni ma solo de iure, senza effettiva convivenza, mentre quello con il coniuge superstite, sebbene durato meno anni, fosse stato preceduto da un lungo periodo di convivenza durante il quale erano nati dei figli. «Il diritto del coniuge divorziato ad una quota della pensione di reversibilità spettante al coniuge superstite va calcolato secondo un criterio misto che tenga conto, non solo del dato temporale del rapporto coniugale, ma anche di altri criteri idonei a rendere il trattamento più corrispondente alla reale situazione di fatto in cui versano l'ex coniuge, il superstite e le loro rispettive famiglie (in particolare le condizioni economiche delle parti e l'eventuale scarto verificatosi tra matrimonio ed effettiva convivenza more uxorio del coniuge successivo, radicatasi prima del divorzio e protrattasi fino al nuovo matrimonio)».

«Non è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, per violazione dell'art. 3 Cost., dell'art. 9, comma3, l. 1º dicembre 1970 n. 898 e successive modifiche, nella parte in cui, ai fini della determinazione delle quote della pensione di reversibilità, tra coniuge superstite e coniuge divorziato del defunto, non esclude dal computo della durata del rapporto matrimoniale il periodo di separazione personale e non include il periodo di convivenza more uxorio, precedente la celebrazione del secondo matrimonio» (App. Genova 27 settembre 1999).

Tale orientamento è stato poi ripreso dalla Suprema Corte e si è fino ad oggi consolidato (e deve ritenersi ora applicabile anche alle unioni civili). «In tema di ripartizione della pensione di reversibilità tra coniuge superstite ed ex coniuge, il criterio della durata dei rispettivi matrimoni non può avere valore esclusivo, dovendo il giudice tener conto in relazione alle particolarità del caso, anche di ulteriori elementi, quali l'ammontare dell'assegno goduto dal coniuge divorziato prima del decesso dell'ex coniuge, la convivenza prematrimoniale del coniuge superstite con quello defunto, nonché ogni altra circostanza che renda necessario correggere il criterio suddetto, al fine di non privare il primo coniuge dei mezzi necessari a mantenere il tenore di vita che gli avrebbe dovuto assicurare nel tempo l'assegno di divorzio ed il secondo del tenore di vita che il de cuius contribuiva ad assicurargli in vita» (Cass. civ., sez. I, 16 dicembre 2004, n. 23379; Cass. civ., sez. I, 9 maggio 2007, n. 10638; Cass. civ., sez. I, n. 10391/2012).

Secondo la Giurisprudenza, inoltre, la decisione sulla ripartizione delle quote tra exconiuge divorziato e coniuge superstite, cui devono essere equiparati sia i rapporti tra le parti di unioni civili precedenti e attuali, nonché i rapporti tra i coniugi e parti di unioni civili, deve essere determinata in relazione alla situazione esistente al momento del decesso, al quale è collegato il beneficio previdenziale, e non è modificabile per effetto di circostanze sopravvenute. Ciò trova conferma nell'art. 9, comma 3, l. n. 898/1970, il quale, diversamente da quanto previsto dal comma 1, stesso articolo, non contempla la possibilità di revisione del quantum della pensione di reversibilità in relazione alla sopravvenienza di giustificati motivi. Pertanto, la sentenza resta soggetta agli ordinari strumenti processuali previsti per la sua impugnazione, ma non alla revisione prevista dall'art. 9, comma 1, l. n. 898/1970 (v. Cass. civ., sez. I, 28 luglio 2006, n. 17248).

L'INPS attenderà la sentenza del Tribunale che determini l'ammontare delle relative quote spettanti a coniuge superstite o parte superstite dell'unione civile ed ex coniuge superstite divorziato o ex parte dell'unione civile sciolta e nell'attesa della notifica del detto provvedimento non erogherà a quest'ultimo alcuna quota di pensione, ma, verificato che sulla pensione fosse trattenuto l'importo dell'assegno, detrarrà dalla quota spettante al superstite una quota pari all'assegno accantonandola cautelativamente.

Dopo la notifica della sentenza e contestualmente al primo pagamento nelle percentuali determinate dal tribunale (che verrà effettuato il primo giorno del mese successivo alla notifica della sentenza) l'INPS liquiderà all'ex coniuge superstite divorziato l'eventuale quota accantonata in via cautelativa.

Orientamenti a confronto

Quote della pensione di reversibilità tra coniuge divorziato in concorso con coniuge superstite

La ripartizione del trattamento di reversibilità, in caso di concorso tra coniuge divorziato e coniuge superstite, deve essere effettuata ponderando, con prudente apprezzamento, in armonia con la finalità solidaristica dell'istituto, il criterio principale della durata dei rispettivi matrimoni, con quelli correttivi, eventualmente presenti, della durata della convivenza prematrimoniale, delle condizioni economiche, dell'entità dell'assegno divorzile.

Cass. civ. sez. VI - 1 ord., 9 marzo 2022, n. 7623

Criterio della durata del matrimonio

L'attribuzione al coniuge divorziato di una quota della pensione di reversibilità ha una funzione solidaristica, che è la medesima dell'assegno di divorzio, finalizzata alla continuazione del sostegno economico in favore dell'ex coniuge (il quale, avendo diritto a ricevere dal titolare diretto della pensione mezzi necessari per il proprio adeguato sostentamento, vede riconosciuta la continuità di questo sostegno e la conservazione del diritto alla reversibilità di un trattamento pensionistico genericamente collegato al periodo in cui sussisteva il rapporto coniugale) e del coniuge superstite (come forma di ultrattività della solidarietà coniugale), consentendo la prosecuzione del sostentamento prima assicurato dal reddito del coniuge deceduto. In ogni caso e a tal fine, il giudice deve tenere conto dell'elemento temporale relativo alla durata del matrimonio, la cui valutazione non può in nessun caso mancare, ma che, al contempo, non può divenire esclusivo nell'apprezzamento del giudice e deve tenere conto di ulteriori elementi, correlati, per l'appunto, al presupposto funzionale che presiede al trattamento di reversibilità, da individuare facendo riferimento all'entità dell'assegno di mantenimento goduto dal coniuge divorziato ed alle condizioni economiche dei due, nonché alla durata delle rispettive convivenze prematrimoniali (Cass. civ. sez. I ord., 29 ottobre 2021, n. 30750).

Criterio equitativo

La ripartizione del trattamento di reversibilità tra coniuge divorziato e coniuge superstite, entrambi aventi i requisiti per la relativa pensione, va effettuata, oltre che sulla base del criterio della durata dei matrimoni, ponderando ulteriori elementi correlati alla finalità solidaristica dell'istituto, tra i quali la durata delle convivenze prematrimoniali, dovendosi riconoscere alla convivenza "more uxorio" non una semplice valenza "correttiva" dei risultati derivanti dall'applicazione del criterio della duratadel rapporto matrimoniale, bensì un distinto ed autonomo rilievo giuridico, ove il coniuge interessato provi stabilità ed effettività della comunione di vita prematrimoniale." (Cass. n. 26358/2011), oltre che ponderando ulteriori elementi, quali l'entità dell'assegno di mantenimento riconosciuto all'ex coniuge, le condizioni economiche dei due aventi diritto e la duratadelle rispettive convivenze prematrimoniali (Cass. n. 16093/2012), senza mai confondere, però, la duratadella convivenza con quella del matrimonio, cui si riferisce il criterio legale, nè individuare nell'entità dell'assegno divorzile un limite legale alla quota di pensione attribuibile all'ex coniuge, data la mancanza di qualsiasi indicazione normativa in tal senso. (Cass. civ. n. 25656/2020)

Decorrenza del diritto alla quota di reversibilità

Il versamento di somme in eccesso effettuate per errore al coniuge superstite costituisce un indebito oggettivo ai sensi dell'art. 2033 del Codice Civile che l'Ente previdenziale ha facoltà di recuperare atteso che la decorrenza del diritto alla quota di reversibilità decorre, in caso di concorso del coniuge superstite con quello divorziato, dal primo giorno del mese successivo al decesso del coniuge assicurato o pensionato stante la natura di credito pensionistico di tale quota. Ne discende che gli arretrati spettanti al coniuge divorziato dovranno essere posti a carico dell'Ente e non anche del coniuge superstite (App. Campobasso, 31 marzo 2016).

Cessazione del diritto alla pensione di reversibilità

Il diritto a percepire la pensione di reversibilità viene meno quando:

  • il coniuge/la parte dell'unione civile contragga nuovo matrimonio/nuova unione civile, spettandogli in tal caso un assegno una tantum pari a due annualità della pensione stessa nella misura spettante alla data del nuovo matrimonio, compresa la 13 mensilità, (art. 3 d.lgs. lgt. 18 gennaio 1945, n. 39). In tal caso aumenterà la quota spettante ai figli se presenti. In questo caso, ai sensi dell'art.3 d.lgs. lgt. n. 39/1945, ha diritto a un assegno una tantum pari a due annualità della quota di pensione mentre aumenta la quota spettante ai figli, se presenti;
  • i figli raggiungano, secondo i casi, i 18, 21 (se frequentano scuola media o professionale) o 26 anni (se frequentano l'università), quando terminino o interrompano gli studi (in tali casi si avrà solo la sospensione) o quando venga meno il loro stato di invalidità;
  • i figli studenti prestino attività lavorativa (in tal caso si avrà solo la sospensione);
  • i genitori conseguano altra pensione con data anteriore a quella di reversibilità;
  • i fratelli o le sorelle conseguano altra pensione o contraggano matrimonio, ovvero venga meno lo stato d'inabilità.

Su tutti i superstiti titolari di pensione di reversibilità grava l'obbligo di comunicare all'INPS, la cessazione delle condizioni che hanno dato luogo all'attribuzione della pensione e il verificarsi di qualsiasi evento che comporti modificazioni della stessa.

Da ultimo è necessario precisare come la rinuncia all'assegno di divorzio sia idonea a fare venire meno il diritto alla pensione di reversibilità solo ove giudizialmente accertata. In tema di assegno divorzile infatti, una volta che l'emolumento sia stato riconosciuto in sede giudiziale, senza subire decisioni di revoca o modifica, la mancata corresponsione di esso in concreto, per un periodo più o meno lungo senza che vi sia stata una reazione, giudiziale o stragiudiziale, da parte del coniuge-creditore, non comporta, ipso facto, la rinuncia al diritto, senza che vi sia stata una necessaria e corrispondente verifica giudiziale in ordine all'effettività della stessa rinuncia e alle correlate modificazioni dei presupposti per la sua percezione(Cass. civ. sez. I ord., 12 ottobre 2021, n. 27875).

Assegno integrativo della pensione di reversibilità

Il coniuge superstite titolare di pensione di reversibilità, qualora a causa di infermità o difetto fisico o mentale sia nell'assoluta e permanente impossibilità di dedicarsi ad un proficuo lavoro, ha diritto (ex art. 2, comma 8, d.l. n. 69/1988 convertito in l. 13 maggio 1988 n. 153 - Cass. civ. sez. lav., sent. 20 agosto 1996, n. 7668) a richiedere all'INPS un assegno correlato al reddito e calcolato in base agli importi pubblicati annualmente dall'INPS in tabelle valide dal 1° luglio di ogni anno, fino al 30 giugno dell'anno seguente.

Rilevanza della convivenza more uxorio

Da ultimo, si precisa come, in base alla l. 20 maggio 2016 n. 76, art. 1 commi 36-65, il “convivente di fatto”, di cui al comma 36 legge76/2016 non rientra nell'ambito dei soggetti beneficiari della pensione di reversibilità.

La giurisprudenza della Suprema Corte è orientata nello stesso senso, così in Cass. civ., sez. lav., 3 novembre 2016, n. 22318 ha affermato che «Non ha diritto alla reversibilità della pensione, a seguito del decesso del titolare della prestazione previdenziale, la persona che con quest'ultimo abbia instaurato una mera convivenza more uxorio, ancorché fondata su una relazione stabile e duratura, connotata dall'affetto reciproco e dalla continua assistenza morale e materiale».

La stessa Corte Costituzionale, nel dichiarare non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 13 R.D.L. n. 636/1939 e dell'art. 9, commi 2 e 3, l. n. 898/1970, sollevata in riferimento agli artt. 2 e 3 Cost., ebbe a ribadire l'esclusione del convivente more uxorio dal novero dei soggetti beneficiari, precisando quanto segue: «Diversamente dal rapporto coniugale, la convivenza more uxorio è fondata esclusivamente sulla affectio quotidiana - liberamente e in ogni istante revocabile - di ciascuna delle parti e si caratterizza per l'inesistenza di quei diritti e doveri reciproci, sia personali che patrimoniali, che nascono dal matrimonio. La mancata inclusione del convivente fra i soggetti beneficiari del trattamento di reversibilità rinviene allora una sua non irragionevole giustificazione nella circostanza che tale pensione si ricollega geneticamente ad un preesistente rapporto giuridico che qui per definizione manca. Con la conseguenza che, anche sotto l'aspetto considerato, deve ribadirsi la diversità delle situazioni poste a raffronto e, quindi, la non illegittimità di una differente disciplina di esse» (C. cost. 3 novembre 2000, n. 461).

Ed invero la convivenza more uxorio è ritenuta rilevante ai fini della pensione di reversibilità solo qualora sia successivamente sfociata in un vincolo matrimoniale (e ora anche in un'unione civile) ed unicamente ove vi sia la necessità di ripartire la pensione di reversibilità tra il coniuge divorziato e l'altro coniuge superstite o le parti di un'unione civile. In tal caso, infatti, il pregresso periodo di convivenza more uxorio può essere valutato dal giudice ai fini della quantificazione e della suddivisione del trattamento previdenziale tra i coniugi superstiti o le parti superstiti di un'unione civile.

Di recente la giurisprudenza è intervenuta anche in tema di convivenze di fatto tra persone dello stesso sesso, negando il diritto alla pensione di reversibilità, nella vigenza della disciplina antecedente alla data di entrata in vigore della l. n. 76/2016, a favore di superstite già legato da stabile convivenza con persona dello stesso sesso poi deceduta, in ragione del principio di irretroattività dettato dall'art. 11 preleggi (Cass. civ. sez. I ord., 14 marzo 2022, n. 8241). Infatti, stante la circostanza che la l. 76/2016 non prevede la possibilità di una sua applicabilità retroattiva a tutte le coppie omosessuali conviventi in modo stabile, la pensione di reversibilità non può spettare al partner superstite della coppia omosessuale (non unita civilmente) a seguito della morte del compagno prima dell'entrata in vigore della l. n. 76/2016 (Cass. civ. sez. lavoro, 14 settembre 2021, n. 24694).

Ad analoga conclusione la giurisprudenza è pervenuta per escludere il diritto alla reversibilità della pensione di inabilità a favore del convivente more-uxorio in una unione eterosessuale.

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