Divorzio: presupposti ed effetti

Rosa Muscio
14 Settembre 2023

Il divorzio è stato introdotto nel nostro ordinamento dalla legge 1° dicembre 1970, n. 898 che reca il titolo «Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio». Il termine atecnico, non essendo mai indicato nel testo normativo, vale ad inquadrare due diverse ipotesi di scioglimento del matrimonio previste dal nostro ordinamento in ragione dei due diversi tipi di matrimonio disciplinati dal codice civile: il matrimonio civile e il matrimonio religioso trascritto nei registri dello Stato Civile
Inquadramento

*Bussola aggiornata da Andrea Conti

Il termine divorzio indica la possibilità di sciogliere definitivamente il vincolo matrimoniale e, pur non trovando riscontro nel dato normativo, viene comunemente usato – superando l'etimologia latina che richiama lo scioglimento volontario del vincolo coniugale – per indicare due istituti: lo scioglimento del matrimonio civile, celebrato davanti alle Autorità Civili (art. 1, l. 898/1970), e la cessazione degli effetti civili del matrimonio religioso (art. 2, l. 898/1970).

Pertanto, nel genus divorzio sono ricompresi due istituti che, pur essendo unificati quanto a presupposti, modalità applicative ed effetti, assumono nomi differenti a seconda che il matrimonio sia stato celebrato secondo quanto prescrive il Codice civile ovvero secondo i canoni religiosi – e, quindi, comprensivo non solo del matrimonio concordatario, ma anche del matrimonio religioso riconducibile a culti ammessi dallo Stato ed a confessioni religiose disciplinate mediante Intese –. A riprova del fatto che la differente terminologia utilizzata dalla Legislatore non produce differenti regimi applicativi vi è da considerare che il Giudice, a fronte di una domanda volta ad ottenere lo scioglimento del matrimonio, possa pronunciare la cessazione degli effetti civili del matrimonio laddove emerga che si tratti di matrimonio religioso e non civile (Cass., SS.UU., 1332/1974).

Il divorzio presuppone come antecedente logico giuridico l'esistenza di un matrimonio valido (lo scioglimento delle unioni civili è regolato, invece, dall'art. 1, comma 22-27, l. 76/2016) e può essere richiesto da entrambi i coniugi (divorzio consensuale) oppure da uno solo di essi (divorzio giudiziale): ciò che risulta necessario è una domanda di parte, non potendo essere pronunciato ex officio, essendo la volontà di sciogliere il vincolo matrimoniale espressione di un diritto personalissimo ed indisponibile.

Laddove uno dei due coniugi sia straniero, potrà trovare applicazione la legge italiana solo nel caso in cui la legge nazionale non disciplina lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio (art. 12-quinquies l. 898/1970).

Il presupposto soggettivo

Il vincolo matrimoniale potrà essere definitivamente sciolto solo laddove ricorrano i presupposti tassativamente indicati dalla legge 1 dicembre 1970, n. 898.

In particolare, il Legislatore richiede al Giudice un duplice accertamento in quanto lo scioglimento e la cessazione degli effetti civili del matrimonio potranno essere dichiarati solo laddove sia venuta meno la comunione spirituale e materiale tra i coniugi (presupposto soggettivo – artt. 1 e 2 l. 898/1970) e sussista una delle condizioni di cui all'art. 3 l. 898/1970 (presupposto oggettivo). Occorre precisare che il divorzio riguarda il matrimonio rapporto e non anche il matrimonio atto che, in quanto costitutivo del vincolo, non viene inciso dal divorzio.

Con riferimento al presupposto soggettivo, la giurisprudenza ha chiarito che la comunione spirituale deve essere intesa – e verificata a seguito di un accertamento fattuale anche con una prospettiva pro futuro – come l'affectio coniugalis ovvero l'intenzione di considerare il coniuge come unico compagno di vita unita alla volontà di adempiere ai doveri coniugali; mentre, la componente materiale riguarda principalmente la convivenza ed è caratterizzata da una comune organizzazione domestica, dalla reciproca assistenza e, di regola, anche da rapporti sessuali. Tuttavia, le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione hanno precisato, anche alla luce delle indicazioni provenienti dal diritto sovranazionale, che la convivenza non deve essere equiparata alla mera coabitazione, ma deve essere intesa come elemento essenziale del rapporto che si manifesta come consuetudine di vita coniugale comune, stabile e continua nel tempo ed esteriormente riconoscibile e come fonte di una pluralità di diritti, doveri e responsabilità (Cass., SS.UU., 16379/2014 e Cass., 16380/2014).

Da ciò deriva che la mera ripresa della sola coabitazione non è di per sé sufficiente, almeno secondo il prevalente orientamento giurisprudenziale, ad escludere il divorzio: occorre che venga ricostituita la comunione materiale e spirituale del percorso di vita intrapreso dai coniugi.

I presupposti oggettivi

Il venir meno della comunione spirituale e materiale non è condizione da sola sufficiente a determinare lo scioglimento del vincolo matrimoniale, ma deve essere accompagnata da una delle eterogenee ipotesi tassativamente previste dall'art. 3 l. 898/1970. Per converso, appare corretto affermare che non sarà sufficiente la ricorrenza di una delle ipotesi di cui all'art. 3 l. 898/1970 per poter pronunziare una sentenza di divorzio, ma il Giudice dovrà accertare il venire meno dalla comunione materiale e spirituale e, dunque, la disgregazione della vita coniugale: il Giudice deve compiere necessariamente un duplice accertamento, non potendo procedere in maniera automatica al solo verificarsi di una delle condizioni di cui all'art. 3 l. 898/1970

La condotta penalmente rilevante

Il divorzio potrà essere domandato laddove il coniuge, successivamente alla celebrazione del matrimonio, sia stato condannato, con sentenza passata in giudicato, anche per fatti commessi in precedenza, a scontare una delle seguenti pene (art. 3, n. 1, l. 898/1970):

a) l'ergastolo ovvero una pena superiore ad anni quindici, inflitta anche con più sentenze, per uno o più delitti non colposi, esclusi i reati politici e quelli commessi per motivi di particolare valore morale e sociale (art. 3, n. 1, lett. a, l. 898/1970);

b) qualsiasi pena detentiva per il delitto di incesto, violenza sessuale, atti sessuali con minorenne, induzione, sfruttamento o favoreggiamento della prostituzione (art. 3, n. 1, lett. b, l. 898/1970);

c) qualsiasi pena per omicidio volontario di un figlio ovvero per tentato omicidio a danno del coniuge o di un figlio (art. 3, n. 1, lett. c, l. 898/1970);

d) qualsiasi pena detentiva per il delitto di lesioni volontarie gravissime in danno del coniuge o dei figli, violazione di assistenza familiare, maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli e circonvenzione di incapace in danno del coniuge o dei figli (art. 3, n. 1, lett. d, l. 898/1970). In tali ipotesi si deve anche accertare, non solo la sussistenza di un giudicato penale, ma anche l'inidoneità del coniuge condannato a mantenere od a ricostituire, anche alla luce della condotta assunta post delictum, la convivenza familiare.

La condotta penale appena descritta – che consente la pronuncia di divorzio anche senza il previo espletamento della fase di separazione giudiziale – può comportare lo scioglimento del vincolo matrimoniale solo nel caso in cui il coniuge penalmente responsabile non sia stato condannato per concorso nel reato ovvero nei casi in cui, nonostante la condanna, la convivenza sia ripresa (art. 3, comma 3, l. 898/1970). Sul punto si deve anche ricordare che, ai fini della pronunzia di divorzio, risulta irrilevante la sorte del giudicato penale a seguito dell'esperimento di impugnazioni straordinarie od in forza di provvedimenti di clemenza di qualsiasi natura idonei ad incidere sulla pena.

Inoltre, con riferimento alle ipotesi di cui all'art. 3, comma 1, lett. b) e c), l. 898/1970, in assenza di una sentenza di condanna, il divorzio può essere pronunciato anche se:

  1. il coniuge viene assolto per vizio totale di mente purché il Giudice accerti l'inidoneità del coniuge a mantenere od a ricostituire la convivenza familiare (art. 3, n. 2, lett. a, l. 898/1970);
  2. il coniuge viene prosciolto a seguito di una sentenza di non doversi procedere per estinzione del reato purché il Giudice accerti che sussistano, comunque, gli elementi costitutivi e le condizioni di punibilità del delitto (art. 3, n. 2, lett. c, l. 898/1970).

Infine, nel caso in cui il coniuge imputato per delitto di incesto non venga condannato, il divorzio può essere dichiarato nel caso in cui il proscioglimento o l'assoluzione si fondano sulla mancanza di pubblico scandalo (art. 3, n. 2, lett. d, l. 898/1970).

Il decorso del tempo

Il divorzio può essere pronunziato anche nel caso – statisticamente il più frequente nella prassi giudiziaria – in cui, al venir meno della comunione spirituale e materiale, si aggiunga il decorso di un certo lasso di tempo dalla separazione personale tra i coniugi (art. 3, n. 2, lett. b, l. 898/1970).

Il lasso temporale rilevante – originariamente fissato in cinque anni e successivamente, con la legge 6 marzo 1987, n. 74, ridotto a tre anni – deve essere pari, a fronte della modifica operata con la legge 6 maggio 2015, n. 55, a:

a) dodici mesi, decorrenti dalla data di comparizione dei coniugi davanti al Presidente del Tribunale, nel caso di separazione giudiziale;

b) sei mesi, decorrenti dalla data di comparizione dei coniugi davanti al Presidente del Tribunale, nel caso di separazione consensuale o di separazione divenuta consensuale dopo che il giudizio è stato introdotto come contenzioso;

c) sei mesi, decorrenti dalla data dell'atto di accordo certificata dagli Avvocati, nel caso di separazione raggiunta con negoziazione assistita tra avvocati (cfr. art. 6 l. 162/2014);

d) sei mesi, decorrenti dalla data dell'accordo siglato in presenza dell'Ufficiale di Stato civile, nel caso in cui la separazione sia raggiunta avanti all'Ufficiale di Stato Civile (cfr. art. 12 l. 162/2014).

Lo spatium temporis – non soggetto alla sospensione feriale del termine non avendo natura né di termine processuale, né di termine di decadenza sostanziale (Cass., sez. VI, 36176/2021) – indicato dalla norma in esame, secondo la giurisprudenza prevalente, deve essere interamente decorso al momento in cui viene proposta la domanda e non solo al momento della pronunzia giudiziale, con la conseguenza che una domanda proposta prima del completo decorso del termine annuale o semestrale comporta una declaratoria di difetto temporaneo di azione, con il rigetto della domanda allo stato degli atti. Tale pronunzia non impedisce la riproposizione della domanda in un momento successivo.

Sul punto occorre notare che non è sufficiente il mero decorso del tempo, ma anche che la sentenza che dichiari la separazione personale, ovvero il decreto di omologa, sia passata in giudicato (da ultimo, Cass, sez. VI-1, ord. 36176/2021). Il provvedimento deve essersi formato, da un lato, sulla questione relativa allo status, potendo il procedimento di separazione essere ancora pendente, al momento della presentazione della domanda di divorzio, relativamente alle questioni consequenziali (addebito, affidamento dei figli, profili patrimoniali) e, dall'altro lato, al momento della presentazione della domanda di divorzio, a pena di inammissibilità.

Nel caso di separazione consensuale deve essere intervenuta l'omologazione della stessa e l'eventuale pendenza di una lite sulla validità dell'accordo giustificativo della separazione consensuale tra coniugi pregiudica l'esito del giudizio, contemporaneamente pendente, di cessazione degli effetti civili del loro matrimonio e ne comporta la sospensione ex art. 295 c.p.c., perché l'eventuale annullamento di quell'accordo determinerebbe il venir meno, con effetto ex tunc, di un presupposto indispensabile della pronuncia di divorzio (Cass., sez. VI-1, 9 dicembre 2014, n. 25861).

Il termine annuale e semestrale si interrompe sia in caso di riconciliazione dei coniugi sia al ricorrere di un fatto interruttivo incompatibile con lo stato di separazione ovvero idoneo a ricostituire concretamente il preesistente vincolo coniugale. L'eventuale interruzione deve essere eccepita – con esclusione di una rilevabilità d'ufficio, almeno secondo una parte della giurisprudenza di merito – dal coniuge contro cui è richiesto il divorzio (art. 3, n. 2, lett. b, l. 898/1970).

Gli altri presupposti oggettivi

L'art. 3, n. 2, l. 898/1970 prevede la possibilità di pronunziare il divorzio, senza il previo espletamento della fase di separazione giudiziale, anche al ricorrere di altri tre presupposti oggettivi.

In primo luogo, lo scioglimento definitivo dal vincolo matrimoniale può essere dichiarato nel caso in cui il coniuge cittadino straniero abbia ottenuto, all'estero, l'annullamento o lo scioglimento del matrimonio ovvero nel caso in cui abbia contratto, all'estero, un nuovo matrimonio (art. 3, n. 2, lett. e, l. 898/1970). La ratio è quella di consentire al coniuge italiano di liberarsi dal vincolo matrimoniale in conseguenza di un comportamento tenuto all'estero dall'altro coniuge straniero.

In secondo luogo, il coniuge può chiedere il divorzio anche nelle ipotesi in cui il matrimonio non è stato consumato (art. 3, n. 2, lett. f, l. 898/1970).

In tali casi non risulta necessario né la preventiva pronuncia di separazione né il rispetto di alcun termine; mentre si discute se sia ammissibile una pronunzia di divorzio per inconsumazione su domanda congiunta delle parti. Il presupposto della mancata consumazione del matrimonio pone un particolare problema in tema di mezzi probatori – anche considerando l'irrilevanza dei motivi che hanno spinto alla non consumazione –: al di là delle ipotesi di impotenza coeundi, clinicamente accertata, la prova può essere fornita con qualunque mezzo ed anche per presunzioni, purché gravi precise e concordanti (cfr. Cass., sez. I, 2815/2006 e Trib. Trani, 1 aprile 2015, n. 581).

In terzo luogo, il divorzio può essere dichiarato nel caso in cui sia passata in giudicato una sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso a norma della legge 14 aprile 1982, n. 164.

Sul punto la Corte Costituzionale ha precisato che la sentenza di rettificazione dell'attribuzione di sesso di uno dei coniugi, che determina lo scioglimento del matrimonio o la cessazione degli effetti civili conseguenti alla trascrizione del matrimonio celebrato con rito religioso, deve consentire, ove entrambi i coniugi lo richiedano, di mantenere in vita un rapporto di coppia giuridicamente regolato con altra forma di convivenza registrata, che tuteli i diritti e gli obblighi della coppia medesima (Corte cost. 170/2014). L'art. 1, comma 27, l. 76/2016 stabilisce che alla rettificazione anagrafica di sesso, ove i coniugi abbiano manifestato la volontà di non sciogliere il matrimonio o di non cessarne gli effetti civili, consegue l'automatica instaurazione dell'unione civile tra persone dello stesso sesso. Tale dichiarazione si ritiene possa essere fatta già nel corso del procedimento giurisdizionale di rettifica dell'attribuzione di sesso, ma si può anche pensare che possa essere fatta successivamente con una dichiarazione congiunta dei due coniugi all'ufficiale dello stato civile all'atto dell'annotazione della sentenza di rettificazione.

Gli effetti personali

Lo scioglimento e la cessazione degli effetti civili del matrimonio determinano una serie di effetti personali che si producono, ex nunc, dal momento del passaggio in giudicato della sentenza:

  1. i coniugi, perdendo lo status di coniuge, riacquistano la libertà di stato ed il diritto di contrarre un nuovo matrimonio;
  2. la moglie perde il cognome del marito, salvo sussista un interesse meritevole di tutela per il coniuge o per i figli (art. 3, comma 2-4, l. 898/1970), che la giurisprudenza, rara sul punto, ha individuato nelle ipotesi di esercizio di un'attività imprenditoriale, professionale o artistica esercitata dalla donna con il cognome del marito ovvero nei casi in cui il cognome del marito sia divenuto un segno rappresentativo dell'identità della donna (Cass., sez. I, 21706/2015 e Cass., sez. VI, 654/2022);
  3. il coniuge conserva l'assistenza sanitaria se non gli spetta ad altro titolo (art. 3, comma 11, l. 898/1970);
  4. dal passaggio in giudicato della pronuncia di divorzio opera la presunzione di concepimento stabilita dall'art. 232 c.c. ed opera il divieto di contrarre matrimonio se non sono trascorsi 300 giorni dalla pronuncia di scioglimento o cessazione degli effetti civili salvo che la pronuncia sia stata emessa in base all'art. 3, n. 2, lett. b) e f), l. 898/1970;
  5. i rapporti con i figli rimangono immutati (art. 6 l. 898/1970): la crisi orizzontale della famiglia – che investe i coniugi – non ha riflessi sui rapporti verticali all'interno della famiglia – ovvero nei rapporti tra genitori e figli – che sono regolati dal Libro I, Titolo IX, Capo II del codice civile (artt. 337-bis e ss.) che disciplina l'adozione di provvedimenti concernenti i figli, anche nei casi di divorzio, concernenti le modalità ed il regime di affidamento, l'esercizio della responsabilità genitoriale, la forma del mantenimento e l'assegnazione della casa familiare.

Effetti patrimoniali

Lo scioglimento e la cessazione degli effetti civili del matrimonio determinano una serie di effetti personali che si producono, ex nunc, dal momento del passaggio in giudicato della sentenza:

1. vengono meno i diritti successori come conseguenza del venir meno dello status di coniuge. Il coniuge divorziato non potrà vantare diritti ereditarinei limiti della successione legittima. A differenza del coniuge separato perde l'aspettativa alla successione ereditaria nei beni dell'altro coniuge e il diritto di chiedere la corresponsione degli alimenti ai sensi dell'art. 433 c.c., diritto che viene definitivamente precluso dalla pronunzia di scioglimento del vincolo che ne costituisce il presupposto;

2. viene prevista la possibilità di porre a carico di un coniuge l'obbligo a somministrare all'altro il c.d. assegno di divorzio (art. 5, comma 6-8, l. 898/1970), fino al passaggio a nuove nozze (art. 5, comma 10, l. 898/1970). Su quest'ultimo punto occorre ricordare che recentemente le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione (Cass., SS.UU., 32198/2021) in tema di assegno divorzile in favore dell'ex coniuge hanno affermato che qualora sia instaurata una stabile convivenza di fatto tra un terzo e l'ex coniuge economicamente più debole questi, se privo anche nell'attualità di mezzi adeguati e impossibilitato a procurarseli per motivi oggettivi, conserva il diritto al riconoscimento dell'assegno di divorzio, in funzione esclusivamente compensativa; a tal fine il richiedente dovrà fornire la prova del contributo offerto alla comunione familiare, della eventuale rinuncia concordata ad occasioni lavorative e di crescita professionale in costanza di matrimonio, dell'apporto fornito alla realizzazione del patrimonio familiare e personale dell'ex coniuge. L'assegno, su accordo delle parti, può anche essere temporaneo. Da ultimo occorre ricordare che le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione hanno precisato che il riconoscimento dell'efficacia della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio religioso, intervenuto dopo il passaggio in giudicato della pronuncia di divorzio, ma prima che sia divenuta definitiva la successiva decisioni in ordine alle conseguenze economiche, non comporta la conclusione, per cessata materia del contendere, del procedimento divorzile che deve proseguire ai fini dell'accertamento dell'an e del quantum dell'assegno di divorzio (Cass., SS.UU., 9004/2021). Per un approfondimento sul punto si rinvia alla voce Assegno divorzile e una tantum;

3. in caso di morte dell'ex coniuge ed in assenza di un coniuge superstite avente i requisiti della pensione di reversibilità, il coniuge rispetto al quale è stata pronunziata la sentenza di divorzio ha diritto alla pensione di reversibilità al ricorrere di tre condizioni: a) non sia passato a nuove nozze; b) sia titolare di un assegno di divorzio e c) il rapporto da cui trae origine il trattamento pensionistico sia anteriore alla sentenza (art. 9, comma 2, l. 898/1970). Tale diritto permane anche nel caso in cui il coniuge deceduto abbia contratto nuove nozze, ma al coniuge divorziato spetterà solo una quota in ragione della durata del rapporto (art. 9, comma 3, l. 898/1970). Sul punto la giurisprudenza ha precisato che la ripartizione pro quota della pensione di reversibilità non deve avvenire unicamente in basa al dato temporale della durata del vincolo matrimoniale, ma occorre valorizzare anche l'entità dell'assegno di mantenimento, le condizioni economiche delle parti coinvolte, la durata delle eventuali convivenze prematrimoniali (Corte cost., 419/1999; Corte cost., 491/2000 e, da ultimo, Cass., sez. I, 21247/2021 e Cass., sez. I, 14383/2021, in linea la giurisprudenza di merito) e la situazione personale successiva in cui versi il coniuge richiedente – ossia un'eventuale relazione sentimentale stabile con convivenza – (Trib. Ancona, sez. I, 4 ottobre 2021, n. 8);

4. viene prevista la possibilità, per il beneficiario dell'assegno di divorzio, di ottenere, laddove versi in stato di bisogno, un assegno periodico a carico dell'eredità del coniuge defunto (art. 9-bis l. 898/1970);

5. il coniuge titolare dell'assegno di divorzio non passato a nuove nozze, ha diritto ad una percentuale dell'indennità di fine rapporto percepita dall'altro coniuge (art. 12-bis l. 898/1970), pari al 40% dell'indennità totale riferibile agli anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio. L'indennità è dovuta se maturata dopo la proposizione della domanda di divorzio, ma l'attribuzione della quota è riconnessa al riconoscimento giudiziario definitivo dell'assegno di divorzio (Cass., sez. I, 12175/2011). Sul punto la giurisprudenza di merito ha precisato che il diritto alla quota sorge soltanto se l'indennità venga a maturare al momento della proposizione della domanda introduttiva del giudizio di divorzio o successivamente ad essa. Ne consegue che il diritto non sorgerà ove l'indennità sia maturata e percepita dopo la pronuncia di separazione e di determinazione dell'assegno ed anteriormente alla proposizione della domanda di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio (Trib. Roma, sez. I, 1 ottobre 2021, n.94). La domanda volta ad ottenere l'attribuzione di una quota di trattamento di fine rapporto può essere proposta nell'ambito del procedimento di divorzio (Cass., sez. I, 27233/2008);

6. la pensione di reversibilità dovuta per la morte del figlio viene erogata in parti uguali ai genitori divorziati e, alla morte di uno dei due, la quota si consolida automaticamente in favore dell'altro (art. 12-ter l. 898/1970).

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