L'orizzonte etico del diritto penale: la punizione extraterritoriale delle condotte di maternità surrogata

29 Settembre 2023

È attualmente al vaglio del Parlamento un disegno di legge che estende la punibilità del (solo) cittadino italiano che ricorra alla maternità surrogata all'estero: si tratta di una deroga atipica al principio di territorialità, in quanto, nei paesi dove la pratica è consentita, la mancanza del requisito della doppia punibilità implica un prevedibile difetto di collaborazione tra Stati e sollecita una prognosi infausta circa l'effettività del c.d. “reato universale”.
Premessa

Il divieto di procreare attraverso il ricorso alle tecniche di maternità surrogata rappresenta uno degli orizzonti etici del diritto.

Le scelte sottese alla sua imposizione coinvolgono la valutazione dei diritti della donna gestante, di quelli dell'essere umano procreato e, infine, di quelli dei genitori di intenzione.

In Italia la procreazione attraverso la maternità surrogata è vietata e punita penalmente dall'art. 12, comma 6,l. n. 40 del 2004. Tuttavia molti Stati legittimano la procreazione attraverso la mediazione gestazionale di donne che rinunciano al rapporto con il nascituro.

A fronte di un difetto di consenso globale sulla illegalità del ricorso alla surrogazione di maternità, la giurisprudenza delle Alte corti ha dovuto affrontare il tema del riconoscimento del legame di filiazione ottenuta in paesi che vietano il ricorso alla surrogazione di maternità, giungendo a ritenere che la filiazione con il genitore biologico debba essere riconosciuta direttamente e quella con il genitore non biologico debba essere mediata dal procedimento di adozione (da ultimo in tale senso Corte Edu, C. v. Italia, 31 agosto 2023).

Definizione

La tecnica di riproduzione della maternità surrogata prevede che una donna accetti di portare a termine una gravidanza per altri, facendosi installare un embrione.

Nella surrogazione tradizionale, la madre surrogata viene fecondata con lo sperma del padre intenzionale, o di un donatore anonimo, e porta avanti la gravidanza con il proprio ovulo. Nella surrogazione gestazionale, invece, l'ovulo della madre intenzionale o di una donatrice viene fecondato con lo sperma del padre intenzionale o di un donatore anonimo e poi impiantato nell'utero della madre surrogata.

In Italia, la legge vieta la pratica, che è perseguita penalmente dall'art. 12, comma 6, l. 40/2004. Tuttavia, in altri paesi come gli Stati Uniti, il Canada e l'India, tale pratica è legale e regolamentata.

Prendendo in esame i trentacinque Stati membri del Consiglio d' Europa, tale tecnica è espressamente vietata in quindici Stati; in dieci di essi, è vietata dalle disposizioni generali o non è tollerata. Tuttavia, è espressamente consentita in sette paesi ed è tollerata in altri quattro. In tredici di questi trentacinque Stati, è possibile ottenere il riconoscimento legale del rapporto tra genitori affidatari e figli nati da maternità surrogata legalmente praticata all'estero. Ciò è possibile anche in altri undici di questi Stati (compreso uno in cui tale possibilità può applicarsi solo al rapporto genitore-figlio paterno quando il padre affidatario è il padre biologico), ma escluso nei restanti undici (tranne la possibilità in uno di essi di ottenere il riconoscimento del rapporto paterno di genitore-figlio quando il padre affidatario è il padre biologico: si tratta di dati tratti dalla ricognizione effettuata dalla Corte europea dei diritti umani nel caso Mennesson v. Francia, 26 giugno 2014).

La maternità surrogata al vaglio delle Alte Corti

I diritti dei genitori d'intenzione, del minore procreato con la surroga di maternità e delle gestanti sono già stati esaminati dalla Corte europea dei diritti umani, dalla Corte costituzionale e dalla Cassazione.

Dalla lettura delle decisioni di queste Corti emerge che le scelte in ordine alla legittimazione, o al divieto, della maternità surrogata implicano il bilanciamento tra tre diritti fondamentali: (a) il diritto della donna a non essere utilizzata come strumento o merce, (b) il diritto dell'essere umano generato attraverso tale tecnica ad ottenere il riconoscimento del suo legame di filiazione, (c) il diritto dei genitori d'intenzione ad una vita privata “identitaria”, coerente con le loro aspettative genitoriali.

a) Il diritto all'incolumità fisica e psichica delle donne.

A fondamento delle scelte politiche dei paesi che, come il nostro, hanno imposto il divieto, c'è la volontà di inibire la mercificazione del corpo delle donne, e, più in generale, di ledere la loro dignità, attraverso il contrasto delle condotte che si risolvono nella trasformazione del corpo umano in uno strumento di riproduzione.

Il divieto tutela, dunque, il diritto all'incolumità fisica e psichica delle donne, la cui dignità è preservata dal processo di reificazione e mercificazione implicito nella surroga gestazionale.

I paesi che legittimano la pratica ritengono che tale diritto - personalissimo - sia rinunciabile, e che, dunque, sia ammissibile la concessione su base volontaria dell'utero in affitto (a titolo gratuito o, finanche, oneroso).

Le scelte in ordine alla maternità surrogata si fondano su opzioni valoriali complesse che attingono il nucleo identitario della natura umana.

L'essere umano ha, infatti, da sempre percepito la propria identità, e identificato i propri confini etici, tarandoli sulle modalità “naturali” di sviluppo del ciclo vitale. Non è un caso che ogni intervento su tale corso naturale, come l'aborto, la procreazione medicalmente assistita e l'eutanasia sollevi controverse questioni etiche. E non deve stupire la difficoltà ad accettare la costituzione di nuclei affettivi tra persone omosessuali che replicano la famiglia “tradizionale” costruita intorno ad una coppia eterosessuale.

La Corte di cassazione italiana ha assunto una posizione netta sulla legalità della maternità surrogata affermando che il ricorso a tale pratica, quali che siano le modalità della condotta e gli scopi perseguiti, offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane. Ha ritenuto, pertanto, che non è automaticamente trascrivibile in Italia l'originario atto di nascita, che indichi come genitore quello “d'intenzione non biologico” che ha fatto ricorso alla surrogazione in uno Stato che la legittima (Cass. civ., sez. un., n. 38162/2022).

Si tratta di una posizione omogena a quella della Corte costituzionale che ha affermato che la maternità surrogata «offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane» (C. cost. n. 272/2017). Secondo i Giudici della Consulta, peraltro, «gli accordi di maternità surrogata comportano un rischio di sfruttamento della vulnerabilità di donne che versano in situazioni sociali ed economiche disagiate; situazioni che, ove sussistenti, condizionerebbero pesantemente la loro decisione di affrontare il percorso di una gravidanza nell'esclusivo interesse dei terzi, ai quali il bambino dovrà essere consegnato subito dopo la nascita» (C. cost n. 33/2021 § 5.1.)

Tali preoccupazioni sono anche alla base della condanna di «qualsiasi forma di maternità surrogata a fini commerciali» espressa dal Parlamento europeo nella propria Risoluzione del 13 dicembre 2016 sulla situazione dei diritti fondamentali nell'Unione europea nel 2015 (2016/2009-INI, § 82).

b) Il diritto dei minori al riconoscimento della loro identità.

Anche nei paesi che hanno scelto di imporre il divieto è avvertito il problema della tutela dei diritti dell'essere umano generato illegalmente. Si tratta di persone inermi, cui non può che essere riconosciuto il diritto di essere accolte e tutelate, essendo del tutto estranee all'accordo illecito.

La giurisprudenza delle Alte Corti sembra assestata nel ritenere doveroso il riconoscimento del rapporto di filiazione con entrambi i genitori d'intenzione, sia pure con modalità diverse. La giurisprudenza si è, infatti, assestata nel ritenere che il rapporto di filiazione deve essere riconosciuto direttamente con il genitore biologico, mentre deve essere stabilito con il tempestivo ricorso all'adozione con il genitore d'intenzione che non ha fornito la provvista genetica.

Si tratta di un approdo condiviso sia dalla Corte Europea dei diritti umani (Corte Edu C. v. Italia 31 agosto 2023, D.B. e a. c. Svizzera, 22 novembre 2022, Corte Edu, Mennesson v. Francia, 26 giugno 2014, Corte Edu, Paradiso e Campanelli v. Italia, Grande camera, 24 gennaio 2017), che dalla Corte costituzionale (C. cost. n. 33/2021) e dalla Cassazione civile (Cass. civ., sez. un., n. 38162/2022; Cass. civ., sez. un., n. 12193/2019).

La Corte europea ha ritenuto che il mancato riconoscimento del rapporto di filiazione del minore con il genitore biologico che ha affidato la gestazione alla madre surrogata viola l'art. 8 della Convenzione, dato che l'identificazione del rapporto di filiazione “biologica” involge un aspetto essenziale dell'identità. In tale area il margine di apprezzamento lasciato agli Stati è ristretto, sicché il mancato riconoscimento del rapporto lede il diritto del minore al riconoscimento della propria identità e costituisce una illecita ingerenza nel diritto alla vita privata.

Di contro, il legame di filiazione con il genitore d'intenzione non biologico può essere adeguatamente tutelato attraverso l'adozione.

Sono state, pertanto, considerate compatibili con il diritto convenzionale le decisioni di quegli Stati che hanno ritenuto illegittima la trascrizione dell'atto di nascita che indicava, come genitore, non solo quello che aveva fornito parte della provvista genetica, ma anche quello d'intenzione “non biologico” (Corte Edu, D c. Francia, 16 luglio 2020; Corte Edu, Mennesson v. Francia, cit.). Si tratta di soluzioni coerenti con quanto affermato nel parere consultivo richiesto alla Corte europea dalla Cassazione francese ed emesso il 10 aprile 2019 in ordine al riconoscimento di una relazione di filiazione tra un bambino nato a seguito di maternità surrogata all'estero e la madre affidataria, che non aveva fornito la provvista genetica.

Anche la Corte costituzionale, decidendo sulla legittimità della trascrizione nei registri dello stato civile di un rapporto di filiazione con un genitore d'intenzione non biologico, ha affermato che deve essere assicurata tutela all'interesse del minore al riconoscimento giuridico del suo rapporto con entrambi i componenti della coppia che non solo ne abbiano voluto la nascita in un paese estero in conformità alla lex loci, ma che lo abbiano poi accudito, esercitando di fatto la responsabilità genitoriale e che una tale tutela dovrà, in questo caso, essere assicurata attraverso un procedimento di adozione effettivo e celere, che riconosca la pienezza del legame di filiazione tra adottante e adottato, allorché ne sia stata accertata in concreto la corrispondenza agli interessi del bambino (C. cost. n. 33/2021 § 5.7.).

Nello stesso senso si è espressa anche la Cassazione che ha affermato che il minore nato all'estero mediante il ricorso alla surrogazione di maternità ha un diritto fondamentale al riconoscimento, anche giuridico, del legame sorto in forza del rapporto affettivo instaurato e vissuto con il genitore d'intenzione; e che tale esigenza è garantita dall'istituto dell'adozione in casi particolari, prevista dall'art. 44, comma 1, lett. d) della l. n. 184/1983 che, allo stato, rappresenta lo strumento che consente, da un lato, di conseguire lo status di figlio e, dall'altro, di riconoscere giuridicamente il legame di fatto con il "partner" del genitore genetico che ne ha condiviso il progetto procreativo ed ha concorso alla cura del bambino (Cass. civ., sez. un., n. 38162/2022).

Allo stato, dunque, secondo la giurisprudenza interna e sovranazionale, il minore procreato con il ricorso alla maternità surrogata deve essere tutelato attraverso il celere ricorso all'adozione con il genitore non biologico e con il riconoscimento immediato del rapporto di filiazione con il genitore “genetico” (ovvero che ha fornito parte della provvista genetica necessaria per la formazione dell'embrione).

c) Il diritto degli individui ad una vita privata coerente con le proprie aspettative.

Le scelte in ordine alla maternità surrogata implicano anche la valutazione del diritto dei genitori d'intenzione ad una vita privata coerente con i loro desideri ed aspettative, che si configuri come pienamente espressiva della loro identità personale.

Si tratta di un diritto che si colloca su un terreno intriso di scelte valoriali.

Non può non essere considerato che il desiderio di genitorialità può avere matrici narcisistiche o patologiche. E non deve essere dimenticato che dietro la scelta di generare un essere umano, rescindendo il legame tra gestante e bambino, possono esserci anche finalità illecite, tenuto conto che la procreazione con le tecniche della maternità surrogata potrebbe essere un modo per reperire persone da mercificare.

Ci si deve chiedere, allora, se il diritto ad una vita privata identitaria includa anche l'ipotetico diritto a legittimare, e tutelare, il rapporto di filiazione ottenuto con la mediazione gestazionale di una donna consenziente.

Secondo la Corte Edu il concetto di “vita privata” ai sensi dell'articolo 8 della Convenzione comprende l'integrità fisica e psicologica della persona (X e Y c. Paesi Bassi, 26 marzo 1985,) ed, entro certi limiti, il diritto di instaurare e sviluppare rapporti con altri esseri umani (Niemietz c. Germania, 16 dicembre 1992). Può comprendere aspetti pertinenti all'identità fisica e sociale di una persona (Mikulić c. Croazia,7 febbraio 2002) ed includere il diritto alla realizzazione personale o il diritto all'autodeterminazione (Pretty v. Regno Unito, 29 aprile 2002), nonché il diritto al rispetto delle decisioni di diventare o meno genitore (Evans v. Regno Unito, Grande Camera, 10 aprile 2007, A., B. e C. v. Irlanda, Grande camera, 16 dicembre, 2010).

Nonostante l'ampiezza della copertura offerta dall'art. 8 CEDU i giudici europei hanno considerato che la stessa non si estenda fino ad includere il diritto di diventare genitore. È stato anzi affermato chel'interesse collettivo al rispetto delle norme nazionali che vietano la maternità surrogata e che regolamentano l'adozione è prevalente rispetto al diritto dei genitori non biologici a proseguire la loro relazione con il minore. La Corte ha, infatti, ritenuto compatibile con il diritto convenzionale l'allontanamento del bambino generato con la surrogazione di maternità dalla coppia che avevano affidato il mandato gestazionale ad una donna russa che si era fatta installare un embrione formato con una provvista genetica non riconducibile ai mandanti (Corte Edu, Paradiso e Campanelli v. Italia, cit.).

La sussistenza di ingerenze illecite al diritto tutelato dall'art. 8 della Convenzione state analizzate dalla Corte di Strasburgo non solo sotto il profilo della possibile lesione del diritto alla vita privata, ma anche sotto quello della lesione del diritto alla vita familiare.

Si è così affermato che il diritto al rispetto della vita familiare non tutela il semplice desiderio di costituire una famiglia, ma presuppone l'esistenza della famiglia, o almeno di una relazione familiare potenziale (Moretti e Benedetti c. Italia, n. 16318/07, § 48, 27 aprile 2010, e Kopf e Liberda c. Austria, n. 1598/06, § 37, 17 gennaio 2012).

Si tratta di una posizione in linea con quella della Cassazione, che ha affermato che «va escluso che il desiderio di genitorialità, attraverso il ricorso alla procreazione medicalmente assistita lasciata alla autodeterminazione degli interessati, possa legittimare un presunto diritto alla genitorialità comprensivo non solo dell'an e del quando, ma anche del quomodo (C. cost., n. 79/2022)». E che «non v'è nel sistema normativo un paradigma genitoriale fondato unicamente sulla volontà degli adulti di essere genitori e destinato a concorrere liberamente con quello naturalistico» individuando, tuttavia, il limite a tale espansione nella legittimazione del ricorso alla procreazione medicalmente assistita attuata con fecondazione eterologa e nel divieto di ricorso alla maternità surrogata (Sez. U, n. 38162 del 30/12/2022, Rv. 666544 – 03; § 21.2).

Lo sfumato orizzonte etico “globale” del diritto penale

La breve - ed incompleta - panoramica sulla giurisprudenza delle Alte corti in relazione ai casi di maternità surrogata consente di comprendere le ragioni per cui, nella nostra epoca, il ricorso tale tecnica di riproduzione è controverso e non è oggetto di repressione penale in tutti gli Stati.

Le scelte in ordine alla surrogazione di maternità implicano il bilanciamento tra diversi diritti fondamentali dell'individuo e possono essere effettuate solo sulla base di complesse opzioni valoriali.

Tali scelte - allo stato - disegnano l'orizzonte etico del diritto penale “globale”. Orizzonte che non si profila affatto lineare, ma carsico.

Gli Stati che hanno scelto di legalizzare il ricorso alla procreazione attraverso la mediazione gestazionale di donne consenzienti hanno ritenuto disponibile il diritto alla incolumità fisica e psichica delle gestanti ed hanno ritenuto degno di tutela il desiderio dei genitori di intenzione di realizzare il loro progetto di filiazione.

Di contro, gli Stati che - come il nostro - penalizzano la condotta di ricorso alla maternità surrogata hanno ritenuto prevalente la necessità di evitare la mercificazione di donne deboli ed economicamente deprivate. Ed hanno ritenuto non degno di tutela il diritto alla genitorialità non biologica ottenuta con strumenti diversi dall'adozione.

Tuttavia, a fronte di tale frastagliato panorama normativo, la giurisprudenza delle Alte corti esprime una chiara tensione verso la tutela della dignità delle donne e dei diritti del minore cui deve essere assicurato il riconoscimento del legame di filiazione, necessario per garantire l'identità dell'essere umano.

È sicuramente un panorama in divenire.

Gli orizzonti etici del diritto vengono tracciati sulla base della sensibilità culturale delle comunità nazionali, espresse da scelte di politica legislativa che si fondano su consapevoli opzioni valoriali, ontologicamente mutevoli, in quanto correlate allo sviluppo delle sensibilità collettive (si pensi al divorzio, all'aborto, all'eutanasia).

La punibilità extraterritoriale dell'italiano che ricorre alla maternità surrogata all'estero (D.d.l. S. 824)

Il disegno di legge all'attenzione del Parlamento propone la penalizzazione del cittadino italiano che all'estero - laddove è consentito - faccia ricorso alla maternità surrogata.

Si tratta di una scelta legislativa legittimata dell'articolo 7 c.p. che assegna al legislatore la possibilità di derogare con legge al principio di territorialità che disciplina in via generale l'area di applicazione del nostro diritto penale.

Tale scelta deve, tuttavia, fare i conti con il fatto che, come si è descritto, non vi è condivisione globale sulla illegalità del ricorso alla maternità surrogata il che, in concreto, rischia di rendere non operativo il divieto descritto nel cosiddetto reato “universale”.

Questo – come si è visto - è, al contrario, assai “nazionale”: l'estensione di punibilità è, infatti rivolta solo alle persone che hanno una nazionalità italiana e non a tutti i concorrenti (la madre surrogata ad esempio, come gli operatori sanitari che eseguono l'impianto dell'embrione saranno stranieri). Sicché la scelta di punire (solo) l'italiano che all'estero ricorre alla surrogazione rischia di essere di difficile attuazione, a causa della disomogeneità delle scelte di penalizzazione effettuate dai vari Stati. collaborazione penale internazionale si fonda, infatti, sul principio della doppia punibilità, ovvero all'esistenza di un progetto di repressione comune agli Stati collaboranti.

La norma all'esame del Parlamento è, invece, rivolta solo agli italiani. E non potrebbe essere diversamente dato che non si può perseguire uno straniero che compie una condotta ritenuta lecita nel suo stato.

Si tratta di una norma destinata ad essere sterilizzata in concreto dalla mancanza dei presupposti per la collaborazione internazionale. Alla extraterritorialità “unilaterale” – perché rivolta al solo autore del reato “italiano” - resta assegnata una funzione general preventiva, invero tutta da verificare.

La penalizzazione extraterritoriale dei connazionali che ricorrono alla maternità surrogata nei paesi dove la stessa è consentita rischia, dunque, di infrangersi contro gli scogli costituiti dalla non omogeneità delle scelte di penalizzazione, che riflettono, a loro volta, orientamenti valoriali e culturali non sovrapponibili.

La soluzione del problema richiede piuttosto la condivisione di scelte valoriali ed una penalizzazione condivisa tra gli Stati, sicché il percorso da tracciare è ineludibilmente quello della stesura di convenzioni internazionali che prevedano omogeneamente in tutti gli Stati coinvolti i termini del divieto e – tema sul quale si registra invece un deciso consenso – le modalità di concreta tutela dell'essere umano procreato.

In conclusione

Il vero dato con cui questo tema ci costringe a confrontarci è che principio di territorialità del diritto penale, sia quando coinvolge scelte valoriali ai confini dell'etica condivisa, come quello del ricorso alla maternità surrogata, sia quando coinvolge interessi economici, o la gestione delle migrazioni, segna il passo.

Fino ad oggi il genoma valoriale degli Stati era sufficientemente identificabile attraverso le scelte di repressione penale: il diritto penale ha sempre disegnato il “volto etico” delle comunità nazionali, dato che il terreno della repressione è intriso di valori, e si fonda sul “giusto percepito” da collettività in perenne trasformazione.

Ora bisogna prendere atto che i confini del diritto penale saranno tracciabili solo attraverso le convenzioni internazionali e non attraverso i diritti nazionali. E che l'epoca che viviamo, e quelle che seguiranno, impongono scelte condivise realmente globali e non nominalmente universali.

Un criminologo inglese (Nigel Walker) ha scritto che “la legislazione di una generazione può divenire la morale della generazione successiva”.

Invero nel perenne divenire delle collettività non è chiaro se sia l'etica che genera il diritto. O il diritto che genera l'etica.

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