Risarcimento del minore per divieto di praticare sport durante il periodo di contenimento per Covid-19
18 Dicembre 2023
Massima Nel periodo di confinamento per il Covid-19, lo Stato ha sempre mantenuto aperta per la popolazione la possibilità di svolgere, seppur con modalità adeguate alla situazione pandemica, ossia “nei pressi della propria abitazione”,e osservando il c.d. distanziamento sociale, quella “attività sportiva e motoria” che ha costituito l’ultimo diaframma fra la massima compressione possibile della circolazione e l’ablazione della libertà personale. Il caso Con ricorso e contestuale istanza cautelare, Tizio chiedeva l’annullamento dell’ordinanza contingibile e urgente del Presidente della Regione Sicilia 11 aprile 2020, n. 16, lamentando che tale provvedimento, nella parte in cui vieta ogni attività motoria all’aperto, anche in forma individuale - ivi inclusa quella dei minori accompagnati dai genitori - impone, di fatto, al minore ricorrente una permanenza domiciliare assoluta. Tale misura, secondo la parte istante, si poneva in contrasto con il DPCM 10 aprile 2020, che, invece, consentiva a tutti, e perciò anche ai minori, lo svolgimento di un’attività sportiva e motoria quantomeno nei pressi dell’abitazione, alla sola condizione del mantenimento della distanza di sicurezza di un metro da ogni altra persona, così determinando per i minori residenti in Sicilia un trattamento deteriore rispetto a quanto previsto nel resto di Italia, perché più restrittivo rispetto alla possibilità di esercitare le libertà costituzionali, ossia la libertà di circolazione, ma anche la libertà personale, cui l’appellante fa più volte riferimento in atti. Si costituiva in giudizio l’amministrazione intimata, per resistere al ricorso di Tizio. Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Sicilia si pronunciava sull’appello e lo accoglieva, in riforma della sentenza appellata, dichiarando illegittima l’ordinanza contingibile e urgente emanata dal Presidente della Regione Sicilia e condannando la stessa al risarcimento del danno non patrimoniale cagionato da tale ordinanza al ricorrente, liquidato in 1.000 euro, e condannando la Regione siciliana a rifondere a Tizio le spese del doppio grado di giudizio. La questione Nella sempreverde dialettica tra i concetti di Autorità e di Libertà, può l'ordinanza proveniente dalla Regione, in un periodo di pandemia, esser più restrittiva del DPCM emesso dal Governo statale e comprimere del tutto il diritto del minorenne alla pratica di attività sportiva e motoria, inibendo allo stesso qualsivoglia spostamento al di fuori della propria abitazione? Le soluzioni giuridiche Nel caso di specie, giova premettere la necessaria ricostruzione della normativa vigente alla data (11 aprile 2020) di adozione dell'ordinanza impugnata per fronteggiare la pandemia, nonché il collocamento di quella nel sistema delle fonti, in particolare per quanto concerne i rapporti tra le competenze dello Stato e quelle delle Regioni. È a tutti ben noto che, in data 31 gennaio 2020, il Consiglio dei ministri, ai sensi degli artt. 7, comma 1, lettera c) e 24, comma 1, del decreto legislativo 2 gennaio 2018, n. 1 (Codice della protezione civile), aveva dichiarato lo stato di emergenza sul territorio nazionale per la durata di sei mesi “in conseguenza del rischio sanitario connesso all'insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili”. Successivamente, era stato emanato il decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6 che genericamente demandava alle autorità competenti l'adozione di ogni misura di contenimento e gestione adeguata e proporzionata all'evolversi della situazione epidemiologica nei comuni o nelle aree nei quali risultava positiva almeno una persona per la quale non si conosce la fonte di trasmissione o comunque nei quali vi è un caso non riconducibile a una persona proveniente da un'area già interessata dal contagio del menzionato virus; seguiva un'elencazione, all'epoca non tassativa, delle misure adottabili. L'art. 2 conteneva, inoltre, una formulazione “aperta“, autorizzando le autorità componenti ad adottare ulteriori misure di contenimento e gestione dell'emergenza, al fine di prevenire la diffusione dell'epidemia da Covid-19, anche fuori dai casi di cui al citato articolo 1, comma 1. L'art. 3 regolava, quindi, l'attuazione delle misure di contenimento affidandola essenzialmente allo strumento del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri; l'adozione delle misure di contenimento tramite ordinanze contingibili e urgenti del Ministro della salute, dei presidenti delle regioni o dei sindaci era infatti stata relegata ad ambiti puramente interinali e residuali, essendo consentita unicamente “nelle more dell'adozione dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri di cui al comma 1” e solo “nei casi di estrema necessità e urgenza” (comma 2). La tipizzazione delle misure di contenimento operata dal d.l. n. 19 del 2020 è stata corredata dall'indicazione di un criterio che orienta l'esercizio della discrezionalità attraverso i “principi di adeguatezza e proporzionalità al rischio effettivamente presente su specifiche parti del territorio nazionale ovvero sulla totalità di esso” (art. 1, co. 2). “In tal senso assume rilievo quanto stabilito dall'ultimo periodo dell'art. 2, comma 1, dello stesso d.l. n. 19 del 2020, cioè che “per i profili tecnico-scientifici e le valutazioni di adeguatezza e proporzionalità, i provvedimenti di cui al presente comma sono stati adottati sentito, di norma, il Comitato tecnico-scientifico di cui all'ordinanza del Capo del dipartimento della Protezione civile 3 febbraio 2020, n. 630., pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 32 dell'8 febbraio 2020”. Per quanto riguarda i rapporti tra competenza statale e quella regionale, la legislazione pandemica è stata considerata rientrante nella materia, di competenza legislativa esclusiva statale, della “profilassi internazionale” (art. 117, secondo comma, lettera q, Cost.), ritenuta “comprensiva di ogni misura atta a contrastare una pandemia sanitaria in corso, ovvero prevenirla”, avente cioè “un oggetto ben distinto che include la prevenzione o il contrasto delle malattie pandemiche, tale da assorbire ogni profilo della disciplina” (così Corte costituzionale 12 marzo 2021, n. 37). Sempre secondo la citata decisione della Corte, infatti, “a fronte di malattie altamente contagiose in grado di diffondersi a livello globale ragione logiche, prima che giuridiche (sentenza n. 5 del 2018) radicano nell'ordinamento costituzionale l'esigenza di una disciplina unitaria, di carattere nazionale, idonea a preservare l'uguaglianza delle persone nell'esercizio del fondamentale diritto alla salute e a tutelare contemporaneamente l'interesse della collettività (Corte cost. sent. n. 169/2017, n. Corte cost. 338/2003 e Corte cost. n. 282/2002)”. Conseguentemente, si è affermato che le Regioni, sulla scorta delle attribuzioni loro spettanti nelle materie concorrenti della “tutela della salute” e della “protezione civile”, possano operare a fini di igiene e profilassi anche in corso di un'emergenza pandemica; ciò, tuttavia, solo nel quadro delle misure straordinarie adottate a livello nazionale, stante il grave pericolo per l'incolumità pubblica. Da quanto sopra, dunque, emerge chiaramente, in altri termini, che non vi può essere alcuno spazio di addestramento della normativa statale alla realtà regionale, che non sia stato preventivamente stabilito dalla legislazione statale. Alle Regioni, ai sensi dell'art. 3 del decreto-legge n. 19 del 2020, era infatti consentita l'adozione di una disciplina più restrittiva solo in presenza dei presupposti previsti dallo stesso articolo, che così recita: “Nelle more dell'adozione dei decreti del Presidente del Consigli dei ministri di cui all'articolo 2, comma 1, e con efficacia limitata fino a tale momento, le regioni in relazione a specifiche situazioni sopravvenute di aggravamento del rischio sanitario verificatesi nel loro territorio o in una parte di esso, possono introdurre misure ulteriormente restrittive rispetto a quelle attualmente vigenti, tra quelle di cui all'articolo 1, comma 2, esclusivamente nell'ambito delle attività di loro competenza e senza incisione delle attività produttive e di quelle di rilevanza strategica per l'economia nazionale ”. Ciò aveva chiaramente la finalità di evitare che, nelle more degli aggiornamenti dei DPCM alle curve epidemiologiche, potessero verificarsi vuoti di tutela quanto a circostanze sopravvenute e non ancora considerate dall'amministrazione statale, ma con la conseguenza che, una volta sopravvenuta tale considerazione – presunta iuris et de iure con la pubblicazione del successivo DPCM - ogni ulteriore intervento regionale non avrebbe più potuto fondarsi legittimamente su fatti e situazioni verificatesi anteriormente a detto DPCM. Osservazioni Sulla scorta di quanto sin qui considerato, anche ove fosse presente un effettivo aggravamento del rischio sanitario, la decisione di adottare misure ulteriormente restrittive avrebbe dovuto trovare fondamento nei principi di adeguatezza e proporzionalità al rischio effettivamente presente e, comunque, sotto la continuativa vigilanza statale nei sensi e modi predetti. Nessun ulteriore ambito di legittimo intervento sanitario durante la pandemia è stato lasciato alle singole regioni. Nè il fatto storico che alcune di esse, verosimilmente per ragioni “politiche”, si siano comunque appropriate di ambiti ulteriori di intervento, poiché in quei momenti di terrore collettivo generava, paradossalmente, più consenso il “proibire” rispetto che il “consentire” lo svolgimento di qualsiasi attività sociale, può aver reso legittimi tali interventi regionali. Ciò assume particolare rilievo ove si considerino le conseguenze prodotte da alcune misure nella dialettica tra “Autorità” e “Libertà” poiché incidenti sulla libertà e sulla mobilità dei cittadini, e che quindi possono consentirsi solo in presenza dei motivi di sanità che, sulla base delle previsioni di legge, legittimano la compressione della libertà di circolazione ai sensi dell'articolo 16 della Costituzione. La libertà di circolazione, diversamente da quella personale che, ai sensi dell'art. 13 della Costituzione“è inviolabile” e non prevede limitazioni per motivi di sanità, può infatti essere compressa mediante le “limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità” (o di sicurazza). Ed è in questo quadro ordinamentale che si colloca l'ordinanza della Regione Sicilia qui oggi in commento. Tuttavia, come emerge dal contesto normativo che si è sin qui evocato, in termini di difformità dall'ambito previsto dalla normativa di rango costituzionale e primario, id est di legittimità. Pertanto, premesso che la competenza statale esclusiva in materia di profilassi internazionale si impone anche alla Regione siciliana, giacchè neanche essa può vantare un'attribuzione statutaria avente simile oggetto in tale contesto, e alla luce dei richiamati principi, l'ordinanza del Presidente della Regione Sicilia 11 aprile 2020 recante “Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19” (che si è già detto essere applicabili sull'intero territorio nazionale), non supera lo scrutinio di legittimità del Consiglio di Giustizia Amministrativa. Nelle premesse della suddetta ordinanza si dà infatti conto, genericamente, di “un aumento del numero complessivo dei contagi sul territorio regionale rispetto ai dati rilevanti nei precedenti giorni”; peraltro, addirittura con la precisazione che “sia apprezzabile una diffusione del contagio inferiore rispetto ad altre parti del territorio nazionale” e che grazie alle efficaci misure di contenimento adottate dalla Regione Sicilia per contrastare il diffondersi del contagio, la Sicilia, alla luce dei dati raccolti sull'andamento dell'epidemia, “potrebbe essere la prima Regione italiana a raggiungere l'obiettivo di zero contagi”. Risulta, dunque, evidente che, in tale dichiarato contesto fattuale, nessun aggravamento rispetto alle misure statali avrebbe potuto legittimamente imporre la Regione siciliana – né le varie altre regioni che, in contesti fattuali non dissimili, perseguivano il contesto semplicemente cercando di primeggiare quanto a imposizioni di divieti alla popolazione. Più spesso, e come in questo caso, contra legem, che praeter legem, non potendo applicare, in particolare e per quanto rileva ai fini del presente giudizio, il divieto di svolgere financo quella “attività sportiva e motoria” che, almeno “nei pressi della propria abitazione”, la normativa statale ha sempre continuato a voler garantire (alla sola condizione dell'osservanza del c.d. distanziamento sociale minimo di uno o due metri tra le persone). Perseguendo consapevolmente, in tal modo, un ponderato, ma complessivamente equilibrato bilanciamento tra l'esercizio dell'autorità (giustificato dall'emergenza pandemica, ma sempre mantenuto nei limiti da essa concretamente imposti) e il rispetto della libertà dei cittadini, in particolare, di libertà personale, sulla quale non si è mai ritenuto di potere né di volere incidere. Lo Stato è giunto fino a porre in essere, in alcuni non brevi periodi, un'estrema limitazione della libertà di circolazione, ma mai, neppure nelle c.d. zone rosse, ha inteso spingere tali limitazioni fino a porre la popolazione non infetta, o non in quarantena, in condizioni sostanzialmente analoghe a quella della detenzione domiciliare (che, parimenti, ex art. 284, comma 3, c.p.p., può consentire di allontanarsi da casa, seppur solo per esigenze alimentari e per motivi di lavoro): cosa che invece hanno fatto alcune regioni, tra le quali la Regione siciliana con l'ordinanza qui in commento. Ed è proprio in siffatta prospettiva che si spiega come e perchè lo Stato abbia sempre mantenuto aperta, per la popolazione, la possibilità di svolgere, seppur con modalità conformate alla situazione pandemica, l'attività sportiva e motoria. A completamento di detto contesto, si ricorda come, con Ordinanza del Ministro della salute 20 marzo 2020, era stato vietato lo svolgimento di attività ludica o ricreativa all'aperto, ma restava espressamente consentito di svolgere individualmente attività motoria in prossimità della propria abitazione, sempre nel rispetto della distanza di almeno un metro da ogni altra persona. Il DCPM 1 aprile 2020, con effetto dal 4 maggio 2020, ha poi ripristinato maggiore libertà in tema di attività sportiva, in particolare consentendo di svolgere individualmente, ovvero con accompagnatore per i minori o le persone non autosufficienti, l'attività sportiva o quella motoria, non più necessariamente in prossimità della propria abitazione, purchè comunque nel rispetto della distanza di sicurezza interpersonale di almeno due metri per l'attività sportiva e di almeno un metro per ogni altra attività. |