Finanziamenti e apporti spontanei dei soci

Serena Papini
10 Giugno 2015

L'art. 2467 c.c. prevede che il rimborso dei finanziamenti dei soci a favore della società sia postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori e, se avvenuto nell'anno precedente la dichiarazione di fallimento della società, debba essere restituito. La disposizione definisce quali “finanziamenti dei soci” quelli, in qualsiasi forma effettuati, che sono stati concessi in un momento in cui, anche in considerazione del tipo di attività esercitata dalla società, risulta un eccessivo squilibrio dell'indebitamento rispetto al patrimonio netto oppure in una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento. Il Legislatore ha inteso ovviare al fenomeno della c.d. sottocapitalizzazione nominale che si caratterizza per il fatto che il fabbisogno finanziario della società, necessario per il conseguimento dell'oggetto sociale, è soddisfatto prevalentemente tramite finanziamenti, diretti o indiretti, provenienti dagli stessi soci piuttosto che con il capitale di rischio, con la conseguenza che gli stessi rivestono contemporaneamente la posizione di creditori e quella di titolari delle rispettive partecipazioni sociali. Il fenomeno si concretizza allorché la società si trovi in una situazione di crisi ed i soci, anziché capitalizzare la società aumentando il rischio assunto, effettuino un prestito alla società ammortizzando il rischio (e, anzi, traslando il rischio di impresa sui creditori/terzi) atteso che, in caso di fallimento della società, per quanto versato a titolo di finanziamento, partecipano al concorso in qualità di creditori a tutto discapito dei creditori esterni alla società. Il fondamento della regola espressa si rinviene nella circostanza che - pur essendo in linea di principio il finanziamento dei soci pienamente legittimo - i soci di s.r.l., in considerazione della titolarità di ampi e penetranti poteri individuali di informazione e controllo, sono in una indubbia posizione di vantaggio nei confronti dei creditori esterni alla compagine sociale, con la conseguenza che gli stessi si presumono in grado di diagnosticare la crisi di impresa con maggiore tempestività rispetto ad un investitore esterno.
Introduzione

L'art. 2467 c.c. in tema di s.r.l. - disposizione espressamente richiamata dall'art. 2497-quinquies c.c. per i finanziamenti nell'attività di direzione e coordinamento (da ultimo si segnala la recente pronuncia del Tribunale di Torino che ha ritenuto che “l'articolo 2497-quinquies c.c., in tema di postergazione ex articolo 2467 c.c. del rimborso dei finanziamenti effettuati a favore della società da chi esercita attività di direzione e coordinamento, si riferisce all'ipotesi dei finanziamenti effettuati dalla capogruppo o dalle società ad essa sottoposte (le cosiddette società "sorelle"), a favore di società del gruppo e non è applicabile al rimborso dei finanziamenti effettuati a favore di soggetti che siano soci indiretti e non sia individuabile un rapporto diretto di direzione e coordinamento tra le parti”, Trib. Torino, 16 febbraio 2015) – si compone di due commi il primo dei quali contiene una regola di diritto sostanziale e una di diritto fallimentare mentre al secondo comma viene delineata la fattispecie oggetto di disciplina (Papini, Sub artt. 2466-2467, in Cagnasso, Mambriani, Codice della società a responsabilità limitata, Roma, 2015, 249; Cagnasso, La società a responsabilità limitata, in Cottino (diretto da), Trattato di diritto commerciale, V, Padova, 2007; Balp, I finanziamenti dei soci "sostitutivi" del capitale di rischio: ricostruzione della fattispecie e questioni interpretative, in Riv. Soc., 2007, 345; Campobasso, I finanziamenti dei soci, Torino, 2004).

Si ritiene che la norma, nel prescrivere, seppur indirettamente, l'incremento dei mezzi propri a fronte dello squilibrio finanziario o di un indebitamento eccessivo rispetto al patrimonio netto, esprima un principio generale di diritto dell'impresa – inderogabile - in quanto correlato al paradigma di adeguatezza finanziaria di cui all'art. 2381, commi 3 e 5, c.c.(ovvero secondo taluni un limite legale al principio di libertà nel finanziamento dell'impresa) e quindi di proporzione tra il capitale sociale e l'attività svolta dall'impresa organizzata in forma societaria.

La regola impedisce che il socio possa trasferire il rischio di impresa ai creditori e partecipa a quell'apparato precettivo (avuto riguardo in particolare alla disciplina del capitale sociale ed alla disciplina del fallimento) volto ad imporre ai soci, di fronte alla crisi dell'impresa, la ricapitalizzazione della società ovvero la cessazione della stessa, prima di compromettere irrimediabilmente le possibilità di soddisfazione dei creditori sociali.

La regola della postergazione, infatti, è stata introdotta al fine di porre rimedio a situazioni in cui il prestito del socio a favore della società in precario equilibrio finanziario abbia una finalità sostitutiva del capitale di rischio, e dunque a tutela dei terzi creditori (così Trib. Venezia, 10 febbraio 2011, conf. Cass., 24 luglio 2007, n. 16393).

Secondo la tesi maggioritaria la disciplina in esame si applica anche alle s.p.a. rappresentando la regola della postergazione un principio generale di corretto funzionamento dell'impresa che deve operare anche per detto tipo societario nella misura in cui il socio finanziatore non sia un mero investitore ma sia titolare di una posizione, pur non necessariamente dominante, tale da influenzare la politica gestionale della società.

L'opzione interpretativa più condivisibile appare a tal proposito quella che, sia pure ritenendo applicabile il disposto dell'art. 2467 c.c. alle s.p.a., ne circoscrive l'ambito applicativo con riguardo alle c.d. s.p.a. chiuse, situazione che si verifica allorchè queste operino con le stesse modalità con cui si opera nelle s.r.l. come nell'ipotesi di società per azioni a ristretta base azionaria (Trib. Milano 24 aprile 2007, in Banca borsa tit. cred., 2007, 5, II, 610).

La nozione di finanziamento

Il legislatore ha inteso offrire, con l'ampia definizione di “finanziamento dei soci” contenuta nel secondo comma dell'art. 2467 c.c. uno strumento qualificatorio ed interpretativo tale da consentire all'interprete di decifrare, nel caso concreto, se l'apporto del socio sia da sussumere nell'alveo del conferimento ovvero in quello del finanziamento con conseguente applicazione del disposto di cui al primo comma dell'art. 2467 c.c.

La linea di demarcazione tra versamenti in conto capitale e finanziamenti dei soci è certamente da ricercare nell'esistenza o meno dell'obbligo di restituzione da parte della società.

I versamenti in conto capitale costituiscono apporti di patrimonio di rischio sia pure non imputati a capitale e quindi senza un obbligo di restituzione mentre i finanziamenti rappresentano “capitale di credito” e quindi sussiste in tal caso un debito della società per il loro rimborso.

La relazione illustrativa al D.lgs. n. 6/2003 assume a tal proposito un criterio tipologico dovendosi infatti ricercare se la causa del finanziamento sia da individuare nel rapporto sociale ovvero in un generico rapporto di credito e ciò indipendentemente dalla forma con cui è stato erogato il credito (prestiti personali, mutui ipotecari, anticipazioni su fatture e anche effetti cambiari).

Ciò che rileva è che il finanziamento sia stato effettuato, con un comportamento volontario, in qualsiasi forma (ma al di fuori di un'operazione sul capitale sociale) da chi è socio al momento dell'esecuzione dell'apporto non rilevando pertanto l'assunzione (o la perdita) della qualità di socio in un momento successivo all'effettuazione del finanziamento o al momento della restituzione dello stesso ed essendo quindi, irrilevanti eventuali scissioni tra la posizione di socio e quella di creditore determinatasi in relazione a successive vicende circolatorie della partecipazione sociale o del credito.

Possono quindi rientrare nella nozione di finanziamento i prestiti di denaro o di altre cose fungibili rientranti nello schema del mutuo ma anche le garanzie (personali o reali) concesse dal socio alla società, le garanzie atipiche, l'accollo di un debito sociale previa liberazione della società, contratti di associazione in partecipazione, la stipulazione da parte del socio di un contratto di locazione finanziaria in veste di concedente (atteso che la causa del contratto è proprio di finanziamento e non di godimento), ovvero infine, le ipotesi in cui il socio si renda acquirente di un bene sociale con un contratto di sale and lease back (anche per interposta persona) (non rientrano invece nella nozione di finanziamento ex art. 2467 c.c. i prestiti obbligazionari, così Trib. Milano 24 luglio 2014, n. 9748, né i prestiti sociali cooperativi sull'assunto secondo cui “per la stessa struttura della cooperativa esso riguarda soggetti che non hanno poteri di incidere sulla gestione sociale”, Trib. Treviso 19 gennaio 2015, ne IlFallimentarista.it).

A tal proposito si è ritenuto, da ultimo, che la qualificazione dell'erogazione delle somme che venga effettuata dai soci, se a titolo di mutuo ovvero di apporto del socio al patrimonio della società, dipende dall'esame della volontà negoziale delle parti, dovendo trarsi la relativa prova, di cui è onerato il socio attore in restituzione, non tanto dalla denominazione dell'erogazione contenuta nelle scritture contabili della società, quanto dal modo in cui il rapporto è stato attuato in concreto, dalle finalità pratiche cui esso appare essere diretto e dagli interessi che vi sono sottesi (in tal senso Cass. civ. Sez. I, 3 dicembre 2014, n. 25585, conf: Trib. Roma, 12 marzo 2015 con riferimento alla necessità ermeneutica di “ricostruire il contenuto concreto dell'accordo intercorso tra società e soci eroganti del “rapporto di conferimento”) (anche Cass. 31 marzo 2006, n. 7692).

Non riveste peraltro carattere discriminante ai fini della ricostruzione della natura del versamento effettuato, l'intenzione soggettiva del socio finanziatore non assumendo rilievo l'effettiva sua conoscenza della situazione finanziaria discriminante, né lo scopo specifico perseguito con l'erogazione stessa.

I presupposti soggettivi ed oggettivi

Il finanziamento postergabile deve essere stato concesso in una situazione nella quale sussista un eccessivo squilibrio dell'indebitamento rispetto al patrimonio netto e nel quale sarebbe stato ragionevole un conferimento, circostanze queste da valutarsi secondo un giudizio ex post essendo criteri riferiti al momento in cui è stato concesso il finanziamento (è stato ritenuto che non ricorra il requisito della eccessiva sproporzione nel rapporto tra indebitamento e patrimonio netto di cui all'art. 2467 c.c. “qualora l'indice di liquidità dell'impresa (e cioè il raffronto della posizione di liquidità a breve termine dell'azienda con l'ammontare delle passività correnti) sia di poco inferiore, uguale o superiore a 1” (App. Milano 18 aprile 2014).

In evidenza

: Tribunale Milano 4 febbraio 2015

Ai fini della postergazione ex art. 2467 c.c. del rimborso dei finanziamenti dei soci a favore della società, i presupposti dell' "eccessivo squilibrio dell'indebitamento rispetto al patrimonio" ovvero della "situazione finanziaria della società della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento" devono interpretarsi come voluti, dallo stesso legislatore, ad individuare una nozione unitaria di crisi che coincide con il rischio di insolvenza, idoneo a fondare una sorta di "concorso potenziale" tra tutti i creditori della società.

Detta situazione si può peraltro verificare sia in fase di start- up, se la società è sottocapitalizzata (proprio perchè i soci hanno preferito finanziarla anziché conferire capitale di rischio) e quindi v'è il pericolo che il rischio di impresa sia trasferito sui terzi creditori, sia in seguito, quando a fronte di perdite i soci, anziché conferire capitale come sarebbe "ragionevole", effettuino finanziamenti, aumentando l'indebitamento e concorrendo, quindi, con i creditori terzi (su cui verrebbe trasferito il rischio di impresa in situazione di "crisi"), proseguendo l'attività sociale in danno di questi ultimi, che, "normalmente" in una tale situazione non sarebbero disponibili ad erogare finanziamenti (in tal senso, da ultimo, Trib. Milano, 15 dicembre 2014, n. 14951).

La verifica dell'anomalia del finanziamento deve essere verificata con riferimento al momento della erogazione (avuto riguardo in particolare ai finanziamenti diretti) non venendo in considerazione la regola della postergazione nell'ipotesi in cui lo stato della società fosse stabilizzato al momento della restituzione essendo in grado la società di soddisfare gli altri creditori né del pari allorché il finanziamento fosse stato erogato in un momento sospetto attese le condizioni di stabilità della società e le condizioni di cui al comma secondo sopravvenissero in un momento successivo.

In evidenza: Tribunale Milano 2 luglio 2013, con nota di Burigo, Postergazione del credito del socio garante, in Le Società: rivista di diritto e pratica commerciale, societaria e fiscale, Milano, 2014, 3, 290.

In ipotesidi finanziamenti indiretti (rilascio da parte del socio di garanzie a fronte di finanziamenti concessi ed erogati da terzi) la sussistenza dei presupposti per la postergazione indicati nel comma 2 va valutata non al momento in cui il socio è diventato effettivamente creditore della società a seguito del pagamento del debito sociale ma bensì al momento in cui è stata prestata la garanzia che ha consentito che il terzo erogasse il finanziamento alla società

L'accertamento circa l'esistenza di un eventuale squilibrio patrimoniale (analisi che secondo taluni dovrebbe essere condotta assumendo quale parametro di riferimento l'art. 2, comma 1, lett. b), D.lgs. 270/1999 ovvero tenendo conto di quanto disposto dall'art. 2412, comma 1, c.c.) non potrà essere effettuato sulla base dei soli valori esposti in bilancio, che peraltro riflettono criteri valutativi e regole contabili convenzionali ma dovrà basarsi su una situazione patrimoniale esposta a valori correnti, che valorizzi anche eventuali attività e passività non iscritte a bilancio (ad esempio, diritti di proprietà industriale, debiti a fronte di operazioni di leasing finanziario, altre passività e impegni) e che sia depurata delle attività immateriali derivanti da capitalizzazione di costi o da avviamento tenuto conto anche dell'attività esercitata in concreto dall'impresa.

In evidenza: Tribunale Venezia 14 aprile 2011

Al fine di valutare la presenza o meno di un eccessivo squilibrio tra indebitamento e patrimonio netto della società finanziata, ovvero di una situazione finanziaria che avrebbe ragionevolmente giustificato un conferimento, non è sufficiente considerare il rapporto tra il totale delle fonti di finanziamento e i mezzi propri (c.d. indice di "leverage"), dovendo altresì procedere ad un'analisi della concreta struttura del debito; in tale ambito è destinata ad incidere in misura maggiore sullo squilibrio tra indebitamento e patrimonio netto la prevalenza di una componente di debito a breve termine, posto che, in tale eventualità, i finanziamenti erogati da terzi devono essere necessariamente utilizzati per pagare altri debiti di imminente scadenza e non per finanziare gli investimenti.

Il riferimento alla ragionevolezza del conferimento comporta che la valutazione sia condotta rispetto ad uno standard di comportamento socialmente tipico di un finanziatore o un normale operatore del mercato anche alla luce degli usi commerciali del settore di attività della società interessata tale per cui sarebbe irragionevole finanziare la società perché questa ex ante non presenta le condizioni finanziarie per potere restituire il finanziamento ricevuto.

La sorte del finanziamento

La postergazione del finanziamento effettuato alla società non costituisce il frutto di una riqualificazione coattiva del finanziamento in conferimento o in quasi capitale bensì rappresenta il portato della degradazione ex lege del socio al rango di creditore postergato mutando pertanto la posizione del socio rispetto ai creditori sociali.

In presenza dei presupposti di cui al secondo comma dell'art. 2467 c.c. e qualora non risultasse possibile soddisfare i creditori sociali, gli amministratori dovranno rifiutare ai soci il rimborso dei finanziamenti incorrendo, in ipotesi di eventuale restituzione, in responsabilità nei confronti dei creditori e della società stessa.

In evidenza: Cass. 24 luglio 2007 n. 16393, conf. Trib. Milano 14 marzo 2014, n. 3621

In presenza dei presupposti di postergazione di cui al comma 2 dell'art. 2467 c.c., sia al momento di esecuzione del finanziamento sia al momento della richiesta di rimborso da parte del socio finanziatore, gli amministratori sono tenuti ad eccepire la condizione di inesigibilità del credito(condizione che può essere eccepita anche nei confronti del socio che in epoca successiva al versamento delle somme oggetto di finanziamento abbia perso la qualità di socio: così, Trib. Milano 4 dicembre 2014, n. 50325, in Riv. Dott. Comm., 2015, I, 120), derivante dalla postergazione al socio richiedente il rimborso del finanziamento laddove al momento del richiesto rimborso sussistano creditori “ordinari” (vale a dire creditori non soci, soggetti allo stesso vincolo) titolari di crediti scaduti e non soddisfatti o comunque non ancora scaduti.

In evidenza: Cass. 27 dicembre 2013, n. 28669

Nel caso di apporto economico da parte di una società in favore di altra, abbia esso la natura di finanziamento ovvero di conferimento, e di successiva perdita delle somme investite, sussiste la responsabilità degli amministratori, i quali non abbiano predisposto le cautele necessarie, corredando le proprie scelte con le verifiche, le indagini e le informazioni preventive normalmente richieste in riferimento alla concreta scelta operata, dal momento che, ove l'apporto si traduca in un finanziamento concesso alla società terza (capitale di debito), l'obbligo della sua restituzione ex art. 1813 c.c. implica il rischio della difficoltà di adempiere della mutuataria ovvero della sua insolvenza; se, invece, l'investimento si risolva in un conferimento ai sensi dell'art. 2343 c.c. (capitale di rischio), il relativo rimborso non potrebbe nemmeno essere disposto durante la vita della società, ma solo in sede di sua liquidazione.

La condizione di inesigibilità del credito può essere eccepita anche nei confronti del socio che, in epoca successiva al versamento, abbia perso tale qualità.

Diversamente opinando si eliderebbe la finalità di protezione dei creditori sociali insita nell'art. 2467 c.c. atteso che “basterebbe che la qualità di socio venisse meno per equiparare un finanziamento effettuato da soggetti terzi rispetto alla società ad un finanziamento effettuato dal socio per ovviare una situazione di sottocapitalizzazione senza la necessità di prestare idonee garanzie” (così Trib. Milano 15 dicembre 2014, n. 14951).

La restituzione del finanziamento può essere ottenuta:

- da parte della società esercitando un'azione di ripetizione ex art. 2033 c.c.;

- da parte dei creditori con azione revocatoria ordinaria o in via surrogatoria ex art. 2033 c.c.

Profili fallimentari

L'art. 2467, comma 1, c.c. prevede altresì che se il rimborso dei finanziamenti dei soci a favore della società e avvenuto nell'anno precedente la dichiarazione di fallimento della società, deve essere restituito.

Trattasi:

  • di azione tipica;
  • di inefficacia automatica;
  • in seno alla quale il curatore deve dimostrare non solo che sia intervenuto il rimborso nell'anno anteriore alla dichiarazione di fallimento ma anche che si trattava di finanziamenti aventi le caratteristiche di cui al comma 2 dell'art. 2467 c.c. senza dovere dimostrare la conoscenza dell'insolvenza da parte del socio al momento del pagamento in suo favore.

Il socio che avesse subito la revoca del rimborso ex art. 2467 c.c. e che avesse estinto la sua obbligazione nei confronti del fallimento competerebbe peraltro il diritto a insinuarsi al passivo (Balp, op. cit., 376) sia pure in via postergata avendo diritto al rimborso nella sola ipotesi del pagamento integrale degli altri creditori (Ferri Jr, In tema di postergazione legale, in Riv. dir. comm., 2004, I, 994; sulla sequestrabilità del credito del socio di s.r.l. alla restituzione del finanziamento postergato si veda Tribunale Milano, 26 marzo 2015).

Finanziamenti dei soci ed impresa in crisi

La regola stabilita dall'art. 2467 c.c. trova una vistosa eccezione nel disposto di cui all'art. 182 quater L. fall. ove si prevede invece che i finanziamenti assumano, alle condizioni previste, connotazione di crediti prededucibili, sia pure solo per una parte del loro ammontare (c.d. prededucibilità attenuata).

Nell'ottica del superamento della crisi di impresa si è previsto che i finanziamenti erogati dai soci in esecuzione di un concordato preventivo o di un accordo di ristrutturazione dei debiti omologatiovvero in funzione della domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo o della domanda di omologazione dell'accordo di ristrutturazione dei debiti, siano prededucibili - e quindi da restituirsi con preferenza rispetto agli altri creditori - anche per quanto concerne coloro che abbiano acquistato la qualità di socio in esecuzione del concordato al fine di finanziare l'impresa in crisi, fino a concorrenza della misura dell'80% del loro ammontare mentre per il restante 20% saranno soggetti alla disciplina generale di cui all'art. 2467 e 2497 quinquies c.c..

La ragione della limitazione della prededuzione alla sola quota dell'80% del finanziamento risiederebbe nell'imposizione al socio finanziatore di una percentuale minima di rischio, al fine di indurre quest'ultimo ad una accurata e ponderata valutazione delle effettive possibilità di risanamento dell'impresa (Marchisio, I finanziamenti anomali tra postergazione e prededuzione, in Riv. not., 2012, I, 1310).

I creditori da finanziamenti prestati in funzione della presentazione della domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo o della domanda di accordo di ristrutturazione sono esclusi dal diritto di voto e dal computo delle maggioranze per l'approvazione del concordato ai sensi dell'articolo 177 e dal computo della percentuale dei crediti prevista, in materia di accordi di ristrutturazione, all'articolo 182-bis, commi 1 e 6.

Riferimenti

Normativi

  • Art. 2467 c.c.
  • Art. 182-quater l. fall.

Giurisprudenza

  • Tribunale Torino, 16 febbraio 2015
  • Tribunale Milano, 4 febbraio 2015
  • Cassazione, 3 dicembre 2014, n. 25585
  • Tribunale Milano, 2 luglio 2013
  • Cassazione, 24 luglio 2007, n. 16393