Il nuovo regime delle prove dopo la riforma del processo tributario
02 Maggio 2024
Il nuovo quadro normativo. Le scelte coordinate della legge n. 130 del 2022 in tema di testimonianza scritta e onere della prova nel rinnovato processo tributario Le "elaborazioni" della giurisprudenza di legittimità in ambito processuale tributario hanno, direttamente ispirato la soluzione normativa adottata con legge 31 agosto 2022 n. 130, che, tra le maggiori novità, in senso positivo, ha introdotto una disciplina dell'istruttoria del processo tributario, divisa nel testo degli artt. 4 e 5 della citata legge, che hanno introdotto i nuovi commi 4 e 5-bis all'art. 7 d.lgs. n. 546 del 1992, trasformando profondamente la disciplina dell'istruttoria nel processo tributario, in termini di maggiore affidabilità e funzionalità operativa, nonchè di garanzia di partecipazione paritaria del ricorrente. Le due nuove disposizioni, che ridisegnano la fase istruttoria del processo tributario, devono essere lette in termini unitari e coordinati. L'art. 4 comma 1, lettera c), e l'art. 5 della legge n. 130 del 2022, sono state trasfuse e integrate nel nuovo testo dei commi 4 e 5-bis dell'art. 7 del d.lgs. n. 546 del 1992, già rubricato come "Poteri delle commissioni tributarie" (hodie, "Poteri delle Corti di giustizia tributaria"). Occorre precisare che il nuovo comma 4 dell'art. 7 d.lgs. n. 130/2022, in tema di prova testimoniale, nella versione finale approvata dal Parlamento, diverge profondamente dalla formulazione originaria prevista dall'art. 1 comma 2, lettera b) della iniziativa governativa di d.d.l. (A.C. n. 2636). Nel dettaglio, all'esito del passaggio parlamentare è stato abolito l'avverbio "assolutamente", che precedeva il connotato della necessarietà del mezzo istruttorio ivi previsto, in quanto esso avrebbe di fatto limitato l'applicabilità del mezzo istruttorio della c.d. prova testimoniale scritta, rendendola neutra rispetto alla finalità della decisione, cui deve essere, come tutte le prove, naturalmente indirizzata. Depotenziando così anche la nuova regola di giudizio che impone alla amministrazione intimante di fornire piena e valida prova della pretesa tributaria. È stato, inoltre, abolito l'inciso che rimetteva l'ammissibilità del mezzo istruttorio ad un accordo tra le parti ("su accordo delle parti", secondo l'inciso contenuto nel comma 1 dell'art. 257-bis c.p.c. nella versione del citato d.d.l. A.C. n. 2636). Nel testo finale approvato dalle Camere, la prova testimoniale scritta può essere ammessa "anche senza l'accordo delle parti", legittimando l'iniziativa ad istanza di una sola delle parti, ferma restando la possibilità che il mezzo istruttorio sia disposto ex officio dalla Corte di Giustizia Tributaria. Infine, sono stati disconnessi e resi autonomi il primo e secondo periodo del comma 4, mediante l'abolizione di particelle leganti congiuntive o disgiuntive, così da rendere la c.d. prova testimoniale scritta priva di prescrizione limitativa "nei casi in cui la pretesa tributaria sia fondata su verbali o altri atti facenti fede fino a querela di falso". Nel testo finale è stata, tuttavia, mantenuta in via generale la citata limitazione sul contenuto della prova, non più riferibile alla sola disciplina in tema di prova testimoniale scritta, con l'intento (forse, superfluo) di ribadire che la prova per testi è "ammessa soltanto su circostanze di fatto diverse da quelle attestate dal pubblico ufficiale". Nel dossier di studi allegato ai lavori preparatori del d.d.l. A.C. 2636, si sottolinea la novità, di indubbio rilievo, del superamento del divieto di assunzione della prova testimoniale nel processo tributario. Lo studio riproduce la ratio della riforma. Con il nuovo testo dei commi 4 e 5-bis dell'art. 7 del d.lgs. n. 546 del 1992, il legislatore della riforma ha inteso introdurre “la possibilità̀ per il giudice tributario di ammettere la prova testimoniale, in forma scritta, in presenza di specifici presupposti. Sempre in tema di prova, la riforma formalizza la regola secondo cui l'amministrazione finanziaria ha l'onere di provare in giudizio le violazioni contestate con l'atto impugnato.” Inoltre, nel testo di studio si evidenzia, con specifico riguardo agli aspetti processuali della riforma, che la legge n. 130/2023 apporta una serie di modifiche al decreto legislativo n. 546 del 1992, che disciplina il processo tributario, anche in tema di poteri di ufficio, elidendo ogni riferimento alle commissioni tributarie, oggi sostituite dal riferimento alle Corti di giustizia tributaria di primo grado e secondo grado. Si pensi, ad esempio, alla previsione del nuovo art. 7 comma 4, che, in connessione con la nuova disciplina della testimonianza, esordisce ribadendo la inammissibilità del giuramento innanzi alle Corti. Il richiamo iniziale configura un limite esterno al contenuto che può assumere la prova testimoniale. Ulteriore limite alla prova è costituito dal fatto che la Corte, ove lo ritenga necessario, può ammetterla soltanto su circostanze di fatto diverse da quelle attestate dal pubblico ufficiale, “ove la pretesa tributaria si fondi su verbali o altri atti facenti fede fino a querela di falso”. Come detto, le scelte del legislatore sono state orientate dalla elaborazione giurisprudenziale sui limiti e condizioni in tema di ammissibilità della prova testimoniale. Si pensi, ad esempio, a quanto affermato da Cass. civ., Sez. V, Ordinanza n. 32024 del 28 ottobre 2022, in CED Cass, n. 666102 – 01, in tema di applicazione delle imposte dirette e indirette, che conferisce dignità alla prova testimoniale consistente nelle dichiarazioni rese da terzi, testualmente riportate in un avviso di accertamento (quale provvedimento conclusivo del procedimento amministrativo di applicazione dell'imposta), la cui efficacia probatoria non può ritenersi come "tamquam non esset", ma è da valutarsi quali fonti di conoscenza, come fatti o indizi, che spetta al giudice di merito valutare insieme agli altri elementi presuntivi che completano il quadro probatorio a sostegno della pretesa tributaria, al fine di decidere se l'Ufficio abbia soddisfatto l'onere della prova a suo carico, con conseguente trasferimento al contribuente dell'onere della prova contraria. Del resto, le nuove disposizioni riproducono i “principi e criteri direttivi per la revisione della disciplina e l'organizzazione del contenzioso tributario” dettati dall'articolo 19, comma 1, lettere da a) ad h) della legge n. 111 del 2023, recante “delega al Governo per la revisione del sistema tributario e termini di attuazione”. Nella specie, il legislatore delegante si proponeva l'obiettivo di restringere i tempi del contenzioso tributario e semplificarne il rito, puntando sulla massiva introduzione del modello telematico, dettando principi e direttive, senza imporre disposizioni vincolanti in tema di prova da ribadirsi nel testo del d.lgs. attuativo. Tra i principi e criteri direttivi posti dalla legge delega, si evidenzia, per quanto qui di interesse, l'esigenza di: “a) coordinare con la nuova disciplina di cui all'articolo 4, comma 1, lettera h), altri istituti a finalità deflativa operanti nella fase antecedente la costituzione in giudizio di cui all'articolo 23 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, ai fini del massimo contenimento dei tempi di conclusione della controversia tributaria; b) ampliare e potenziare l'informatizzazione della giustizia tributaria mediante: 1) la semplificazione della normativa processuale funzionale alla completa digitalizzazione del processo; 2) l'obbligo dell'utilizzo di modelli predefiniti per la redazione degli atti processuali, dei verbali e dei provvedimenti giurisdizionali; 3) la disciplina delle conseguenze processuali derivanti dalla violazione degli obblighi di utilizzo delle modalità telematiche; 4) la previsione che la discussione da remoto possa essere chiesta anche da una sola delle parti costituite nel processo, con istanza da notificare alle altre parti, fermo restando il diritto di queste ultime di partecipare in presenza; (…).” Nel testo finale della riforma, in attuazione dei criteri e obiettivi posti dalla legge-delega, è stato inserito, un ultimo comma all'art. 7 citato, che disciplina nel dettaglio le forme della prova testimoniale scritta, prevedendo che, al fine della ammissione, su istanza di parte, “la notificazione dell'intimazione e del modulo di deposizione testimoniale (…) può̀ essere effettuata anche in via telematica”. Nel testo si dispone, con apposito inciso, che sono pubblicate sul sito istituzionale dal Dipartimento della Giustizia tributaria, le relative istruzioni e modulistica per la compilazione della istanza di assunzione della prova, da inoltrarsi anche “in via telematica”. Sul medesimo sito istituzionale è reso disponibile, a tal fine, un apposito modello semplificativo per la prova testimoniale richiesta, anche su iniziativa di una delle parti, in ragione del fatto che la relativa istanza e assunzione può essere effettuata anche in forma di atto nativo digitale, in deroga all'articolo 103-bis delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile (“se il testimone è in possesso di firma digitale, il difensore della parte che lo ha citato deposita telematicamente il modulo di deposizione trasmessogli dal testimone dopo che lo stesso lo ha compilato e sottoscritto in ogni sua parte con firma digitale apposta in base a un certificato di firma qualificato la cui validità̀ non è scaduta ovvero che non è stato revocato o sospeso al momento della sottoscrizione.”). La testimonianza sarà assunta, in caso di ammissione da parte delle Corti di Giustizia, con le forme di cui all'articolo 257-bis del codice di procedura civile. Alla prevista ammissibilità della prova testimoniale fa da contraltare, nel nuovo testo del citato art. 7, la ribadita inammissibilità del giuramento nel processo tributario, che sembra presentarsi come prova incompatibile con la struttura impugnatoria. La connessione della nuova disciplina in tema di prova testimoniale scritta apre scenari dirompenti sulla gestione delle prove e sull'esito della decisione, alla luce della ancor più incisiva rivoluzione della regola di riparto dell'onere della prova introdotta dall'art. 5 della legge n. 130 del 2022, norma confluita nel nuovo comma 5-bis dell'art. 7 del d.lgs. n. 546 del 1992. Il nuovo testo del comma 5-bis è anch'esso chiaramente ispirato alla elaborazione della giurisprudenza di legittimità in tema di riparto dell'onere della prova. Riproduce gli approdi sul tema nel processo tributario, rinnovandone la pura autonoma dimensione processuale tipicamente impugnatoria. L'effetto è una astrazione della nuova regola di riparto dal contenuto dell'art. 2697 c.c., tradizionalmente applicato nei giudizi tributari. La consolidata interpretazione della S.C. affermava, infatti, che il principio dell'onere della prova positivizzato nell'art. 2697 c.c., norma processuale civile generale, applicabile in quanto compatibile anche al processo tributario, prescinde dal grado di intrinseca attendibilità delle affermazioni che una parte faccia a suo favore, cosicché, per effetto della struttura dialettica del giudizio, che pone le parti in identica posizione, occorre necessariamente che la verifica dei fatti posti a fondamento della domanda (o delle eccezioni) passi attraverso il vaglio di elementi diversi dalla mera affermazione che di essi faccia la parte a proprio vantaggio. (così, ex multis Cass. civ., Sez. V, Ordinanza n. 29063 del 6 ottobre 2022 in CED Cass. n. 666094 - 01). In particolare, il primo periodo del nuovo comma 5-bis dispone che "l'amministrazione prova in giudizio le violazioni contestate con l'atto impugnato". La norma sancisce chiaramente la regola dell'incombenza sulla parte pubblica, parte necessitata di ogni processo tributario, dell'onere di provare in giudizio "le violazioni contestate con l'atto impugnato". Si tratta di indicazione espressa in termini generali, senza più tener conto della distinzione tra fatti "costitutivi" ovvero fatti "modificativi", "impeditivi" od "estintivi" contenuta nei due commi dell'art. 2697 c.c., di elaborazione processualcivilistica, che sconta le differenza strutturali tra giudizio civile, che ha naturale vocazione all'accertamento di diritti soggettivi, e giudizio tributario, di tipo impugnatorio, funzionalmente volto all'annullamento di provvedimenti autoritativi direttamente produttivi di effetti conformativi della sfera giuridica del privato, emessi dall'amministrazione finanziaria o da altri enti pubblici dotati di titolarità impositiva. Inoltre, la prima parte del secondo periodo il citato comma 5-bis dispone che "il giudice fonda la decisione sugli elementi di prova che emergono nel giudizio", così ribadendo il principio processuale consolidato del divieto della scienza privata del giudice. Infine, la seconda parte del secondo periodo della norma contiene il riferimento, in senso cumulativo e integrativo dei poteri delle parti, all'esercizio di poteri ex officio della Corte di giustizia tributaria, per i quali è formulata la regola generale di giudizio secondo cui la Corte "annulla l'atto impositivo se la prova della sua fondatezza manca o è contraddittoria o se è comunque insufficiente a dimostrare, in modo circostanziato e puntuale, comunque in coerenza con la normativa tributaria sostanziale, le ragioni oggettive su cui si fondano la pretesa impositiva e l'irrogazione delle sanzioni". La regola di giudizio finisce per costituire il precipitato della nuova regola di riparto dell'onere della prova. L'utilizzo del verbo al tempo presente (”annulla”) esprime la doverosità della decisione di annullamento dell'atto alle date condizioni di mancanza di idonea prova della fondatezza della pretesa tributaria, che deve necessariamente esprimere la necessità con solidità a fronte di quanto dedotto con ricorso e del vizio dell'atto impugnato denunciato. In altri termini, l'amministrazione è tenuta a fornire una prova circostanziata e puntuale delle ragioni oggettive su cui si fonda la pretesa impositiva e/o l'irrogazione delle sanzioni, seppur essa deve avvenire "comunque in coerenza con la normativa tributaria sostanziale", applicando il sistema delle presunzioni, ove normativamente previste. In caso contrario, quando la dimostrazione del fatto costitutivo dell'imposizione risulti mancante, contraddittoria o insufficiente, la Corte di giustizia tributaria è tenuta all'annullamento dell'atto impugnato (cfr., in tema di presunzioni da accertamenti bancari, Cass. civ., Sez. V -, Ordinanza n. 22302 del 15 luglio 2022, in CED Cass. n. 665340 – 01; in senso conforme, Cass. civ., Sez. V, Ordinanza n. 21128 del 22 luglio 2021, in CED Cass. n. 661938 – 01, in tema di prova della contestata antieconomicità di un comportamento del contribuente, poiché assolutamente contrario ai canoni dell'economia, che lascia l'incombenza all'erario dell'onere di fornire, al riguardo, le necessarie spiegazioni, essendo - in difetto - pienamente legittimo il ricorso all'accertamento induttivo da parte dell'amministrazione, ai sensi degli artt. 39 del d.p.r. n. 600 del 1973 e 54 del D.p.r. n. 633 del 1972). Una prima ermeneusi di legittimità sulla portata applicativa della riforma in tema di regola di riparto dell'onere probatorio e incidenza delle presunzioni normative Circa le prospettive di applicazione del nuovo comma 5-bis nel nuovo processo tributario deve evidenziarsi che la indicata dimostrazione della fondatezza probatoria dell'atto impugnato deve fondarsi su ragioni oggettive (della pretesa impositiva e delle sanzioni eventualmente irrogate). Con un recente arresto la S.C. ha inteso fornire le coordinate interpretative del nuovo comma 5-bis e della regola di giudizio ivi espressa. Nella specie, Cass. civ., Sez. V, Ordinanza n. 2746 del 30 gennaio 2024, in CED Cass, n. 670209 – 01, ha affermato che “in materia di giudizio tributario, il nuovo comma 5-bis dell'art. 7 del d.lgs. n. 546 del 1992, introdotto dall'art. 6 della l. n. 130 del 2022, secondo cui il giudice deve valutare la prova "comunque in coerenza con la normativa tributaria sostanziale", non si pone in contrasto con la persistente applicabilità delle presunzioni legali che, nella normativa tributaria sostanziale, impongano al contribuente l'onere della prova contraria”. L'interpretazione della nuova norma conferma il principio elaborato dalla giurisprudenza di legittimità in tema di riparto dell'onere della prova ed incidenza sullo stesso delle presunzioni legali, anche alla luce della nuova formulazione del comma 5-bis dell'art. 7 d. lgs. n. 546 del 1992. In senso conforme, Cass. civ., Sez. V, sentenza n. 3953 13 febbraio 2024, in tema di accertamento del maggiore reddito d'impresa derivante da operazione di riqualificazione mediante conferimento d'azienda tra società mandante e mandataria di servizi di trasporto, che, secondo l'Amministrazione celerebbe una interposizione soggettiva fittizia, in cui si precisa, sull'onere della prova, che spetta all'Amministrazione finanziaria, ove contesti al cessionario/committente l'assenza di buona fede in caso di irregolarità fiscali o di evasione, “l'onere di allegare e provare gli elementi probatori su cui si fonda la contestazione, tra i quali possono rilevare, in via indiziaria, quali elementi sintomatici della mancata esecuzione della prestazione dal fatturante (…) una conclamata inidoneità allo svolgimento dell'attività economica e la non corrispondenza tra i cedenti e la società coinvolta nell'operazione. In tal caso, conseguentemente, grava in capo al contribuente l'onere di provare di non essere a conoscenza del fatto che il fornitore effettivo del bene o della prestazione non fosse il fatturante ma altri.” In sentenza si richiama il consolidato orientamento espresso dalle conformi Cass. civ., Sez. V, n. 27745 del 12 ottobre 2021; n. 17173 del 28 giugno 2018; n. 30148 del 15 dicembre 2017. Si precisa, inoltre, che “l'art. 7, comma 5-bis del d.lgs. n. 546/1992, introdotto con l'art. 6 della legge n. 130/2022, ha ribadito, in maniera circostanziata, l'onere probatorio gravante in giudizio sull'amministrazione finanziaria in ordine alle violazioni contestate al contribuente, per le quali non vi siano presunzioni legali che comportino l'inversione dell'onere probatorio, con la conseguenza che (…) la nuova formulazione legislativa, nel prevedere che "L'Amministrazione prova in giudizio le violazioni contestate con l'atto impugnato. Il giudice fonda la decisione sugli elementi di prova che emergono nel giudizio e annulla l'atto impositivo se la prova della sua fondatezza manca o è contraddittoria o se è comunque insufficiente a dimostrare, in modo circostanziato e puntuale, comunque in coerenza con la normativa tributaria sostanziale, le ragioni oggettive su cui si fondano la pretesa impositiva e l'irrogazione delle sanzioni" non stabilisce un onere probatorio diverso o più gravoso rispetto ai principi già vigenti in materia, ma è coerente con le ulteriori modifiche legislative in tema di prova, che assegnano all'istruttoria dibattimentale un ruolo centrale. In conformità con la segnalata continuità interpretativa giurisprudenziale e testo normativo, in tema di detrazione e deduzione IVA, il medesimo principio è espresso da Cass. civ., Sez. V, Ordinanza n. 26802 del 25 novembre 2020, in CED Cass., n. 659559 – 01, (“nel processo tributario, ove il contribuente assolva l'onere, a suo carico, di provare il fatto costitutivo del diritto alla deduzione dei costi o alla detrazione dell'IVA mediante la produzione delle fatture, l'Amministrazione finanziaria ne può dimostrarne l'inattendibilità anche mediante presunzioni, sicché il giudice di merito deve prendere in considerazione il complessivo quadro probatorio al fine di verificare l'esistenza o meno delle operazioni fatturate, ivi compresi i fatti secondari indicati.” Nel caso di specie, la S.C. ha ritenuto che la fattura prodotta dalla contribuente non fosse idonea a dimostrare l'avvenuto sostenimento del costo, per la mancata corrispondenza dell'importo fatturato nella dichiarazione dei redditi della ditta emittente e per l'assenza di documentazione bancaria di supporto.”). In tema di accertamento della maggiore imposta dei redditi fondato sull'utilizzo di elementi presuntivi, raccolti nell'ambito di procedimento penale (nella specie, accertamenti bancari), il costante indirizzo della giurisprudenza di legittimità (sentenze n. 4829/2015; 5758/2018) è ferma nel ritenere che, “qualora l'accertamento effettuato dall'Ufficio finanziario si fondi su verifiche di conti correnti bancari, l'onere probatorio dell'Amministrazione è soddisfatto, secondo l'art. 32 comma 1, numero 2), del d.p.r. n. 600/1973, attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti, determinandosi un'inversione dell'onere della prova a carico del contribuente, il quale deve dimostrare, con una prova non generica, ma analitica, per ogni versamento bancario, che gli elementi desumibili, dalla movimentazione bancaria, non sono riferibili ad operazioni imponibili.”. Giova, tuttavia, evidenziare che, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 288 del 2014, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 32 comma 1, numero 2), secondo periodo, del d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600, limitatamente alle parole "o compensi", è stato ridefinito il perimetro applicativo della norma relativa ai prelevamenti, la presunzione si applica ai movimenti bancari di prelevamento, solo se essi riguardano un imprenditore e non un lavoratore autonomo. Ciò che lascia invariata la presunzione legale posta dall'art. 32 del d.p.r. n. 600 del 1973 con riferimento ai soli versamenti effettuati su un conto corrente dal professionista o lavoratore autonomo, sicché questi è onerato di provare in modo analitico l'estraneità di tali movimenti ai fatti imponibili, mentre è venuta meno, all'esito della sentenza citata C. cost. n. 228/2014, l'equiparazione logica tra attività imprenditoriale e professionale relativamente ai prelevamenti sui conti correnti (ex multis, la recente Cass. civ., Sez. V, n. 20773 del 18 luglio 2023). Sembra apparentemente dissentire sulla effettiva portata dalla novità normativa di cui al comma 5-bis in esame, Cass. civ., Sez. V, Ordinanza n. 31878 del 27 ottobre 2022 in CED Cass. n. 666100 – 01, secondo cui, in tema di onere probatorio gravante in giudizio sull'amministrazione finanziaria in ordine alle violazioni contestate al contribuente, per le quali non vi siano presunzioni legali che comportino l'inversione dell'onere probatorio, l'art. 7, comma 5 bis, del d.lgs. n. 546 del 1992, introdotto dall'art. 6 della l. n. 130 del 2022, non stabilisce un onere probatorio diverso, o più gravoso, rispetto ai principi già vigenti in materia, ma è coerente con le ulteriori modifiche legislative in tema di prova, che assegnano all'istruttoria dibattimentale un ruolo centrale. Nel caso di specie - relativo a verbale di accertamento per operazioni soggettivamente inesistenti desunte dalla elevata sproporzione tra le capacità di stoccaggio del deposito della ditta contribuente e le quantità di gasolio agricolo acquistato, attestate dai documenti fiscali emessi dalle aziende fornitrici, soggetti a controlli incrociati effettuati nelle banche dati delle stesse -, tuttavia, l'onere probatorio gravante in giudizio sull'amministrazione finanziaria in ordine alle violazioni contestate al contribuente non era inciso da presunzioni legali che ne comportassero l'inversione. Una serie di ulteriori pronunce della S.C. indicano che il quadro normativo della prova è stato inciso dalla riforma processuale e ha delimitato il potere di intervento di ufficio delle Corti. Tra queste, la recente Cass. civ., Sez. V, 16 aprile 2024, n. 10166, in tema di recupero di un credito di imposta, ove la S.C., nel richiamare in premessa per il processo tributario la regola generale di distribuzione dell'onere probatorio ex art. 2697 c.c., di cui rileva la compatibilità con il nuovo giudizio tributario, attribuisce all'ente impositore, attore in senso sostanziale, l'onere di essere gravato della prova dei fatti costitutivi della propria pretesa, non più operando nei confronti del giudice ordinario e di quello tributario la presunzione di legittimità degli atti amministrativi e, tra questi, di quelli impositivi. La decisione richiama il remoto orientamento conforme espresso da Cass. civ., Sez. V, con le sentenze nn. 955/2016 e 1946/2012). In tema di contributo irriguo consortile, infine, la S.C. (Cass. civ., Sez. V, 24 luglio 2024, n. 126626), in ordine alla ripartizione dell'onere della prova, richiama la necessità che l'ente impositore, sotto il profilo della motivazione dell'atto indichi l'effettiva sussistenza dei presupposti della pretesa impositiva, e, in linea generale, il consorziato a cui sia richiesto un contributo per disponibilità irrigua in relazione ad una data tipologia di coltivazione, può negare in assoluto la sussistenza del beneficio, a tal fine essendo gravato dagli oneri di allegazione e di indicazione e sollecitazione dei necessari mezzi connessi alla presunzione contraria derivante dall'avvenuta approvazione del piano di classifica e dall'inclusione dell'immobile nel perimetro di intervento consortile. Di qui la regola di giudizio secondo cui il consorziato può contestare la misura del contributo - sempre che detta contestazione non si riduca ad una obiezione su eventuale errore di calcolo – purchè si sostanzi nell'allegazione della pratica di una tipologia colturale diversa da quella presuntivamente indicata nell'area dal regolamento e caratterizzata da una minore idro-esigenza rispetto a quella individuata nell'atto impositivo. Ove sussista un preventivo onere di denuncia imposto dal regolamento consortile con la quale il consorziato è tenuto a dichiarare, ogni anno entro una certa data, il tipo di coltura in concreto praticato, l'omesso assolvimento di detto onere impedisce al consorziato di superare, in giudizio, la presunzione delle esigenze idriche indicata dall'ente impositore, a maggior ragione se si intenda superare la presunzione legale attraverso generiche allegazioni non corroborate da alcuna documentazione. Il citato articolato principio, come sopra riportato (in corsivo), è evidenziato nel testo della sentenza dall'uso del carattere in grassetto, senza possibilità di interpretazione alternativa o riduttiva della sua portata. I poteri officiosi delle Corti Tributarie Sulla scia della citata sentenza Cass. civ., Sez. V, 16 aprile 2024, n. 10166, in ulteriori pronunce la S.C., nell'ambito del quadro normativo della prova inciso dalla riforma processuale, conferma i limiti al potere di intervento di ufficio delle Corti Tributarie nel processo impugnatorio. In particolare, in Cass. civ., n. 10166/2024, si osserva che il carattere dispositivo, e non inquisitorio né acquisitivo, del processo tributario è stato dal legislatore nel tempo rafforzato attraverso l'abrogazione dell'art. 7 comma 3, d.lgs. n. 546/92, ad opera dell'art. 3-bis comma 5 d.l. n. 203/2005, conv. con mod. dalla legge n. 248/05. La norma abrogata sanciva che: "è sempre data alle commissioni tributarie facoltà di ordinare alle parti il deposito di documenti ritenuti necessari per la decisione della controversia". Nella fattispecie, la S.C. ha censurato l'esercizio, da parte della Commissione Tributaria Regionale, di un potere di acquisizione probatoria in funzione chiaramente suppletiva ed esonerativa dell'onere probatorio gravante per regola generale sull'ente impositore. Alla luce della lettura fornita da Corte Cost. sent. n. 109 del 2007, che ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 7 comma 1, d.lgs. n. 546/1992, con riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, la S.C. ha evidenziato altresì che "la rilevanza pubblicistica dell'obbligazione tributaria giustifica ampiamente i penetranti poteri che la legge conferisce all'amministrazione nel corso del procedimento destinato a concludersi con il provvedimento impositivo, ma certamente non implica affatto - nè consente - che tale posizione si perpetui nella successiva fase giurisdizionale e che, in tal modo, sia contaminata l'essenza stessa del ruolo del giudice facendone una sorta di longa manus dell'amministrazione: in particolare, attribuendo al giudice poteri officiosi che, per la indeterminatezza dei presupposti del loro esercizio (o non esercizio), sono potenzialmente idonei a risolversi in una vera e propria supplenza dell'amministrazione". Osserva, infine, la S.C. che, a seguito della intervenuta abrogazione dell'art. 7 comma 1, d.lgs. n. 546/1992, sono in effetti residuati in capo al giudice tributario (ora Corti tributarie) determinati poteri istruttori di natura acquisitiva ed informativa, ma tale intervento istruttorio officioso deve essere contenuto nei limiti e nella traccia disegnata dal medesimo art. 7 abrogato. Pur se tale interpretazione non fa rivivere la norma abrogata di cui al comma 1 ed è, dunque, insuscettibile di determinarne la strumentale ed indiretta reviviscenza. La soluzione indicata in sentenza fa leva sulla necessità che vi sia una richiesta o sollecito di parte che stimoli il giudice all'esercizio dei poteri di ufficio. A tale linea interpretativa si è adeguato il testo di riforma in tema di disponibilità della prova. La disciplina della prova testimoniale scritta, come espressa dal testo finale del d.d.l. approvato in via definitiva, può essere ammessa "anche senza l'accordo delle parti", avendo trovato piena legittimazione, da un lato, l'iniziativa ad istanza di una sola delle parti e ferma restando, dall'altro, la possibilità che il mezzo istruttorio richiesto sia disposto ex officio dalla Corte di Giustizia Tributaria. Di contro, deve evidenziarsi che la riforma processuale, con l'introduzione del comma 5-bis nell'art. 7 in esame ad opera della legge n.130/2022, sembra aver superato il principio consolidato della giurisprudenza di legittimità che riportava l'intervento di ufficio del giudizio tributario all'interno del perimetro di esercizio delimitato dal prisma del primo comma dell'art. 7 cit., per la natura dispositiva del processo tributario (improntato alla “parità delle armi'), affermando il principio per cui in nessun caso il potere del giudice di disporre d'ufficio l'acquisizione di mezzi di prova "può essere utilizzato per supplire a carenze delle parti nell'assolvimento del rispettivo onere probatorio, ma solo in situazioni di oggettiva incertezza, in funzione integrativa degli elementi istruttori in atti, e sempre che la parte su cui ricade l'onus probandi non abbia essa stessa la possibilità di integrare la prova già fornita" (in senso conforme, Cass. civ., Sez. V, n. 15171/2018 e n. 955/2016). Le opportunità applicative offerte dalla nuova regola processuale Nella prassi applicativa, per le parti, rivestirà ruolo decisivo la predisposizione di memorie per l'udienza, in cui sono espresse le repliche alla fondatezza di fatti e ragioni della pretesa, esposti dall'ente resistente in sede di costituzione in giudizio. Resta, comunque, salva per esse la possibilità di integrare il ricorso con motivi aggiunti, nei limiti in cui sia reso necessario dal deposito di documenti non conosciuti ad opera dalla controparte. Sul punto troverà applicazione il regime previsto dall'art. 24 comma 2, d.lgs. n. 546/1992, che così recita: “l'integrazione dei motivi di ricorso è resa necessaria dal deposito di documenti non conosciuti ad opera delle altre parti o per ordine della Commissione (ora Corte) ed è ammessa entro il termine perentorio di sessanta giorni dalla data in cui l'interessato ha notizia di tale deposito.” Nel caso in cui, invece, sia stata già fissata la trattazione della controversia, l'interessato, a pena di inammissibilità, deve dichiarare, “non oltre la trattazione in camera di consiglio o la discussione in pubblica udienza”, che intende proporre motivi aggiunti. In tal caso la trattazione e l'udienza debbono essere rinviate ad altra data per consentire gli adempimenti di cui al comma seguente. Resta impregiudicata infine, la possibilità per il ricorrente di una ulteriore esplicitazione a chiarimento e illustrazione dei motivi di ricorso proposti, con una memoria ex art. 24 d.lgs. n. 546/1992. L'interpretazione della giurisprudenza di legittimità sulla ammissibilità di memorie dovrà, tuttavia, essere adattata al nuovo disposto del comma 5-bis, che sembra imporre all'Amministrazione finanziaria di cristallizzare l'assetto probatorio dell'atto oggetto di impugnativa. (Cfr., Cass. civ., Sez. V, ordinanza n. 21813 del 11 luglio 2022, secondo cui «nel giudizio tributario è inammissibile la deduzione, nella memoria ex art. 32 del d.lgs. n. 546 del 1992, di un nuovo motivo di illegittimità dell'avviso di accertamento, in quanto il contenzioso tributario ha un oggetto rigidamente delimitato dai motivi di impugnazione avverso l'atto impositivo dedotti col ricorso introduttivo, i quali costituiscono la "causa petendi" entro i cui confini si chiede l'annullamento dell'atto e la cui formulazione soggiace alla preclusione stabilita dall'art. 24 comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992» ; in senso conforme, Cass. civ., Sez. V, n. 19616 del 24 luglio 2018, che puntualizza che «il contenzioso tributario ha un oggetto rigidamente delimitato dalle contestazioni comprese nei motivi dedotti col ricorso introduttivo ex artt. 18 e 24 d.lgs. n. 546 del 1992»). L'applicazione della nuova regola nella giurisprudenza delle Corti tributarie di merito Le Corti tributarie hanno dato immediata applicazione ai principi applicativi delle nuove norme elaborati dalla giurisprudenza di legittimità, riconoscendo la continuità della nuova normativa alle prassi istruttorie già in uso, anche quanto all'impatto sulla decisione di annullamento dell'atto per effetto dell'applicazione della nuova ratio decidendi introdotta dall'art. 7 comma 5-bis d. lgs. n. 546/1992. Sul tema del nuovo onere probatorio, giova richiamare il principio affermato da Corte Giustizia Trib. I grado sez. XV - Milano, 24 agosto 2023, n. 2969, secondo cui, in tema di processo tributario, il novellato art. 7 comma 5-bis, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in tema di distribuzione dell'onere della prova in giudizio, “ha l'obiettivo di conferire nuova centralità alla prova la cui maggiore consistenza deve in sostanza dimostrare, in modo circostanziato e puntuale la pretesa, sicché nel caso in cui tale prova non è fornita l'atto è illegittimo.” In senso conforme è il principio affermato dalla coeva pronuncia Corte Giustizia Trib. I grado sez. I - Lecce, 27 luglio 2023, n. 1283, che riporta nel nuovo comma 5-bis tra la regola generale dettata dall'art. 2697 c.c., in tema di distribuzione dell'onere della prova, osservando che, in ossequio al citato principio, come codificato in relazione al rinnovato rito, l'Amministrazione finanziaria, che vanti un credito nei confronti del contribuente, è tenuta a fornire la prova dei fatti costitutivi della propria pretesa. Ancora, negli stessi termini, la Corte Giustizia Trib. II grado Lazio sez. XIII - Roma, 16 giugno 2023, n. 3634, ha affermato che, “in applicazione del generale principio di cui all'art. 2697 c.c., applicabile anche al rito tributario e trasfuso nel novellato art. 7 comma 5-bis, d.lgs. n. 546 del 1992, salvo specifiche deroghe espressamente previste, spetta all'amministrazione Finanziaria l'onere di provare l'omissione di materia impositiva del soggetto verificato, nonché i presupposti di fatto e di diritto sui quali la pretesa fatta valere nei suoi confronti si fonda.”. Infine, giova richiamare gli arresti di – Corte Giustizia Trib. I grado sez. II - Latina, 27 giugno 2023, n. 599, laddove afferma che il nuovo testo dell'art. 7 comma 5-bis deve essere “interpretato nel senso che l'Amministrazione deve fornire anche in sede di giudizio le ragioni oggettive su cui si fondano la pretesa impositiva e l'irrogazione delle sanzioni, sicché l'avviso di accertamento deve essere annullato allorquando l'Ufficio si appiattisca sulle argomentazioni svolte in sede di verifica, riportate poi nella motivazione dell'atto, non fornendo ulteriore prova in giudizio del proprio argomentare.” – Corte Giustizia Trib. I grado sez. V - Siracusa, 23 novembre 2022, n. 3856, secondo cui, In tema di ripartizione dell'onere probatorio nel processo tributario, “la riforma dell'art. 7 comma 5-bis, d.lgs. n. 546/92, introdotto con l'art. 6 legge 31 agosto 2022, n. 130, nella parte in cui stabilisce che 'l'Amministrazione prova in giudizio le violazioni contestate con l'atto impugnato' non comporta un diverso e più gravoso onere probatorio rispetto ai principi già vigenti in materia, ma è coerente con le ulteriori modifiche legislative sull'onere della prova, che assegnano all'istruttoria dibattimentale un ruolo centrale.” Conclusioni La soluzione normativa al regime dell'onere della prova in ambito tributario mutua la profonda evoluzione nell'ermeneusi giurisprudenziale, che ha abbandonato l'iniziale applicazione dei principi generali dell'ordinamento privatistico previsti dall'art. 2697 c.c., per poi distaccarsene nell'adattamento della regola di ripartizione del rischio della prova all'interno della struttura impugnatoria del giudizio tributario. Ne è derivata la formulazione della nuova regola di giudizio del nuovo impianto processuale tributario, che impone l'annullamento dell'atto nel caso di ritenuta inidoneità della prova della fondatezza della pretesa tributaria nel corso del giudizio. Deve evidenziarsi che l'iter del d.lgs. attuativo della delega per la revisione del sistema tributario è stato semplificato dalla scelta del legislatore delegante di dettare “principi e criteri direttivi” generali, elencati nell'art. 19 comma 1, lettere da a) ad h) della legge n. 111 del 2023. Il riparto dell'onere della prova e i criteri applicativi prescelti in fase di attuazione della riforma finiscono per avere decisiva influenza sul risultato del processo, consentendo di veicolare la responsabilità della prova sulla parte pubblica o sul privato e di indirizzare la decisione sul diritto sostanziale tutelato in giudizio avverso gli atti autoritativi della amministrazione, fatte salve le presunzioni legali. Tale novità deve essere letta in uno con l'ampliamento dei poteri istruttori officiosi attribuiti alle Corti Tributarie. Tradizionalmente la ammissibilità di poteri integrativi di ufficio del giudice tributario, ove ne ricorrano condizioni e presupposti, solleva le parti da incombenti e decadenze connessi alla disponibilità esclusiva della prova, controbilanciando tale possibilità di intervento suppletivo gli eventuali criteri di favor per una delle parti del rapporto, frutto della rielaborazione giurisprudenziale della regola di riparto dell'onere della prova. La nuova regola probatoria e le prove presuntive non sono applicabili, tuttavia, in astratto, ma devono essere finalizzate all'accertamento del fatto, parametro necessario per considerare validamente fornita la prova. L'assunto deriva dallo stretto rapporto tra le norme generali norma in tema di onere della prova (art. 2697 c.c.) e di "libero convincimento" (art. 116 c.p.c.), che limita la prima nel senso che, se il giudice non perviene al convincimento circa la "verità" dei fatti, deve decidere la controversia in base alla regola di giudizio dell'art. 2697 c.c. In concreto, l'elaborazione ermeneutica della nuova regola probatoria è orientata al bilanciamento dei criteri di ragionevolezza nella individuazione della fondatezza della prova, espressa in termini di "grado" di certezza o verosimiglianza secondo una proiezione probabilistica, che, tuttavia, deve essere pur sempre orientata a dare dimostrazione del fatto storico che fonda la pretesa impositiva o del diritto tutelato in giudizio dal ricorrente. Il dibattito giurisprudenziale sulla regola di riparto ha così trovato piena attuazione e chiara sintesi nelle disposizioni della riforma in tema di (onere, disponibilità e diritto alla) prova, sistematicamente lette e considerate. Riferimenti A. Carinci, La riforma del processo tributario nella bozza di decreto legislativo, in questo Portale, 30 Novembre 2023. S. Capolupo, I limiti della prova testimoniale nel processo tributario, in questo Portale, 27 Gennaio 2023. D. Mendola, L'introduzione della testimonianza scritta nel processo tributario, in questo Portale, 19 luglio 2023. M. Romeo, Spetta all'Ufficio provare le specifiche caratteristiche tecniche che hanno condotto ad una diversa classificazione doganale, in questo Portale, 10 Maggio 2023. |