La notizia di reato è indubbiamente uno dei momenti “qualificanti” non solo del rapporto tra il P.M. e la P.G., quanto della stessa attività di quest'ultima.
Inquadramento
Per come il sistema giudiziario è attualmente strutturato, l'efficacia globale della risposta punitiva dello Stato trova il suo primo caposaldo non solo nella capacità della P.G. di cogliere e “intercettare” sul territorio le più svariate manifestazioni criminali, quanto anche di tradurre le stesse, in termini tempestivi ed efficaci, in notizie di reato destinate alla Procura della Repubblica.
I tempi (e i presupposti) della trasmissione possono apparire inequivoci e automatici solo in base a un approccio semplicistico al problema. Proprio l'esigenza di conciliare rapidità e completezza - indispensabile, spesso, per consentire di mettere a disposizione dell'ufficio requirente un quadro probatorio tendenzialmente completo e “credibile” - impone prima di tutto di analizzare il testo dell'art. 347, comma 1, c.p.p., rubricato “Obbligo di riferire la notizia del reato”.
I tempi della comunicazione
Precisa l'art. 347 c.p.p.: «Acquisita la notizia di reato, la polizia giudiziaria, senza ritardo, riferisce al pubblico ministero, per iscritto, gli elementi essenziali del fatto e gli altri elementi sino ad allora raccolti, indicando le fonti di prova e le attività compiute, delle quali trasmette la relativa documentazione». Inoltre «Con la comunicazione, la polizia giudiziaria indica il giorno e l'ora in cui ha acquisito la notizia».
La norma è non priva di contraddizioni. La P.G. deve chiaramente indicare giorno e – addirittura – l'ora dell'acquisizione di una notizia di reato, che deve essere trasmessa “senza ritardo”, ma rispetto alla quale deve riferire sugli elementi di prova “sino ad allora raccolti”. Se la trasmissione deve avvenire senza ritardo, quanto può o deve durare la “raccolta” degli elementi essenziali (o accidentali) del fatto? Una valutazione inevitabilmente condizionata dalla natura del reato e dalla complessità dell'indagine.
Non solo: si parla di fonti (plurale) di prova e di attività (ancora plurale) compiute: dunque attività destinate a protrarsi per un arco temporale che potrebbe anche non essere così breve. In realtà, il codice indica espressamente i casi nei quali sussiste un termine preciso per la trasmissione o quanto – come vedremo – quest'ultima deve essere preceduta da una comunicazione al P.M. Ne consegue che il richiamo al “ritardo” si riferisce non al mero arco temporale tra l'acquisizione e la trasmissione, quanto al momento in cui sono stati raccolti (quantomeno) quegli elementi essenziali che trasformano una ipotesi di reato in una notizia di reato (elementi che, a quel punto, devono essere trasmessi al P.M. senza indugio).
In una comparazione d'interessi generale, solo in limitate ipotesi questa tendenziale “completezza” della fase dell'acquisizione può essere interrotta per l'immediata trasmissione al P.M.
Al riguardo, l'art. 347, comma 2-bis, c.p.p. stabilisce che «Qualora siano stati compiuti atti per i quali è prevista l'assistenza del difensore della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini, la comunicazione della notizia di reato è trasmessa al più tardi entro quarantotto ore dal compimento dell'atto, salve le disposizioni di legge che prevedono termini particolari».
Gli atti per i quali è prevista la presenza del difensore sono indicati dall'art. 364 c.p.p. (interrogatorio, ispezione, individuazione di persone o confronto cui deve partecipare la persona sottoposta alle indagini) e 365 c.p.p. (perquisizione o sequestro). La trasmissione entro le 48 ore non è conseguenza della necessità dell'assistenza del difensore, ma completa la stessa, avendo il legislatore voluto sottolineare la delicatezza delle situazioni descritte, per le quali la garanzia defensionale “privata” deve essere corredata da quella pubblica, consistente nella presa di conoscenza (con conseguente possibilità di intervento) da parte del P.M.
Un regime di ancora maggiore garanzia è poi stabilito dall'art. 347, comma 3, c.p.p., che prevede un'eccezione emblematica e di grande rilievo generale al principio di cui all'art. 347 c.p.p.; un comma modificato dal cd codice rosso (l. n. 69/2019): «Se si tratta di taluno dei delitti indicati nell'art. 407, comma 2, lett. a), n. da 1) a 6), del presente codice, o di uno dei delitti previsti dagli artt.572, 609-bis, 609-ter, 609-quater, 609-quinquies, 609-octies, 612-bis e 612-ter c.p., ovvero dagli articoli 582 e 583-quinquies del codice penale nelle ipotesi aggravate ai sensi dell'art. 576, comma 1, n. 2, 5 e 5.1, e art. 577, comma 1, n. 1, e comma 2, c.p., e, in ogni caso, quando sussistono ragioni di urgenza, la comunicazione della notizia di reato è data immediatamente anche in forma orale. Alla comunicazione orale deve seguire senza ritardo quella scritta con le indicazioni e la documentazione previste dai commi 1 e 2.».
Il legislatore si è espresso in termini di immediatezza e informalità (comunicazione orale), indicando una serie di ipotesi “tipizzate” – con particolare riguardo ai reati riconducibili alla categoria della violenza domestica o di genere- e una generica- quanto intuitiva- individuata nelle ragioni di urgenza. Presupposti a fronte dei quali è necessario un immediato contatto con il P.M. di turno, all'evidente fine di porre l'ufficio di Procura nella condizione non solo di essere a conoscenza dei fatti, ma di intervenire con atti di coordinamento, d'integrazione investigativa e con possibili “correzioni” di rotta, nei limiti e con le forme previste dal codice.
Sul punto, ha chiarito la S.C. (Cass. pen., sez. VI, 19 marzo 2007, n. 18457) che ai fini della valutazione di tempestivo adempimento dell'obbligo della polizia giudiziaria di riferire la notizia di reato al pubblico ministero, le espressioni adoperate dalla legge - che ci si riferisca alla locuzione "senza ritardo" o all'avverbio "immediatamente", usati, rispettivamente, nei commi primo e terzo dell'art. 347 c.p.p. - pur se non impongono termini precisi e determinati, indicano attività da compiere in un margine ristretto di tempo, e cioè non appena possibile, tenuto conto delle normali esigenze di un ufficio pubblico onerato di un medio carico di lavoro. Un principio affermato in un caso di denuncia per ipotesi di tentato omicidio, nel quale la S.C. ha ravvisato il reato di omessa denuncia di reato da parte di un pubblico ufficiale, per avere gli addetti al competente commissariato di polizia, informati oralmente dei fatti dal posto di polizia presso un ospedale, trattenuto la denuncia per oltre un mese, quantunque più volte sollecitati, inoltrandola al P.M. solo dopo che la vittima aveva provveduto a presentarne altra direttamente agli uffici di Procura.
Il rispetto dei tempi della comunicazione della notizia di reato è “tutelato” dalla previsione del delitto di cui all'art. 361 c.p., che sanziona la condotta del pubblico ufficiale, che omette o ritarda di denunciare all'autorità giudiziaria, o ad un'altra autorità che a quella abbia obbligo di riferirne, un reato di cui ha avuto notizia nell'esercizio o a causa delle sue funzioni. In particolare, per la S.C. (Cass. pen., sez. V, 9 febbraio 2011, n. 14465) il delitto di omessa denuncia si realizza quando il ritardo della comunicazione della notizia di reato, fondata o meno che essa appaia, non consenta al P.M. qualsiasi iniziativa a lui spettante. In motivazione la Corte ha escluso che la formula "senza ritardo", previsto per riferire al P.M. la notizia di reato, autorizzi il pubblico ufficiale ad una valutazione di fondatezza.
Gli elementi integrativi della n.r.
Per quanto possibile e nei termini sopra indicati, la comunicazione della notizia di reato deve essere corredata da una serie di elementi funzionali a porre la Procura della Repubblica nelle condizioni di:
verificare la qualificazione del fatto
prendere immediate determinazioni in ordine alla definizione del procedimento (con esercizio dell'azione penale o richiesta di archiviazione)
valutare il compendio probatorio, delegando ove necessario, nuovi e specifici accertamenti, siano essi richiesti/suggeriti dalla P.G. (es. decreto di perquisizione o di richiesta al G.i.p. di acquisizione di tabulati telefonici) siano essi espressione di un'autonoma prospettiva investigativa.
In questo senso, pertanto, oltre agli “elementi essenziali del fatto” e agli altri elementi raccolti (precisati indicando le fonti di prova e le attività compiute) la notizia di reato dovrà essere completata – come vedremo- ove possibile dalle generalità, dal domicilio e da quanto altro valga alla identificazione:
della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini
della persona offesa
di coloro che siano in grado di riferire su circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti.
Soggetti questi ultimi che, al pari della persona offesa, fatti salvi i casi sopra indicati, potrebbero (o dovrebbero) essere già stati sentiti dalla P.G., d'iniziativa.
L'assicurazione delle fonti di prova
Come chiarito dall'art. 348 comma 1 c.p.p. «Anche successivamente alla comunicazione della notizia di reato, la polizia giudiziaria continua a svolgere le funzioni indicate nell'articolo 55 accogliendo in specie ogni elemento utile alla ricostruzione del fatto e alla individuazione del colpevole».
Nella disciplina prevista dal codice di rito non esiste un divieto assoluto per la polizia giudiziaria di procedere ad atti di iniziativa successivamente alla trasmissione della notizia di reato al pubblico ministero. La polizia giudiziaria, sulla base del coordinamento degli artt. 55 e 348, comma 2, c.p.p. ha un potere autonomo in ordine all'attività diretta all'assicurazione delle fonti di prova, prima e dopo l'intervento del magistrato, essendo vietato soltanto il compimento di atti eventualmente in contrasto con le direttive del P.M. (Cass. pen., sez. III, 4 maggio 1994, n. 6252). Il menzionato art. 348, comma 3, c.p.p., prevede il potere-dovere della stessa polizia, dopo l'intervento del P.M., non solo di compiere "gli atti ad essa specificamente delegati" in virtù dell'art. 370 c.p.p., ma anche tutte le altre attività di indagine ritenute necessarie "nell'ambito delle direttive impartite", per accertare i reati per accertare ovvero richieste da elementi successivi emersi e assicurare le nuove fonti di prova; per la S.C., dopo la riforma dell'art. 348, comma 3, c.p.p. per effetto della legge 26 marzo 2001, n. 128, la polizia giudiziaria resta libera di procedere autonomamente ad atti di indagine, anche non necessari e urgenti, sia prima che dopo la comunicazione al pubblico ministero della notizia di reato, con la sola condizione che tali atti siano compatibili con le direttive e le deleghe eventualmente impartite dal medesimo (Cass. pen., sez. V, 11 marzo 2019, n. 15003). Si tratta di attività che rientrano nell'ambito della discrezionalità tecnica della P.G.
Tutto ciò, in ogni caso, sempre che si sia realizzato il presupposto costituito dall'"intervento" del pubblico ministero, giacché, fino a quando siffatto intervento non abbia avuto luogo, e cioè fino al momento in cui il pubblico ministero, pur avendo ricevuto la notizia di reato, non abbia impartito specifiche direttive, opera esclusivamente il disposto di cui all'art. 348, comma 1, c.p.p., secondo il quale la polizia giudiziaria, senza necessità di specifica delega e operando, quindi, di propria iniziativa, nell'ambito della propria discrezionalità tecnica, "raccoglie ogni elemento utile alla ricostruzione del fatto e alla individuazione del colpevole".
L'art. 348 comma 2 c.p.p. propone una sintetica e non esaustiva tipizzazione delle attività alle quali è chiamata la P.G. indicando, in particolare la necessità:
della ricerca delle cose e delle tracce pertinenti al reato e la conservazione di esse e dello stato dei luoghi
della ricerca delle persone in grado di riferire su circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti
del compimento degli atti indicati negli articoli seguenti all'art. 348 c.p.p.
Non solo: la complessità della realtà nella quale la P.G. è chiamata a operare ha imposto al legislatore di prevedere - art. 348 comma 4 c.p.p. - quando la stessa, agendo di propria iniziativa o a seguito di delega del pubblico ministero, deve compiere atti od operazioni che richiedono specifiche competenze tecniche, della facoltà di avvalersi di persone idonee le quali non possono rifiutare la propria opera.
Attività che possono essere svolte anche di iniziativa e autonomamente dalla P.G.; a titolo puramente esemplificativo si possono ricordare, tre le altre:
le operazioni di analisi chimico-tossicologiche su sostanze ritenute stupefacenti, svolte d'iniziativa dalla polizia giudiziaria nell'immediatezza del fatto a sostegno delle ragioni giustificanti il sequestro della sostanza e a corredo della informativa di reato, sono riconducibili alle attività previste dall'art. 348 c.p.p. e non richiedono il preventivo avviso al difensore (Cass. pen., sez. VI. 4 novembre 2015, n. 50033).
l'acquisizione da parte della polizia giudiziaria del numero di utenza telefonica mobile attraverso l'esame, all'insaputa dell'indagato, dell'apparecchio cellulare a lui in uso rientra tra gli atti urgenti e "innominati" demandati agli organi di polizia giudiziaria, ai sensi degli artt. 55 e 348 c.p.p. e, come tale, non è soggetta ad una preventiva autorizzazione dell'Autorità giudiziaria e neppure alla necessaria documentazione prevista dall'art. 357 c.p.p. che non fa riferimento alle attività ed operazioni di cui all'art. 348 c.p.p. (Cass. pen., sez. VI, 27 marzo 2018, n. 20247).
l'acquisizione da parte della polizia giudiziaria della documentazione alla stessa spontaneamente consegnata, posto che la perquisizione e il sequestro non costituiscono, nella fase delle indagini preliminari, i soli mezzi mediante i quali raccogliere prove documentali (Cass. pen., sez. III, 10 febbraio 2023, n. 24932).
l'accertamento sull'identità dell'indagato compiuto mediante ricorso ai dati relativi al DNA contenuti negli archivi informatici della polizia giudiziaria, non sussistendo alcun divieto di legge riguardo la capacità organizzativa, da parte della P.G., dei dati conoscitivi singolarmente acquisti nelle diverse indagini (Cass. pen., sez. II, 21 gennaio 2021, n. 15577).
l'individuazione fotografica disposta autonomamente dalla P.G., sia prima che dopo la comunicazione al pubblico ministero della notizia di reato, poiché gli artt. 55 e 348 c.p.p. sanciscono il principio di atipicità degli atti di indagine della polizia giudiziaria, cui compete, anche in difetto di direttive o formali deleghe del pubblico ministero, il potere-dovere di compiere di propria iniziativa tutte le indagini che ritiene necessarie ai fini dell'accertamento del reato e dell'individuazione dei colpevoli (Cass. pen., sez. II, 25 novembre 2020, n. 34211).
la registrazione della voce da parte della polizia giudiziaria, diretta alla sola repertazione del timbro vocale e alla comparazione fonica e non anche ad acquisire contenuti dichiarativi da utilizzare come prova, che costituisce mero rilievo, effettuabile senza necessità di autorizzazione giudiziale o di decreto dispositivo del pubblico ministero, in quanto espressione dei poteri conferiti dall'art. 348 c.p.p. alla polizia giudiziaria (Cass. pen., sez. II, 21 dicembre 2017, n. 1746).
Nella redazione delle notizie di reato riguardanti perquisizioni eseguite d'ufficio, è importante che la P.G. specifichi gli indizi e le norme di legge in base alle quali le perquisizioni e i sequestri sono stati effettuati: ciò anche ai fini della decisione motivata sulla convalida dei sequestri eventualmente effettuati.
In generale, le informative di P.G. devono recare la indicazione più possibile precisa delle norme penali che si ritengono violate: ciò al fine di semplificare e velocizzare la procedura di iscrizione delle N.R. (anche al di fuori delle procedura-portale) ad opera di personale delle aliquote della Sezione di PG (a ciò adibito), dei V.P.O. e del personale amministrativo. Inoltre, quando la tipologia dei reati per cui si procede lo richieda, specie se si tratta di reati gravi e/o pertinenti a procedimenti complessi, occorre procedere immediatamente a sopralluogo, che deve essere accompagnato da relativo verbale dettagliato e supportato da idonea documentazione fotografica; in sintesi, occorre cristallizzare correttamente e compiutamente la scena del crimine.
L'identificazione dei soggetti
Uno degli aspetti fondamentali della notizia di reato deve essere individuato nella identificazione della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini e di altre persone, aspetto disciplinato dall'art. 349 c.p.p. ; norma che deve essere letta in correlazione al disposto dell'art. 66 c.p.p. (rubricato «Verifica dell'identità personale dell'imputato»): «Nel primo atto cui è presente l'imputato, l'autorità giudiziaria lo invita a dichiarare le proprie generalità e quant'altro può valere a identificarlo, ammonendolo circa le conseguenze cui si espone chi si rifiuta di dare le proprie generalità o le dà false». In forza di tale articolo deve escludersi che l'impossibilità di attribuire all'imputato le sue esatte generalità possa pregiudicare il compimento di alcun atto dell'autorità procedente allorquando sia certa l'identità fisica della persona. Identificazione che assume una specifica rilevanza ove si consideri che, contestualmente a tale attività, la polizia giudiziaria invita la persona nei cui confronti vengono svolte le indagini a dichiarare o a eleggere il domicilio per le notificazioni a norma dell'articolo 161.
Per l'art. 349, comma 1, c.p.p., la polizia giudiziaria procede alla identificazione della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini e delle persone in grado di riferire su circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti.
Come chiarito dalla S.V., l'identificazione dell'indagato ad opera della polizia giudiziaria è validamente operata sulla base delle dichiarazioni dallo stesso fornite, perché il ricorso ai rilievi dattiloscopici, fotografici o antropometrici, o ad altri accertamenti, si giustifica soltanto in presenza di elementi di fatto che facciano ritenere la falsità delle indicate dichiarazioni. (Cass. pen., sez. IV, 29 marzo 2017, n 19044). Per altro, le sole dichiarazioni rese dall'imputato, privo di documenti e non fotosegnalato, alla polizia giudiziaria in ordine alle proprie generalità non sono sufficienti a fondare con sicurezza l'identificazione dello stesso, incombendo in tal caso alla polizia giudiziaria di procedere ai rilievi di cui all'art. 349, commi 2 e 2-bis, c.p.p. (Cass. pen., sez. II, 19 gennaio 2011, n. 3603).
In tali casi, come previsto dall'art. 349 comma 4 c.p.p., a fronte del rifiuto dalla identificazione o laddove sia ipotizzabile che siano state fornite «generalità o documenti di identificazione in relazione ai quali sussistono sufficienti elementi per ritenerne la falsità, la polizia giudiziaria la accompagna nei propri uffici e ivi la trattiene per il tempo strettamente necessario per la identificazione e comunque non oltre le dodici ore ovvero, previo avviso anche orale al pubblico ministero, non oltre le ventiquattro ore, nel caso che l'identificazione risulti particolarmente complessa oppure occorra l'assistenza dell'autorità consolare o di un interprete ed in tal caso con facoltà per il soggetto di chiedere di avvisare un familiare o un convivente».
L'articolo 349 c.p.p. contiene altre due disposizioni di particolare rilievo. Per il comma 2, è prevista la possibilità di procedere alla identificazione anche eseguendo, ove occorra, rilievi dattiloscopici, fotografici e antropometrici nonché altri accertamenti. La norma è stata recentemente (art. 2, comma 8, l. n. 134/2021) integrata con la previsione per la quale tali rilievi «sono sempre eseguiti quando si procede nei confronti di un apolide, di una persona della quale è ignota la cittadinanza, di un cittadino di uno Stato non appartenente all'Unione europea ovvero di un cittadino di uno Stato membro dell'Unione europea privo del codice fiscale o che è attualmente, o è stato in passato, titolare anche della cittadinanza di uno stato non appartenente all'Unione europea. In tale caso, la polizia giudiziaria trasmette al pubblico ministero copia del cartellino fotodattiloscopico e comunica il codice univoco identificativo della persona nei cui confronti sono svolte le indagini». Inoltre, se gli accertamenti in oggetto
comportano il prelievo di capelli o saliva e manca il consenso dell'interessato, la polizia giudiziaria procede al prelievo coattivo nel rispetto della dignità personale del soggetto, previa autorizzazione scritta, oppure resa oralmente e confermata per iscritto, del pubblico ministero.
Il contenuto della comunicazione: la querela
Anche in conseguenza alle modifiche in tema di procedibilità per molti reati apportate dal d.lgs. n. 150/2022 - c.d. riforma Cartabia - è, infine, importante, in caso di verbale di dichiarazioni rese da persone offese dai reati, che sia specificato con la massima chiarezza – eventualmente anche con domanda ad hoc – se la persona dichiarante richieda la punizione dell'autore del reato, non apparendo sufficiente, l'intestazione dell'atto come “verbale di querela”, ove quest'ultimo non contenga tale precisazione. In base all'art. 336 c.p.p., in effetti, la querela è proposta mediante dichiarazione nella quale, personalmente o a mezzo di procuratore speciale, un soggetto manifesta la volontà che si proceda in ordine a un fatto previsto dalla legge come reato.
Ai sensi dell'art. 337 c.p.p. (Formalità della querela) la dichiarazione di querela- che deve essere trasmessa contestualmente alla notizia di reato, ove possibile - è proposta, con le forme previste dall'art. 333 comma 2 c.p.p., alle autorità alle quali può essere presentata denuncia ovvero a un agente consolare all'estero. Laddove proposta oralmente, il verbale in cui essa è ricevuta è sottoscritto dal querelante o dal procuratore speciale e l'autorità che riceve la querela provvede all'attestazione della data e del luogo della presentazione, all'identificazione della persona che la propone e alla trasmissione degli atti all'ufficio del pubblico ministero.
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