Valenza probatoria del modulo CAI sottoscritto da due conducenti nell'ambito di un tamponamento a catena

La Redazione
12 Giugno 2024

Con ordinanza n. 15431 del 3 giugno 2024, la Suprema Corte è chiamata a decidere se il modulo CAI sottoscritto soltanto da due dei tre conducenti dei veicoli coinvolti nel tamponamento a catena possa essere fatto valere nei confronti del creditore cedente che nella fattispecie in esame non ha firmato il modulo.

Il caso riguarda un incidente stradale che aveva visto coinvolti tre mezzi, con il modello CAI sottoscritto da due conducenti su tre, ossia Tizio, autore del primo tamponamento, e Caia, la cui vettura aveva a sua volta tamponato una terza auto guidata da Sempronio.

Il giudice di pace veniva adito dalla compagnia assicuratrice di quest'ultimo per ottenere la condanna della compagnia assicuratrice di controparte al risarcimento dei danni conseguenti al sinistro stradale. Il giudice di pace rigettava la domanda condannando la società attrice al pagamento delle spese di lite; la decisione veniva confermata in seconde cure dal Tribunale.

I giudici di merito rilevavano che la società di assicurazioni aveva contestato, costituendosi nel giudizio di primo grado, che non vi fosse la prova del fatto che il sinistro si fosse verificato con le modalità indicate nell'atto di citazione. A fronte di tale «puntuale contestazione, era onere della società appellante assolvere all'onere probatorio che su di essa incombeva»; questa, invece, si era limitata a produrre il modello CAI «sottoscritto da entrambi i conducenti» che, in difetto di riscontro tramite ulteriori elementi di prova, era stato ritenuto dal Tribunale insufficiente a fornire la prova del fatto dedotto a sostegno della domanda.

Questo sul presupposto che il modello CAI «non ha valore di piena prova nemmeno nei confronti del confitente, dovendo essere la dichiarazione ivi contenuta liberamente valutata dal giudice, come confessione proveniente da uno solo dei litisconsorti necessari (art. 2733, terzo comma, c.c.)».

In Cassazione, la società ricorrente lamentava che il Tribunale non avrebbe attribuito il giusto valore al modulo CAI, non considerando che i danni risultanti dallo stesso erano compatibili con quelli accertati dalla fattura prodotta e inoltre che la sentenza impugnata poneva a carico del danneggiato cioè il creditore cessionario l'onere di provare che i fatti si fossero davvero svolti come indicati nel modello.

Innanzitutto, la Corte ricorda che l'art. 143, comma 2, d.lgs. n. 209/2005 afferma che il modello CAI sottoscritto da entrambi i conducenti determina una presunzione, salvo prova contraria da parte dell'impresa di assicurazione, che il sinistro si sia svolto con le modalità e le conseguenze indicate su quel modulo. È dunque l'assicurazione ad essere gravata dall'onere della prova contraria e non il danneggiato.

In secondo luogo, richiamando la giurisprudenza in materia con riferimento specifico alla sentenza delle Sezioni Unite civili n. 10311/2006 (richiamata dal Tribunale nella propria decisione) che afferma anche il principio del litisconsorzio necessario a proposito della responsabilità derivante da circolazione stradale, sottolinea la Corte come il principio del libero apprezzamento non è in contrasto con le norme di legge che conferiscono al modello CAI, firmato da entrambi i conducenti «il valore di una presunzione iuris tantum che l'assicuratore è ammesso a superare».

In conclusione, dopo aver “armonizzato” l'interpretazione delle norme di legge sul valore del CAI con il principio del litisconsorzio necessario enunciato dalle Sezioni Unite a proposito della responsabilità derivante da circolazione stradale, la Suprema Corte afferma che nel caso specifico la parziale fondatezza della censura in diritto proposta dalla parte ricorrente non giova all'accoglimento del ricorso, che viene respinto sulla base del fatto che la ricorrente è la cessionaria del credito di Sempronio, cioè il secondo tamponato, che sarebbe stato urtato dalla vettura di Caia in seguito dell'urto di questa con l'auto di Tizio. Ne consegue che la ricorrente, «non può far valere, nei confronti dell'assicuratore, alcuna CAI, posto che il creditore cedente non ha firmato alcunché (o, almeno, nessuno ha sostenuto il contrario)».

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