Le operazioni straordinarie negli strumenti di regolazione della crisi d’impresa

25 Luglio 2024

La strategia del risanamento attraverso operazioni straordinarie, coniugando la funzionalità industriale di quest’ultime con le esigenze del risanamento stesso, rappresenta una valida soluzione nell’ambito dei percorsi risanatori delle imprese, nonché uno dei punti di svolta del codice della crisi, tanto più alla luce delle proposte di modifica contenute nell’imminente terzo decreto correttivo.

Il presente lavoro è stato redatto con la collaborazione di Antonio Di Venere.

Introduzione

L'evoluzione della disciplina della crisi d'impresa risulta caratterizzata dalla duplice e convergente spinta, da un lato, alla sua emersione anticipata e, dall'altro, dall'accentuazione dell'approccio privatistico nella sua regolamentazione, sulla base di una negoziazione tra debitore e creditori. Tale volontà legislativa ha condotto, nell'ambito delle finalità complessive volte a favorire il risanamento e la prosecuzione dell'attività d'impresa ed in questo modo a realizzare il miglior soddisfacimento dei creditori, all'apertura di ampi spazi ad una congerie di operazioni contrattuali e societarie, attraverso cui raggiungere questi obiettivi (Miola, Le operazioni societarie riorganizzative negli strumenti di regolazione della crisi e dell'insolvenza delle imprese e dei gruppi di imprese, in Donativi (diretto da), Trattato delle società, UTET, 2022).

Infatti, la fusione o la scissione possono essere strumentali all'attuazione di un concordato preventivo, potendo la fattispecie essere modellata sulla particolarità delle esigenze che si manifestano nel caso concreto (Le operazioni di fusione e scissione nell'ambito degli strumenti di regolamentazione della crisi e dell'insolvenza soggetti ad omologazione, Consiglio Nazionale del Notariato, studio n. 149-2023/I).

Le fusioni e le scissioni si sono rapidamente affermate quali strumenti per l'attuazione di piani concordatari.

La fusione può ad esempio consentire di collocare tramite una vendita unitaria, e dunque a migliori condizioni, gli attivi di società appartenenti al medesimo gruppo in crisi, oppure di far pervenire ad una società in concordato beni immobili da liquidare per ottenere nuova finanza in esenzione di imposta, non essendo tassati né il primo “passaggio” di beni tramite fusione (art. 172 comma 1, T.U.I.R.), né la successiva cessione (art. 86 comma 5, T.U.I.R.). La fusione può anche essere impiegata allo scopo di estinguere per confusione crediti e debiti infragruppo di dubbia legittimità, ad esempio perché derivanti da finanziamenti a favore di società del gruppo non solvibili.

La scissione può invece essere utilizzata per diversificare i rischi d'impresa nella continuità diretta, ad esempio separando l'attività aziendale da quella immobiliare, oppure per disgiungere l'attività in continuità da quella liquidatoria [restando la trasformazione eterogenea relegata ad un uso sporadico nel concordato, in particolare quando abbia l'effetto di aggiungere alla responsabilità dell'ente quella di coloro che hanno agito in suo nome e per suo conto, come nel caso di trasformazione da società di capitali ad associazione non riconosciuta (cfr. art. 38 c.c.); sul punto Cecchini, Fusioni, scissioni e trasformazioni nel nuovo concordato preventivo, in Fall., 1° luglio 2019].

Queste operazioni, tradizionalmente definite dalla scienza aziendalistica come “straordinarie”, costituiscono una categoria molto ampia, comprendente ogni tipologia di intervento finalizzato, attraverso atti od operazioni, alla riconfigurazione delle modalità di svolgimento dell'attività d'impresa al fine di adattarla alle mutate esigenze, destinate a realizzare una modificazione sul piano strutturale o finanziario dell'organizzazione societaria (Miola, op. cit.).

Le operazioni straordinarie nel c.c.i.i.

La possibilità di risanamento attraverso anche le operazioni straordinarie previste nel piano, oltre che condivisibili da un punto di vista di fattibilità industriale, viene esplicitamente prevista dalle norme del codice della crisi, laddove il tenore letterale della locuzione “attraverso qualsiasi forma” relativamente alle modalità di ristrutturazione dei debiti e di soddisfazione dei crediti (art. 84 comma 1, c.c.i.i.)  lascia presupporre un ventaglio molto ampio di soluzioni cui il debitore può ricorrere al fine di modellare lo strumento per il superamento della crisi, anche mediante cessione dei beni, accollo, o altre operazioni straordinarie, ivi compresa l'attribuzione ai creditori, nonché a società da questi partecipate, di azioni, quote, ovvero obbligazioni, anche convertibili in azioni, o altri strumenti finanziari e titoli di debito, secondo quanto disposto ex art. 87, comma 1, lett. d), c.c.i.i.

Invero, già nella previgente legge fallimentare [art. 160 comma 1, lett a), l. fall.] il legislatore tentò di conciliare l'obiettivo  del soddisfacimento dei creditori concorsuali con l'esigenza di conservazione dell'organismo produttivo, introducendo la possibilità per il piano concordatario di prevedere una varietà di interventi di ristrutturazione patrimoniale, finanziaria e societaria dell'impresa in crisi, ivi inclusa l'ipotesi di modificarne l'organizzazione coinvolgendo nel progetto di risanamento i creditori e i terzi.

Dall'indicazione, seppure generica ed esemplificativa, delle “altre operazioni straordinarie” emergeva l'esplicito riferimento a soluzioni atte al superamento della crisi dell'impresa societaria che rappresentavano il contenuto di un vero e proprio piano di riorganizzazione della società in crisi o insolvente (Nigro, Diritto societario e procedure concorsuali, in Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso, UTET, 2006).

Sulla base di un sistematico inquadramento dei possibili interventi ristrutturativi, è stato rilevato (cfr. Guerrera, Maltoni, Concordati giudiziali e operazioni societarie di riorganizzazione, in Riv. soc., 2008, i quali hanno osservato  come la riallocazione delle risorse tramite operazioni straordinarie si accompagnerà necessariamente alla ristrutturazione del passivo della società destinata a beneficiare dell'effetto esdebitativo del concordato) che la riorganizzazione della società in crisi può assumere natura conservativa, ove sia prevista la ricapitalizzazione della società con il possibile mutamento della compagine sociale ma con il mantenimento della titolarità dell'impresa in capo alla società proponente; ovvero novativa, allorché si effettui il trasferimento o l'assegnazione totale o parziale del patrimonio ad una società terza che si assuma i debiti concorsuali.

Nel primo caso il recupero dell'equilibrio economico, patrimoniale e finanziario dell'impresa può derivare dalla cessione volontaria di quote o pacchetti azionari, dall'esclusione o rinuncia al diritto di opzione in sede di aumento del capitale all'uopo deliberato o, ancora, dall'emissione di titoli destinati ad essere sottoscritti dai soci o da terzi; ovvero dalla conversione di una parte dei crediti concorsuali in capitale di rischio o in altri titoli rappresentativi del capitale finanziario, operazione per effetto della quale i creditori acquistano lo stato di soci, con l'eventuale controllo della società, oppure quello di finanziatori.

Nel secondo caso, il recupero del valore dell'impresa deriverà, invece, dal trasferimento del patrimonio in capo ad un nuovo centro soggettivo di imputazione rappresentato da una società - assuntore o da altra società che concorra nel processo riorganizzativo a seguito di operazioni di fusione o scissione (Maffei Alberti, Commentario breve alle leggi su crisi d'impresa ed insolvenza, Cedam, 2023).

In entrambe le ipotesi, il soddisfacimento dei creditori potrà essere realizzato:

i) attraverso il pagamento dei crediti da parte della società debitrice o di società terza all'esito delle operazioni di ristrutturazione;

ii) attraverso l'attribuzione, a titolo solutorio, di partecipazioni nella società debitrice o in quella che ne ha acquisito il patrimonio e ne prosegue l'impresa;

iii) attraverso l'attribuzione, a titolo solutorio, di obbligazioni, anche convertibili in azioni, altri strumenti finanziari e titoli di debito emessi da tali società ( Maffei Alberti, op. cit.).

Con riferimento alla modalità di soddisfacimento sub ii), in giurisprudenza (Cass. Civ. Sez. I, sentenza, 7 maggio 2014, n. 9841) si è affermato che questa trova applicazione nei confronti di tutti i creditori, comprese le banche, non potendo essere invocato il divieto di acquisizioni di partecipazioni sociali imposto dalle norme emanate dal CICR e dalla Banca d'Italia, che non possono derogare ad una disposizione di rango primario (sul tema della legittimità del soddisfacimento in forma non monetaria dei crediti chirografari si veda anche Trib. Ravenna 29 maggio 2020, che sottolinea come da tempo sia riconosciuta la possibilità di inserire nel piano di concordato la realizzazione di operazioni di carattere straordinario, come l'affitto d'azienda, l'aumento di capitale con conversione forzosa in equity dei crediti, l'emissione di titoli obbligazionari, operazioni di fusione o scissione societaria, dovendosi di volta in volta verificare la legittimità della singola operazione rispetto ad una disciplina che va ricostruita secondo un principio di reciproca integrazione, dando luogo a quello che icasticamente è stato definito diritto societario-concorsuale).

Allo stato, quanto contenuto ad oggi nel codice della crisi rappresenta un vero e proprio punto di svolta per il risanamento, laddove la grande novità è rappresentata proprio dal trattamento delle operazioni nell'ambito degli strumenti di regolazione della crisi.

Infatti, alla luce degli ultimi interventi – il riferimento è al terzo decreto correttivo del codice della crisi, la cui bozza è stata recentemente diffusa in pubblica consultazione – lo strumento della riorganizzazione aziendale ottenuta tramite le operazioni straordinarie risulta altamente potenziato negli effetti che è in grado di spiegare nell'ambito del risanamento di un'impresa che versi in uno stato di crisi ovvero di insolvenza.

Il nuovo assetto normativo ha il pregio di coniugare la funzionalità industriale- commerciale della riorganizzazione aziendale nelle sue varie forme con le esigenze del risanamento perseguibile attraverso gli strumenti di regolazione della crisi, così da guidare la soluzione concordata attraverso le operazioni straordinarie nella loro complessità e nei benefici derivanti dalla sinergia con i presidi della normativa concorsuale.

L'art. 116 c.c.i.i.

L'assoluta novità, in particolar modo alla luce della bozza di decreto correttivo recentemente pubblicata, riguarda il nuovo art. 116 c.c.i.i. che, a prima vista, rende maggiormente fruibili le operazioni straordinarie nell'ambito del risanamento.

Innanzitutto, ai fini del coordinamento tra diritto societario e diritto concorsuale, la norma in argomento interviene sul tema dell'opposizione dei creditori all'operazione. Essa, infatti, può essere avanzata sia qualora l'operazione riguardi una società in bonis, sia che venga attuata da una società in crisi nella prospettiva di risanamento attraverso la procedura di concordato preventivo.

Nel corso del recente passato, la dottrina si è soffermata sul tema della – difficile – coesistenza del diritto di opposizione all'operazione straordinaria riconosciuta ai creditori sociali dal codice civile con il diritto di opposizione alla domanda di concordato preventivo disciplinata dal codice della crisi, laddove il creditore esprime il proprio dissenso in sede di operazioni di voto alla proposta presentata dal debitore.

In tal senso, rientrando l'operazione straordinaria tra i contenuti del piano cui la proposta si riferisce, ai sensi dell'art. 87, comma 1, lett. d), c.c.i.i., l'opposizione ex art. 2503 c.c. verrebbe assorbita dall'espressione del dissenso alla proposta concordataria insieme al relativo regime delle impugnazioni ex artt. 48 e 51 c.c.i.i. – difatti, la riformulazione proposta dalla bozza di decreto correttivo richiama espressamente l'art. 48 del codice per la proposizione dell'opposizione dei creditori della società debitrice e delle altre società partecipanti all'operazione – restando, così, salvaguardato il diritto del creditore di tutelare le proprie ragioni (sul tema delle opposizioni, da una diversa prospettiva, si veda dello stesso Autore Il codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza e la (mancata) opposizione dell'Agenzia delle entrate all'omologa, in IUS Crisi d'impresa (ius.giuffrefl.it) - ilfallimentarista,  3 maggio 2024).

 La bozza di terzo decreto correttivo interviene a tal riguardo in maniera importante nella disciplina della trasformazione, fusione o scissione prevista dal piano di concordato.

In prima battuta, è palese il tentativo di conciliazione delle regole civilistiche previste per la fusione e scissione, sempre interamente applicabili alle società non in concordato, con le esigenze della procedura, laddove, in caso contrario, sarebbero coesistiti due regimi di opposizione, il che avrebbe destato non pochi dubbi interpretativi circa le regole da seguire per presentare opposizione (in senso conforme, Maltoni, Articolo 116 - Trasformazione, fusione o scissione, in Valensise, Di Cecco, Spagnuolo (a cura di), Il Codice della Crisi - Commentario, Giappichelli, 2024, secondo il quale gli ordinari strumenti di tutela dei creditori sociali previsti nel codice civile in caso di fusione, scissione o trasformazione di società sono sostituiti dall'opposizione all'omologazione del concordato, con il fine di assicurare la stabilità delle soluzioni concordatarie alla crisi d'impresa; sul punto cfr. Platania, Proposte di modifiche agli articoli 116, 118, 118-bis, 120-bis, 120-quater, 120-quinquies della bozza di “correttivo” al ccii, in dirittodellacrisi.it, 28 maggio 2024).

Verso tale direzione sono orientate le modifiche proposte dalla bozza di decreto correttivo che intendono razionalizzare la disciplina delle operazioni straordinarie di trasformazione, fusione e scissione previste dal piano di concordato preventivo, correggendo l'errore (contenuto nella versione attuale dell'art. 116 c.c.i.i.) rappresentato dal riferimento alla “validità” delle operazioni, anziché alle questioni che possono essere fatte valere dai creditori nelle opposizioni previste dal codice civile quando la società non è in crisi o insolvente, coordinando i rimedi con quelli previsti dal codice civile in tema di impugnativa delle deliberazioni previste dal piano di concordato e garantendo in ogni caso la celerità e gli effetti della procedura di concordato (così come esplicitato dalla Relazione illustrativa della bozza di decreto correttivo). Invero, in dottrina venivano manifestate perplessità in merito all'impiego del termine “validità”, laddove contestare la validità della fusione o della scissione significa sostenerne l'invalidità: constatazione che conduce a misurarsi con la disciplina dell'art. 2504-quater c.c. e con l'effetto preclusivo previsto dalla norma, conseguente all'iscrizione dell'atto nel registro delle imprese, operante non solo rispetto ad ogni possibile causa di nullità o di annullabilità che affligga l'atto finale o il procedimento, o una deliberazione, ma anche rispetto ad ogni possibile causa di inefficacia, compresa quella derivante dal mancato rispetto dei termini per l'opposizione dei creditori (così Maltoni, op. cit. che richiama in dottrina Santagata, Le fusioni e Di Sarli, Art. 2504-quater).

L'art. 120-bis c.c.i.i.

Dal punto di vista procedurale, ai fini dell'accesso ad uno strumento di regolazione della crisi risulta necessaria, ai sensi dell'art. 120-bis c.c.i.i., la delibera degli amministratori che decidono, appunto, in merito all'entrata in procedura della società.

Il piano di riorganizzazione della società debitrice, ove comporti l'introduzione di modifiche statutarie o incida in modo rilevante sulle partecipazioni dei soci, può rendere opportuna una preventiva formazione del procedimento decisionale, sia da parte della proponente, sia da parte delle società terze, attraverso l'adozione delle necessarie deliberazioni degli organi sociali interessati, che precederanno quella attualmente richiesta dall'art. 120-bis o saranno ad essa contestuali (Maffei Alberti, op. cit.).

In tal senso, la norma prescrive che la decisione risulti da verbale redatto da un notaio ed è depositata e iscritta presso il registro delle imprese; la domanda di accesso sarà sottoscritta dai rappresentanti della società.

Sia pur con un intervento meno invasivo rispetto all'art. 116, il decreto correttivo propone di modificare l'art. 120-bis al solo fine di renderne più chiare le disposizioni e di precisare la ratio legis in relazione al suo ambito di applicazione.

In tal senso, al comma 1 si intende precisare che la facoltà attribuita in via esclusiva agli amministratori di richiedere l'accesso a uno strumento di regolazione della crisi o dell'insolvenza comprende anche la presentazione della domanda di accesso nella forma prenotativa di richiesta del termine. Agli amministratori si affiancano, inoltre, i liquidatori, per rendere la norma completa anche rispetto ai casi in cui la società si trovi, al momento dell'accesso, in stato di liquidazione volontaria.

La competenza attribuita in via esclusiva agli amministratori ad adottare decisioni relative all'accesso allo strumento di regolazione della crisi e la determinazione del contenuto del piano vanno inscritte nell'ambito dei più generali obblighi di attivarsi senza indugio per l'adozione e l'attuazione di uno degli strumenti previsti dall'ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale, di cui all'art. 2086 comma 2, c.c.; come pure è vero che tale attribuzione esclusiva segue la tendenza consolidata a consentire l'attivazione dei rimedi concorsuali sulla base di un'iniziativa autonoma degli amministratori (Meo, I soci e il risanamento riflessioni a margine dello schema di legge-delega proposto dalla Commissione di riforma, in Giurisprudenza Commerciale, 3-2016), giustificata con il perseguimento di interessi che non si esauriscono in quelli della compagine sociale (Cfr. Sacchi, Le operazioni straordinarie nel concordato preventivo, in Rivista di Diritto Societario, Giappichelli, 2016).

Il piano di ristrutturazione potrà quindi prevedere qualsiasi modificazione dello statuto della società debitrice, ivi inclusi aumenti e riduzioni del capitale anche con limitazione o riduzione del diritto di opzione e altre limitazioni che incidono direttamente sui diritti di partecipazioni dei soci nonché fusioni, scissioni e trasformazioni. Tale potere dell'amministratore non è peraltro senza limiti, essendo, in ogni caso, applicabili le regole ordinarie sulla diligenza di cui all'art. 2392 c.c., i principi di corretta gestione imprenditoriale e societaria, nonché l'art. 3 c.c.i.i., in punto di concreta idoneità delle determinazioni assunte dagli amministratori a far fronte alla crisi (sul punto, Maffei Alberti, op. cit.).

L'art. 120-bis, del resto, prevede la diretta strumentalità della modificazione statutaria al buon fine della ristrutturazione (Nigro, La nuova disciplina degli strumenti di regolazione della crisi e dell'insolvenza, in ristrutturazioniaziendali.it, 11 ottobre 2022).

Le finalità conservative e liquidatorie

A prima vista, verrebbe da ipotizzare che la strategia del risanamento attraverso operazioni straordinarie sia prerogativa di soluzioni conservative, quali un concordato preventivo in continuità, laddove risulterebbe poco condivisibile uno scenario in cui vengano attuate al fine di liquidare i beni del patrimonio sociale, tant'è che la dottrina si è lungamente dibattuta sul divieto di effettuare operazioni straordinarie nel caso di società sottoposte a procedure concorsuali, precludendone quindi l'esperibilità ai fini del risanamento.

Tuttavia, un'operazione straordinaria potrebbe essere utile al riordino dei beni sociali e propedeutica ad una dismissione ordinata ed efficiente degli asset, laddove la fusione che coinvolga società in crisi potrebbe essere uno strumento per rimuovere un'impresa in perdita, nel caso in cui le ordinarie cessione e liquidazione non risultino vantaggiose; inoltre, la fusione consentirebbe, in virtù delle sinergie generate, una migliore liquidazione dell'attivo, in ragione di un contenimento dei costi ovvero di una riduzione dei tempi di realizzazione del risultato programmato (sul punto, Potito, La nuova informazione. Anche sulla base del tenore dell'art. 264 del c.c.i.i. a mente del quale “il curatore può compiere gli atti e le operazioni riguardanti l'organizzazione e la struttura finanziaria della società previsti nel programma di liquidazione” e “il programma di liquidazione può prevedere l'attribuzione al curatore, per determinati atti od operazioni, dei poteri dell'assemblea dei soci”, non sarebbe inopportuno ipotizzare una liquidazione giudiziale che si basi su una efficiente realizzazione dell'attivo concorsuale per il soddisfo del ceto creditorio mediante operazioni straordinarie in altri casi decise dall'assemblea dei soci).

Assodata la funzionalità economica della fusione nell'ambito di una soluzione concordata della crisi, la scelta tra finalità conservativa ovvero liquidatoria dipenderà allora dal valore realizzabile attraverso l'una o l'altra via.

Dirimente, a questo punto, sarà il confronto tra il valore degli asset in caso di liquidazione ed il valore che l'impresa assumerà a seguito della ristrutturazione, scontati i costi di rilancio. Infatti, l'aumento delle dimensioni e l'acquisizione di nuove utilità derivanti dall'operazione di concentrazione possono determinare una migliore razionalità dell'utilizzo delle risorse disponibili, così ottenendo rilevanti economie di scala nella gestione dei costi della crisi (Di Martino, Fusione e soluzioni concordate della crisi, Giappichelli, 2018. Conviene rimarcare che nel codice della crisi il valore di liquidazione ricopre un ruolo centrale nell'ambito delle proposte ristrutturative per un triplice motivo: a) costituisce il parametro di base per verificare la convenienza rispetto all'unica alternativa percorribile; b) delimita il perimetro applicativo della regola della absolute priority rule nella distribuzione dell'attivo; c) offre al singolo creditore il diritto di sindacare un potenziale pregiudizio del proprio credito; così sul punto M. Greggio, M. Razzino, Il valore di liquidazione dei beni: brevi considerazioni basate su osservazioni empiriche, in dirittodellacrisi.it, 23 aprile 2024. Il codice della crisi non specifica, tuttavia, come individuare il valore di liquidazione, rimettendo ai tribunali il giudizio circa il parametro di riferimento da seguire per effettuare il confronto. Cfr. Trib. Bologna del 5 dicembre 2023, decreto, in dirittodellacrisi.it, che, nel pronunciarsi in merito ad un procedimento unitario di gruppo, ha ritenuto plausibile il parametro di riferimento sia quello dell'attivo, comprensivo di tutti i beni, diritti ed azioni (incluse azioni di responsabilità e revocatorie) che si potrebbe avere in caso di liquidazione giudiziale (cfr. Trib. Roma 24 ottobre 2023, in ilcaso.it) da aprirsi il giorno stesso di presentazione della domanda di concordato. Per individuare l'attivo astrattamente distribuibile ai creditori dovrà tenersi conto di tutte le passività prededotte, quantomeno quelle di sicura maturazione in sede di liquidazione giudiziale. Per determinare la capienza, pare opportuno individuare le modalità di riparto dell'attivo in caso di liquidazione giudiziale, precisando l'ammontare delle passività prededucibili, così da determinare fino a quale creditore si riesce a garantire soddisfazione. A tal fine appare necessario determinare – come sembra abbiano fatto le società, stante il richiamo a valori di liquidazione differenti - due valori ipotetici: quello di liquidazione giudiziale (statico) da distribuire secondo l'absolute priority rule (APR); il valore eccedente, consistente nei flussi finanziari previsionali o utili derivanti dalla continuazione dell'attività d'impresa nella prima fase e, in seguito alla costituzione della newco, degli apporti provenienti da quest'ultima, da distribuire secondo la regola della RPR).

Come pure, l'efficientamento dell'assetto aziendale generato a seguito dell'operazione di fusione (ad esempio rimodellando la dimensione aziendale sulle base delle effettive necessità d'impresa), permetterà un riequilibrio della struttura economico-finanziaria, nonché una razionalizzazione dell'organizzazione, finalizzata al ripristinare una elevata competitività e riprendere posizioni perdute rispetto al mercato di riferimento, laddove si       scelga la conservazione dell'impresa.

Di converso, la ristrutturazione potrà essere perseguita tramite l'eliminazione dell'impresa che si trovi in stato di crisi ovvero di insolvenza, nel caso in cui risulti eccessivamente oneroso seguire la strada della liquidazione ordinaria, meno vantaggiosa.

In tal senso, un'operazione così orientata permetterebbe di acquisire la società senza esborso di capitali, dal momento che i nuovi soci verrebbero pagati tramite l'assegnazione delle partecipazioni della società risultante dall'operazione, potendo i mezzi finanziari essere eventualmente impiegati in operazioni di risanamento o di liquidazione della società (sia pure a discapito della realizzazione di strategie di espansione) ai cui fini è altresì strumentale la sinergia economico-industriale derivante dalla concentrazione societaria.

Per quanto concerne l'aspetto della valutazione tra scelta liquidativa oppure conservativa, nella prassi aziendale non rilevano differenze metodologiche a seconda che si tratti di un'operazione effettuata tra società in bonis piuttosto che nell'ambito della regolazione della crisi; infatti, tale scelta si fonda sulla determinazione del c.d. recovery ratio, dato dal rapporto tra massa attiva, corrispondente alla somma dei valori attribuiti alle diverse poste dell'attivo sulla base dello specifico metodo di valutazione di ciascuna posta, e massa passiva, composta dai debiti ammessi al passivo della procedura, al netto dei rapporti infragruppo; tale indicatore, misurando il livello di copertura dei debiti con il valore economico degli assets di ciascuna società, indica, in altri termini, la quota di rimborso di cui i creditori potranno godere a consolidazione avvenuta.

Il risultato di tale indice, nell'ambito di una fusione concordataria, riflette quindi la soddisfazione garantita ai creditori sociali delle proprie pretese sia beneficiando della redditività dell'entità risultante dalla fusione, sia attraverso una liquidazione più conveniente del complesso unificato (finché la realizzazione dell'operazione possa considerarsi vantaggiosa, sarà necessario ottenere un valore positivo di tale indice calcolato sui valori reali di fusione a prescindere dalla finalità perseguita dalla procedura, pur basandosi sulla misurazione del grado di soddisfazione dei creditori; sul punto Di Martino, op. cit.).

Le operazioni straordinarie come strumento per il risanamento: fusione, scissione e operazioni infragruppo

Come anticipato, le operazioni straordinarie risultano, allo stato, un valido strumento per perseguire il risanamento dell'impresa; esse, modificando la struttura finanziaria, patrimoniale e amministrativa della società, a seconda delle esigenze, permettono l'eliminazione delle eventuali inefficienze che hanno condotto l'impresa verso lo stato di crisi ovvero insolvenza (cfr. Sacchi, op. cit., secondo il quale le operazioni straordinarie sono quelle operazioni idonee a modificare la struttura finanziaria e patrimoniale della società, a seconda delle esigenze che emergono per il superamento della crisi o dell'insolvenza). Infatti, come si potrà appurare nel prosieguo, la riorganizzazione dell'impresa è la chiave per perseguire un proficuo risanamento dell'impresa in difficoltà.

Il piano di risanamento dovrà quindi contenere le previsioni relative alle eventuali operazioni straordinarie la cui attuazione (che potrà avvenire tanto in funzione dell'ammissione a concordato quanto durante l'esecuzione) integrerà la strategia di risanamento configurata dagli amministratori.

Infatti, gli interventi di tipo strategico mirano a ridefinire la direzione futura dell'azienda e possono richiedere decisioni importanti in relazione al core business, con la previsione di separare le aree strategiche profittevoli da quelle economicamente non vantaggiose, anche ricorrendo all'esecuzione di operazioni straordinarie (così esplicitando i nuovi Principi di attestazione dei piani di risanamento (§5.2.5), aggiornati a maggio 2024, documento del CNDCEC e della Fondazione Nazionale dei Commercialisti).

Inoltre, anche nell'ottica della valutazione della convenienza della proposta rispetto all'alternativa della liquidazione giudiziale (questione fondamentale rispetto al giudizio di omologazione), la strategia di risanamento deve presentare una significativa discontinuità rispetto ai fattori che hanno determinato la situazione di crisi, dovendo pure essere rivolta a superarli.

Al contrario, un intervento di tipo solo finanziario, tramite ricorso a nuova finanza senza modifiche dell'assetto produttivo, organizzativo, commerciale e competitivo generalmente non potrà integrare gli estremi di una strategia di risanamento (cfr. §§ 6.2.1. e 6.2.2. dei citati nuovi Principi di attestazione).

Ai fini della valutazione delle prospettive di risanamento bisognerà, quindi, considerare (valutare) la nuova entità che viene a crearsi a seguito dell'operazione ovvero degli effetti che produrrà sull'impresa che deve essere risanata.

La fusione

Le ragioni economiche a cui l'operazione di fusione è preordinata sono molteplici, a seconda delle esigenze e degli obiettivi sottostanti dei soggetti coinvolti. Esse possono, ad esempio, essere finalizzate al miglioramento della produttività o dell'efficienza dei sistemi produttivi integrati, nell'ottimizzazione del processo distributivo, nel raggiungimento di economie di scala, nell'acquisizione di una più forte posizione contrattuale, nell'eliminazione di un competitor nel mercato di riferimento (trattasi delle c.d. “killer M&A”, fenomeno assai frequente in alcuni settori quali, ad esempio, quello farmaceutico e dei servizi digitali); nell'acquisizione di beni immateriali non fungibili, ecc. (sul punto, Vattermoli, La fusione, in Donativi (diretto da), Trattato delle società, 2022).

Tutti questi scenari presentano un elemento comune, cioè il fenomeno sinergico, frutto dell'integrazione dei patrimoni e delle organizzazioni delle società partecipanti all'operazione.

Tali sinergie possono consistere in sinergie di mercato, sinergie di approvvigionamento, sinergie finanziarie, sinergie fiscali, ecc., e, rispetto agli obiettivi delle entità partecipanti all'operazione, dovrebbero generare un miglioramento delle condizioni di economicità del complesso aziendale risultante a seguito della concentrazione, “attraverso un incremento dei ricavi, una riduzione dei costi, una riduzione della rischiosità, una riduzione del fabbisogno finanziario” (cfr. Garzella, La strategia multi-business, in Galeotti-Garzella (a cura di), Governo strategico dell'azienda, 2013). La differenza tra il valore economico della società risultante dalla fusione, calcolato nella prospettiva sinergica e la sommatoria dei valori economici delle società partecipanti alla fusione, calcolati nella prospettiva stand alone, descrive, in termini numerari, l'impatto dei benefici delle sinergie. Tale plusvalore dovrebbe essere preso in considerazione al momento della determinazione del concambio; più in particolare, a tal fine dovrebbe essere calcolato il contributo che ciascun partecipante all'operazione apporta alla formazione di detto plusvalore. Eppure, nonostante l'importanza del fenomeno sinergico, nella prassi, attesa la complessità dell'operazione di “allocazione” del valore da esso generato tra le società partecipanti all'operazione, si preferisce utilizzare l'approccio definito stand alone (così ibidem).

I risultati economico-aziendali perseguibili con un'operazione di fusione, anche se tipicamente legati a tecniche di espansione, diventano spesso obiettivi di strategie connesse al superamento della crisi (Di Martino, op. cit.).

La particolare idoneità dello strumento a fronteggiare la crisi è dovuta alla sua duttilità funzionale e operativa che consente di eliminare eventuali carenze operative o squilibri finanziari (inefficienze) manifestati nelle strutture aziendali considerate singolarmente (sul punto, Potito, La nuova informazione; in dottrina Savioli individua nella circostanza che la realizzazione di un'operazione di fusione non richieda l'esborso di mezzi finanziari, l'elemento che rende “l'operazione in esame strumento essenziale per addivenire ad operazioni di concentrazione anche in casi di illiquidità o, comunque, quando i mezzi finanziari disponibili devono essere allocati in altri investimenti”), attraverso una unificazione corporativa e patrimoniale delle entità partecipanti, fino ad arrivare a forme di integrazione orizzontale e verticale, destinate a rafforzare la redditività (anche solo prospettica) e le competenze specialistiche della società incorporante o risultante dall'operazione, anche a prescindere dalla salute reddituale delle partecipanti singolarmente considerate.

Affinché l'impresa in crisi possa conservare un valore positivo è necessario che la riorganizzazione riesca a massimizzare gli effetti benefici derivanti dalla combinazione strategica delle entità partecipanti all'operazione valorizzando, così, le sinergie create dalla fusione.

Tuttavia, sarà parimenti indispensabile valutare una serie di fattori endogeni ed esogeni determinanti dell'operazione, dal momento che, soprattutto nelle fasi patologiche dell'attività d'impresa, l'esito dell'operazione dipende dalla situazione patrimoniale e competitiva delle singole partecipanti, dalle condizioni generali del mercato e dalle opportunità di crescita del settore di appartenenza.

In tal senso, la fusione consente di far emergere le plusvalenze latenti dell'impresa in crisi, non rinvenibili nelle rilevazioni contabili ordinarie finalizzate alla determinazione del reddito di esercizio, laddove, com'è noto, le valutazioni patrimoniali, basate sui criteri di prudenza e veridicità del bilancio, risulterebbero sensibilmente sottostimate rispetto al loro – eventuale – effettivo valore economico (sul punto, Savioli, secondo il quale in ordine alle valutazioni effettuate nell'ambito delle fusioni dovrebbe trovare applicazione la nozione di capitale economico, cioè il valore del capitale investito risultante da un giudizio economico che si basi sulla capacità dell'impresa di produrre reddito in futuro).

Per tale motivo, rispetto ai profili essenzialmente contabili dell'operazione, sarà opportuna una rivalutazione delle poste di bilancio attraverso la valorizzazione degli elementi patrimoniali al loro valore corrente.

Quindi, gli amministratori, nell'ambito della relazione a corredo del progetto di fusione, dovranno esplicitare le variazioni patrimoniali generate dalla fusione al fine di informare i soci in ordine alla congruità del rapporto di cambio proposto; in tal senso, la base di valutazione dei valori effettivi del patrimonio su cui costruire il rapporto di cambio, sarà la situazione patrimoniale prevista ex art. 2501-quater c.c. (si veda Trib. Milano 14 novembre 2023, sul rapporto di concambio nella fusione).

Invero, una prima rappresentazione del valore effettivo del patrimonio può trovare posto già nell'ambito del bilancio iniziale di fusione, posto che i relativi dati devono trovare fondamento nelle previsioni degli andamenti economici futuri del nuovo complesso unitario.

La partecipazione alla fusione di una società con valori contabili negativi comporta la necessità di effettuare una valutazione delle consistenze patrimoniali dalla quale potrà generare un eventuale plusvalore effettivo del patrimonio, verificandosi in tale scenario il fenomeno della fusione di società con patrimonio netto contabilmente negativo, ma con valori reali positivi; ossia un patrimonio che, all'esito delle rivalutazioni effettuate dall'organo amministrativo, presenta attività superiori alle passività (Di Martino, op. cit.).

In caso contrario, laddove non emergano, a seguito di dette rivalutazioni, valori latenti da capitalizzare ovvero poste di bilancio da riconsiderare, ci troveremmo di fronte ad un patrimonio il cui valore reale sarà negativo, al pari di quello contabile.

In tale ipotesi, visto che le consistenze patrimoniali appariranno effettivamente erose, risulterà ancor più indispensabile valutare e valorizzare le sinergie eventualmente generate dall'unificazione complessiva delle entità attraverso cui proseguire in comune l'attività economica.

Tra le sinergie da valorizzare in tale contesto si ricordano le sinergie operative, attraverso le quali realizzare un efficientamento operativo, inteso come riduzione dei costi ovvero incremento dei ricavi, raggiunto grazie ad una riconfigurazione delle dimensioni aziendali ovvero tramite la diversificazione del business; come pure le sinergie finanziarie, generate dalla riduzione del costo del capitale derivante, post fusione, da economie di scala nelle operazioni di finanziamento ovvero da un premio al rischio più basso.

La scissione

La scissione viene definita come l'operazione connotata da una “doppia anima”, l'una imprenditoriale e l'altra finanziaria, trovando in essa, più che nelle altre operazioni, plastica rappresentazione non solo dello stretto legame tra le due dimensioni ma anche delle enormi potenzialità che, sul piano applicativo, discendono dalla intima relazione tra le stesse; potendo la scissione, da una prospettiva funzionale, essere descritta come un'unitaria operazione tipicamente societaria finalizzata alla riorganizzazione dell'impresa e, al tempo stesso, dell'investimento nell'impresa. Come pure di riorganizzazione dell'investimento attraverso la destinazione, in tutto o in parte, delle risorse investite in un certo progetto imprenditoriale in altro o altri progetti imprenditoriali (sul punto, Caridi, La scissione, in Donativi (diretto da), Trattato delle società, 2022).

In termini generali, la scissione è un'operazione di riorganizzazione dell'impresa esercitata in forma societaria (Libonati, Diritto commerciale. Impresa e società, Giuffrè, 2005), risolvendosi nell'assegnazione, in tutto (cd. scissione totale) ovvero in parte (cd. scissione parziale) delle risorse originariamente destinate allo svolgimento di un unico progetto imprenditoriale, perseguito da una certa società (scissa), a società eventualmente anche di nuova costituzione (società beneficiarie), le quali possono anche destinare quelle risorse alla realizzazione di progetti imprenditoriali non coincidenti con quello originario.

In secondo luogo, tramite la scissione si realizza anche un'operazione di riorganizzazione dell'investimento mediante l'assegnazione delle partecipazioni sociali delle società beneficiarie ai soci della scissa. Rispetto alla fusione, tale operazione si distingue per la radicalità della riorganizzazione dell'investimento che è in grado di realizzare. Se da un lato con la fusione i soci, pur modificando gli originari rapporti partecipativi, mantengono un legame con il patrimonio sul quale vantano diritti residuali, il patrimonio della società risultante dalla fusione essendo in ogni caso frutto dell'unione dei patrimoni delle società partecipanti all'operazione, nella scissione i soci possono modificare i rapporti partecipativi ad essi originariamente facenti capo fino a separare, almeno in parte, la propria partecipazione dal patrimonio sul quale vantavano diritti residuali prima dell'operazione (sul punto Caridi, op. cit.).

All'identità funzionale della scissione sono strettamente collegate le finalità economiche, ovvero gli obiettivi strategici sottesi all'operazione di scissione, potendo individuare quelli definiti come primari, i quali si ricollegano alle due funzioni generali dell'operazione e quelli secondari.

Gli scopi primari sono speculari e si sostanziano nell'obiettivo di concentrazione organizzativa, da un lato e, dall'altro, in quello di decentramento organizzativo, assumendo, così, la menzionata funzione di riorganizzazione dell'impresa.

Dall'altra parte, può perseguirsi lo scopo di rimodellamento, finanche di separazione, della compagine sociale, che sul piano operativo realizza la funzione economico-sociale di riorganizzazione dell'investimento.

Relativamente alle finalità legate alla funzione di riorganizzazione dell'impresa, la scissione può permettere di perseguire scopi di tipo concentrativo, realizzando un accrescimento delle dimensioni aziendali (esempio tipico di operazione finalizzata a tale obiettivo è la c.d. scissione parziale per incorporazione in società preesistenti che, dalla prospettiva della società beneficiaria, si configura come una fusione parziale). Specularmente, mediante scissione può realizzarsi un decentramento organizzativo separando uno o più rami di azienda e assegnando gli stessi ad una o più società diverse da quella che esercitava l'impresa rispetto alla quale detti rami d'azienda erano originariamente strumentali.

Tra gli scopi secondari è possibile annoverare quello di separare il core business dalle attività secondarie condotte con rami aziendali di cui ci si vuole liberare, esternalizzando dette attività accessorie, quello di separare taluni rami aziendali onde realizzarne una liquidazione eventualmente anche unitaria, quello di creare nuove articolazioni di un gruppo di società, separando taluni rami aziendali di una delle società controllate e destinandoli ad una o più società beneficiarie (sul punto, Caridi, op. cit.).

Dal punto di vista, invece, della funzione di riorganizzazione dell'investimento, la scissione può servire allo scopo del rimodellamento, ovvero della separazione, della compagine societaria.

Altri scopi possono essere individuati, come quello dato dalla risoluzione dei problemi di governance legati alla litigiosità tra soci, causa, ad esempio, dell'impossibilità di funzionamento dell'assemblea. Come pure la scissione può essere indirizzata a rendere possibile lo scioglimento, ed allora il disinvestimento collettivo da parte dei soci senza procedere alla liquidazione del patrimonio, o anche, rimodellando o separando la compagine sociale, può servire a conseguire il c.d. ricambio generazionale (cfr. ibidem).

Tali finalità, ordinariamente perseguite dalle società in bonis, trovano valido motivo di esistere anche - e soprattutto - nell'ambito delle procedure di risanamento.

Infatti, attraverso un'operazione di scissione il debitore potrà provvedere a separare la good company, all'interno della quale verrà preservato il valore della continuità, dalla bad company, non più funzionale ad una efficiente attività d'impresa e destinata alla dismissione. In tale scenario si andrebbe a configurare l'ipotesi di una soluzione concordataria mista (il concordato preventivo c.d. misto, in cui coesistono finalità conservative e dismissive).

Di particolare interesse, in ragione delle novità legislative intervenute recentemente, appare la c.d. scissione mediante scorporo, istituto introdotto nell'ordinamento domestico dal d.lgs. n. 19/2023 entrato in vigore il 22 marzo 2023, a cui si deve il recepimento a livello nazionale delle indicazioni unionali, senza alcuna disciplina di natura tributaria (per approfondimenti sugli aspetti fiscali dell'operazione si veda Scissione mediante scorporo: la disciplina fiscale alla luce dell'attuazione della riforma tributaria, Documento di ricerca CNDCEC e Fondazione nazionale dei commercialisti, 30 maggio 2024).

Tale operazione viene disciplinata ex art. 2506.1 c.c., che recita: “con la scissione mediante scorporo una società assegna parte del suo patrimonio ad una o più società di nuova costituzione e a sé stessa le relative azioni o quote, continuando la propria attività”.

Sotto il profilo aziendalistico, la scissione mediante scorporo si inserisce nell'ambito delle operazioni di pianificazione e di riorganizzazione delle strutture societarie e consente di perseguire diverse finalità strategiche, quali ad esempio scorporare specifici rami aziendali, creare livelli intermedi di una catena partecipativa di un gruppo oppure creare holding o sub-holding intermedie; finalità che nell'ambito del risanamento assumono particolare rilevanza al pari delle considerazioni testé evidenziate. Infatti, permettendo la suddivisione delle varie attività svolte tra le differenti strutture societarie coinvolte (ad esempio scorporando l'attività immobiliare da quella operativa, commerciale e/o industriale), l'operazione in esame potrebbe rappresentare un utile strumento di prevenzione/risanamento dell'impresa in crisi ai sensi dei principi generali di cui al d.lgs. n. 14/2019 (sul punto, La scissione mediante scorporo: analisi della disciplina civilistica e profili applicativi, Documento di ricerca, CNDCEC e Fondazione nazionale dei commercialisti, 14 febbraio 2024).

Le operazioni infragruppo

La funzionalità delle operazioni straordinarie ai fini della riorganizzazione quale strumento di soluzione della crisi trova particolare espressione nel risanamento del gruppo d'imprese attraverso le cc.dd. operazioni infragruppo, che possono essere contenute in un piano unitario (ovvero piani reciprocamente collegati o coordinati) nell'ambito di un concordato preventivo di gruppo; rappresentando un esempio caratteristico di riorganizzazione industriale coniugata alle procedure concorsuali.

Invero, la previsione di una unitarietà della procedura di regolazione della crisi che coordini le esigenze di risanamento delle singole società facenti parte del gruppo rappresenta un importante approdo della normativa, laddove la ricongiunzione giuridica dello strumento permette di generare valore aggiunto nell'ambito di un risanamento coordinato nell'ambito del gruppo d'impresa (cfr. Panzani, Il concordato di gruppo, in Dirittodellacrisi.it, 31 ottobre 2020, il quale osserva che il legislatore prevede che la soluzione concordata possa essere proposta con un piano unitario o con reciproca interferenza dei piani avendo come obiettivo il miglior soddisfacimento dei creditori; invero, si rende opportuno segnalare che la bozza di decreto correttivo menzionata in precedenza interviene a livello semantico sostituendo, nell'art. 284, l'aggettivo “interferenti” con l'aggettivo “coordinati” affiancato all'aggettivo “collegati”, relativamente ai piani di risanamento delle imprese del gruppo in crisi).

Detto coordinamento, infatti, è dato anche dall'allineamento degli organi della procedura in figure unitarie: un Giudice delegato unico, uno (o più di un) Commissario giudiziale, nonché un giudizio di omologazione unico sulla proposta di concordato unitaria.

Infatti, il nuovo diritto concorsuale, introdotto dal codice della crisi (all'esito dei vari interventi di riforma) consente a tutti i gruppi di accedere come unica entità alle procedure concorsuali o negoziali tutelate dando al soggetto economico che controlla e dirige il gruppo, tramite il concordato preventivo di gruppo, la possibilità di predisporre e sottoporre ai creditori e al tribunale un piano di risanamento unico, che valorizzi le residue potenzialità del gruppo nel suo insieme [sul punto, Vanetti, Concordato di gruppo e supersocietà di fatto (alla luce del Codice della crisi), in ristrutturazioniaziendali.it, 14 dicembre 2022].

Ora, con la rilevanza assunta dalle operazioni di riorganizzazione, il risanamento del gruppo attraverso un piano unitario che preveda l'attuazione di operazioni straordinarie, per le componenti industriali fino ad ora discusse, rappresenta la massima espressione della complessità ed organicità dai rimedi messi a disposizione del debitore per il superamento dello stato di crisi ovvero di insolvenza.

Secondo quanto stabilito ai sensi dell'art. 285 c.c.i.i., il contenuto del piano unitario assume i connotati più vari (come visto in precedenza per il concordato individuale) potendo lo stesso piano prevedere la liquidazione di alcune imprese e la continuazione dell'attività di altre imprese del gruppo [basti pensare al caso di un gruppo composto da una società immobiliare, detentrice di una cospicua quantità di immobili, e una società che svolge un'attività di tipo industriale o commerciale: al fine di preservare la prosecuzione dell'attività aziendale (di tipo industriale/commerciale), il piano del gruppo potrà prevedere la soddisfazione dei creditori attraverso la liquidazione degli asset immobiliari da un lato e la valorizzazione dei flussi generati dalla continuità aziendale dall'altra], operazioni contrattuali e riorganizzative, inclusi i trasferimenti di risorse infragruppo, purché, tuttavia, un professionista indipendente attesti che dette operazioni sono necessarie ai fini della continuità aziendale per le imprese per le quali essa è prevista nel piano e coerenti con l'obiettivo del miglior soddisfacimento dei creditori di tutte le imprese del gruppo tenuto conto dei vantaggi compensativi derivanti alle singole imprese, fermo quanto previsto dagli articoli 47 e 112.

Il piano di concordato di un gruppo societario con continuità può prevedere anche la costituzione di una nuova società per l'ulteriore prosecuzione dell'attività di impresa, attraverso la massimizzazione del valore degli assets ed i flussi di cassa generati dalla continuità aziendale della newco, laddove presenti il vantaggio di poter valorizzare la possibilità di porre sul mercato un piano di ristrutturazione non solo finanziario (ma anche e soprattutto industriale), vantaggio compensato dalla maggiore aleatorietà e rischiosità di un percorso che implica la prosecuzione post omologa dell'attività di impresa, senza poter godere del supporto anche finanziario di un “soggetto economico” prima di poter ricollocare i compendi (Si veda Trib. Bologna 5 dicembre 2023; sul punto, Tona, Concordato di gruppo, ok alla newco se è funzionale a proseguire l'attività, in NT+Fisco - IlSole24Ore, 29 gennaio 2024).

Da queste premesse deriva che il piano di gruppo deve assicurare che ogni società possa darvi esecuzione per la sua parte garantendo il miglior soddisfacimento dei creditori avendo riguardo all'alternativa liquidatoria e deve assicurare la continuità aziendale per le società per cui essa è prevista, quantificando il beneficio stimato per i creditori di ciascuna impresa del gruppo, anche per effetto della sussistenza di vantaggi compensativi, conseguiti o fondatamente prevedibili, derivanti dal collegamento o dall'appartenenza al gruppo (sul punto, Panzani, op. cit.).

Pertanto, nel predisporre il piano concordatario globale, teso a consentire nei termini più ampi possibile la sopravvivenza delle varie entità che compongono il gruppo, è normalmente necessario, tra le varie entità del gruppo, prestare garanzie, accollarsi passività, accorpare rami aziendali, scorporare settori, trasferire know-how o complessi di beni; in genere, intervenire riallocando risorse a favore delle unità più deboli economicamente, nell'intento di salvare la continuità aziendale del gruppo nel suo insieme (Così Vanetti, op. cit.).

Dunque, la convenienza deve essere verificata in relazione all'interesse dei creditori ad ottenere, nella misura più elevata possibile, il soddisfacimento dei propri crediti, dovendo il piano (ovvero i piani collegati o coordinati) contenere una stima specifica del beneficio atteso in capo ai creditori di ciascuna impresa del gruppo, stima che potrà tenere conto della sussistenza di vantaggi compensativi “derivanti dal collegamento o dall'appartenenza al gruppo”, anche quando siano solo “fondatamente prevedibili” e non (ancora) effettivamente conseguiti (cfr. Scognamiglio, Art. 284 - Concordato, accordi di ristrutturazione e piano attestato di gruppo, in Valensise, Di Cecco, Spagnuolo (a cura di), Il Codice della Crisi - Commentario, Giappichelli, 2024).

Le operazioni infragruppo possono consistere, ad esempio, nel trasferimento di risorse (asset) da un'impresa all'altra, all'interno della quale possa generare un valore maggiore a seguito del trasferimento.

Dal punto di vista normativo, i trasferimenti infragruppo, quindi, sono operazioni espressamente contemplate, ai fini del risanamento, ai sensi dell'art. 285, comma 2, c.c.i.i., e possono essere compiute se risultano necessarie ai fini della continuità aziendale, nonché coerenti con l'obiettivo del miglior soddisfacimento dei creditori di tutte le imprese del gruppo, tenuto conto dei vantaggi compensativi e ferma sempre restando l'autonomia delle rispettive masse attive e passive (sul punto Pennisi, Considerazioni sul gruppo di imprese nel nuovo codice della crisi, in Giur. comm., 51.1-2024).

In tal senso, rileva la strumentalità industriale dei detti trasferimenti, per il cui scopo è necessario che il trasferimento infragruppo dell'asset realizzi una situazione nella quale lo stesso asset venga sfruttato in maniera più efficiente, rispetto a quel che avveniva nel complesso aziendale di provenienza, in ragione della necessarietà ai fini della continuità aziendale (ibidem, che riprende in dottrina Azzaro, Bastia).

Come pure, i trasferimenti di risorse infragruppo vadano intesi come un aiuto delle imprese più forti a favore di quelle più deboli, purché ciò sia fatto nell'interesse dei creditori e dei soci (anche solo di carattere industriale), valutando anche i vantaggi compensativi ricevuti (o da ricevere), laddove il piano stesso e l'attestazione del professionista devono quantificare, rispetto ad un ipotetico concordato autonomo, quali siano i benefici derivanti ai creditori di ciascuna impresa del gruppo, stimando anche i “vantaggi compensativi, conseguiti o fondatamente prevedibili, derivanti dall'appartenenza al gruppo” (art. 284, comma 4) [così Vanetti, op. cit., che evidenzia come il “vantaggio compensativo” possa essere anche semplicemente quello di restare nel gruppo e non perdere per il futuro le economie di scala e le sinergie di cui ha (malgrado tutto) profittato].

Conclusioni

Nella vigenza della normativa fallimentare, le operazioni straordinarie erano appannaggio esclusivo delle aziende in bonis e preordinate a finalità meramente industriali o commerciali, stante l'assenza di una disciplina ad esse dedicata nella legge fallimentare.

Oggi, invece, il codice delle crisi dedica una disciplina ad hoc alle operazioni straordinarie che possono essere contenute nel piano di risanamento dell'impresa in crisi o insolvenza.

Infatti, l'art. 116 (in particolar modo laddove la bozza di decreto correttivo recentemente diffusa in pubblica consultazione venga approvata) permette di meglio gestire le operazioni straordinarie nella loro complessità all'interno di una risoluzione della crisi d'impresa, coniugando la funzionalità industriale delle stesse con le esigenze del risanamento, amplificando i benefici derivanti dal coordinamento dei vari strumenti messi a disposizione dalla scienza aziendale.

Espressione ancor più caratteristica, risulta essere l'implementazione dello strumento del concordato di gruppo, disciplinato ex artt. 284 e ss., che, prevedendo un piano unitario (ovvero piani collegati o coordinati), permette una sintesi perfetta tra la valorizzazione delle sinergie derivanti dalle operazioni straordinarie a cui partecipano le società del gruppo e i benefici derivanti da una procedura di risanamento unitaria.

Pertanto, inquadrate nella cornice concorsuale, le operazioni straordinarie, in ragione degli effetti industriali che sono in grado di spiegare, qualora costruite in sintonia con gli strumenti di regolazione della crisi, rappresentano una validissima soluzione per conseguire un proficuo risanamento.

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