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Le intercettazioni dopo la legge Nordio

11 Ottobre 2024

Il Senato ha approvato il disegno di legge Zanettin che ne limita, di regola, la durata a 45 giorni.

È risaputo che la tutela della privacy sia minata dalla pubblicazione del contenuto delle intercettazioni, spesso su fatti della vita privata non solo degli indagati ma persino di estranei alle indagini che hanno avuto solo la sventura di conversare con un indagato sottoposto ad intercettazione, ma vedono le loro confidenze più intime trafugate dal trojan ed esibite sui giornali, nonostante non abbiano alcuna rilevanza per le indagini. Peraltro, oggi le intercettazioni non hanno termini di durata per cui possono protrarsi per tutta la durata delle indagini, anche se il Senato ha approvato il disegno di legge Zanettin che ne limita, di regola, la durata a 45 giorni.

Si pone il problema, insoluto da decenni, se la stampa possa pubblicare notizie, acquisite con l'intercettazione, che sono processualmente irrilevanti ma di pubblico interesse.

Al fine di ottenere una maggiore tutela della privacy, il legislatore, con la l. n. 114/2024, all'art. 2, che riguarda le modifiche processuali, ha inciso su due diversi fronti in tema di intercettazioni:

all'interno dello stesso procedimento  (modificando le regole della verbalizzazione e del procedimento cautelare) e sull'utilizzazione delle intercettazioni in procedimenti diversi.

Ma soprattutto operando all'esterno del procedimento  con la riduzione dei casi di pubblicazione del contenuto delle intercettazioni.

   

Il procedimento cautelare (art. 291 c.p.p.)  

Anche il procedimento cautelare garantisce maggiore protezione alla privacy di terzi su aspetti processualmente irrilevanti.

La l. n. 114/2024 specifica che il P.M. che richiede una misura cautelare non può indicare i dati personali dei soggetti diversi dalle parti, salvo che sia indispensabile per l'esposizione delle ragioni della richiesta cautelare

Diverso il discorso sull'ordinanza cautelare, che - dalla riforma Orlando del 2017 ad oggi - è pubblicabile senza limiti, quindi anche integralmente o per estratto, ex art. 114.2 c.p.p.

Ma è in via di pubblicazione un decreto legislativo - in attuazione della legge delega che recepisce la direttiva U.E. sulla presunzione di innocenza – che stabilisce che l'ordinanza cautelare non è più pubblicabile - nè integralmente nè per estratto – fino alla conclusione delle indagini preliminari o dell'udienza preliminare.

Ma siccome nell'art. 114 c.p.p. rimane la farisaica distinzione tra pubblicazione dell'“atto” di indagine – vietata - e pubblicazione del “contenuto” dell'atto non coperto dal segreto – consentita - in Italia si giunge al ridicolo che l'ordinanza testale non può essere pubblicata,  ma può essere pubblicato il suo contenuto, liberamente interpretato e commentato dal cronista giudiziario.

In realtà, gli artt. 3 e 4 della direttiva U.E. 2016/343 non impongono il divieto di pubblicazione dell'ordinanza cautelare, perché vietano solo di presentare l'imputato come colpevole. Ma la legge di delegazione europea n. 15/2024 ha delegato il Governo a modificare l'art. 114 c.p.p., prevedendo, nel rispetto dell'art. 21 Cost. e in attuazione dei principi e diritti sanciti dagli artt. 24 e 27 Cost., il divieto di pubblicazione integrale o per estratto del testo dell'ordinanza di custodia cautelare, finché non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell'udienza preliminare, in coerenza con quanto disposto dagli artt. 3 e 4 della direttiva U.E. 2016/343.

La legge di delegazione quindi è andata oltre ciò che richiedeva la direttiva U.E.: sarebbe bastata una informazione giornalistica equilibrata, che non dia per colpevole l'imputato o anche il semplice indagato - come da sempre prescrive la Corte e.d.u. - ma siccome alla stampa non si possono dettare regole giuridiche di comportamento professionale (esistono già quelle deontologiche che sono però inefficaci), il legislatore delegante ha tranciato di netto introducendo il drastico divieto di pubblicazione dell'ordinanza cautelare.

Ma in Italia l'art.114, comma 7, c.p.p. consente la pubblicazione del “contenuto” degli atti non coperti dal segreto, come l'ordinanza cautelare e l'informazione di garanzia, che quindi possono liberamente essere interpretate e commentate dal cronista giudiziario.

L'art. 114, comma 7, c.p.p., nato con il codice del 1988 per lasciare agli organi di informazione qualche notizia da pubblicare almeno nel “contenuto” di atti non coperti dal segreto investigativo debba essere rimeditato proprio perché trascura totalmente gli effetti pregiudizievoli sulla presunzione di innocenza: gli atti di indagine ma anche tutti gli atti basati sugli atti di indagine, anche se del giudice, proprio perché basati su un'attività unilaterale ed esclusiva del P.M. (il contraddittorio anticipato non incide)  è con esclusione della difesa non dovrebbero essere pubblicabili in attesa della decisione nel merito almeno del giudice di primo grado.

In definitiva il rimedio è peggiore del male: perché la pubblicazione dell'atto testuale garantisce precisione e correttezza dell'informazione, mentre la libera messa in prosa da parte del giornalista consente di ricamarci sopra ovviamente sempre in danno dell'indagato, come la realtà quotidiana dimostra. 

Non si può parlare di bavaglio alla stampa: la vera libertà di stampa è quella libera anche dalle ipotesi accusatorie. L'informazione libera e obiettiva è quella che riporta il contenuto della sentenza pronunciata in dibattimento dopo un contraddittorio tra accusa e difesa, non quella che fa da megafono alle ipotesi dell'accusa, che sono tutte da verificare.

Anche l'ordinanza cautelare, pur provenendo dal giudice, è costruita sulla base degli indizi unilateralmente acquisiti dal P.M., senza che la difesa abbia potuto interloquire.

Pubblicare l'ordinanza cautelare in fase di indagini, cioè a lavori in corso e con indagini del solo P.M., non rispetta la presunzione di innocenza: basterebbe pubblicare la notizia della limitazione della libertà personale dell'indagato e l'indicazione del reato ascrittogli. Il processo dirà poi se è responsabile o meno di quel reato e gli organi di informazione informeranno i cittadini sulla decisione del giudice circa la responsabilità dell'imputato.

Quindi, è sicuramente rispettoso della presunzione d'innocenza il divieto di pubblicare l'ordinanza cautelare testualmente, sia integralmente o per estratto; ma non è rispettoso della presunzione di innocenza consentire al giornalista di “raccontare senza citare”, cioè fare un riassunto e una libera interpretazione e libero commento sulle indagini, che rischia di fraintendere ed enfatizzare il vero contenuto del provvedimento basato sugli atti del solo organo d'accusa.

Infatti, il giudizio di colpevolezza non può mai precedere il processo ed essere affidato in fase di indagini al “circo mediatico”.

Gli stralci dell'ordinanza maggiormente rappresentativi della responsabilità dell'indagato vengono utilizzati, oggi, per la messa in scena della “gogna mediatica”, che è funzionale ad acquisire audience più che a informare il cittadino e ad esercitare il controllo democratico su fatti di pubblico interesse.

Al momento della pubblicazione dell'ordinanza, in genere, il processo non ha ancora avuto inizio ma, nell'immaginario collettivo, la ricostruzione contenuta nell'ordinanza cautelare, basata sulle sole ipotesi dell'accusa, è percepita come una definitiva affermazione di responsabilità, poiché proviene da un giudice.

I dati dimostrano la distanza tra questa percezione contrabbandata dal processo sommario che si celebra sui media, senza regole e senza diritti, e la realtà delle aule di giustizia, posto che sono circa ottomila ogni anno le persone che hanno subito l'esecuzione di una misura cautelare personale che vengono poi assolte.

Si registra così un revirement solo apparentel'ordinanza cautelare e l'informazione di garanzia saranno pubblicabili liberamente interpretate dal cronista, riassunte o commentate: il che è molto pericoloso perché il cronista scrive sugli atti di indagine del solo P.M. e inoltre può esagerare e addirittura travisare il contenuto dell'ordinanza.

Insomma, forse il rimedio è peggiore del male che si voleva evitare.

    

Il divieto di pubblicazione del contenuto di intercettazioni (art. 114.2-bis c.p.p.)

In precedenza, erano pubblicabili tutte le intercettazioni purchè acquisite dal giudice  perché ritenute rilevanti e utilizzabili in esito alla cd. udienza stralcio alla conclusione delle intercettazioni (art. 268 c.p.p.) oppure alla conclusione delle indagini (art. 415-bis c.p.p.)  o dopo la presentazione dell'elenco delle conversazioni da parte del P.M. e dei difensori nel giudizio immediato (art. 454 c.p.p.).

Ora la pubblicazione è ammessa soltanto per le intercettazioni non semplicemente acquisite ma utilizzate in concreto perchè riprodotte nella motivazione di un provvedimento del giudice (ad es. ordinanza cautelare), oppure utilizzate in dibattimento (ad es. nelle contestazioni).

Non tutte le intercettazioni acquisite (al fascicolo delle indagini o dopo la trascrizione al fascicolo del dibattimento) sono pubblicabili.

Per la pubblicazione si richiede ora un elemento ulteriore, cioè la utilizzazione in concreto della conversazione intercettata: una utilizzazione nella motivazione di un provvedimento del giudice oppure nel dibattimento. Il legislatore ha consentito la pubblicazione soltanto delle intercettazioni effettivamente utilizzate nel procedimento, purché acquisite anche se non trascritte.

L'effetto è la diminuzione quantitativa del numero delle intercettazioni pubblicabili: perché non tutte le intercettazioni acquisite e trascritte sono poi utilizzate.

Quindi le intercettazioni non pubblicabili  non sono solo quelle custodite nell'archivio delle intercettazioni di cui all'art. 269 c.p.p. perché riconosciute dal G.i.p. irrilevanti o inutilizzabili: l'accesso all'archivio e l'ascolto delle conversazioni o comunicazioni registrate è riconosciuto ai difensori delle parti, per l'esercizio dei loro diritti e facoltà, solo successivamente al deposito per la difesa di verbali e registrazioni e i difensori possono estrarne copia soltanto dopo la selezione a fini di prova e limitatamente a quelli effettivamente selezionati, ex art. 268, comma 8, c.p.p. (art. 269.1 c.p.p.), ma anche quelle acquisite (al fascicolo delle indagini e, se trascritte, inserite nel fascicolo per il dibattimento) (perché ritenute rilevanti e utilizzabili) ma non utilizzate nel processo.

    

Verbalizzazione più rigorosa a tutela della privacy di terzi (art. 268.2-bis c.p.p.)

È posto un obbligo al P.M. di vigilare sulla corretta verbalizzazione.

L'art. 268.2 c.p.p. prevedeva già che i brogliacci di p.g. devono essere verbalizzati trascrivendo, anche sommariamente “soltanto il contenuto delle comunicazioni intercettate “rilevante ai fini delle indagini”, anche a favore della persona sottoposta ad indagine. Invece, il contenuto non rilevante ai fini delle indagini “non è trascritto neppure sommariamente e nessuna menzione ne viene riportata nei verbali e nelle annotazioni della polizia giudiziaria, nei quali è apposta l'espressa dicitura” la conversazione omessa non è utile alle indagini”.

Al previgente divieto di riportare espressioni lesive della reputazione delle persone o quelle che riguardano fatti e circostanze afferenti alla vita privata degli interlocutori, la l. n. 114/2024 aggiunge, nel comma 2-bis, il divieto di riportare espressioni e dati personali che consentano l'identificazione di soggetti diversi dalle parti, salvo che risultino rilevanti ai fini delle indagini.

In definitiva, è posto il divieto di riportare nel verbale sia espressioni lesive della reputazione delle persone, sia espressioni che riguardano fatti e circostanze afferenti alla vita privata degli interlocutori (anche se indagati), salva la rilevanza per le indagini.

    

La stretta al rilascio ai terzi di copia delle intercettazioni (art. 116.1 c.p.p.)

La l. n. 114/2024 vieta il rilascio di copia delle intercettazioni a soggetti diversi dalle parti e loro difensori nel procedimento in cui le intercettazioni sono state disposte.

Ma non si può impedire l'utilizzazione delle intercettazioni in procedimenti diversi da quello in cui esse sono state disposte (art. 270 c.p.p.): perciò è riconosciuto il diritto delle parti di utilizzare i risultati delle intercettazioni in un altro procedimento che però deve essere “specificamente indicato”.

Quindi il giornalista, che è un terzo, ancorché eserciti il diritto-dovere di informazione ex art. 21 Cost. non ha accesso diretto alle intercettazioni: può pubblicare ciò che avviene in dibattimento - se non è celebrato a porte chiuse- (ad es. intercettazione utilizzata per le contestazioni) oppure il contenuto di intercettazioni riprodotto nella motivazione di un provvedimento del giudice.

Poiché nella fase delle indagini preliminari il provvedimento più frequente del G.i.p. è un'ordinanza cautelare, la quale, come sappiamo, non è pubblicabile testualmente ma solo nel suo contenuto, quindi riassuntivamente, per commento o per parafrasi, proprio dall'ordinanza cautelare il cronista può apprendere se una data conversazione intercettata è stata utilizzata dal giudice nella motivazione e in questo caso può pubblicarla integralmente.

Anche l'informazione di garanzia è stata modificata per garantire la privacy (art. 369 c.p.p. che rinvia all'art. 114.2 c.p.p.)

Notevoli le “novità” apportate all'informazione di garanzia.

Infatti, l'informazione di garanzia che era liberamente pubblicabile, come l'ordinanza cautelare, ed era il cavallo di battaglia della stampa colpevolista, ora non può essere pubblicata fino a che non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell'udienza preliminare.

Anche la notifica dell'informazione di garanzia deve garantire la riservatezza del destinatario, non come oggi che avviene con il “deposito in edicola”.

Si noti che l'informazione di garanzia ora è stata arricchita perchè contiene anche la “descrizione sommaria del fatto”.  

Il divieto di pubblicazione dell'informazione di garanzia è una soluzione ragionevole perché restituisce alle indagini preliminari la loro autentica finalità che è quella di consentire al P.M. di adottare le sue determinazione in ordine all'esercizio dell'azione penale, non di raccogliere le prove.

Purtroppo, invece, nella prassi, il risultato delle indagini è contrabbandato dalla stampa come accertamento del fatto e quindi come affermazione di responsabilità, una pre-condanna che cozza con la presunzione di innocenza e può influenzare il giudice che dovrà giudicare.

Ma anche per l'informazione di garanzia, come per l'ordinanza cautelare, è vietata la pubblicazione dell'“atto”, per intero o per estratto, ma non è vietata la pubblicazione del “contenuto” dell'informazione di garanzia: perciò il cronista può dare notizia che a taluno sia stata notificata l'informazione di garanzia e pubblicarne il contenuto e quindi il fatto addebitato, ricamandoci sopra con commenti e parafrasi, purché non la riporti testualmente.

Anche qui il rimedio è peggiore del male.

    

Conclusioni

Una solo apparente maggiore tutela della riservatezza, e invece una più disinvolta cronaca giudiziaria, che partirà dal commento all'informazione di garanzia, ora contenente anche la descrizione sommaria del fatto, e terminerà con il riassunto all'ordinanza cautelare, spacciata come una pre-condanna, senza rispetto per la presunzione di innocenza e per il diritto all'indipendenza del giudice da ogni influenza esterna.

Nessun accenno a potenziare il diritto di difesa nella fase delle indagini dove il P.M. era e si conferma il dominus incontrastato mentre il difensore resta, in tale fase, il “convitato di pietra”.

La vera soluzione al problema è una stampa responsabile che informi obiettivamente la società sulle decisioni del giudice e non sugli atti del P.M.

   

*Fonte: DirittoeGiustizia

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