L'obbligatorietà di APP slitta al 2026

27 Novembre 2024

In attesa della definitiva entrata a regime del processo penale telematico – fissata per il 2 gennaio 2025, quando l’utilizzo di APP sarebbe dovuto diventare obbligatorio per tutti gli atti e i flussi processuali e che invece, si apprende nelle ultime ore, verrà posticipato di un anno – si assiste negli ultimi giorni a differenti vedute in ordine al funzionamento proprio dell’applicativo APP. Secondo il Ministero della Giustizia funziona regolarmente, invece per la magistratura presenta notevoli criticità.

La prevista obbligatorietà dell’applicativo per il processo penale (APP), fissata il 2 gennaio 2025, dopo un primo rinvio per tutto il 2024 (dove si è sperimentato sulle sole archiviazioni), visto il permanere di importanti criticità, verrà posticipata all’1° gennaio 2026.

Da diverso tempo, nei rassicuranti comunicati DGSIA via via susseguitisi e, dalle note degli uffici del Ministero della Giustizia, si continua a ritenere che APP:

  • sia senz’altro in grado di gestire telematicamente i flussi di lavoro e gli interscambi informativi e documentali bidirezionali tra gli attori interni al procedimento, dalla fase delle indagini preliminari fino all’udienza preliminare esclusa, secondo gli obiettivi affidati al Ministero della Giustizia dal PNRR;
  • consenta la redazione semplificata di atti nativi digitali tramite collegamento diretto all’applicazione Word online;
  • incorpori innovative funzioni per la ricerca e lo studio dei documenti dei fascicoli e per la redazione evoluta degli atti;
  • permetta, altresì, la formazione e la gestione del fascicolo informatico.

Anche nell’ultimo report del DGSIA si ribadisce che l’APP funziona regolarmente.

Tale report viene riportato in una nota pubblicata il 13 novembre scorso dal Ministero della Giustizia, ove si sottolinea che tra il 1° settembre 2024 e il 31 ottobre 2024 risultano aperti dagli utenti degli uffici giudiziari italiani un totale di 785 ticket di II livello, di questi sono soltanto 5 i ticket aperti con un oggetto basato sulla “instabilità” del sistema, che sarebbe stata riscontrata durante la redazione di provvedimenti tramite il wizard di Word Online.

L’applicazione – continua il report - contiene, inoltre, un completo elenco di modelli di provvedimenti a disposizione dei magistrati che possono caricare autonomamente su APP il proprio provvedimento, redatto in base al modello creato personalmente, e depositarlo telematicamente come prevede la legge.

Per il CSM, al contrario, permangono forti criticità in merito al funzionamento di APP, segnalando, in particolare, «seri problemi di instabilità durante la redazione di provvedimenti tramite il wizard di Word online, con la costante perdita irrimediabile di documenti in fase di scrittura: dopo alcuni minuti di utilizzo l'applicativo va regolarmente in crash con la perdita del lavoro sin lì svolto, che non può essere recuperato».

Insomma, dalla sponda magistrati si ripete il mantra “APP non funziona!”: con giudizio che si unisce a quello unanime dei MAGRIF, APP viene giudicato assolutamente inidoneo allo scopo per cui è stato creato, gravemente carente sul piano dell’usabilità anche da parte di utenti informativamente avanzati, non in grado di gestire in modo migliore e più veloce anche il più semplice dei procedimenti come una archiviazione contro ignoti, perfino non in grado di rispettare le normative ordinamentali che regolano Procure e Uffici GIP.

Negli obiettivi della roadmap evolutiva dell’applicativo, la versione 2.0 di APP doveva snellire i tempi della giustizia; invece, per i magistrati le complessità del sistema a breve potrà determinare la paralisi degli uffici giudiziari, considerato che dal 2 gennaio 2025 l’utilizzo di APP doveva divenire obbligatorio per tutti gli atti e i flussi processuali.

Si apprende, invece, che switch off è stato rinviato di un altro anno. Previsto un differimento selettivo con tappe intermedie: dal 31 marzo 2025 sarà obbligatorio anche per le iscrizioni nel registro degli indagati e per le direttissime.

Dal 31 marzo 2025 sarà obbligatorio, e senza alternative analogiche, l’uso di APP anche per le iscrizioni nel registro degli indagati e per i processi per direttissima. Gli altri atti, relativi a tutte le parti del procedimento penale, potranno essere adottati e depositati anche in modalità analogica fino al 31 dicembre 2025. Il primo gennaio 2026 segnerà (a meno di altri clamorosi rinvii) la data di entrata in vigore definitiva del penale telematico con le alternative analogiche che verranno definitivamente abbandonate.

Secondo fonti ministeriali, la decisione di rinviare lo switch off al 1° gennaio 2026 ha seguito una logica ben precisa. È stata presa «per contemperare due esigenze: da una parte, il rispetto degli impegni presi nell’ambito del PNRR, impegni tra i quali c'è appunto il passaggio al penale telematico, e, dall’altra, la necessità di non stressare i magistrati e gli avvocati con l’imposizione di soluzioni tecnologiche che l’infrastruttura tecnologica non è ancora in grado di garantire al meglio, o che vede comunque gli operatori, i magistrati innanzitutto, ancora non abbastanza, sicuri» (Il Dubbio, 25 novembre 2024).

L'introduzione di APP del processo penale telematico ha segnato un passo significativo nella transizione digitale del processo penale: anche se i primi veri passi verso la digitalizzazione sono passati per robuste ed altrettanto tortuose strade come il Portale deposito atti penali e il Portale delle notizie di reato, l’impatto di APP, come applicativo di flusso, può senz’altro portare a definirlo il vero Caronte digitale (Iannone).

Esso, pertanto, costituendo il primo ma non unico prodotto del cammino di transizione del processo penale verso il digitale, solleva questioni notevoli relative alla progettazione, implementazione e adozione di tecnologie digitali in un ambiente giuridico e processuale, del quale rischia di intaccare alcuni punti sacrali. 

La vicenda di APP sottolinea l'importanza di superare l'approccio tradizionale, basato sulla relazione/fornitore-utente, ma magistrati e avvocati non sono semplici destinatari di tecnologie e soluzioni imposte dall'alto, bensì attori attivi nel processo di innovazione, con una voce in capitolo significativa nella progettazione, implementazione e valutazione delle soluzioni tecnologiche.

Tuttavia, è proprio per tali ragioni che si manifestano prepotentemente le suindicate difficoltà.

Mentre il linguaggio analogico riproduce i suoni della nostra voce, del linguaggio informatico gli operatori pratici (in primis magistrati e avvocati) non sono domini. Anzi, ci si sente espropriati del sapere tradizionale che tende a rimanere soffocato nelle complesse architetture informatiche. Gli operatori rischiando così di diventare fruitori inconsapevoli di un linguaggio – quello, per l’appunto, informatico – che non si riesce a padroneggiare.

Non si tratta, in definitiva della semplice de-materializzazione dell’atto (che da cartaceo diventa nativo digitale). Occorre comprendere la dimensione della trasformazione (per l’appunto digitale) in atto perché il futuro dei giuristi è quello di gestire l’arte tecnica (rectius, informatica) per acquisire una nuova consapevolezza.

Senza considerare i fluidi scenari e i devastanti impatti che l’intelligenza artificiale avrà sul dispiegarsi dei percorsi di logica giuridica, di cui ancora una volta il magistrato e l’avvocato rischia di diventare un mero fruitore e non un elaboratore (passando, ancora una volta, da protagonista a comparsa di uno scenario governato dalla tecnologia).

(fonte: dirittoegiustizia.it)

 

Per approfondire: APP: nuovi rilievi critici da parte del CSM, in IUS Processo Telematico, 2024.

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