Tributario

Limiti al sequestro dei crediti d’imposta presenti nel cassetto fiscale

Fabio Gallio
21 Gennaio 2025

La Cassazione, con la sentenza n. 44240 depositata il 3 dicembre 2024, ha dettato i limiti e le modalità del sequestro preventivo finalizzato alla confisca dei crediti d'imposta presenti nel cassetto fiscale di una S.p.A., sottoposta ad indagine in relazione all'illecito amministrativo ex d.lgs. n. 231/2001 derivante dal reato di truffa in danno dello Stato ai sensi dell'art. 640, comma 2, n. 1, c.p.

Massima

Per procedere al sequestro, è necessario verificare la presenza, nel cassetto fiscale della società indagata, dei crediti di imposta ricollegabili all'azione delittuosa, come ripartiti nelle diverse annualità in cui sarebbero stati detraibili ed individuabili in base allo specifico codice tributo; inoltre, il sequestro per equivalente sarà sì ammissibile, ma potrà avere ad oggetto altri crediti di imposta o altre utilità della società indagata solo per l'importo attualmente non più sequestrabile in via diretta trattandosi di crediti già “goduti” e relativi alle annualità trascorse.

Il caso

Nella vicenda sottoposta all'attenzione della Corte l'attività delittuosa era consistita nel far fittiziamente risultare l'esecuzione di interventi di efficientamento energetico e sismico su di un immobile di fatto mai terminato. Tale condotta illecita aveva portato alla maturazione di un credito di imposta pari ad euro 1.785.502,25, detraibile in dieci annualità fino all'anno 2030, che era stato qualificato come “profitto” del reato e, in quanto tale, oggetto di sequestro. In particolare, il giudice per le indagini preliminari aveva disposto, tra l'altro, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca del credito in parola, nella disponibilità di una S.p.A., in quanto ritenuto profitto dell'illecito amministrativo ex d.lgs. n. 231/2001 derivante dal reato di truffa in danno dello Stato ai sensi dell'art. 640, comma 2, n. 1, c.p.

In sede di esecuzione del decreto di sequestro, l'Agenzia delle Entrate aveva sottoposto a vincolo reale crediti esistenti nel cassetto fiscale della S.p.A., parzialmente diversi da quelli ritenuti profitto di reato fino all'ammontare della somma indicata.

Per tale ragione, la società aveva proposto ricorso per cassazione avverso l'ordinanza dei giudici d'appello che avevano confermato il decreto di sequestro, evidenziando che i crediti di imposta, conservati nel predetto cassetto fiscale, solo quando sono nello stesso visibili producono i loro effetti giuridici e risultano opponibili all'Erario. Detti crediti sono poi contrassegnati da un codice identificativo relativo alla categoria di appartenenza, che ne individua il regime giuridico e, qualora siano “spalmabili” nel tempo, risultano indicate le quote annuali di detraibilità. Anche in caso di cessione, detti crediti mantengono lo stesso regime giuridico di detraibilità legato all'annualità nei quali gli stessi possono essere goduti, con la conseguenza che più è lontano il momento della loro detraibilità, più ridotto è il loro valore in caso di cessione.

Tanto premesso, la difesa della ricorrente aveva eccepito l'apposizione del vincolo reale su crediti del tutto estranei al reato contestato in quanto acquisiti dalla società in relazione a diversi ed ulteriori interventi di riqualificazione energetica dei quali non era contestata l'esistenza e la liceità. L'Agenzia delle Entrate sarebbe andata, ad avviso della ricorrente, ben oltre il perimetro tracciato dal decreto di sequestro, in quanto il provvedimento cautelare avrebbe dovuto colpire pro quota i crediti presenti nel cassetto fiscale riguardanti le annualità dal 2025 al 2030 fino all'ammontare della somma complessiva oggetto del provvedimento di sequestro, così lasciando alla società la possibilità di avvalersi nell'immediatezza dei crediti non contestati.

La questione e la soluzione giuridica

La Cassazione, nell'annullare con rinvio l'ordinanza dei giudici di merito, ha ritenuto sussistenti i gravi indizi di colpevolezza in ordine al reato di cui all'art. 640, comma 2, n. 1, c.p., evidenziando, altresì, come sia pacifico il fatto che, nel caso in esame, per effetto del combinato disposto degli artt. 640-quater e 322-ter c.p., possa legittimamente essere ordinato il sequestro preventivo ai fini di confisca del prezzo o del profitto del reato e che, ai sensi dell'art. 53 del d.lgs. n. 231/2001, il giudice possa disporre nei confronti dell'Ente il sequestro delle cose di cui è consentita la confisca a norma dell'art. 19 del decreto in parola.

La Suprema Corte, dopo aver ricordato che il sequestro “per equivalente” finalizzato alla confisca può essere disposto solo qualora non sia possibile eseguire la confisca “diretta” di cui all'art. 19, ha ritenuto errato il modus operandi dell'Agenzia delle Entrate, poiché l'esecuzione del sequestro avrebbe dovuto seguire un diverso iter, secondo le seguenti modalità:

a) accertamento della presenza nel cassetto fiscale della ricorrente dei crediti di imposta ricollegabili all'azione delittuosa come ripartiti nelle dieci annualità ed individuabili in base allo specifico codice tributo;

b) sequestro “diretto” di detti crediti di imposta pro-quota nelle relative annualità;

c) sequestro “per equivalente” di altri crediti di imposta o di altre utilità della società solo per l'importo attualmente non più sequestrabile in via diretta trattandosi di crediti già “goduti” e relativi alle annualità trascorse, il cui ammontare è determinabile attraverso il semplice calcolo matematico concernente la differenza tra la somma complessiva di 1.785.489,00 euro e l'ammontare dei crediti di imposta legati al reato ancora presenti nel cassetto fiscale fino al 2030.

Ciò ribadito, i giudici di legittimità hanno concluso evidenziando che è quindi ravvisabile una violazione di legge nelle modalità esecutive del sequestro che ha attinto crediti presenti nel Cassetto Fiscale della ricorrente maturati per attività per le quali non è emersa la illiceità per un ammontare superiore alla differenza (a questo punto da accertare nell'attualità) tra il profitto del reato ancora presente nel Cassetto Fiscale della società e ripartito pro quota fino al 2030 e l'ammontare complessivo dell'importo sequestrabile”.

Con la sentenza in commento viene, infine, chiarito che non è pertinente ai fini del decidere l'affermazione contenuta nella motivazione dell'ordinanza impugnata secondo cui “la divisione del credito e la conseguente necessità di colpire pro quota tutte le successive annualità rappresenta una questione attinente alla esigibilità del credito e non di attuale esistenza del credito”, ciò in quanto ci si trova in presenza di un credito esistente ed il mero fatto che non sia immediatamente esigibile non consente di escludere che lo stesso rappresenta pur sempre il “profitto” del reato, tenuto conto del valore economico del credito stesso costituito nell'immediatezza dalla sua cedibilità dietro corrispettivo.

Osservazioni

I precedenti

La pronuncia della Cassazione si pone in linea con un recente indirizzo giurisprudenziale che ha dettato le modalità con le quali deve essere eseguito il sequestro dei crediti esistenti nel cassetto fiscale, in presenza di condotte fraudolente correlate alla fruizione delle agevolazioni fiscali connesse al c.d. Superbonus.

In tale solco si colloca, in particolare, la sentenza n. 7021 del 15 febbraio 2024, relativa a crediti di imposta asseritamente fittizi, in quanto generati dall'emissione di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti, correlate ad interventi di efficientamento energetico in realtà mai eseguiti da parte di una società di impianti elettrici che li aveva successivamente ceduti ad altra società. In sede di sequestro, l'intero cassetto fiscale era stato oggetto di vincolo reale, senza una chiara correlazione tra i crediti “congelati” e le condotte fraudolente.

La Cassazione ha censurato la decisione dei giudici di merito che, senza una puntuale ricostruzione del meccanismo fraudolento addebitabile ai ricorrenti in relazione a ciascuna cessione, avevano confermato il decreto genetico con il quale era stato disposto il sequestro su tutti i crediti di imposta “accettati” dalla società cessionaria; in altri termini, non era stata fornita alcuna argomentazione in ordine al nesso di pertinenzialità tra detti crediti e le irregolarità accertate.

Inoltre, ad avviso degli Ermellini, i giudici di merito non avevano tenuto conto dei crediti “rinunciati”, oggetto di alcune note di credito emesse dalla società, e di quelli “rifiutati” dalla medesima. In particolare, come si legge in sentenza, posto che i crediti oggetto di sequestro, secondo la tesi accusatoria, dovrebbero avere la propria causa nelle cessioni dei crediti corrispondenti alle agevolazioni tributarie fittiziamente maturate dai proprietari-cedenti, nulla era stato motivato in ordine alla effettiva corrispondenza soggettiva ed oggettiva tra i crediti interessati dalle operazioni di storno, o per i quali la società aveva rifiutato la cessione, e quelli che, a seguito di una imprecisata cessione in favore della società, erano stati attinti dal provvedimento di sequestro.

La Corte, inoltre, ha ritenuto che alcuna motivazione era stata fornita in merito all'asserita mancata esecuzione del 30% dei lavori commissionati, genericamente esclusa sulla base delle sole dichiarazioni rese da alcuni dei committenti, di fatto smentite da quanto dedotto dai ricorrenti.

Alla luce quindi di tutti questi elementi non debitamente considerati, la Cassazione ha annullato l'ordinanza di sequestro e ha disposto un riesame di tutti i crediti presenti nel cassetto fiscale.

Il doppio sequestro per i crediti da c.d. Superbonus

Nell'ambito delle agevolazioni fiscali connesse al c.d. Superbonus la Cassazione ha ammesso la possibilità di procedere ad un doppio sequestro, sia di tipo preventivo finalizzato alla successiva confisca, sia di tipo “impeditivo”, ovvero funzionale ad evitare il rischio di reiterazione del reato.

In particolare, con specifico riferimento alle condotte di sconto in fattura integranti il reato di cui all'art. 316-ter c.p., merita citare la sentenza n. 37138 del 12 settembre 2023, con la quale la Cassazione ha ritenuto legittimo il vincolo reale disposto in fase cautelare, consistente in un duplice sequestro, ovvero: 1) il sequestro preventivo impeditivo in via diretta delle quote sociali delle società coinvolte; 2) il sequestro preventivo ai fini della confisca obbligatoria della somma pari al profitto del reato di cui all'art. 316-ter c.p., in via diretta a carico della società beneficiaria del credito acquisito e, per equivalente, a carico dei coindagati cui era contestata la percezione di somme relative ai vari cantieri. Nello specifico, ad avviso della Corte, all'illecita operazione oggetto di contestazione si collegherebbero, “sotto un diverso profilo, sia il sequestro del credito di imposta generato illecitamente, quale profitto direttamente derivato dalla condotta di cui all'art. 316-ter c.p. e sottoposto a vincolo reale in via diretta e impeditiva, sia il sequestro preventivo per equivalente del successivo profitto che dalla cessione di tale credito è stato realizzato nel patrimonio dell'indagato e nelle società coinvolte”. Sul punto la Cassazione ha precisato che “è del tutto evidente che si può procedere al sequestro o alla confisca sia del prodotto che del profitto del reato, dovendo identificarsi, nel caso in esame, il prodotto nel credito illecitamente creato ed il profitto nella cessione dello stesso”.

La possibilità di procedere, per le condotte illecite correlate alla fruizione dei bonus fiscali, ad un doppio sequestro, è stata riconosciuta anche da un'ulteriore più recente sentenza, la n. 38161 del 17 ottobre 2024, con la quale la Cassazione, in una vicenda relativa ad una frode connessa al c.d. Superbonus, attuata mediante la presentazione di fatture per operazioni di fatto inesistenti ma idonee a generare un credito fiscale illegittimo cedibile e monetizzabile, ha ritenuto legittimo sia il sequestro finalizzato alla confisca, sia il sequestro di tipo impeditivo.

In particolare, per quanto riguarda il primo, la Corte ha evidenziato la necessità che il giudice accerti la sussistenza del fumus commissi delicti che, per il delitto di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, è ravvisabile nella condotta di chi, avendo monetizzato il credito derivante dalla realizzazione di opere suscettibili di fruire dell'agevolazione fiscale da “bonus 110” mediante la sua cessione o lo sconto in fattura, effettui la fatturazione in acconto di spese relative a opere non ultimate o non certificate. L'emissione di tali fatture, infatti, mira a simulare l'esistenza di spese in concreto non ancora sopportate e a creare fittiziamente il presupposto costitutivo del diritto alla detrazione.

Quanto, invece, ai requisiti per l'applicazione del sequestro impeditivo, finalizzato a evitare la reiterazione del reato, la Cassazione ha precisato che non è necessario accertare, a differenza di quanto richiesto per il sequestro ai fini di confisca, l'esistenza di un collegamento strutturale fra il bene da sequestrare e il reato commesso. La pertinenza richiesta dal primo comma dell'art. 321 comprende, infatti, non solo le cose sulle quali o a mezzo delle quali il reato è stato commesso o che ne costituiscono il prezzo, il prodotto o il profitto, ma anche quelle legate solo indirettamente alla fattispecie criminosa.

Conclusioni

Se, come detto, nell'ambito delle condotte fraudolente correlate alla fruizione dei crediti in parola, è stata ammessa la possibilità di procedere ad un doppio sequestro, la Cassazione ha inteso tracciare in modo netto i confini entro cui il vincolo reale può essere disposto (rectius eseguito).

Fondamentale sarà accertare la sussistenza del fumus commissi delicti e verificare se i crediti di imposta che si intendono sottoporre a sequestro siano effettivamente ricollegabili all'azione delittuosa, secondo un nesso di pertinenzialità, di cui sarà necessario fornire congrua evidenza. Il sequestro per equivalente, poi, sarà lecito solo per l'importo attualmente non più sequestrabile in via “diretta” trattandosi di crediti già “goduti” e relativi alle annualità trascorse, il cui ammontare è determinabile attraverso il semplice calcolo matematico concernente la differenza tra la somma complessiva e l'ammontare dei crediti di imposta legati al reato ancora presenti nel cassetto fiscale fino alla fine delle annualità previste per la detrazione.

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