Crisi d'impresa
IlFallimentarista

La rilevanza del comportamento del debitore nelle procedure da sovraindebitamento

19 Febbraio 2025

Il comportamento del debitore, già presente nella legge fallimentare quale elemento da valutare ai fini dell'omologazione del concordato preventivo, assume oggi, nel codice della crisi, un “nuovo volto” nell'ambito del sovraindebitamento. L'Autore ricostruisce con chiarezza la vecchia e la nuova disciplina, dando conto degli orientamenti di dottrina e giurisprudenza, oggi – quantomeno apparentemente – attestatisi su una posizione di maggior rigore nei confronti del debitore.

La meritevolezza del debitore fra vecchie e nuove norme

Dopo essere scomparso dalla legge fallimentare nel 2005, per effetto della prima delle riforme sul concordato preventivo di quegli anni, il “comportamento del debitore” inteso come categoria concettuale autonoma è poi rientrato dalla finestra, nel diritto concorsuale, attraverso le norme sul sovraindebitamento, emanate nel 2012 e confluite in seguito nel Codice della crisi.

Parliamo di “categoria concettuale autonoma” perché, per la verità, il comportamento del debitore assumeva una sua rilevanza, all'interno della legge fallimentare, anche in altre norme, anche diverse da quelle sul concordato preventivo; così come oggi assume una sua rilevanza all'interno del Codice della crisi non solo nell'ambito del sovraindebitamento, ma anche altrove: e basti pensare al principio generale contenuto nell'art. 4, in virtù del quale «Nella composizione negoziata, nel corso delle trattative e dei procedimenti per l'accesso agli strumenti di regolazione della crisi e dell'insolvenza, il debitore, i creditori e ogni altro soggetto interessato devono comportarsi secondo buona fede e correttezza». Ma da nessun'altra parte il comportamento del debitore era dotato di tanta specifica pregnanza quanta prima ne aveva, all'interno della legge fallimentare, nell'ambito del concordato preventivo, e quanta oggi ne ha, all'interno del Codice della crisi, nell'ambito del sovraindebitamento.

Nella legge fallimentare, il comportamento del debitore rientrava addirittura fra gli elementi che il tribunale doveva valutare ai fini dell'omologazione del concordato, insieme ad altri, perché non bastava che il concordato fosse stato dichiarato ammissibile e che la procedura si fosse svolta regolarmente, ma era necessario anche che, in fase di omologazione, sussistessero quattro condizioni ulteriori: e fra queste quattro condizioni, in mancanza delle quali la sentenza di omologazione non poteva essere pronunciata, era prevista appunto anche la meritevolezza del debitore. Per la precisione, questa era la quarta delle condizioni richieste, dopo quelle riguardanti la convenienza economica del concordato dal punto di vista dei creditori (prima condizione), il raggiungimento delle maggioranze prescritte (seconda condizione) e l'idoneità delle garanzie offerte (terza condizione). Dopo queste tre condizioni, l'art. 181 l. fall. imponeva di accertare anche che il debitore, «in relazione alle cause che hanno provocato il dissesto e alla sua condotta», risultasse «meritevole del concordato»: ma l'elenco non era improntato a criteri di importanza, nel senso che nessuna condizione prevaleva sulle altre, al di là dell'ordine in cui erano elencate, con la conseguenza che ciascuna, ivi compresa la mancanza di meritevolezza, sarebbe bastata anche da sola a precludere l'omologazione. Ed è proprio questo il particolare profilo sotto il quale si può dire che il comportamento del debitore fosse dotato in quanto tale, nel vecchio concordato preventivo, di una sua speciale autonomia giuridica, di cui oggi le norme sul concordato non conservano più traccia: non la conservavano nella legge fallimentare successiva alla riforma del 2005 e non la conservano nel Codice.

Oggi, semmai, il comportamento del debitore rientra fra gli elementi da valutare ai fini dell'accesso alle procedure di sovraindebitamento, considerato che: 1) quanto alla ristrutturazione dei debiti del consumatore, l'art. 69 del Codice prevede che il consumatore non possa accedere alla procedura nel caso in cui abbia «determinato la situazione di sovraindebitamento con colpa grave, malafede o frode»; 2) quanto al concordato minore, l'art. 77 sancisce a sua volta l'inammissibilità della domanda di accesso alla procedura quando risultino «commessi atti diretti a frodare le ragioni dei creditori»; 3) quanto alla liquidazione controllata, è vero che le norme non prevedono cause specifiche di inammissibilità della domanda, ma è altrettanto vero che l'art. 269 richiede pur sempre all'OCC di indicare nella sua relazione, da allegare al ricorso, «le cause dell'indebitamento e la diligenza impiegata dal debitore nell'assumere le obbligazioni»; 4) quanto infine all'esdebitazione del sovraindebitato incapiente, l'art. 283 la qualifica espressamente come misura concedibile solo a favore del «debitore persona fisica meritevole».

Peraltro, anche nell'ambito della stessa disciplina sul sovraindebitamento non sono solo queste le norme che attribuiscono rilevanza al comportamento del debitore: sia perché l'eventuale commissione di atti in frode viene configurata, oltre che come ipotesi di inammissibilità della domanda di accesso alle procedure, anche come ipotesi di successiva revoca dell'omologazione (quando gli atti siano stati commessi o scoperti dopo); sia perché altre norme ancora individuano anche ulteriori comportamenti rilevanti, riassumibili in sostanza nell'obbligo di collaborare lealmente con la procedura. Ma una cosa è valutare il comportamento del debitore nei confronti della procedura, e pretendere che tale comportamento sia orientato quantomeno a correttezza e buona fede; un'altra cosa è sindacarlo ex post rispetto a quanto successo prima della procedura, in termini assoluti. Tanto più tenuto conto del fatto che le procedure di sovraindebitamento sono destinate non solo agli imprenditori ma anche ai consumatori, o più in generale ai debitori civili, che non redigono bilanci e le cui condotte non sono suscettibili di essere valutate secondo i medesimi criteri economici applicabili agli imprenditori. Ecco: sindacare il comportamento del debitore ex post è quello che chiedevano le vecchie norme sul concordato preventivo ed è quello che chiedono ora, nell'ambito del sovraindebitamento, gli articoli 69,77,269 e 283 c.c.i.i.

Insomma: almeno sotto certi profili, siamo tornati al concetto di “meritevolezza”.

Nell'art. 283 c.c.i.i., come abbiamo visto, vi siamo tornati perfino testualmente, nella misura in cui quella norma prevede che il debitore debba risultare “meritevole” dell'esdebitazione dell'incapiente, esattamente come, nella legge fallimentare antecedente al 2005, doveva risultare “meritevole” del concordato preventivo. Ma anche negli altri casi il concetto è pur sempre quello, seppur sotto altre forme, attraverso altre parole: cosa significa infatti richiedere che il debitore possa essere considerato diligente o verificare che non possano essergli imputate colpe o che non abbia commesso frodi, se non richiedere che possa essere considerato meritevole?

È cambiato il mondo, nel frattempo, o comunque è cambiato il diritto fallimentare, la cui pelle aveva cominciato a mutare proprio dalla riforma del 2005 e che oggi non si chiama neppure così. Oggi si chiama “diritto della crisi”: e sono cambiati molti degli originari princìpi ispiratori e molti dei precedenti parametri di riferimento. Per più di un verso il diritto della crisi di oggi rappresenta un terreno nuovo rispetto a quello del vecchio diritto fallimentare. Sono cambiate, in generale, le finalità perseguite: tanto il vecchio diritto fallimentare era funzionale in primo luogo al soddisfacimento dei creditori, quanto il diritto della crisi di oggi è funzionale in primo luogo alla conservazione dell'azienda e dei suoi valori (anche nell'interesse dei creditori, naturalmente, ma non più quale interesse preminente). Molti istituti nuovi sono giustificati proprio da queste nuove finalità; così come, del resto, le nuove finalità impongono talvolta nuove interpretazioni degli istituti rimasti invece immutati. Ed è un dato da registrare che in mezzo a tutto ciò la “meritevolezza” del debitore abbia fatto il suo ritorno sulla scena. È un istituto che non possiamo definire né vecchio né nuovo: non è vecchio, perché era già scomparso dalla legge fallimentare prima ancora che le subentrasse il Codice; ma non è neppure nuovo, proprio perché esisteva già, prima che il mondo del diritto fallimentare iniziasse a cambiare. Oppure, potremmo dire che è vecchio il concetto ma è nuovo il contesto: la “meritevolezza” è tornata sulla scena nell'ambito non più del concordato preventivo bensì del sovraindebitamento, a sua volta introdotto da una legge, la n. 3 del 2012, emanata proprio a metà strada di quel percorso riformatore che dal 2005 ha condotto, nel 2019, alla pubblicazione del Codice della crisi.

Sono considerazioni che in fondo potrebbero esaurire il loro senso anche in sé stesse: quali pure e semplici constatazioni, da valutare come tali. Ma in più possiamo chiederci: cos'è la “meritevolezza” del debitore, oggi? Come va intesa? Va interpretata, nell'ambito del sovraindebitamento, alla luce dei medesimi parametri che sovrintendevano alla sua interpretazione nell'ambito del concordato preventivo fino al 2005? È diversa, la giurisprudenza che si sta formando oggi, rispetto a quella passata? E possono ancora valere, in ogni caso, gli orientamenti di un tempo (non solo della giurisprudenza, ma anche della dottrina)? È a partire da queste domande che possiamo provare a svolgere ancora qualche breve considerazione.

Gli orientamenti nel vecchio concordato preventivo

Innanzitutto occorre vedere quale fosse lo stato dell'arte sotto la vigenza delle vecchie norme, antecedenti alla riforma del 2005. E quel che va notato è che la giurisprudenza e la dottrina erano molto varie, in relazione alle funzioni di volta in volta riconosciute al concordato preventivo.

È sufficiente la lettura di un qualunque commentario dell'epoca.

«Secondo una prima concezione», leggiamo ad esempio nel Commentario breve alla legge fallimentare a cura di Alberto Maffei Alberti, «lo scopo della procedura di c.p. è quello di esonerare l'imprenditore onesto dalle incapacità personali che discendono dalla dichiarazione di fall.»: con la conseguenza che «nel giudizio di meritevolezza si deve accertare se le qualità morali e la pregressa condotta del debitore legittimino la concessione del beneficio». Oppure, al contrario (sempre dal Commentario a cura di Maffei Alberti): «Un'altra teoria, assegnando al c.p. la funzione di conservare l'impresa, prescinde da implicazioni di carattere esclusivamente etico per individuare la meritevolezza del debitore nella sua presumibile idoneità alla ripresa dell'attività economica». O ancora: «Secondo una terza concezione, infine, la finalità essenziale del c.p. va individuata nella tutela dei creditori», con la conseguenza in questo caso che «il giudizio di meritevolezza deve garantire che sia neutralizzato il maggior rischio che il c.p. presenta rispetto al fall., valutandosi se dalla condotta pregressa del debitore siano desumibili elementi tali da far prevedere una difficile realizzazione dell'obiettivo del c.p.».

Queste erano le direttive principali, dentro le quali scorrevano poi mille rivoli, anche secondo le applicazioni di quelle direttive nei casi concreti. E così, ad esempio: in un caso era stato affermato che la meritevolezza non doveva essere esclusa nonostante l'imprenditore, «al fine di salvare l'azienda», avesse emesso assegni a vuoto, «trattandosi di comportamenti caratteristici dello stato di insolvenza»; in un altro caso, era stato ritenuto irrilevante anche il fatto che l'imprenditore fosse stato gravemente imprudente, addirittura facendo spese di lusso, sul presupposto che la meritevolezza non fosse da confondere con «l'insufficienza direttiva, la confusione amministrativa e la deficienza finanziaria»; in altri casi ancora, viceversa, la meritevolezza era stata esclusa a fronte di atti che configuravano ipotesi di falsi in bilancio o di bancarotta semplice o anche solo di una contabilità irregolare.

E diversi ancora erano i discorsi quando il giudizio di meritevolezza riguardava le società, anziché gli imprenditori individuali. Un primo orientamento sosteneva che alle società il giudizio fosse perfino inapplicabile, vuoi perché una persona giuridica non si presta a poter essere giudicata secondo criteri etici, vuoi perché comunque sarebbe irrilevante, rispetto alla società, il comportamento dei suoi amministratori. Un altro orientamento, ed era quello prevalente, sosteneva invece il contrario: la condotta degli amministratori è sempre imputabile alla società, per via del rapporto organico che lega gli uni all'altra. E secondo questo orientamento il punto era allora quello di verificare se la società avesse o non avesse «adottato tutte quelle iniziative, compresa l'azione di responsabilità ex art. 2932 c.c., poste a tutela del suo patrimonio e buon nome, non essendo sufficiente la mera sostituzione degli amministratori anteriormente alla procedura di c.p., trattandosi di atto `neutro` che non segna necessariamente una frattura dell'imputabilità alla società degli atti da loro compiuti».

In definitiva, potremmo dire che a contendersi il campo erano due visioni delle cose: da una parte una visione fondata su concezioni morali ed etiche; da un'altra una visione laica, che qualcuno definiva “liberale” o “liberaleggiante” e Satta addirittura “lassista” (influenzato probabilmente dalla sua forte fede cristiana). Ma la realtà è che la visione laica sembrava alla fine prevalere su quella etica, nel complesso; o tutt'al più le due visioni si sovrapponevano, si compenetravano, si univano, in un'ottica che comunque appariva tendenzialmente sempre più di favore che di sfavore nei confronti dei debitori, imprenditori individuali o società che fossero.

Gli orientamenti nel sovraindebitamento

E nel sovraindebitamento? Quali sono le tendenze, oggi? Tendenze consolidate ancora non sembra di vederne, ma direzioni di senso sì; e sfogliare un commentario può essere sufficiente anche qui, come prima (e come prima possiamo fare riferimento al Commentario a cura di Maffei Alberti). Quel che ne risulta è che l'accesso alle procedure viene riconosciuto non solo quando il sovraindebitamento sia derivato da fatti successivi alla contrazione del debito, “esogeni ed inaspettati” (quali potrebbero essere un licenziamento improvviso o il mancato incasso di certi crediti o una separazione coniugale): ed è il minimo, a ben vedere. Ma anche quando le circostanze concrete che hanno originato il sovraindebitamento siano antecedenti, con la precisazione però che in questo caso deve trattarsi di circostanze “non eticamente censurabili”. Per la verità questi sono princìpi affermati espressamente in relazione all'accesso alla ristrutturazione dei debiti del consumatore; ma i medesimi princìpi sembrano orientare, tutto sommato, l'applicazione anche di tutte le altre norme, quando a venir messo in questione sia il comportamento del debitore sotto il profilo della sua meritevolezza.

Vero è che, talvolta, il dettato normativo letterale sembrerebbe escludere implicazioni etiche: e pensiamo in particolare all'art. 77 c.c.i.i., in materia di accesso al concordato minore, dove viene previsto che gli unici atti da considerare ostativi all'accesso siano quelli «diretti a frodare le ragioni dei creditori». Ed è chiaro: gli atti diretti a danneggiare i diritti dei creditori sono tali al di là della loro censurabilità o incensurabilità etica. Ma è anche vero che l'OCC è pur sempre chiamato, nelle sue relazioni, a fornire il proprio parere sulla diligenza del debitore più in generale; ed è poi proprio sul parere dell'OCC che il tribunale fonda il giudizio ai fini dell'ammissibilità e dell'omologazione delle procedure.

Inoltre, per quanto riguarda in particolare l'esdebitazione dell'incapiente, il fatto stesso che questo tipo speciale di esdebitazione sia stato configurato come misura a favore solo delle persone fisiche, e non anche delle società, si presta a due interpretazioni diverse: non tanto due facce di una medesima medaglia, bensì quasi un'arma a doppio taglio. È stato osservato, infatti, che il «carattere eccezionale dell'istituto» è giustificato evidentemente da considerazioni «di ordine etico» (lo nota ad esempio Caterina Luisa Appio nel Commentario a cura di Valensise, Di Cecco e Spagnuolo): ma cosa significa? La giustificazione etica va cercata a monte, e si esaurisce nella previsione normativa? O è richiesta anche a valle, e deve trovare corrispondenza nel comportamento del debitore? La norma, eticamente giustificata, è dunque applicabile al solo debitore il cui comportamento sia stato a sua volta eticamente irreprensibile? E come dev'essere misurata, tale irreprensibilità? Una situazione di sovraindebitamento personale che non lasci più scampo non potrebbe essere considerata come eticamente meritevole di essere tutelata in quanto tale? L'impressione è che l'orientamento che si sta formando in giurisprudenza ritenga la norma insuscettibile di risolversi in sé stessa, di trovare solo in sé stessa la propria giustificazione. Come a dire: d'accordo, l'intenzione del legislatore era quella di prevedere un rimedio in relazione a situazioni disperate (di cui la storia di questi anni è sempre più piena), ma occorre pur sempre distinguere. E la distinzione imporrebbe giudizi anche di natura etica nel segno della severità.  

Considerazioni riassuntive e conclusive

Sembra, in definitiva, che gli orientamenti in corso sul sovraindebitamento, sempre che l'impressione che generano sia corretta, si stiano attestando su una posizione più rigorosa nei confronti dei debitori rispetto a quella degli orientamenti di un tempo sul concordato preventivo. E potremmo nuovamente fermarci a questo, alla pura e semplice constatazione di un fatto, come prima avevamo constatato il ritorno sulla scena del concetto di “meritevolezza” dopo alcuni anni di assenza dal panorama del diritto concorsuale: tanto quanto, in materia di concordato, fra l'orientamento fondato su concezioni morali ed etiche e quello più laico e liberale era infine prevalso il secondo, così oggi, in materia di sovraindebitamento, è viceversa il primo a sembrare in leggero vantaggio.

Quello che possiamo chiederci è se questo orientamento, oltre un certo grado di rigore, sia in effetti il più rispondente al senso delle nuove norme sul sovraindebitamento, anche alla luce del contesto in cui sono collocate nel sistema. E cioè nel contesto di quel nuovo mondo di cui abbiamo parlato: un mondo nel quale alla preminenza dell'interesse dei creditori, in vista del loro maggior soddisfacimento possibile, si è sostituita la preminenza dell'interesse alla conservazione dell'azienda e dei suoi valori. Non per forza i due interessi confliggono, o sono destinati a confliggere; ma il conflitto è possibile, e quando sorge l'interesse sembra propendere, ormai, più dalla parte della prosecuzione dell'attività che altrove. Questo in generale; per non dire che, in particolare, le norme sul sovraindebitamento sono perfino più rivoluzionarie ancora, vuoi perché riguardano anche il debitore civile e non solo l'imprenditore, vuoi perché il fine che le muove è ancora più palesemente quello del salvataggio del debitore (se occorre, anche a discapito delle ragioni dei creditori). In realtà il legislatore non è stato mosso solo da preoccupazioni di ordine etico, perché insieme a queste hanno giocato preoccupazioni anche di ordine diverso: salvare un debitore, dopotutto, significa anche recuperarlo al ciclo produttivo, nell'interesse dell'economia di mercato. Ma rimane il fatto che mai, ad esempio, il legislatore si era spinto fino al punto di concedere l'esdebitazione senza neppure pretendere contropartite a favore dei creditori, come invece fa nell'esdebitazione dell'incapiente.

Ecco: non rischia di risultare contraddittorio, dentro questo nuovo contesto, ritenere che l'accesso alle procedure debba essere valutato secondo parametri severi come non lo erano neppure quelli che venivano applicati nell'ambito del concordato preventivo di un tempo? In più, lo abbiamo detto: nessuna delle altre procedure concorsuali, diverse da quelle di sovraindebitamento, prevede giudizi di meritevolezza ai fini della loro fruibilità o dell'omologazione. E non potrebbe risultare contraddittorio anche questo? Non rischia di rappresentare un'eccessiva disparità di trattamento che al giudizio sulla meritevolezza, richiesto in relazione alle sole procedure di sovraindebitamento, si aggiunga un sovrappiù di intransigenza?

Il dubbio sembra quantomeno lecito, anche solo come elemento di riflessione rispetto all'eventuale emersione di tendenze ancor più rigorose. Piuttosto è superfluo l'auspicio che ogni singola situazione che si presenterà al vaglio della giurisprudenza possa ricevere sempre l'attenzione umana che le spetta e che merita, come tale.

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