Andrea Ricuperati
12 Marzo 2024

Il deposito di atti e documenti a cura dei difensori delle parti costituite ovvero dei soggetti nominati o delegati dall'autorità giudiziaria deve avvenire esclusivamente con modalità telematiche anche nei procedimenti d'appello, che siano instaurati dinanzi al tribunale o alla corte d'appello, contenziosi o di volontaria giurisdizione.

Inquadramento

Anche nei procedimenti civili (contenziosi o di volontaria giurisdizione) di appello, siano essi instaurati dinanzi al tribunale od alla corte d'appello, ha luogo esclusivamente con modalità telematiche (nel rispetto della normativa – anche regolamentare – concernente la firma, trasmissione e ricezione dei documenti informatici), ai sensi dell'art. 196-quater disp. att. c.p.c., il deposito di atti e documenti da parte:

  • difensori;
  • del pubblico ministero;
  • dei soggetti nominati o delegati dall'autorità giudiziaria.

In evidenza

Dal 1° marzo 2023 anche il deposito dei provvedimenti del giudice e dei verbali di udienza ha luogo – pure nei procedimenti già pendenti a quella data – unicamente con modalità telematiche.

La presentazione di una copia analogica (= cartacea) di atti e documenti può essere ordinata dal giudice “per ragioni specifiche” (art. 196-quater disp. att. c.p.c.).

Il capo dell'ufficio giudiziario autorizza il deposito non telematico solo quando i sistemi del dominio giustizia non sono funzionanti e sussiste una situazione d'urgenza (ibidem).

PCT e struttura degli atti depositati telematicamente

Ai sensi dell'art. 121 (ultimo periodo) c.p.c., “Tutti gli atti del processo sono redatti in modo chiaro e sintetico”.

Con decreto del Ministro della Giustizia 7 agosto 2023, n. 110, è stato introdotto nell'ordinamento italiano il regolamento previsto dall'art. 46 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile per la definizione dei criteri di redazione, dei limiti e degli schemi informatici degli atti giudiziari con la strutturazione dei campi necessari per l'inserimento delle informazioni nei registri del processo; criteri, questi, da osservarsi nei giudizi radicati dopo il 1° settembre 2023 ed al cui rispetto sono assoggettati anche i provvedimenti del giudice. Quanto agli atti dei giudizi di impugnazione, meritano particolare sottolineatura:

  • l'inserimento di parole-chiave (massimo 20) individuanti l'oggetto della controversia;
  • l'indicazione degli estremi del provvedimento appellato, dell'autorità che lo ha pronunciato e della data di sua eventuale notifica;
  • l'individuazione dei capi della decisione oggetto di gravame e dei motivi dedotti;
  • la denominazione dei documenti in maniera corrispondente al loro contenuto, nonché – “preferibilmente” – la creazione di collegamenti ipertestuali agli stessi;
  • la delimitazione in 80.000 caratteri (font di 12 pt, interlinea 1,5, margini di cm. 2,5), corrispondenti a circa 40 pagine, del contenuto degli scritti introduttivi e finali nelle cause di valore inferiore a € 500.000,00, salvo vertenze di particolare complessità (da giustificarsi) e sempre che, in tal caso, vengano inseriti il sommario ipertestuale e l'abstract;
  • il divieto di note diverse da quelle recanti richiami dottrinali o giurisprudenziali.

L'inosservanza di detti parametri non comporta alcuna invalidità, ma può essere valutata nella decisione sulle spese del processo.

Nell'àmbito del giudizio di appello, il canone in esame va coordinato col principio di chiarezza, sinteticità e specificità dei motivi sancito dal primo alinea dell'art. 342 c.p.c., contemplante l'onere dell'appellante di indicare a) il capo della decisione impugnato, b) le censure mosse alla ricostruzione dei fatti compiuta dal giudice di prime cure e c) le violazioni di legge denunciate nonché la loro rilevanza ai fini della decisione oggetto di gravame.

V'è da chiedersi se, ai fini della inammissibilità dell'appello prevista da tale norma, sia necessario infrangere la regola della specificità, oppure basti violare quelle della chiarezza o sinteticità: la lettera della disposizione (nel nuovo testo vigente per le impugnazioni proposte dopo il 28 febbraio 2023) conduce a propendere per la seconda opzione, anche se una simile esegesi finisce col sanzionare più pesantemente in secondo grado l'inosservanza del principio di chiarezza e sinteticità degli atti.

PCT e atto di instaurazione del giudizio di appello

Con riguardo al contenuto dell’atto (citazione ovvero ricorso più decreto di fissazione d’udienza) introduttivo del giudizio di II grado, giova premettere che da tempo non è più necessario indicarvi l’indirizzo di posta elettronica certificata del difensore della parte, il richiamo dell’art. 342 c.p.c. all’art. 163 c.p.c. imponendo solo l’enunciazione del numero di fax (come previsto dall’art. 125 c.p.c.); ma di tale prescrizione è ormai imminente la scomparsa, lo schema di decreto legislativo correttivo della cd. Riforma Cartabia avendola appunto contemplata.

In ordine alla notificazione, va anzitutto ricordato che essa deve essere curata solo dall’avvocato – ed esclusivamente in via telematica (ai sensi degli artt. 3-bis e 3-ter della l. n. 53/1994) – nei confronti delle parti che erano costituite in I grado; alla modalità tradizionale (a mani o tramite il servizio postale) ed all’ufficiale giudiziario si potrà ricorrere solo laddove sussistano congiuntamente i seguenti presupposti:

  • che il soggetto destinatario della notifica sia rimasto contumace in prime cure (oppure – ma trattasi di ipotesi davvero remotissima – sia stato assistito da avvocato sprovvisto di casella PEC funzionante)
  •  
  • che esso non sia tenuto per legge a munirsi di un domicilio digitale risultante da pubblici elenchi (v. art. 16-ter d.l. n. 171/2012: INI-PEC, ANPR, IPA, Registro Imprese, Registro PP.AA., Re.G.Ind.E), né abbia eletto un domicilio digitale inserito nell’elenco di cui all’art. 6-quater del d.lgs. n. 82/2005 (cd. INAD).

Qualora per causa imputabile al destinatario – che sia obbligato all’iscrizione nell’INI-PEC - la notifica telematica non sia possibile o non abbia esito positivo, l’avvocato dovrebbe eseguirla mediante inserimento nell’area web riservata prevista dall’art. 359 del d.lgs. n. 14/2019 e la notifica si ha per eseguita il decimo giorno successivo; tuttavia, tale area web non risulta al momento attivata, per cui detta forma di notificazione non è allo stato utilizzabile.

Quando la notifica telematica non è possibile o non ha esito positivo per causa non imputabile al destinatario e comunque - ossia anche se l’insuccesso dipende dal destinatario - laddove quest’ultimo non abbia l’obbligo di munirsi di domicilio digitale pubblico, essa avrà luogo a mani o mediante il servizio postale, ove occorra avvalendosi dell’UNEP.

In evidenza

Fino al 31 dicembre 2024, quando la notifica telematica non è possibile o non ha esito positivo, essa si esegue sempre con modalità tradizionali; nei casi in cui il destinatario è soggetto tenuto a dotarsi di domicilio digitale pubblico od ha eletto domicilio nell’INAD, la notifica si perfeziona per il mittente al momento della generazione della ricevuta di accettazione PEC (cfr. art. 4-ter d.l. 10 maggio 2023, n. 51, conv. dalla l. 3 luglio 2023, n. 87, e ss.mm.ii.)

Le tematiche di maggior rilievo sul piano della possibile interferenza con la normativa disciplinante il processo civile telematico appaiono due:

  1. quella relativa al luogo di notifica dell’impugnazione;
  2. quella del numero degli esemplari dell’atto da consegnare al procuratore costituito in I grado per più parti appellate;
  3. quella attinente all’assolvimento della formalità di cui all’art. 123 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile.

Circa la prima questione:

  • l’art. 82 r.d. n. 37/1934 (di cui lo schema di d.lgs. correttivo della cd. Riforma Cartabia prevede l’abrogazione) onera gli avvocati esercenti il patrocinio al di fuori del circondario del tribunale di riferimento dell’ordine di appartenenza di eleggere il domicilio nel luogo dove ha sede l’autorità giudiziaria adìta, prevedendo che – in mancanza – il domicilio si intenda eletto presso la cancelleria;
  • ai sensi dell’art. 16-sexies d.l. n. 179/2012, peraltro, alle notifiche al difensore presso la cancelleria si può procedere – anche in grado di appello – solo quando, per fatto imputabile al destinatario, sia impossibile la notificazione all’indirizzo PEC del medesimo risultante dall’INI-PEC (indice degli indirizzi di posta elettronica certificata dei professionisti e imprese) o dal Re.G.Ind.E. (registro generale degli indirizzi di posta elettronica certificata gestito dal Ministero della Giustizia);
  • ne discende che, laddove il difensore (in prime cure) della parte (successivamente) appellata s’intenda ex art. 82 r.d. n. 37/1934 aver eletto domicilio in I grado presso la cancelleria del relativo giudice, l’atto di appello potrà essergli/le notificato in cancelleria solo se la sua casella PEC risultante dai summenzionati pubblici elenchi fosse satura, disattivata o comunque inutilizzabile per fatto imputabile al destinatario, in ogni diversa ipotesi essendo necessario notificare l’atto introduttivo del gravame con modalità telematica all’indirizzo di posta elettronica certificata dell’avvocato in parola.

Quanto alla seconda problematica:

  • la giurisprudenza, inizialmente attestata su posizioni di rigido formalismo (tanto da dichiarare l’inesistenza della notifica non eseguita mediante consegna di un numero di copie pari a quello delle parti rappresentate dall’unico procuratore costituito in I grado), si è gradualmente “ammorbidita”, dapprima limitandosi a ravvisare la nullità della notificazione, poi la semplice irregolarità della stessa e – da ultimo (Cass. civ., sez. III, 23 giugno 2015, n. 12912) – riscontrandone la piena validità, sul presupposto che l’avvocato è (non mero consegnatario bensì l’autentico) destinatario istituzionale della notifica, in linea del resto con la modifica apportata attraverso l’inserimento nell’art. 330 c.p.c. del richiamo all’art. 170 c.p.c., il cui capoverso riconosce la sufficienza della consegna di una sola copia anche se il procuratore è costituito per più parti;
  • a questa stregua, anche la notificazione telematica dell’atto introduttivo dell’impugnativa ben potrà avvenire mediante trasmissione di un solo messaggio PEC al difensore in I grado di più appellati.

A proposito dell’avviso di impugnazione ex art. 123 disp. att. c.p.c.:

  • se è stato l’ufficiale giudiziario a curare la notifica dell’atto di appello, sarà il medesimo a rendere edotto del gravame il cancelliere dell’autorità che ha emesso il provvedimento impugnato;
  • se invece la notificazione de qua è stata curata (via PEC o con altra modalità) dall’avvocato, sarà quest’ultimo a depositare telematicamente – sùbito dopo la notifica – nel fascicolo della causa di I grado una nota accompagnatoria del duplicato o copia informatica dell’atto notificato, onde consentire al cancelliere di prendere nota dell’interposto gravame (cfr. l’art. 9, comma 1, della l. n. 53/1994).

PCT e costituzione in giudizio delle parti in II grado

Numerose sono le questioni che si pongono nel momento in cui l'appellante iscrive a ruolo la causa (telematicamente, come ormai da tempo obbligatorio).

Nel dettaglio:

  • quid iuris quando il fascicolo di parte del I grado di giudizio abbia – in tutto od in parte – veste cartacea? Il problema è in via di esaurimento, perché sono in corso di definizione le cause civili risalenti ad epoca nella quale era consentito il deposito analogico di atti e documenti, tuttavia conserva una certa attualità specie in alcuni fori. Atteso che il richiamo dell'art. 347 c.p.c. alle norme valevoli per il procedimento di primo grado, secondo l'opinione consolidata, impone all'appellante di depositare in sede di costituzione (anche) il proprio fascicolo di prime cure, la presentazione telematica – previa digitalizzazione - di tale fascicolo s'appalesa doverosa, previa certificazione della conformità all'originale (o copia conforme) analogico della copia informatica (per immagine) degli atti di parte e dei provvedimenti del giudice ivi contenuti, secondo la previsione di cui all'art. 196-decies disp. att. c.p.c. e nei modi contemplati dai commi 2 e 3 dell'art. 196-undecies delle stesse disposizioni (analoga attestazione non è invece richiesta per i documenti in senso stretto, per i quali oltretutto l'avvocato non ha potere di autentica); la presentazione dell'esemplare cartaceo di detto fascicolo in cancelleria non è idonea a supplire all'omesso deposito telematico del medesimo;
  • quale “atto principale” deve essere inserito nella busta informatica creata dal relativo software
    • di estrarre dall'originale analogico una copia informatica (per immagine) della procura ad litem, certificandola conforme ed inserendola nell'apposita sezione della busta;
    • di estrarre dall'originale notificato dell'atto introduttivo una copia informatica per immagine attestata conforme all'originale analogico, da inserirsi nella busta come “allegato semplice”.

Se invece l'atto introduttivo è stato notificato via PEC e si intende iscrivere la causa telematicamente, si userà quale “atto principale” il duplicato informatico del medesimo (rigorosamente privo di attestazione di conformità) avendosi l'accortezza di inserire tra gli allegati i duplicati informatici (parimenti senza attestazione di conformità) di messaggio PEC, ricevuta di accettazione, ricevuta di avvenuta consegna, relazione di notifica ed eventuali ulteriori atti/provvedimenti notificati;

  • quid iuris nella non infrequente ipotesi in cui la busta ecceda i limiti di “peso” (30 megabyte, anche se la bozza di nuove specifiche tecniche ex art. 34 d.m. n. 44/2011 modificative di quelle attualmente vigenti prevede il raddoppio della capienza) prescritti? Onde evitare il rischio di improcedibilità dell'appello per tardiva costituzione, si suggerisce di dar corso al primo degli invii plurimi legittimati dall'art. 196-sexies disp. att. c.p.c. in tempo utile affinché la cancelleria restituisca la comunicazione PEC di accettazione del deposito (contenente al suo interno il file xml con il numero di ruolo attribuito) con anticipo sufficiente a consentire i successivi depositi prima della scadenza del termine di legge; ciò sempre che non si disponga di un software capace di frazionare automaticamente la busta creandone una serie di complementari trasmesse in modo pressoché contemporaneo (quasi tutti i programmi applicativi in commercio possiedono ormai tale funzione).

PCT e fase cautelare del giudizio di appello

Come noto, la richiesta di sospensione della provvisoria esecutività della sentenza di I grado deve essere formulata all'interno dell'atto recante l'impugnazione principale o quella incidentale (art. 283 c.p.c.) e riproponibile durante il giudizio di appello in caso di mutamenti nelle circostanze (da enunciarsi specificamente in sede di reiterazione dell'istanza).

Il codice di procedura civile contempla la possibilità che la decisione del giudice di appello sulla cd. istanza di inibitoria sia resa anteriormente alla prima udienza di trattazione del merito del gravame, stabilendo che a tale scopo venga presentato un ricorso ad hoc (v. art. 351, commi 2 e 3, c.p.c.).

Il deposito di detto ricorso – il quale nella prassi avviene sùbito dopo l'iscrizione della causa a ruolo – dà vita ad un subprocedimento incidentale (tanto da assumere lo stesso numero di r.g. con un “-1” anteposto o posposto); stante la sua natura, il relativo fascicolo dovrebbe essere visibile sul PolisWeb anche a chi si è costituito nel procedimento principale.

PCT e fase decisoria del giudizio di II grado

Con riferimento agli aspetti informatici, la fase di trattazione e quella (eventuale) istruttoria del procedimento di appello non evidenziano peculiarità rispetto al giudizio di I grado, così come la presentazione degli scritti difensivi finali (comparse conclusionali e memorie di replica, oltre alla nota spesa).

Merita invece un breve cenno la consuetudine – invalsa in alcuni fori – di depositare telematicamente il foglio di precisazione delle conclusioni prima della relativa udienza (appunto di p.c.), quando quest’ultima si tenga effettivamente: ipotesi, quest’ultima, diventata residuale nei giudizi di appello promossi a decorrere dal 1° marzo 2023, in quanto il modus operandi ordinario per l’espletamento di tale incombenza è oggi quello del deposito di note scritte nel termine all’uopo concesso dal magistrato (non più di 60 giorni prima dell’udienza di assegnazione a decisione; v. art. 352 c.p.c.), mentre la precisazione delle conclusioni in udienza può aver luogo nelle seguenti ipotesi:

  • ritenuta manifesta fondatezza o manifesta infondatezza dell’impugnativa;
  • ritenuta inammissibilità dell’impugnativa;
  • causa reputata matura per la decisione all’esito della pronuncia sull’istanza di inibitoria della sentenza di I grado.

Pure in tali ipotesi, tuttavia, l’udienza di p.c. potrebbe essere sostituita dal deposito di note scritte, ove così disponga il giudice o gliene rivolgano concorde richiesta tutte le parti costituite, ai sensi dell’art. 127-ter c.p.c.

Quando sia fissata l’(effettiva) udienza di p.c., la sopra rammentata prassi non sembra essere rituale; ciò, beninteso, salvo definire il foglio di p.c. depositato anteriormente quale memoria (peraltro non autorizzata) alla quale il difensore faccia espresso richiamo a verbale per precisare le sue conclusioni definitive.