Condanna generica
20 Febbraio 2017
Inquadramento
La condanna generica prevista all'art. 278 c.p.c. costituisce un'ipotesi peculiare di provvedimento giurisdizionale decisorio di condanna che può ad esempio realizzarsi nei casi in cui il creditore, che al momento di incardinare il giudizio aveva agito per ottenere, nei confronti del debitore, una condanna piena e specifica, nel corso del procedimento, modifichi la propria domanda, chiedendo al giudice di accertare solo la sussistenza del diritto vantato, nel caso in cui un tale accertamento risulti già possibile. In tal modo, dunque, il giudice viene chiamato a sviluppare il proprio processo decisionale in due momenti distinti, seppur nel contesto del medesimo processo: prima la questione sull'esistenza del diritto dell'attore e, poi, quella dell'ammontare della prestazione dovuta. Accanto all'ipotesi appena esemplificata, si ritiene, ormai, ammissibile, anche se il punto non è pacifico, la possibilità in capo all'attore di proporre già con l'atto introduttivo del giudizio la sola domanda di condanna generica, volta ad accertare solo l'an della pretesa, riservando ad un successivo e diverso giudizio l'accertamento del quantum debeatur. Mentre nella prima ipotesi si è soliti qualificare la sentenza di condanna generica come una sentenza non definitiva, nella seconda ipotesi si darebbe luogo, invece, ad una sentenza definitiva, seppur limitata al solo accertamento dell'esistenza del diritto. In tale ultima ipotesi, dunque, rimarrà non appurata la questione relativa alla liquidazione della prestazione che sarebbe dovuta in forza dell'accertamento contenuto nella sentenza di condanna generica. In base alla previsione dell'art. 278, comma 1, dunque, il giudizio del giudice si concentra sull'an della pretesa dell'attore, disponendo con ordinanza la prosecuzione dell'istruzione innanzi a sé, al fine di determinarsi anche in merito al quantum. L'idea che si tratti di una sentenza non definitiva, dunque, proviene dalla peculiarità procedurale appena ricordata. Diversamente, come sopra accennato, la pronuncia che si limiti alla condanna generica, perché questa era la portata iniziale della domanda attorea, avrà natura definitiva. La giurisprudenza ha, ormai, chiarito da molto tempo come le sentenze parziali di merito, con tale qualificazione intendendosi quelle in cui il giudice si limiti a statuire su una parte della domanda spiegata dall'attore, adottate in corso di causa e sottoposte al regime impugnatorio proprio delle non definitive siano quelle che, pur avendo statuito su una o più domande, non abbiano formalmente dato luogo ad una separazione delle cause (si vedano, a tal riguardo, Cass. civ., Sez. Un., 28 aprile 2011, Cass. civ., Sez. Un., 8 ottobre 1999, nn. 711 e 712, Cass. civ., Sez.Un., 1° marzo 1990, n. 1577). Qualificare la sentenza di condanna generica in termini di sentenza parziale o meno, nonché definitiva o meno è operazione non neutra sotto il profilo delle relative implicazioni. Come noto, infatti la sentenza non definitiva può e deve essere impugnata con le medesime modalità con le quali è possibile impugnare le sentenze definitive. In difetto di immediata impugnazione, la stessa può dar luogo a giudicato formale. In tale ipotesi, dunque, l'oggetto dell'accertamento coperto dalla sentenza non definitiva non potrà essere oggetto di impugnazione innanzi al giudice del gravame della sentenza definitiva. Il soccombente, in alternativa, potrà sempre fare una riserva di impugnazione, nel medesimo termine previsto per il gravame, in modo da poter impugnare contestualmente la sentenza non definitiva con quella definitiva che definirà il giudizio in oggetto. La sentenza di condanna generica, mantiene l'attitudine a passare in giudicato, nell'ipotesi nella quale la successiva fase volta alla determinazione del quantum si estingua, ovvero non sia affatto instaurata. Resta sempre ferma la possibilità che nella fase di determinazione quantitativa della prestazione dovuta, il giudice accerti che essa sia pari a zero. Contenuto della sentenza
In merito al contenuto della sentenza di condanna generica, può rilevarsi come le questioni che abbiano costituito oggetto della medesima, nella prospettiva dell'accertamento dell'an debeatur, non potranno essere poste nuovamente in discussione nella fase del giudizio relativa al quantum. Rispetto a quanto sin qui rilevato, deve sottolinearsi come la dottrina, che riconosce in capo alla sentenza di condanna generica la medesima valenza di una normale sentenza di condanna, ritenga che il giudizio posto in essere in tale occasione non possa qualificarsi, sotto il profilo del contenuto, né provvisorio, né sommario, né, tantomeno, superficiale ma debba attestare la presenza di tutti gli elementi costituitivi dell'illecito, o dell'inadempimento, nonché l'esistenza di un danno patito seppur non quantificato nel suo ammontare. Ad una tale impostazione sembra aver aderito la più recente giurisprudenza in merito (si veda Cass. civ., sez. III, 9 aprile 2015, n. 7090). Secondo tale ricostruzione, dunque, la cognizione attuata per addivenire alla pronuncia di cui all'art. 278, 1° comma, c.p.c. sarebbe piena. Il contenuto di un tale accertamento, dunque, in accordo con quanto più sopra evidenziato, non verrebbe meno neanche nell'ipotesi nella quale si dovesse determinare che danno, in concreto, non vi sia stato o che nessuna prestazione sia dovuta. Oggetto del giudizio successivo a quello nel quale sia stata pronunciata una condanna generica, dunque, potrà essere solo l'elemento non ancora accertato (il quantum); gli altri, invece, ove si verifichi che danno vi sia, non potranno essere posti in discussione. Avuto riguardo all'ipotesi del danno aquiliano, ad esempio, al fine di emanare una sentenza di condanna generica, dovrà effettuarsi un positivo accertamento del nesso di causalità materiale ex art. 40 c.p.c. tra la condotta e l'evento produttivo di danno, di modo tale che nel successivo giudizio avente ad oggetto il quantum debeatur resterà da accertare solo il nesso di causalità giuridica di cui all'art. 1223 c.c. tra l'evento di danno e i pregiudizi scaturiti. Anzi, secondo i più recenti orientamenti giurisprudenziali (Cass. civ., sez. III, 9 aprile 2015, n. 7090), fra le questioni da affrontarsi nel giudizio relativo alla condanna sull'an dovrebbe farsi rientrare anche l'accertamento dell'eventuale concorso di colpa del danneggiato, ai sensi e per gli effetti dell'art. 1227 c.c.. Seguendo, dunque, tale impostazione, in base alla quale l'accertamento del giudice sarebbe pieno anche nell'ipotesi di cui all'art. 278, 1° comma, c.p.c., il giudice, prima di pronunciare una tale sentenza, dovrebbe comunque essere persuaso dell'esistenza di un danno, ancorché dello stesso non sia stata effettuata una quantificazione. In tal modo, sarebbe difficile che nella successiva fase, o nel successivo giudizio, si proceda con una quantificazione del danno pari a zero. In tale prospettiva, dunque, la probabilità nella produzione de danno, da accertarsi al fine di comminare una condanna generica, dunque, comporterebbe l'accertamento non solo del nesso causale tra condotta ed evento, ma anche che tale evento sia stato dannoso per la parte.
Effetti della sentenza di condanna generica
A dispetto del nomen iuris, la condanna generica non contiene nessuna condanna e, pertanto, non costituisce titolo esecutivo ai sensi dell'art. 474 c.p.c. che richiede, al fine di poter rivestire tale qualità, che il diritto venga accertato nella sua esistenza ma che sia, altresì, liquido ed esigibile. L'efficacia di titolo esecutivo, dunque, potrà prodursi solo nel momento in cui sarà esaurita anche la fase volta alla determinazione del quantum. Proprio in ragione dell'ontologica ineseguibilità della stessa sentenza, parte della dottrina la qualifica come sentenza di mero accertamento, pur restando fermo che la stessa venga richiesta al fine di decidere non in merito all'esistenza di un diritto, bensì ad una supposta violazione dello stesso. La constatazione che la decisione di cui all'art. 278 c.p.c. non contenga l'accertamento di tutti gli elementi dell'illecito asserito costituisce un ulteriore elemento a sostegno, per coloro i quali ricostruiscono l'istituto in esame in termini di sentenza di accertamento, e porta a qualificare lo stesso in termini di mera declaratoria iuris, limitata all'an debeatur, di un fatto potenzialmente dannoso (in questi termini Cass. civ., sez. III, 2 maggio 2002, n. 6257). Secondo un altro orientamento giurisprudenziale, la valutazione del danno, pur dovendosi necessariamente basare sugli elementi sino a quel momento acquisiti, dovrebbe quanto meno porsi su una base probabilistica (così, ex multis, Cass. civ., 17 dicembre 2010, n. 25638). Se, come sopra ricordato, la sentenza di condanna generica non ha attitudine a divenire titolo esecutivo, tuttavia altri sono gli effetti che la stessa produce. Ed infatti, ai sensi dell'art. 2818 c.c., anche la sentenza di condanna ex art. 278, 1° comma costituisce titolo idoneo per l'iscrizione di ipoteca giudiziale sui beni immobili del debitore. Si tratta, dunque, di uno strumento con il quale l'attore potrebbe vincolare rapidamente i beni del debitore, mediante l'iscrizione di una ipoteca per una somma determinata dallo steso attore e da sottoporsi, eventualmente, a riduzione, ai sensi e per gli effetti dell'art. 2872 c.c., alla luce dell'accertamento contenuto nella successiva sentenza avente ad oggetto la determinazione del dovuto. Resta fermo anche l'altro effetto riconducibile ad ogni sentenza di condanna: quello di modificare, in seguito al passaggio in giudicato, l'eventuale termine di prescrizione breve del diritto accertato, nell'ordinario termine decennale, in ossequio al disposto dell'art. 2953 c.c. La provvisionale
volto ad aumentare l'attitudine della condanna generica a tutelare le ragioni del creditore. La condanna generica con provvisionale viene descritta da parte della dottrina come condanna speciale; secondo altro orientamento, invece, presenterebbe le medesime caratteristiche di una normale pronunzia di condanna. L'istituto si sostanzia nella previsione, nel contesto di una sentenza di condanna generica, di un autonomo capo condannatorio relativo al pagamento, da parte del debitore, di un importo, c.d. provvisionale, quantitativamente determinato sulla base della prova che il giudice ritenga già fornita allo stato del procedimento. Il giudice, dunque, potrà condannare il debitore al pagamento dell'importo stabilito, con pronunzia dotata di provvisoria esecutorietà, in base alla porzione di quantum debeatur che si ritenga già accertata. In tale ipotesi, dunque, la successiva parte del giudizio, disposta sempre con ordinanza, avrà ad oggetto la determinazione e la liquidazione dell'eventuale importo residuo. Avuto riguardo alla condanna contenente la provvisionale, al di là di autorevoli ricostruzioni dottrinarie che ritengono il relativo accertamento limitato all'esistenza del fumus boni iuris, si ritiene comunemente, anche sulla scorta di quanto sin qui considerato, che la cognizione sia piena e la relativa decisione irretrattabile. Concorde in tal senso la giurisprudenza (si veda Cass. Civ., S.U., 15 novembre 2007, n. 23726) la quale, inoltre, ha avuto modo di chiarire che la condanna effettuata ai sensi dell'art. 278, 2° comma, c.p.c. ancorché parziale, non contravvenga il principio dell'infrazionabilità del credito in giudizio. Il ruolo del convenuto
La condanna generica, dunque, può essere il risultato o di una apposita istanza spiegata dall'attore e volta a modificare l'originale domanda nel senso di una separazione del il giudizio sull'an da quello sul quantum, oppure, come risultato della proposizione nell'atto di impulso della sola domanda di condanna generica, confinando il giudizio sul quantum a diverso ed apposito processo. Rispetto a tali due divere possibilità non resta neutro il ruolo del convenuto. Ed infatti, nell'ipotesi in cui oggetto dell'iniziale domanda spiegata dall'attore sia solo l'esistenza del diritto, e non la quantificazione dello stesso, è riconosciuta pacificamente la possibilità al convenuto di opporsi ad un accertamento siffatto, in considerazione del pregiudizio che allo stesso potrebbe derivare dagli effetti di una eventuale sentenza di condanna generica (iscrizione di ipoteca giudiziale per un sensibile intervallo di tempo). A mezzo di specifica domanda, dunque, il convenuto potrà richiedere al giudice adito l'accertamento anche del quantum dell'eventuale prestazione dovuta all'attore. Una domanda siffatta non può qualificarsi come riconvenzionale, pur dovendo essere proposta con i medesimi tempi e modi di quella. Analogamente, nell'ipotesi in cui l'attore formuli istanza di separazione del giudizio sull'esistenza del diritto asseritamente vantato, da quella sulla quantificazione dello stesso da farsi in altro distinto giudizio, postula, per il suo sviluppo fisiologico, che non vi sia opposizione del convenuto. Ulteriori considerazioni di sistema
Da un punto di vista operativo, possono effettuarsi considerazioni che seguono. Lo strumento della condanna generica potrebbe apparire, avuto riguardo a tutti i possibili strumenti di tutela apprestati dal codice di rito, sovrabbondante, ove si tenga conto della circostanza che la condanna generica si sia sviluppata nella prassi, prima del codice del 1940 e prima, dunque, che fosse introdotto lo strumento del sequestro conservativo. La dottrina (Calamandrei) vi vedeva un mezzo di tutela cautelare per far fronte all'eccessiva durata del processo di cognizione. Peraltro l'introduzione delle ordinanze di condanna di cui agli artt. 186 bis, ter e quaterc.p.c. nonché quella di cui all'art. 423 c.p.c. avrebbe dovuto condurre ad un impiego ridotto dello strumento previsto all'art. 278 c.p.c. Invece, avuto riguardo al concreto uso di tale ultimo istituto, pare che lo stesso risulti essere ben più impiegato rispetto agli altri istituti posti a disposizione dall'ordinamento. In accordo con la più recente giurisprudenza di merito, può affermarsi che la condanna generica possa essere fondatamente richiesta, a patto che la parte alleghi a supporto della domanda spiegata tutti quegli elementi che allegherebbe nell'ipotesi di condanna specifica, ad eccezione del danno non ancora quantificato. Una limitazione alla sola condanna generica potrebbe essere compiuta dall'attore anche in sede di comparsa conclusione, alla luce del regime delle preclusioni del rito civile. L'istituto in commento, in ogni caso, non si qualifica per la sua economicità processuale, atteso che il giudice, nella migliore delle ipotesi, sarà chiamato alla redazione di due distinte sentenze. Tenuto conto dell'attuale assetto del rito civile, successivamente alle conclusioni rassegnate nel corso del primo grado di giudizio, terminato con sentenza, non saranno ammesse allegazioni di fatti della quale esistenza si fosse già stati a conoscenza. Pertanto, non saranno ammesse prove già conosciute e, dunque, gli unici nova, relativi alla quantificazione, che l'attore potrebbe far valere potrebbero essere solo quelli sopravvenuti rispetto alla precisazione delle conclusioni relative al giudizio sull'an debeatur. Tanto considerato, dunque, il ricorso allo strumento della condanna generica parrebbe conveniente solo ove il danno subito dall'attore si stia ancora producendo, non essendosi potuto impedire tale circostanza neppure con il ricorso ad una inibitoria. Eventuali esigenze cautelari rispetto al credito, ottenuto con l'iscrizione dell'ipoteca giudiziale, potrebbero essere tutelate attraverso l'impiego del sequestro conservativo richiesto in corso di causa che, tuttavia, oltre al fumus boni iuris, sicuramente configurabile, necessita anche del periculum in mora, pur conferendo, poi, in caso di sussistenza dei requisiti previsti, una tutela più ampia per l'attore maggiore per il convenuto. La condanna generica pronunciata dal giudice penale
Brevemente, deve considerarsi l'ipotesi contemplata dall'art. 539 c.p.p., in base alla quale il giudice penale che accerti un reato, pronuncia una condanna generica, nel caso di azione civile esercitata nel processo penale, riservando al giudice civile la successiva quantificazione del danno. Una volta che la condanna generica sia stata comminata dal giudice penale, non potrà più essere posto in discussione, dal giudice civile successivamente adito, che il fatto criminoso, così come accertato in sede penale, s prodotto. Al giudice civile spetterà, invece, il compito di accertare tutti gli ulteriori elementi rilevanti per la responsabilità civile. Il giudice penale potrà concedere, ai sensi e per gli effetti dell'art. 539, 2° comma c.p.p., una provvisionale alla parte civile; tale provvisionale, tuttavia, a differenza di quella di cui all'art. 278, 2° comma, c.p.c. non è oggetto di uno specifico accertamento e, pertanto, non avrà alcuna efficacia vincolante rispetto alla determinazione del quantum debeatur che opererà il giudice civile. La condanna generica emessa in sede penale, a differenza della sua omologa in sede civile, non costituisce titolo idoneo per l'iscrizione dell'ipoteca giudiziale: l'iscrizione, infatti, segue le sorti della sentenza penale e, pertanto, sarà attuabile solo nel momento in cui avverrà il passaggio in giudicato di quest'ultima. Casistica
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