Questioni preliminariFonte: Cod. Proc. Civ. Articolo 187
05 Ottobre 2016
Inquadramento
Le disposizioni del codice di procedura civile che fanno espresso riferimento alla questione preliminare di merito sono essenzialmente due:
Entrambi gli articoli sono modellati sull'impianto originario del processo davanti al Tribunale, che prevedeva un organo giudicante invariabilmente collegiale. Nell'attuale regime, in cui il giudice monocratico rappresenta la regola e la collegialità è limitata a ipotesi tassative, gli artt. 187 e 279 si estendono ai processi davanti al «giudice unico», in linea con quanto prevede l'art. 281-bis c.p.c. e con un'inevitabile semplificazione del meccanismo – salvo quanto si dirà infra a proposito dell'art. 187 c.p.c. Analoghe considerazioni valgono per il processo davanti al giudice di pace, visto il richiamo dell'art. 311 c.p.c. Dalle due disposizioni richiamate si ricava che «l'idoneità a definire il giudizio» è attitudine propria della «questione preliminare di merito» – come lo è della «questione pregiudiziale attinente al processo», che infatti gli artt. 187 e 279 c.p.c. disciplinano allo stesso modo e su cui v. la voce Questioni pregiudiziali. Questa attitudine non è tuttavia costante. L'art. 187 c.p.c., nel riferirsi alle questioni di merito, stabilisce che il suo comma 2 si applica solo quando la loro decisione può definire il giudizio, lasciando così intendere che questa eventualità può non verificarsi. Bisogna quindi dare alla «questione preliminare di merito» un significato più ampio; che da un lato la distingua dal complesso delle questioni di merito, dall'altro sia compatibile con la sua attitudine a definire il giudizio a certe condizioni. La preliminare di merito deve allora corrispondere alle questioni sempre idonee a decidere almeno una singola domanda giudiziale: a seconda dei casi sono infatti idonee a definire l'intero giudizio (se ad esempio il suo oggetto consta di una sola domanda; o in più domande tutte dipendenti dalla stessa questione) o anche solo una delle domande in esso cumulate.
Questione preliminare di merito e rapporto con figure affini
L'inquadramento che precede, condotto in chiave puramente «procedurale», lascia aperto un complesso problema sistematico, sul rapporto esistente tra questione preliminare di merito e altre nozioni affini, quali l'eccezione, l'eccezione di merito (v. spec. artt. 112 e 167, cpv., c.p.c.), le questioni pregiudiziali non ulteriormente qualificate (v. art. 276, cpv., c.p.c.), le questioni pregiudiziali di merito indicate nell'art. 34 c.p.c. Il problema non è solo classificatorio, perché ne dipende il confine tra questioni da decidere con sentenza (soggetta alle impugnazioni ordinarie) o con semplice ordinanza (modificabile o revocabile dal giudice che l'ha emessa). Secondo un'impostazione restrittiva (GARBAGNATI) la «questione preliminare di merito» corrisponde all'eccezione di merito in senso proprio, cioè alla reazione difensiva consistente nell'invocare l'inefficacia, la modificazione o l'estinzione del diritto dedotto con la domanda (v. la voce Eccezione in generale). Si escludono così dall'ambito degli artt. 187, cpv., e 279, cpv., c.p.c. varie altre questioni anch'esse «idonee a definire il giudizio», che non potrebbero quindi formare oggetto autonomo di sentenza. Prima esclusa sarebbe la «questione pregiudiziale di merito» richiamata dall'art. 34 c.p.c., che non è un'eccezione in senso proprio (almeno se si accoglie la definizione comune del termine) in quanto investe un elemento costitutivo del diritto oggetto della domanda, con la peculiarità di essere non un fatto ma un rapporto giuridico, quindi possibile oggetto di un'autonoma domanda giudiziale – vocazione che ne rende mutevole il regime: decisa incidenter tantum se rimane questione; con efficacia di giudicato se diviene oggetto di domanda o se la legge lo richiede (v. Cass. civ., 9 giugno 1995, n. 6532; per approfondimenti si rinvia alla voce Accertamenti incidentali). A sostegno di questa tesi si è fatto leva sul comma 1 dell'art. 187 c.p.c. che prevede la rimessione della causa al collegio quando il giudice ritiene la causa matura per la decisione senza bisogno di assumere mezzi di prova: la norma si riferirebbe al caso in cui manca un elemento costitutivo del diritto, per cui non vengono in rilievo le questioni preliminari di merito, che sono invece contemplate nel comma successivo. L'argomento non è però irresistibile: l'art. 187, comma 1, c.p.c. può anche interpretarsi nel senso che la rimessione immediata al collegio si ha quando la causa è interamente documentale, o è intervenuta la non contestazione; e in generale quando il complesso delle questioni decidibili consente la definizione del giudizio in ogni caso, o con l'accoglimento o col rigetto della domanda. Si è inoltre affermato (Cerino Canova) che la semplice questione pregiudiziale di merito non possa decidersi separatamente con sentenza, perché questa produrrebbe fatalmente il giudicato pieno sul rapporto pregiudiziale, in contrasto con quanto prevede l'art. 34 c.p.c. (che subordina tale effetto all'esplicita domanda di parte o a una precisa disposizione di legge). Ma lo stesso ragionamento dovrebbe valere per quelle eccezioni in senso proprio – come l'eccezione di nullità o annullabilità del negozio, o di inadempimento della controprestazione – che sono pacificamente preliminari di merito ma anche deducibili in via di azione; eppure non si dubita che anche quando conservano i connotati dell'eccezione sono sempre decise con sentenza (la questione di nullità richiede un discorso a parte, per il quale si rinvia infra, ult. paragrafo, e alla voce Eccezione in generale).
Tutte le questioni idonee a definire il giudizio sono quindi decise con sentenza, anche se la trattazione dovesse poi proseguire (Denti): questo è un vantaggio, in quanto evita che sulle questioni già decise si torni a discutere davanti allo stesso giudice. Si può temere che tale impostazione determini un eccessivo frazionamento dell'oggetto del giudizio, con ripercussioni negative sulla durata del processo e sul raccordo tra le varie «frazioni» decise. Ma è un rischio privo di reale consistenza. La propensione dei giudici a emettere sentenze non definitive è assai ridotta e per ragioni indipendenti dal dato normativo (salvi casi particolari e molto «localizzati», quali la sentenza non definitiva ex art. 420-bis c.p.c. o quella parziale di separazione ex art. 709-bis c.p.c.). Quanto poi al problema di coordinamento, che deriva dall'appellabilità immediata delle sentenze non definitive su questione (art. 340 c.p.c.), i tempi sono maturi per una revisione dell'istituto, in linea con la scelta di sopprimerlo già compiuta nel 2006 per il ricorso in cassazione (artt. 360, comma 3, c.p.c.). Nel contesto dell'art. 187, cpv., c.p.c., la questione preliminare di merito idonea a definire il giudizio – come pure la questione pregiudiziale attinente al processo in base al comma successivo (v. la voce Questioni pregiudiziali) – consente il passaggio diretto dalla fase pre-istruttoria a quella decisoria e risponde a evidenti ragioni di economia processuale. La scelta di avvalersene è ampiamente discrezionale; ma è normale che il giudice decida la rimessione immediata al collegio se ritiene la questione probabilmente fondata, e che la eviti se prevede sia infondata. L'art. 187, cpv., c.p.c. – come si è ricordato nel paragrafo introduttivo – consente la rimessione immediata al collegio solo se la decisione della preliminare di merito può definire il giudizio. Il dato letterale indica che il giudice istruttore non può rimettere la causa al collegio se la questione, benché «preliminare», non è decisiva sulla sorte dell'intero giudizio, quindi idonea a deciderlo in relazione a tutte le domande che contiene. Un temperamento si avrebbe nel caso di più cause cumulate nello stesso processo, nel senso che il giudice istruttore potrebbe rimettere le parti al collegio decidere una preliminare relativa a una sola causa, prevedendo che, se definita, sarà contestualmente separata ex art. 279, cpv., n. 5, c.p.c. La limitazione così impressa al potere di rimessione della causa al collegio, pur rilevante dal punto di vista sistematico, non sembra produrre conseguenze di rilievo sul piano pratico. Se pure l'istruttore avviasse la fase decisoria in base a una preliminare di merito non idonea a definire l'intero giudizio, vi è la possibilità che il collegio gli restituisca il fascicolo. Ma se il collegio scegliesse di pronunciarsi sulla preliminare, la possibile trasgressione dell'art. 187 c.p.c. non assurgerebbe a motivo di censura invocabile dalle parti; perché l'art. 279, cpv., c.p.c. contempla espressamente l'adozione della sentenza per decidere le questioni preliminari di merito, senza distinguere tra quelle idonee e non a definire l'intero giudizio. La legge non fissa un termine oltre il quale l'art. 187, cpv., c.p.c. non sia più utilizzabile. Il limite formale è ovviamente l'udienza di precisazione delle conclusioni, che segna il passaggio del fascicolo dall'istruttore al collegio; ma si tende poi ad arretrare questo limite al momento in cui inizia l'assunzione dei mezzi di prova. La prima soluzione è tuttavia preferibile: poiché l'istruttoria può richiedere tempi lunghi, è conveniente lasciare all'istruttore la possibilità di rimettere le parti al collegio, se e quanto constata che una questione preliminare può essere decisa subito e probabilmente avrà l'effetto definire l'intero giudizio. La decisione immediata della preliminare di merito davanti al giudice monocratico
L'art. 187 c.p.c. si riferisce alle cause devolute al tribunale in composizione collegiale; il che non impedisce di estenderlo al giudice unico, ai sensi dell'art. 281-bis c.p.c. e con i necessari adattamenti. Sorge tuttavia il dubbio che, davanti al giudice monocratico, l'applicazione dell'art. 187, cpv., c.p.c. sia superflua se non controproducente. Il magistrato che istruisce la causa è qui investito di pieni poteri decisori, per cui non si vede il bisogno di tipizzare le ipotesi di passaggio immediato in decisione; e a maggior ragione se si considera che il passaggio alla decisione è sempre «totale» – nel senso che, indipendentemente dalle ragioni che l'hanno determinato, il giudice può sempre decidere la causa sotto tutti i profili idonei a provocare la sentenza: art. 189, cpv., c.p.c. Può essere allora conveniente – e sarebbe compatibile con l'art. 281-bis c.p.c. – lasciare all'organo monocratico piena discrezionalità nell'anticipare la fase della decisione: di questo potere il giudice fa del resto un uso fin troppo limitato, per cui non vi è certo il rischio di procurargli uno «stimolo eccessivo». La decisione della preliminare di merito
L'art. 279, cpv., c.p.c. indica al n. 2 che il giudice emette sentenza se, nel decidere la preliminare di merito, definisce il giudizio. Ciò accade se il giudice accerta che la questione è fondata, perché la conseguenza sarà il rigetto delle domande da essa dipendenti. Più interessante il dato che emerge dal n. 4 dell'art. 279, cpv., il quale stabilisce che il giudice emette sentenza non definitiva se nel decidere la questione preliminare non definisce il giudizio. Qui l'oggetto della pronuncia è limitato alla preliminare di merito e al suo rigetto; ma la casistica può essere varia – ad esempio la questione preliminare viene accolta, ma l'accogliento si riverbera su alcune delle domande cumulate mentre sulle altre il giudizio prosegue. Per maggiori ragguagli sulla sentenza non definitiva si rinvia alla voce Sentenze non definitive e parziali. Va poi segnalata una discontinuità tra l'art. 279 e l'art. 187, cpv., c.p.c. Come evidenziato nel par. precedente, l'art. 187, comma 2, c.p.c. non dà rilievo alla questione preliminare di merito in quanto tale, ma alla questione preliminare di merito solo se idonea a definire il giudizio. Al contrario
Questa soluzione è del resto coerente con l'art. 277, cpv., c.p.c., che, nell'ammettere le sentenze non definitive («parziali») su singole domande, comprende il caso del rigetto fondato su una preliminare di merito decisiva per quella domanda ma non per le altre. Decisione della preliminare di merito e ordine delle questioni
Dal punto di vista del potere decisorio le questioni preliminari di merito pongono un altro problema: se nel deciderle il giudice debba rispettare uno specifico ordine di precedenza, come sembra suggerire l'art. 276, cpv., c.p.c. quando prevede che il collegio decide «gradatamente le questioni pregiudiziali... quindi il merito della causa». Il problema ha sicura rilevanza pratica, poiché si riflette sia sull'oggetto della decisione che sul regime di impugnazione. Il tema è peraltro complesso e dibattuto, pertanto ci si limita a illustrare l'orientamento della Cassazione, «per punti» e con minime notazioni. 1. Esiste una generale gerarchia tra questioni pregiudiziali attinenti al processo e decisione sul merito, tale per cui il giudice non può pronunciare sulla fondatezza della domanda, se prima non ha deciso le questioni di rito e le ha respinte. 1.1. Il mancato rispetto di quest'ordine non assurge tuttavia ad autonomo motivo di impugnazione: la sentenza di merito va censurata non per «omessa pronuncia» ma per il vizio proprio della questione pregiudiziale non decisa. Anzi: 1.2. per alcune di esse, pur rilevabili d'ufficio in ogni stato e grado – il difetto di giurisdizione in primo luogo – si adotta il criterio c.d. della «decisione implicita», secondo cui la pronuncia sul merito «implica» il rigetto della pregiudiziale di rito e il conseguente onere di impugnare formalmente la statuizione implicita, pena il suo passaggio in giudicato. Va precisato che ciò non vale per altre pregiudiziali, relative a vizi che compromettono funzioni primarie del processo, ritenute immuni dal giudicato implicito e rilevabili in ogni stato e grado del processo. 2. L'ordine di decisione «rito/merito» può essere tuttavia derogato, perché il giudice può respingere la domanda direttamente nel merito in base a una «ragione più liquida» (cioè di pronta soluzione); nel qual caso si esclude una pronuncia implicita sulle questioni di rito. Questa deroga, pur avendo connotati incerti, va tendenzialmente riferita alle questioni preliminari di merito, che sono appunto idonee a definire il giudizio dispensando il giudice dall'affrontare l'intera trama di questioni che compongono la causa. Dunque le preliminari di merito sfuggono all'ordine di decisione rito/merito, potendo fondare (in linea di massima) una sentenza di rigetto nel merito priva di «decisioni implicite» su pregiudiziali di rito. 3. Non esiste una gerarchia interna alle preliminari di merito; di conseguenza il giudice, se rigetta la domanda perché infondata, non è tenuto a porre a fondamento della decisione una preliminare di merito piuttosto che l'altra. 4. Dal punto di vista logico l'accoglimento della domanda impone al giudice di decidere prima le questioni preliminari di merito; tuttavia opera lo stesso schema visto sub 1.1., nel senso che la violazione di questa regola non è autonomamente censurabile come error in procedendo. Se il giudice accoglie la domanda, ma omette di decidere sulla preliminare di merito, l'impugnazione del soccombente deve fondarsi direttamente sul diritto sostanziale e sulle ragioni di fondatezza della questione. Per l'enunciazione dei criteri sub 1. e 2., v. Cass. civ., sez. un., 9 ottobre 2008, n. 24883; Cass. civ., sez. un., 18 dicembre 2008, n. 29523; Cass. civ., sez. un., 5 gennaio 2016, n. 29. Per quelli sub 3. e 4., v. Cass. civ., sez. un., 12 dicembre 2014, n. 26242 e n. 26243. Un regime particolare due pronunce delle Sezioni Unite del 2014 (Cass. civ., sez. un., 12 dicembre 2014, n. 26242 e Cass. civ., sez. un., 12 dicembre 2014 n. 26243) lo riservano alla questione di nullità del negozio giuridico dedotto in giudizio.
La decisione è pertanto invocabile in ogni altro giudizio tra le stesse parti, relativo ad aspetti anche diversi dello stesso rapporto. Ad esempio Respinta l'eccezione di nullità del contratto e accolta la domanda di adempimento, nella diversa causa promossa per la risoluzione del contratto la nullità non può più essere dichiarata. Oppure, accolta l'eccezione di nullità e respinta di conseguenza la domanda di risoluzione per inadempimento, non è consentito promuovere una nuova causa per l'adempimento del contratto. L'eccezione di nullità provoca quindi un accertamento molto esteso, quasi completamente allineato a quello prodotto da una corrispondente domanda di nullità – con l'unica differenza che l'eccezione non è trascrivibile ex art. 2652 c.c. e quindi non produce l'effetto «prenotativo» ad esso collegato. Questa lettura tende a dissolvere il tradizionale confine tra pronuncia su domanda, produttiva di un accertamento idoneo al giudicato in senso pieno, e decisione su questione che produce un accertamento incidenter tantum,cioè limitato e funzionale alla singola domanda. Inoltre la questione di nullità ha la precedenza sulle altre ragioni di «impugnativa negoziale» siano esse eccepite o oggetto di apposita domanda. Ciò comporta che in una causa di risoluzione, rescissione o annullamento del negozio, l'accoglimento della domanda con sentenza passata in giudicato genera un «giudicato implicito» sull'assenza di cause di nullità. Lo stesso fenomeno si ha – ovviamente – con la sentenza che accoglie la domanda di adempimento. Anche il rigetto di tali domande può generare un «giudicato implicito» sull'assenza di cause di nullità; ma (tratto distintivo rispetto all'accoglimento) questo accade solo se la motivazione contiene «una pronuncia non equivoca» di validità del negozio: in buona sostanza occorre una pronuncia esplicita – e non è chiaro in che senso le S.U. citate parlino anche qui di «giudicato implicito». Inoltre il giudicato implicito non si forma se il giudice respinge la domanda per una «ragione più liquida» diversa dalla nullità, in linea con il criterio riportato sopra, sub 2. Quando pure ricorrano le condizioni perché si formi il «giudicato implicito», la nullità rimane sempre rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del processo, finché non passa in giudicato l'accertamento principale sulla domanda. Riferimenti
DENTI, Questioni pregiudiziali, in Digesto, Disc. Priv., Sez. Civ., XVI, Torino, 1997, 159 ss.; CERINO CANOVA, Sul contenuto delle sentenze non definitive di merito, in Riv. dir. proc., 1971, 249 ss. e 396 ss.; DALFINO, Questioni di diritto e giudicato - Contributo allo studio dell'accertamento delle «fattispecie preliminari», Torino, 2008; GARBAGNATI, Questioni preliminari di merito e questioni pregiudiziali, ivi, 1976, 257 ss.
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