È ammessa la rettificazione di attribuzione di sesso anche in assenza di intervento medico-chirurgico

Marta Rovacchi
20 Maggio 2015

La rettificazione dell'attribuzione del sesso può avere luogo anche in assenza dell'intervento medico-chirurgico
Massima

La rettificazione dell'attribuzione del sesso può avere luogo anche in assenza dell'intervento medico-chirurgico quando la persona interessata abbia già adeguato, a mezzo di cura ormonale, il fenotipo al “sesso mentale”, così raggiungendo stabilità e benessere psico-fisici.

Il caso

Tizio si rivolge al Tribunale al fine di ottenere, ai sensi dell'art. 31 d.lgs. 1 settembre 2011, n. 150, sentenza di rettificazione dell'attribuzione del sesso contenuta nel suo atto di nascita, chiedendo che fosse ordinato all'Ufficiale di Stato Civile del Comune di Messina di effettuare la relativa rettifica nel registro e che fosse assegnato al ricorrente il prenome di “Caia”.

A sostegno della domanda evidenziava di essere affetto da disturbo di identità di genere, sentendosi appartenere al genere femminile.

Per potere condurre, dunque, una esistenza serena e superare la propria sofferenza, riteneva di necessitare della sentenza di rettificazione dell'attribuzione di sesso, vista la completa presa di coscienza del proprio stato psico-fisico.

Il Giudice Istruttore effettuava dunque l'audizione dell'istante e, recepite le conclusioni della difesa dell'attore, rimetteva la causa al Collegioper la decisione, disponeva la trasmissione degli atti al P.M. che esprimeva il proprio parere.

La questione

La peculiarità della questione in esame, consiste nel fatto che l'istante intende ottenere una modifica del proprio status civile senza avere effettuato un intervento chirurgico demolitorio-ricostruttivo degli organi genitali, bensì solamente una terapia ormonale femminilizzante.

La sua domanda, volta ad ottenere la rettifica di sesso nei registri dello Stato Civile da maschio a femmina, viene dunque avanzata in assenza del presupposto che il nostro ordinamento ha sempre considerato necessario per la sua proposizione, ovvero l'effettuato intervento chirurgico demolitorio-ricostruttivo.

Il Tribunale di Messina viene pertanto chiamato a decidere se accogliere o meno tale domanda.

Le soluzioni giuridiche

Il primo necessario inquadramento da effettuare, per ottenere una risposta, è quello normativo; in altre parole, occorre in primo luogo verificare se la normativa vigente in tema di rettifica di attribuzione di sesso consenta di accogliere la domanda dell'attore.

Le norme di riferimento sono contenute nella l. 14 aprile 1982, n. 164, in parte sostituita dalla disciplina contenuta nell'art. 31, d.lgs. 1 settembre 2011, n. 150.

Ai sensi dell'art. 1, l. n. 164/1982 «la rettificazione si fa in forza di sentenza del tribunale passata in giudicato che attribuisca ad una persona sesso diverso da quello enunciato nell'atto di nascita a seguito di intervenute modificazioni dei suoi caratteri sessuali».

Il d. lgs. n. 150/2011, all'art. 31, prevede poi che «quando risulta necessario un adeguamento dei caratteri sessuali da realizzare mediante trattamento medico-chirurgico, il Tribunale lo autorizza con sentenza passata in giudicato».

Si evince, dunque, che la autorizzazione alla rettificazione è condizionata alla sopravvenienza di modificazioni dei caratteri sessuali.

È proprio questa espressione, definita “generica e fumosa” che ha aperto la strada ad un copioso dibattito giurisprudenziale nel quale si colloca la interessante e alternativa sentenza del Tribunale di Messina.

La giurisprudenza maggioritaria, infatti, ha sempre interpretato il carattere letterale della norma, ovvero «l'intervenuta modificazione dei caratteri sessuali» come necessità che ci si sottoponesse alla relativa operazione chirurgica.

Molte sentenze di merito sostengono che la ratio della normativa italiana in tema di transessualismo sia quella di dare la preminenza all'interesse statutario della certezza del diritto, ovvero a certificare in modo assoluto il genere, femminile o maschile, di un soggetto, con una piena corrispondenza tra dati corporei e dati anagrafici.

In questo senso si sono pronunciati il Tribunale di Vercelli, (Trib. Vercelli, sent., 12 dicembre 2014), il Tribunale di Roma (Trib. Roma, 18 luglio 2014), quello di Brescia (Trib. Brescia, 15 ottobre 2014) e quello di Piacenza (Trib. Piacenza, sent., 18 dicembre 2012), che interpretano il requisito delle «modificazione dei caratteri sessuali» nel senso che, ai fini della rettificazione, sia indefettibile, oltre al completamento della terapia ormonale anche l'intervento chirurgico.

Ma, a ben vedere, tale orientamento non effettua un corretto bilanciamento dei due interessi in gioco, ovvero dell'interesse della collettività ad una corrispondenza tra il corpo e il sesso anagrafico, da una parte, ed il diritto all'identità personale, quale diritto fondamentale della persona, dall'altra. Senza contare che il primo, a differenza del secondo, è privo di copertura costituzionale.

Tra l'altro, osserva il giudice messinese, dalla lettera della legge non si ricava nemmeno quali debbano essere i caratteri sessuali dal modificare: ne discende che si può ritenere sufficiente una modifica dei caratteri sessuali secondari per la quale è di norma sufficiente una cura ormonale e non anche una modifica dei caratteri sessuali primari che richiede un intervento chirurgico invasivo.

Lo stesso termine «adeguamento», contenuta nell'art. 31 d.lgs. 1 settembre 2011, n. 150, sembra stare a significare che non occorre una modifica completa di tutti i caratteri sessuali, ma che sia sufficiente una evoluzione imperfetta della identità sessuale tale da realizzare un importante e significativo avvicinamento dell'identità del richiedente a quella tipica del nuovo sesso attraverso la maturazione della consapevolezza della propria identità sessuale.

Si parla, in quest'ultimo caso, di transgenderismo (ovvero del fenomeno di mutamento della identità sessuale a seguito di mero trattamento ormonale) e non di transessualismo.

D'altra parte, se per la maggior parte degli individui il sesso anagrafico coincide con il loro sesso biologico, si possono verificare casi in cui questa coincidenza non sussiste, perché la componente psicologica e di genere si discosta talmente tanto dal dato biologico, da assumere, la persona, connotati e atteggiamenti appartenenti all'altro genere, nel quale il soggetto vuole essere riconosciuto.

Il dettato della legge, allo stato attuale e di fronte alle evoluzioni che la nostra società ha subito anche in riferimento ai concetti di identità, dignità e genere, consente una interpretazione diversa da quella tradizionale, secondo la quale, per raggiungere la corrispondenza tra corpo e psiche, è necessario il passaggio dell'intervento chirurgico modificativo.

Di parere opposto a quello del Tribunale di Messina, è anche quello del Tribunale di Trento (Trib. Trento, ord., 20 agosto 2014, n. 228)che non ha dubbi sul fatto che il tenore letterale dell'art. 1, comma 1, della l. n. 164/1982 sancisca l'indispensabilità dell'intervento medico-chirurgico per ottenere la rettificazione dell'attribuzione di sesso. Nel caso specifico, la domanda avanzata da una transessuale di rettifica da femminile a maschile e l'autorizzazione a compiere, solo in via eventuale e futura, gli interventi medico-chirurgici necessari alla demolizione dei propri organi sessuali, nonché alla ricostruzione di quelli maschili, per i giudici trentini va respinta.

Tuttavia, preliminarmente il Tribunale adito ha sollevato un incidente di costituzionalità, reputando la disposizione in contrasto con gli artt. 2, 3, 32 e 117, comma 1, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo.

Osservazioni

Il corretto inquadramento della questione e la sua soluzione, muovono dalla centralità del concetto di identità di genere.

A questo proposito, osserva il giudice messinese nella sentenza quivi in esame, va premesso che l'art. 2 della Costituzione riconosce e garantisce il diritto all'identità personale, quale espressione della dignità del soggetto e del suo diritto ad essere riconosciuto nell'ambito sociale di riferimento per quello che è.

Nel concetto di identità personale rientra anche quello di identità sessuale che, per il Tribunale di Messina, va senz'altro riconosciuto anche a chi, sentendo di appartenere pienamente all'altro genere, abbia costruito una diversa identità, vivendo la vita quotidiana in modo adeguato e conforme a quel diverso genere, pur senza avere modificato i suoi caratteri sessuali primari, bensì limitandosi a modificare il proprio suo aspetto corporeo esteriore.

Sussiste, dunque, un diritto ad utilizzare l'identità di genere anche se sconnessa con il sesso biologico.

Conforme a questo orientamento è anche la sentenza del Tribunale di Genova (Trib. Genova, sent., 5 marzo 2015)che ha stabilito che nei casi di transessualismo accertato, il trattamento chirurgico è necessario nella misura in cui occorra assicurare al soggetto uno stabile equilibrio psicofisico, mentre nei casi in cui non si riscontri una conflittualità tra il sesso anatomico e la psicosessualità, non si deve ritenere necessario l'intervento chirurgico per consentire la rettifica dei dati anagrafici.

Questa interpretazione è coerente anche con la Giurisprudenza della Corte di Giustizia della Comunità Europeache, ai sensi degli artt. 8 e 12 CEDU,ha più volte chiarito il nesso esistente tra il diritto all'identità di genere della persona transessuale e l'affermazione della sua piena dignità umana.

Tra tutte, significativo è il caso Goodwin c. Regno Unito (Corte Edu, sent., 11 luglio 2002, ricorso n. 28957/05), nel quale la Corte,in virtù di tale principio, ha fornito protezione alla posizione del transessuale al quale era stato negato sia il diritto al pensionamento nell'età in cui era garantito alle donne, in quanto nato uomo, sia il diritto di sposarsi. Con questa sentenza, infatti, la Corte Europea dei diritti dell'uomo in quel caso ritenne violati il diritto alla vita privata e familiare, di cui all'art. 8 CEDU, nonché il diritto alla matrimonio ai sensi dell'art. 12 CEDU, precisando che non ha senso difendere ad oltranza il dato cromosomico perché, in tal modo, non si terrebbe conto di tutti gli elementi della sessualità umana.

D'altronde, osserva il giudice estensore, se è vero che l'identità di genere costituisce anche un aspetto dell'identità personale, la sua esplicazione sarebbe ingiustificatamente compressa ove la modificazione chirurgica del sesso fosse il presupposto indefettibile per la rettificazione dei dati anagrafici, soprattutto quando, come in questo caso, l'intervento chirurgico demolitore-ricostruttivo può risolversi in un danno alla salute, costituzionalmente tutelata dall'art. 32 Cost..

Nel caso di specie, il Tribunale di Messina ritiene dunque sussistente la possibilità di accogliere la domanda di rettificazione di sesso anche in assenza di un intervento chirurgico demolitivo dei caratteri sessuali primari: ovvero, la terapia ormonale femminilizzante cui si è sottoposto Tizio, come confermato anche in giudizio dal dirigente medico psichiatra, ha permesso al ricorrente di raggiungere un assetto dei caratteri secondari ed ormonali, primamente compatibile con un ormonale femminile. Con la conseguenza che si può ritenere raggiunto e realizzato un adeguamento dell'aspetto fisico alle caratteristiche principali femminili.

A ciò, sottolinea il Tribunale di Messina, si accompagna anche un accertato equilibrio psicofisico tanto da ritenere che anche sotto il profilo psicologico il soggetto abbia raggiunto la necessaria modifica dei suoi caratteri sessuali.

Nel caso de quo, infine, il trattamento chirurgico sarebbe addirittura sconsigliato in quanto idoneo, potenzialmente, ad alterare il raggiunto stabile assetto.

Il Tribunale di Messina ha, dunque, accolto la domanda dell'attore, ordinando all'ufficiale di stato civile la rettificazione dell'attribuzione di sesso da maschile a femminile nel relativo registro di stato civile.

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