Nessun risarcimento se la separazione è stata consensuale
24 Settembre 2015
Il caso. Una volta pronunciata la sentenza di divorzio, l'ex marito aveva presentato al Tribunale di Roma una domanda di risarcimento del danno derivante dall'asserita violazione dei doveri coniugali nel corso della convivenza matrimoniale da parte dell'ex moglie. L'uomo, infatti, accusava la donna di ripetuti tradimenti e condotte platealmente denigratorie nei suoi confronti che lo avrebbero gettato in un perdurante stato di prostrazione psico – fisica, ledendo la sua dignità e il suo onore.
Natura giuridica e risarcibiltà dei doveri coniugali. Secondo il Tribunale di Roma, elemento dirimente è il decreto di omologa delle condizioni di separazione coniugale fissate di comune accordo dalle parti: esso non contiene alcuna pronuncia di addebito che costituisce, in base ai principi della responsabilità aquiliana, il presupposto cui agganciare la richiesta risarcitoria e ciò sarebbe già di per sé sufficiente ad escludere il fondamento della pretesa avanzata dall'ex coniuge. Si deve considerare però, una recente pronuncia della Cassazione (Cass. 15 settembre 2011, n. 18853) che, a fronte di una richiesta risarcitoria avanzata da un coniuge nei confronti dell'altro in conseguenza della violazione dei doveri coniugali, nonostante fosse intervenuta separazione consensuale, ha affermato che i doveri nascenti dal matrimonio hanno natura giuridica e la loro violazione non trova necessariamente sanzione solo nelle misure tipiche di diritto di famiglia (ad es. l'addebito della separazione). Dalla loro natura discende, infatti, che qualora la relativa violazione cagioni la lesione di diritti costituzionalmente protetti, è possibile che si integrino gli estremi dell'illecito civile e si dia luogo al risarcimento del danno non patrimoniale. Il presupposto da cui muove la Suprema Corte è che all'interno del rapporto coniugale la violazione di diritti della persona costituzionalmente protetti possa trovare comunque tutela, indipendentemente dal fatto generatore della loro stessa lesione: «come se la separazione dei coniugi, in conseguenza della quale la pretesa risarcitoria viene invece azionata, fosse avulsa dalla violazione degli specifici doveri che hanno determinato il venir meno della convivenza tra costoro».
L'addebito della separazione è presupposto per il risarcimento del danno. Il giudice di merito non condivide questo principio di diritto. I giudici di legittimità ritengono che non esista una norma di diritto positivo o ragioni di ordine sistematico che rendano la pronuncia sull'addebito pregiudiziale rispetto alla domanda di risarcimento. Secondo il Tribunale di Roma, una tale affermazione non può trovare applicazione nel momento in cui la violazione dei doveri coniugali venga invocata dal coniuge asseritamente leso a seguito della separazione e dunque dell'accertata improseguibilità della convivenza in conseguenza di una condotta che avrebbe, a detta dello stesso danneggiato, inequivocabilmente causato la rottura del consortium familiae. «È proprio lo specifico collegamento tra causa ed effetto, implicito nella stessa domanda risarcitoria, a far si che la violazione dei suddetti doveri assuma rilevanza in quanto sia stata determinante dell'improseguibilità della convivenza, ove si consideri che diversamente opinando si verrebbe a rinnegare l'essenza stessa del vincolo matrimoniale» fondato anche sulla permanenza del consenso iniziale nel corso del rapporto. Il danno non patrimoniale può essere invocato in quanto conseguenza della separazione coniugale poiché l'illecito si consuma all'interno del rapporto matrimoniale, che pur non avendo natura meramente contrattuale, è comunque il vincolo da cui discendono specifici obblighi e diritti reciproci in capo ai contraenti. È necessario che sussista un rapporto di accessorietà tra addebito e domanda risarcitoria poiché altrimenti verrebbe meno l'ingiustizia del danno derivante dalla condotta: l'accertamento che non vi è stata violazione dei doveri matrimoniali o che la loro inosservanza si è inserita in un rapporto già esaurito, esclude la sussistenza del danno ingiusto, presupposto della pretesa risarcitoria.
Aspetti processuali. Da un punto di vista strettamente processuale, infine, qualora il rapporto tra domanda di separazione e domanda di risarcimento non potesse porsi in termini di necessaria accessorietà, la conseguenza non potrebbe che essere quella, paradossale, dell'inammissibilità della domanda risarcitoria nell'ambito del giudizio di separazione. La connessione per accessorietà, infatti, si configura in presenza, nello stesso giudizio, di due o più obbligazioni che siano tra loro in rapporto di subordinazione o tra le quali sussista un vincolo di consequenzialità logico-giuridica in forza della quale una delle pretese trovi la sua ragione giustificatrice nell'altra: malgrado la diversità di rito applicabile alle due domande, il giudice dovrebbe procedere all'esame del risarcimento richiesto nell'ambito dello stesso processo di separazione, in applicazione dei principi di economia processuale e del vincolo del giudicato. In conclusione, quindi, non sussistendo la pronuncia di addebito della separazione, il Tribunale rigetta la domanda di risarcimento del danno morale. |