Comunione legale dei beni: oggettoFonte: Cod. Civ. Articolo 177
13 Ottobre 2020
Inquadramento
La comunione dei beni rappresenta il regime patrimoniale legale della famiglia, in mancanza di una convenzione matrimoniale, che vi deroghi. Essa è regolata, in modo assai analitico, dagli artt. 177 - 197 c.c.. Come è noto, detto regime venne introdotto dalla riforma del 1975, per realizzare il principio di uguaglianza (non solo morale, ma anche materiale) tra i coniugi, nella prospettiva di una stretta solidarietà tra i componenti della famiglia; il tutto con la finalità di una redistribuzione del reddito (almeno di quello prodotto dai coniugi) all'interno di essa. Si sottolineava così pure la valorizzazione del lavoro domestico, quale linea di tendenza unificante della riforma medesima. Col tempo sono emerse notevoli criticità verso il regime della comunione legale, proprio perché molto rigido, tanto che da più parti si è proposto il ritorno alla separazione dei beni quale regime patrimoniale legale, tenuto conto che ormai molte coppie già preferiscono convenzionalmente optare per essa. Sta di fatto che a tutt'oggi la comunione legale non solo continua a rappresentare il regime patrimoniale legale della coppia coniugata, ma pure di quella unita civilmente, come dispone l'art. 1, comma 13, l. n. 76/2016. Ma vi è di più: la medesima legge, all'art. 1, comma 53, attribuisce la facoltà ai conviventi di fatto (di sesso diverso, ovvero uguale) di concludere contratti di convivenza, con i quali assoggettare pattiziamente il regime degli acquisti a quello della comunione legale. All'interno della comunione legale occorre distinguere tra comunione immediata (lett. a), d) dell'art. 177 c.c.) e de residuo (lett. b), c)), Nella prima l'acquisto della comproprietà è insito nello stesso atto o fatto giuridico con il quale uno degli sposi (o uniti civili) diviene proprietario del bene; nella seconda, invece, l'effetto traslativo è differito al momento dello scioglimento della comunione medesima. Natura giuridica
La comunione legale diverge dalla comunione ordinaria di cui agli artt. 1100 ss. c.c.. Essa infatti: a) opera ex lege solo tra due persone legate da vincolo coniugale, ovvero da un'unione civile fra persone dello stesso sesso, senza che sia possibile l'accesso a terzi, e altrettanto deve dirsi quando due conviventi decidano di aderire ad essa; b) rappresenta un regime patrimoniale, ed è quindi destinata a disciplinare gli acquisti futuri; c) ha ad oggetto non singoli beni, ma l'intero patrimonio, nei suoi elementi attivi e passivi; d) è una comunione senza quote, nella quale ciascuno dei coniugi è proprietario per intero di tutti i beni ivi ricompresi, in via solidale con l'altro, tanto è vero che non può disporre della “quota” virtuale (Corte cost. 17 marzo 1988, n. 311; Cass., S.U., 1 luglio 1997, n. 5895; Cass. 26 luglio 2010, n. 17532). Proprio la natura di comunione senza quote della comunione legale comporta che l'espropriazione, per crediti personali di uno solo di essi, di uno o più beni in comunione abbia ad oggetto la “res” nella sua interezza e non per la metà o per una quota (per tutte Cass. 24 gennaio 2019, n. 2047). La disciplina della comunione ordinaria ha tuttavia natura supplettiva ed integrativa rispetto a quella speciale della comunione ordinaria. La comunione legale non è una comunione universale, in quanto di essa non fanno parte tutti i beni dei coniugi, ma solo quelli previsti dal legislatore. Va all'uopo premesso che si tratta di comunione di acquisti, ossia di beni di cui i coniugi o le persone civilmente unite acquisiscono la titolarità dopo la costituzione del vincolo. Sono esclusi invece i beni già in proprietà di ciascuno in un momento anteriore, salvo che le parti non optino per una comunione convenzionale. Gli acquisti
L'art. 177 lett. a) c.c. prevede che costituiscano oggetto di comunione immediata gli acquisti compiuti dai coniugi (oggi anche dalle parti civilmente unite), insieme o separatamente, durante il matrimonio (o l'unione civile), salvo che si tratti di beni personali. L'acquisto in favore della comunione è automatico ed opera anche se di essa non si faccia menzione nell'atto di trasferimento. Con il termine «acquisti» si intendono innanzitutto quelli a titolo derivativo, in forza di atto traslativo di natura onerosa (compravendita, permuta). Ciò a prescindere dal fatto che alla stipula abbia partecipato uno solo dei coniugi, ovvero che questi utilizzi per l'acquisto denaro esclusivamente proprio, piuttosto che gli apporti delle parti siano differenti. Le esigenze solidaristiche proprie del regime di comunione legale escludono, di regola, ogni accertamento sulla provenienza delle risorse impiegate, al fine di inferire la proprietà esclusiva in capo ad uno solo dei coniugi (o civilmente uniti), ovvero una comproprietà per quote differenziate. Rientrano altresì nella comunione legale i beni acquistati a titolo originario (es. per occupazione, accessione ed usucapione). Al riguardo, proprio con riferimento all'usucapione, si ritiene doversi fare riferimento allo stato personale dell'acquirente, al momento del relativo maturare, essendo irrilevante che il tempo occorrente per l'acquisto sia decorso anche quando questi non era ancora in regime di comunione legale (Cass. 1 ottobre 2009, n. 21078). La giurisprudenza esprime un orientamento consolidato in ordine all'accessione, allorquando un immobile, venga costruito, durante la comunione legale, su un terreno di proprietà esclusiva di uno dei coniugi. Si ritiene che il principio di cui all'art. 934 c.c. prevalga sul regime patrimoniale e che dunque l'immobile segua il regime del suolo, senza cadere in comunione, fatte salve ragioni creditorie dell'altra parte, ove abbia contribuito alla realizzazione dell'opera (Cass. 4 novembre 2019, n. 28258; Cass. 3 aprile 2008, n. 8662; Cass. 4 febbraio 2005, n. 2354). Anche i beni acquisiti per sorte costituiscono oggetto di comunione immediata (es. un premio alla lotteria, una vincita ad altro gioco), salvo che dimostri che rappresentino proventi di un'attività dell'ingegno (es. il premio ad un quiz), al pari dei beni immateriali, quali il diritto d'autore; opererà in questo caso il regime della comunione de residuo. Oggetto dell'acquisto in comunione legale può essere anche un diritto reale differente dalla proprietà (usufrutto, uso, abitazione, superficie; cfr. Cass. 28 dicembre 2018, n. 33546). . Diritti di credito e titoli societari
Controversa è l'estensione della comunione legale anche all'acquisto dei diritti di credito, Nell'esperienza concreta, il problema si è posto in primo luogo per i crediti nascenti da un contratto preliminare d'acquisto stipulato separatamente dal coniuge, per le vendite obbligatorie e le assegnazioni di alloggi di cooperativa. L'orientamento prevalente propende per una risposta negativa (Cass. 15 gennaio 2009, n. 799; Cass. 18 febbraio 1999, n. 1363; in diversa prospettiva Cass. 9 ottobre 2007, n. 21098). Si esclude così la legittimazione del coniuge del promissario acquirente ad agire ex art. 2932 c.c.per ottenere sentenza che tenga luogo del contratto non concluso (Cass. 9 settembre 2019, n. 22458; Cass. 24 gennaio 2008, n. 1548), e le medesime argomentazioni riguardano gli effetti della sentenza costitutiva, emessa dopo la separazione personale (Cass. 3 giugno 2016, n.11504). Ove invece il bene in comunione legale sia stato oggetto di un preliminare, sottoscritto da uno solo dei coniugi, nel giudizio promosso dal promissario acquirente, il coniuge pretermesso è legittimato passivo, stante l'incidenza dell'emananda sentenza sul patrimonio comune (Cass. 8 gennaio 2007, n. 88). Nello stesso senso si è precisato che, in tema di assegnazione di alloggi di cooperative edilizie a contributo statale, il momento determinativo dell'acquisto della titolarità dell'immobile da parte del singolo socio (onde stabilire se il bene ricada, o meno, in comunione legale) è quello del trasferimento della stipula del contratto traslativo del diritto dominicale (Cass. 30 maggio 2018, n. 13570). Altra è invece la questione in relazione ai titoli di credito, che incorporano un'obbligazione, ma che rappresentano una res a tutti gli effetti, con conseguente applicabilità delle comunione legale (Cass. 9 ottobre 2007, n. 21098; Cass. 15 giugno 2012, n. 9845). Le medesime considerazioni valgono per i titoli azionari e le quote di società a responsabilità limitata, oggetto di comunione immediata, posto che l'aspetto patrimoniale del titolo prevale rispetto ai diritti e doveri connessi allo status di socio (Cass. 18 settembre 2014, n.19689; Cass. 2 febbraio 2009, n. 2569; Cass. 9 ottobre 2007, n. 21098); ciò a prescindere dalla legittimazione all'esercizio dei poteri sociali nei rapporti con la società stessa (Cass. 23 settembre 1997, n. 9355). Diverso è il regime delle quote di società di persone, proprio in considerazione della responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali propria di esse. Si ritiene così che le stesse possano rappresentare oggetto di comunione de residuo (Cass. 20 marzo 2013, n. 6876). Anche i titoli di partecipazione ad una società cooperativa possono fare parte della comunione immediata, se il socio sia estraneo all'attività che ne costituisce l'oggetto sociale (Cass. 5 agosto 2011, n. 17061). Aziende cogestite
Cadono in comunione diretta anche le aziende, se gestite da entrambi i coniugi e costituite dopo il matrimonio (o l'unione civile). La formulazione dell'art. 177 lett. d) c.c. non è delle più felici. Come è noto, ai sensi dell'art. 2555 c.c., l'azienda è il complesso dei beni organizzati dall'imprenditore per l'esercizio dell'attività d'impresa. Dunque, ad essere gestita non sarà l'azienda, ma l'impresa che opera con quell'azienda. Se l'azienda è di uno solo dei coniugi (o delle parti civilmente unite), prima della costituzione del vincolo, ma è gestita da entrambi, in base all'art. 177 comma 2 c.c., la comunione concerne solo gli utili e gli incrementi. Se si tratta invece di azienda esercitata da uno solo e costituita dopo il matrimonio (o unione civile), i beni strumentali, come pure gli incrementi dell'impresa, saranno oggetto di comunione legale, ove esistenti al momento dello scioglimento (art. 178 c.c.). Si tratta in tutti i casi di fattispecie che hanno trovato un modesto riscontro nella giurisprudenza, secondo cui dalla comproprietà di un'azienda non può comunque ritenersi la sussistenza di una società di fatto fra i coniugi (Trib. Roma 16 settembre 1999; Trib. Catania 21 gennaio 1983) Durante il matrimonio, o l'unione civile, le parti sono libere di disporre dei loro redditi, che possono derivare dall'esercizio di attività lavorativa, piuttosto che dalla messa a frutto di beni personali (mobili o immobili). Ciò salvo l'obbligo di contribuire in modo adeguato ai bisogni della famiglia e di eventuali figli. I redditi in questione cadono in comunione legale (differita) solo al momento in cui la stessa si scioglie, per una delle ipotesi previste espressamente dall'art. 191 c.c., se e in quanto ancora esistenti nel patrimonio del suo titolare (art. 177 lett. b),c) c.c.) (Cass. 15 gennaio 2018, n. 773; Cass. 7 marzo 2017, n. 5652 circa i proventi dell'attività del coniuge, già consumati per fini personali). La soluzione rappresenta un bilanciamento tra due esigenze contrapposte: da un lato, garantire a ciascuno dei componenti della famiglia la libertà negoziale, ma dall'altro, realizzare il principio solidaristico proprio della regime patrimoniale legale (sull''argomento si veda E. Ravot, Comunione de residuo, in IlFamiliarista.it). In giurisprudenza, cfr. Cass. 19 gennaio 2018, n, 1429, che ha escluso dalla comunione “de residuo” gli interessi su buoni postali di proprietà esclusiva di uno dei coniugi, in corso di maturazione al tempo della separazione personale. Beni personali
L'art. 179 c.c. individua quelli che sono i beni personali, che compongono il patrimonio individuale e come tali sono definitivamente esclusi dal regime di comunione a vario titolo. Si tratta di un'elencazione ritenuta non tassativa, il cui esame permette di meglio individuare, a contrariis, i beni oggetto della comunione legale, tanto immediata, quanto de residuo. Come già anticipato, sono esclusi dalla comunione legale, i beni di cui i coniugi, o le parti dell'unione civile, erano titolari prima di contrarre il vincolo. La comunione legale riguarda infatti solo gli «acquisti» effettuati in un momento successivo. Più propriamente, l'anteriorità dovrebbe essere peraltro valutata rispetto all'instaurazione del regime di comunione legale, che potrebbe non essere contestuale alla costituzione del vincolo, avendo inizialmente la coppia optato per la separazione dei beni. Lo stesso regime vale per i diritti reali diversi dalla proprietà. L'esclusione dalla comunione dei beni oggetto di donazione o successione si giustifica in forza della gratuità del relativo acquisto da parte del beneficiario, che esclude di per sè qualsiasi contributo da parte dell'altro. Il legislatore nel contempo ha inteso valorizzare la particolare importanza che, per il disponente, assume la persona del beneficiario nelle donazioni o nei lasciti successori (a titolo sia universale che particolare). Rilevano non solo le donazioni dirette, ma pure quelle indirette, allorquando, come assai frequentemente accade, un coniuge riceve in denaro la somma necessaria per l'acquisto di un bene già predeterminato dal donante (es. la casa da destinare ad abitazione comune) (Cass. 10 ottobre 2014, n. 21494; Cass. 12 settembre 2008, n. 23545; Cass. 14 dicembre 2000, n. 15778); non sono dunque necessarie le formalità di cui alla lett. f) del comma 1 dell'art. 179 c.c., né quella di cui al comma 2 (Cass. 5 giugno 2013, n. 14197). Ad ogni buon conto, il disponente potrebbe stabilire diversamente e pertanto attribuire il bene ad entrambi i coniugi, eventualmente anche per quote differenziate (ed in questo il bene sarebbe assoggettato al regime della comunione ordinaria). I beni in questione non cadono in comunione legale, a prescindere dalla provenienza dei mezzi economici utilizzati per il relativo acquisto; ciò che rileva è infatti la destinazione di fatto e, dunque, il soddisfacimento delle esigenze di vita di uno solo dei coniugi o delle parti civilmente unite. Si ritiene che siano beni “strettamente” personali quelli in immediata relazione con i gusti, gli interessi e gli hobby della persona fisica (abbigliamento, calzature, ecc.) (App. Milano 24 maggio 1991; Cass. 9 novembre 2000, n. 14575). In questo senso anche un bene immobile potrebbe avere rilevanza: si pensi ad un piccolo studio comprato da colui che ivi si dedica alla pittura. Anche gioielli, orologi e pellicce possono considerarsi beni personali, salvo che non si inquadrino come un investimento familiare; a tal fine soccorrerà anche il criterio del valore intrinseco del bene (Corte conti, S.U., 30 luglio 1988, n. 590/A). Sono personali i beni che servono all'esercizio della professione del coniuge, tranne quelli destinati alla conduzione di un'azienda facente parte della comunione. Come per i beni di uso strettamente personale, la ratio è quella di tutelare la sfera individuale del coniuge (o unito civile). Occorre peraltro anche che l'acquisto sia compiuto separatamente per una particolare destinazione, altrimenti il bene cadrebbe in comunione legale. L'impiego per l'uso personale o per la professione, stabilito in un momento successivo all'acquisto medesimo, non potrebbe rappresentare titolo giustificativo per mutare la titolarità del bene comune, occorrendo all'uopo anche il consenso dell'altro. La volontà dell'acquirente di destinare il bene all'uso esclusivo può risultare da dichiarazioni o fatti concludenti, come pure da presunzioni; non dovrebbe rilevare tuttavia una dichiarazione cui non facesse seguito un comportamento conforme. Si ritiene che il termine "professione" debba essere utilizzato in senso lato, così da ricomprendere i mezzi utilizzati nell'attività lavorativa, a prescindere dalle caratteristiche della stessa (manuale o intellettuale, esercitata in maniera autonoma o subordinata, in via esclusiva o meno). Diverso è, invece, il regime dei beni acquistati per l'esercizio di attività d'impresa, per i quali opera il già esaminato art. 178 c.c.. I beni di natura personale possono essere tanto mobili, registrati o meno, quanto immobili, e in quest'ultimo caso l'esclusione dalla comunione legale sarà operativa a condizione che venga rispettata la forma di cui all'art. 179, comma 2, c.c. su cui si tornerà. Non cadono in comunione legale i beni ottenuti a titolo di risarcimento del danno, come pure la pensione liquidata a seguito della perdita, totale o parziale, della capacità lavorativa. La ragione è evidente: non si tratta di «acquisti», ma di forme di reintegrazione del patrimonio, personale e patrimoniale, di cui il soggetto beneficiava prima di un atto illecito o di un evento invalidante (Cass. 10 giugno 2004, n. 11002). L'esclusione dalla comunione vale anche per i beni acquistati con il prezzo del trasferimento di beni personali o col loro scambio, purché ciò tanto sia dichiarato nell'atto di acquisto. La previsione è quanto mai importante: senza di essa, infatti, i beni personali si ridurrebbero a ben poca cosa, in quanto cadrebbe automaticamente in comunione ogni acquisto, anche se effettuato con denaro personale. L'ordinamento intende allora preservare la libertà di iniziativa degli sposi o degli uniti civili, consentendo loro di modificare la composizione del patrimonio personale, mantenendone inalterata la consistenza economica. L'art. 179, comma 1, lett. f) c.c. richiede una dichiarazione proveniente dal coniuge acquirente, la cui natura (sostanziale o probatoria) come pure la forma ed il destinatario non sono individuati. Se da un lato si ritiene sempre necessaria detta dichiarazione, per la quale non è peraltro prevista una forma particolare, dall'altro, si afferma invece che essa non sarebbe dovuta quando sia chiaro ed obiettivamente certo il carattere, come pure la provenienza, del corrispettivo impiegato. A questo secondo indirizzo aderisce la prevalente giurisprudenza (Cass. 24 settembre 2004, n. 19250; Cass. 20 gennaio 2006, n. 1197,ma v. altresì Cass. 24 ottobre 2018, n. 26981). Acquisto di immobili o mobili registrati
Particolari formalità sono necessarie per realizzare un acquisto personale di beni immobili o mobili registrati, da destinare ad uso strettamente personale o all'esercizio di attività professionale, come pure se compiuto con impiego di risorse economiche personali. L'art. 179 comma 2 c.c.richiede infatti una dichiarazione di esclusione dalla comunione, realizzata dal coniuge (oggi anche dalla parte civilmente unita) acquirente, contenuta nell'atto di trasferimento «se di esso sia stato parte anche l'altro coniuge» (dichiarazione che, se pur con connotati diversi è già presente nell'esaminata lett. f) del comma 1). La disciplina si differenzia da quella di cui al comma 1 lett. f) in ragione delle diverse regole di circolazione dei beni mobili e immobili, del formalismo che caratterizza gli atti relativi a questi ultimi. Si tratta di una fattispecie a formazione progressiva, alla quale devono concorrere tanto la sussistenza dei presupposti di cui alle lett, c), d), e) dell'art. 179 comma 1 c.c., quanto la dichiarazione del coniuge non acquirente (Cass. 12 marzo 2019, n. 7027) Inizialmente si riteneva che la dichiarazione di quest'ultimo avesse natura negoziale. Si affermava così la legittimità del rifiuto del coacquisto, allorquando la dichiarazione presupponesse la volontà di non voler beneficiare dell'acquisto operato dall'altro, secondo il brocardo latino per cui nemo locupletari potest invitus (Cass. 2 giugno 1989, n. 2688). L'orientamento è successivamente mutato e si è affermata la natura ricognitiva di quella dichiarazione di quanto dedotto dall'acquirente in ordine alla natura personale dell'acquisto se ed in quanto essa esista effettivamente (Cass. 14 novembre 2018, n. 29342); ciò stante l'inderogabilità del regime di comunione legale, se non a fronte della stipula di una convenzione matrimoniale (Cass. 27 febbraio 2003, n. 2954). In oggi si è più volte precisato che detta dichiarazione ha portata confessoria: l'azione di accertamento negativo in ordine alla natura personale del bene acquistato (per difetto dei presupposti di legge) potrà essere esperita da colui che ebbe a renderla, solo nelle ipotesi di cui all'art. 2732 c.c.. Si richiede dunque la prova di un errore di fatto (circa la provenienza della provvista utilizzata dall'altra parte per l'acquisto), ovvero della violenza (ossia della minaccia di un male ingiusto), subita (Cass. 17 luglio 2012, n. 12197).
Casistica
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