Diritto di visita
08 Luglio 2024
Inquadramento *Aggiornamento a cura di S. Cera Il diritto di visita è quel potere-dovere riconosciuto in capo al genitore non collocatario o non affidatario di incontrarsi con i propri figli a seguito dell'insorgere della crisi coniugale. L'esercizio del diritto di visita ha assunto particolare rilevanza a seguito dell'introduzione dell'istituto dell'affido condiviso exl. 8 febbraio 2006, n. 54, che ha consacrato il c.d. principio della bigenitorialità, ulteriormente valorizzato anche dagli ultimi interventi legislativi in materia (l. 10 dicembre 2012, n. 219; d. lgs. 28 dicembre 2013, n. 154). L'affermazione del diritto alla bigenitorialità in capo ai figli minori è stato dapprima un approdo giurisprudenziale, poi recepito dal nostro legislatore, che ha ritenuto di normare la tutela dell'interesse della prole alla regolamentazione del diritto riconosciuto al genitore non collocatario. La legge n. 54/2006 ha sancito il principio per cui la prole ha diritto di mantenere un rapporto continuativo ed equilibrato con entrambi i genitori, nonostante la sopraggiunta crisi del matrimonio e/o della convivenza. Il riconoscimento della parità dei diritti e di doveri dei genitori determina che ognuno di essi, anche dopo la separazione, deve poter mantenere con la prole una relazione significativa e continuativa, in una dinamica di condivisione morale e materiale diretta alla crescita sana ed equilibrata dei figli. Il diritto di visita, per converso, sarà negato nei confronti di uno dei genitori, allorché venga accertata la manifesta ed evidente inidoneità educativa ed incapacità relazionale del genitore con il figlio, situazione tale da arrecare pregiudizio al supremo interesse del minore.
La prima questione che risulta indispensabile affermare riguarda la coercibilità del diritto di visita del genitore al figlio; è infatti necessario interrogarsi se siamo difronte ad un vero e proprio diritto, dunque esercitabile con discrezionalità, ovvero ad un diritto – dovere, dunque ad un adempimento da compiere in nome di un interesse superiore, quale l'interesse del minore a mantenere rapporti significativi con entrambi i genitori. Se infatti accade sovente che vi siano ipotesi in cui il genitore ricorre alla competente Autorità giudiziaria perché si è visto negare il proprio diritto di visitare il figlio a causa del comportamento dell'altro genitore, purtuttavia non sono infrequenti i casi in cui egli omette di esercitare il proprio diritto di visita, configurando quello che è stato definito “l'assenteismo genitoriale”. La giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, in passato, ha certamente considerato la frequentazione dei genitori con i figli più un dovere che un diritto (cfr. Cass. civ. 8 febbraio 2000, n. 1365), da inquadrare nella “solidarietà degli oneri verso i figli”. Nella richiamata pronuncia, i Giudici di legittimità hanno sottolineato che il concreto esercizio del potere-dovere del genitore non affidatario di avere con sé i figli per i tempi e con le modalità disposte nella separazione o nel divorzio costituisca un munus e non un mero diritto. Tale orientamento d'altronde, pare trovare conferma anche nella normativa codicistica, ed in particolare nell'art. 315-bis c.c., il quale indica come preciso diritto del minore quello di crescere in famiglia e mantenere rapporti significativi con i parenti. Allo stesso modo l'art. 337-ter c.c., al primo comma, precisa come sia diritto del minore quello di mantenere rapporti significativi con entrambi i genitori. L'attuale orientamento, però, è stato messo in forte dubbio da un recente renvirmant della giurisprudenza di legittimità. Con la sentenza n. 6471/2020, infatti, la Corte di Cassazione ha sancito il seguente principio di diritto: «Il diritto-dovere di visita del figlio minore che spetta al genitore non collocatario non è suscettibile di coercizione neppure nella forma indiretta di cui all'art. 614-bis c.p.c. trattandosi di una potere-funzione che, non sussumibile negli obblighi la cui violazione integra, ai sensi dell'art. 709-ter c.p.c., una ‘grave inadempienza', è destinato a rimanere libero nel suo esercizio quale esito di autonome scelte che rispondono, anche, all'interesse superiore del minore ad una crescita sana ed equilibrata». Nella propria motivazione la Corte aggiunge che «in quanto diritto, e quindi nella sua declinazione attiva, la posizione del genitore non collocatario risulta tutelabile rispetto alle violazioni ed inadempienze dell'altro genitore, su cui incombe il corrispondente obbligo di astenersi con le proprie condotte dal rendere più difficoltoso o dall'impedire l'esercizio dell'altrui diritto, mentre, in quanto dovere, e quindi nella sua declinazione passiva, resta invece fondata sulla autonoma e spontanea osservanza dell'interessato e, pur nell'assolta sua finalità di favorire la crescita equilibrata del figlio integrativa dell'indicato munus, non è esercitabile in via coattiva dall'altro genitore, in proprio o quale rappresentante legale del minore. La pronuncia della Corte ha ovviamente sollevato molte critiche in dottrina, ma anche tra gli autori più favorevoli al nuovo orientamento è emersa comunque una lettura più prudente della decisione, la quale deve comunque essere vista tenendo conto delle misure esistenti a tutela del diritto di visita, anche dal punto di vista risarcitorio. Si considerino, ad esempio, le sentenze di merito che puniscono con il risarcimento il genitore che è rimasto assente dalla vita dei figli (c.d. danno da deprivazione genitoriale, vediA. Cecatiello,Il risarcimento del danno da privazione parentale, Trib. Bari 19 ottobre 2021, in IUS Famiglie). Il Tribunale, inoltre, avrà sempre la facoltà, su istanza dell'altro genitore, di rimodulare la frequentazione tenendo conto delle inadempienze poste in essere, nonché di rideterminare al rialzo il contributo al mantenimento della prole secondo la previsione di cui all'art. 337-ter c.c., nella parte in cui prevede la determinazione di detti oneri tenendo conto anche dei tempi di permanenza del minore presso ciascun genitore. La regolamentazione del diritto di visita nelle varie fattispecie
Alla luce dei principi indicati dalla Corte di cassazione nelle sentenze in precedenza richiamate, in tema di best interest of the chid è necessario declinare il diritto di visita del genitore non collocatario tenendo conto di fattori non solo di diritto ma anche organizzativi e logistici, per non rendere difficoltoso il suo esercizio. Cosa accade dunque, quando i due genitori abitano in città o in comuni diversi? In primo luogo, è bene chiarire che la differente regolamentazione non potrà applicarsi senza tenere conto del singolo caso concreto. Due genitori che risiedono entrambi a Roma ma da parti opposte della città sono verosimilmente più lontani di due genitori che abitano in comuni diversi ma attigui o ben collegati. La determinazione del diritto di visita dei figli, dunque, dovrà tenere conto delle necessità del minore di poter raggiungere agevolmente, l'una o l'altra delle due abitazioni dei suoi genitori ovvero i centri principali dei suoi interessi (scuola, sport, amici) in modo da non rendergli difficoltoso mantenere le proprie abitudini di vita. A tale proposito, in una interessante pronuncia, il Tribunale di Bologna (Trib. Bologna 11 ottobre 2023) ha modificato il diritto di visita della madre, che in precedenza era la collocataria, prendendo atto del suo trasferimento per motivi di lavoro in un'altra città. Secondo il Tribunale felsineo, infatti, il trasferimento del genitore collocatario in un luogo differente rispetto a quello in cui il figlio risiede, non comporta necessariamente il trasferimento del figlio, dovendosi sempre cercare di mantenere la permanenza del minore presso i luoghi per lo stesso abituali, in modo da stravolgere il meno possibile le sue abitudini. Tale principio è rinvenibile anche nella decisione del Tribunale di Como 19 luglio 2023 (in Oss. Dir. Fam.) secondo la quale “in tema di trasferimento della residenza abituale del minore, laddove non sia intervenuto un accordo condiviso tra i genitori, spetta al giudice decidere tenendo conto unicamente del superiore interesse del minore. Interesse superiore che deve essere ricercato dal giudice sulla base di una serie di criteri elaborati dalla giurisprudenza tra i quali si evidenziano: le sostanziali motivazioni al trasferimento del genitore prevalentemente collocatario, i tempi e le modalità di frequentazione tra figlio e genitore non collocatario, la eventuale disponibilità del genitore non collocatario a trasferirsi per consentire di mantenere la propria funzione genitoriale e, infine, la valutazione circa la salvaguardia delle relazioni tra il minore e le altre figure chiave della propria esistenza”. Lo spostamento del minore in altra città, dunque, deve sempre considerarsi extrema ratio, e deve realizzarsi solamente in presenza di criteri ben indentificati dalla giurisprudenza. Interessante sul punto Tribunale di Monza 23 novembre 2023 (in Oss. Dir. Fam.) secondo il quale “le legittime scelte di un genitore di trasferire la propria residenza per seguire le proprie aspirazioni non possono pregiudicare l'altrettanto legittimo diritto del figlio e dell'altro genitore a conservare la relazione affettiva e l'ambiente di vita”. In tali casi dunque è possibile per il giudice mantenere, nell'interesse del minore, un ampio diritto di visita con il genitore che si è trasferito, gravando quest'ultimo dei relativi oneri economici e logistici necessari per l'attuazione di tale diritto (ad esempio disponendo che sia il genitore a trasferirsi periodicamente presso il luogo di residenza del figlio e non viceversa). Si verifica in questo caso un bilanciamento tra due diritti: il diritto del genitore a trasferirsi ed il diritto del minore a mantenere con il medesimo rapporti significativi; la necessaria tutela della parte debole (ovvero il minore) non potrà che portare il giudice a spostare i maggiori oneri legati al trasferimento di residenza in capo al genitore.
Può il diritto di visita essere organizzato lasciando i figli residenti presso l'abitazione familiare, in modo che siano i genitori ad alternarsi presso l'abitazione medesima? Per quanto particolare questa soluzione, per la prima volta introdotta da una risalente decisone del Tribunale di Trieste, non più replicata in altre corti di merito, è tornata di attualità con la pronuncia della Corte d'appello di Torino la quale, con la sentenza 14 marzo 2024, ha riproposto tale soluzione. Secondo il collegio piemontese, infatti «In ragione delle caratteristiche del caso concreto, il diritto del padre e della madre di essere presenti in maniera paritetica nella vita dei figli si manifesta, anche in assenza di un preciso accordo di tutte le parti, nella possibilità per il Giudice di disporre un collocamento paritario in cui non siano i figli ad alternarsi nelle abitazioni di ciascun genitore, bensì questi ultimi a dover ruotare, nel tempo, nella casa familiare unitariamente considerata (A. Lestini, Il collocamento paritario ed alternato nella casa familiare, in IUS Famiglie ). Si tratta certamente di una soluzione innovativa ma, ad avviso di chi scrive, molto criticabile. In primo luogo tale modalità è attuabile soltanto in presenza di tre immobili (casa familiare, immobile del padre, immobile della madre) che rendono l'organizzazione molto costosa (serve occupare un appartamento in più). Da non sottovalutare poi, la probabile difficoltà organizzativa in caso di presenza di nuovi partner, i quali potrebbero frequentare l'abitazione familiare nei periodi di spettanza del genitore in quel momento collocatario. Non pare possibile infatti poter limitare la fruizione dell'ambiente domestico al solo genitore collocatario senza limitare fortemente i diritti relazionali e sociali (come noto costituzionalmente garantiti). Frequentazione dei figli del nuovo partner Situazione sempre più ricorrente nella crisi matrimoniale è la presenza del nuovo partner di uno dei due ex coniugi. Questa circostanza assume rilevanza nel momento in cui le visite ai figli avvengono anche con la presenza di questa terza e nuova figura. Sulla questione ha avuto modo di pronunciarsi la Suprema Corte (Cass. civ. 9 gennaio 2009, n. 283), la quale ha stabilito che il regime del diritto di visita del genitore separato con i figli, affidati all'ex coniuge, non può prevedere il divieto che agli incontri sia presente anche il nuovo partner del genitore non affidatario. Anche in questo caso, i Giudici di legittimità hanno preso le mosse da quello che è il superiore interesse del minore, di tal che, nel momento in cui la presenza del nuovo partner di uno dei genitori agli incontri non cagioni effetti negativi sullo stesso minore, non vi è ragione per vietarla. Elemento determinante nella valutazione del Giudice deve essere l'apporto che il nuovo partner del genitore può fornire nell'ottica di ristabilire una situazione di ritrovata serenità per il figlio, ferma restando la distinzione dei ruoli. A tale proposito si deve considerare che, anche grazie alle numerose riforme che hanno introdotto la tutela dei figli nati all'interno della famiglia same sex, il nuovo partner non solo non deve essere considerato ostacolante rispetto al diritto di visita, ma può anche assumere un vero e proprio ruolo educativo da “terzo genitore” che potrà mantenere rapporti con il minore anche nel caso in cui la relazione affettiva con il genitore biologico venga meno. Il principio di diritto sopra enunciato deriva dalla sentenza 5 ottobre 2016 della Corte Costituzionale, con la quale la Consulta ha respinto la questione di legittimità costituzionale dell'art. 337-ter c.c. sollevata dalla Corte d'Appello di Palermo, la quale aveva lamentato il rischio di un vuoto di tutela dell'interesse del minore. Secondo la Corte d'Appello la norma impedirebbe al giudice di garantire la conservazione, nell'interesse del minore, di rapporti significativi con soggetti diversi dal ramo parentale (nella specie, l'ex partner omoaffettiva della genitrice biologica di due minori). Con la citata decisione i Giudici della Consulta hanno escluso che esista un vuoto di tutela giuridica dell'interesse del minore: l'interruzione ingiustificata, da parte di uno o di entrambi i genitori, in contrasto con l'interesse del minore, di un rapporto significativo instaurato dal minore con soggetti che non siano parenti integra un'ipotesi di condotta del genitore “ comunque pregiudizievole al figlio ” . La relazione con il genitore sociale da parte del minore, dunque, può e deve essere salvaguardata, e ciò può avvenire con le norme già contenute nel codice civile. Diritto di visita degli ascendenti Il diritto di visita del minore non riguarda solamente i suoi genitori; la legge tutela, infatti, i rapporti parentali del minore con gli ascendenti e con gli altri parenti di ciascuno dei due rami genitoriali secondo la previsione contenuta all'art. 315-bis c.c. Per quanto riguarda in particolare gli ascendenti è prevista una precisa norma del codice civile che tutela il loro diritto a mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni: l'art. 317-bis. La norma, introdotta con il d. lgs. 154/2013 ha lo scopo di tutelare il rapporto nonni – nipoti nei casi in cui esso non venga salvaguardato dai due genitori. Normalmente, infatti, la frequentazione degli ascendenti con i minori avviene all'interno del diritto di visita del genitore che, in quel momento, ha i figli presso di sé. Il diritto di azione autonomo nasce allorquando il rapporto nonni – nipoti viene ostacolato per ragioni che possono derivare da elementi oggettivi (allontanamento dal genitore e dunque interruzione del legame parentale) o soggettivi (volontà effettiva di impedire il contatto). In tale caso l'ascendente ha diritto di azione autonomo, potendo ricorrere al giudice del luogo di residenza del minore. Il procedimento attualmente è di competenza del Tribunale per i minorenni (art. 38 disp att. c.c.) ed è regolato dal rito di volontaria giurisdizione. Tale diritto, però, non è un diritto assoluto e incondizionato; al contrario, diverse pronunce di merito e di legittimità, negli anni, ne hanno delineato i confini applicativi, fino a identificare tale liberalità piena soltanto qualora il coinvolgimento dei nonni nella crescita del minore si sostanzi in un fruttuoso progetto educativo e formativo, idoneo ad assicurare un sano ed equilibrato sviluppo della personalità dei discendenti. Tale principio è stato in più occasioni ribadito dalla Corte di cassazione (v. da ultimo Cass. civ. 19 maggio 2020 n. 9145). Ostacoli al diritto di visita: sanzioni civili e penali Con la riforma del procedimento familiare introdotta con il d.lgs. 149/2022 il legislatore ha notevolmente potenziato gli strumenti messi a disposizione delle parti per la tutela del diritto di visita dei figli ai genitori. È stato in particolare introdotto il nuovo art. 473-bis.38 c.p.c., il quale amplia gli strumenti di tutela in precedenza previsti dall'art. 709-ter c.p.c. In primo luogo, viene conferito il potere di intervento al giudice del procedimento in corso, ovvero (se il giudizio è già stato definito) al giudice che ha emesso il provvedimento. Trattasi di un procedimento ad hoc, caratterizzato da celerità nel suo svolgimento, con possibilità di emettere provvedimenti inaudita altera parte, di nominare il curatore speciale del minore, di applicare misure coercitive. È altresì prevista la possibilità di intervento della forza pubblica, sempre sotto il controllo del giudice e con l'ausilio di personale specializzato, sociale e sanitario. Il successivo art. 473-bis.39, poi, prevede anche in capo al giudice la possibilità di emettere sanzioni in caso di inadempienze legate al mancato rispetto del diritto di visita, sanzioni che vanno dall'ammonimento al pagamento di una pena pecuniaria per ogni violazione, fino al risarcimento del danno. La condotta dell'ex coniuge diretta ad impedire all'altro genitore non affidatario/collocatario di esercitare il diritto di visita è sanzionabile anche dal punto di vista penale. In particolare, il mancato rispetto delle condizioni stabilite dal Giudice in punto di affidamento dei figli, traducendosi nella sottrazione agli obblighi contenuti in un provvedimento giudiziale, integra il reato di cui all'art. 388 c.p. In tale ottica, particolarmente significativa è la consolidata giurisprudenza della Suprema Corte, che ha censurato a più riprese la consapevole condotta diretta ad eludere le statuizioni del giudice in ordine al corretto esercizio del diritto di visita (cfr. Cass. pen. 16 marzo 1999, n. 7077; Cass. pen. 4 ottobre 2003, n. 37814; Cass. pen. 25 febbraio 2009, n. 13101; Cass. pen. 9 marzo 2010, n. 2925; Cass. pen. 16 giugno 2010, n. 23274; Cass. pen. 1° settembre 2010, n. 32562). In particolare la Corte ha operato un'interpretazione estensiva dell'art. 388 c.p., facendovi rientrare anche il comportamento del genitore separato che, non attivandosi per far sì che i figli minori vedano l'altro coniuge secondo quanto stabilito dal giudice, si riflette negativamente sulla psicologia degli stessi minori, integrando in tal modo la fattispecie di reato. Di estremo interesse è anche una recente pronuncia di legittimità, in cui la Suprema Corte ha sancito l'esistenza del reato di elusione di provvedimenti giudiziali concernenti l'affidamento del figlio minore nel comportamento del genitore affidatario che nega all'altro genitore la possibilità di vedere il figlio, provocando in quest'ultimo un progressivo sentimento di ripulsa verso il genitore non affidatario (Cass. pen. 29 settembre 2011, n. 35513). In detta pronuncia si è stigmatizzato il notevole condizionamento psicologico esercitato dal genitore affidatario sul minorenne, tanto da determinare nello stesso il rifiuto a coltivare un equilibrato rapporto con il padre, atteggiamento non riconducibile ad una consapevole capacità di autodeterminazione del minore. Rifiuto del figlio ad incontrare il genitore Cosa accade quando è il figlio minore a non voler incontrare un genitore? Quali sono i poteri dell'Autorità giudiziaria al riguardo? Nel contenzioso familiare più conflittuale avviene spesso che un minore si rifiuti di avere contatti con uno o con entrambi i genitori, oppure che un genitore ostacoli il mantenimento di un rapporto equilibrato e continuativo tra il minore e l'altro genitore, con comportamenti ostativi a volte di difficile accertamento probatorio. Tali situazioni necessitano naturalmente di strumenti processuali celeri che consentano di intervenire tempestivamente, perché, spesso, possono celare un disagio da parte del minore. Con la riforma del processo familiare il legislatore è intervenuto a riguardo con l'introduzione del nuovo art 473-bis.6 c.p.c. La nuova norma prevede che, quando il minore rifiuta di incontrare uno o entrambi i genitori, il giudice proceda all'ascolto senza ritardo, assuma sommarie informazioni sulle cause del rifiuto e, se necessario, abbrevi i termini processuali. Allo stesso modo il giudice procede quando sono allegate o segnalate condotte di un genitore tali da ostacolare il mantenimento di un rapporto equilibrato e continuativo tra il minore e l'altro genitore o la conservazione di rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale. Il giudice, dunque, nei casi di rifiuto del minore ad avere contatti con un genitore, deve in primo luogo attivarsi per l'accertamento delle cause che hanno determinato il rifiuto, procedendo all'ascolto senza ritardo ed assumendo tutte le necessarie informazioni. Con la prevista abbreviazione dei termini processuali, poi, la norma pone l'attenzione sulla necessità di definire celermente la vertenza, consentendo si accelerare l'attività istruttoria. Per l'espletamento dei relativi accertamenti potrebbe essere necessario il conferimento dell'incarico al servizio sociale, al fine di verificare quali siano le problematiche nella relazione parentale interrotta, con eventuale identificazione delle cause e delle possibili soluzioni. In ogni caso l'incarico al Servizio Sociale disposto con il provvedimento di fissazione d'udienza - che potrà contemplare anche l'immediata nomina del curatore del minore - è subordinato ad un vaglio approfondito da parte del Giudice, che dovrà valutare la sussistenza e la corretta allegazione di specifici elementi concreti, di documentazione e di idonei elementi di prova: la mera descrizione di fatti senza alcun supporto probatorio non si ritiene sufficiente a tal fine in quanto non consente al Giudice di discernere le vere urgenze da quelle strumentali. La riforma consente inoltre, in casi critici come quello derivante dal rifiuto del minore di incontrare un genitore, anche la nomina di un esperto, (cd. Coordinatore genitoriale) scelto di comune accordo tra le parti, per agevolare la ripresa dei rapporti parentali (art. 473.bis.26 c.p.c.). Per capire quali poteri e quali obblighi avrà questo esperto è interessante la sentenza del Trib. Ancona 4 marzo 2024, che prevede come «L'esperto può assumere sia compiti di natura valutativa, che individuare le attività necessarie per risolvere i conflitti e offrire sostegno. Trattandosi di un ausiliario del giudice (più esattamente appartenente alla categoria residuale degli “altri ausiliari” di cui all'art. 68 c.p.c. contrapposta agli ausiliari tipici) che opera in una situazione di terzietà, facendo applicazione analogica dell'art. 193 c.p.c., può affermarsi che anche l'esperto ex art. 473-bis.26 c.p.c. debba svolgere la sua funzione sotto il vincolo del giuramento”. Ruolo dei servizi sociali e mediazione familiare Ruolo fondamentale nella gestione del conflitto in punto di esercizio della responsabilità genitoriale hanno i Servizi sociali su delega dell'Autorità giudiziaria, atteso che sovente gli stessi vengono incaricati di disciplinare il diritto di visita del genitore non collocatario/affidatario e di sorvegliarne la corretta esecuzione da parte dei genitori. I c.d. “Spazi neutri” rappresentano quel servizio offerto dai Servizi sociali al fine di agevolare l'affermazione del diritto dei minori ad avere e mantenere la relazione con i propri genitori nella crisi familiare. Vi si accede previa richiesta congiunta e condivisa di entrambi i genitori ovvero su indicazione o prescrizione degli stessi Servizi sociali o su disposizione diretta del Giudice. Ulteriore meccanismo appannaggio dei Servizi sociali è quello delle c.d. “visite protette”, con cui su incarico del Tribunale ordinario o quello per i Minorenni, in peculiari fattispecie problematiche o conflittuali, si procede al monitoraggio dello svolgimento delle visite tra i minori ed i genitori. Alternativo al percorso giudiziario è quello della c.d. “mediazione familiare” diretto a riorganizzare le relazioni familiari e ridurre i motivi di conflitto in caso di separazione, divorzio o rottura del rapporto di fatto. Caratteristica principale della mediazione familiare è la scelta responsabile dei genitori di compiere un percorso in cui gli stessi sono chiamati ad autodeterminarsi, a prendere decisioni dirette, senza delegare il conflitto e la individuazione di intese a terzi soggetti all'interno di aule di giustizia. L'accesso alla mediazione familiare non è riservato esclusivamente ai coniugi che si sono determinati a separarsi giudizialmente, ma anche a quelli che hanno acquisito la consapevolezza della incapacità di gestire il conflitto coniugale in punto di regolamentazione dei rapporti con gli stessi figli. In questa dinamica, va osservato come il ricorso a tale strumento conciliativo può innestarsi proprio in sede di esercizio della responsabilità genitoriale ed in particolare ai fini della corretta regolamentazione del diritto di visita del genitore non collocatario/affidatario nell'ottica della tutela del preminente interesse del minore a vedersi garantito il diritto a conservare rapporti con entrambi i genitori e con i nonni. In tale logica, si segnala un'interessante pronuncia di merito (Trib. Lamezia Terme 10 marzo 2010), con cui il giudice adito ha precisato che la natura del procedimento di separazione (consensuale) non osta al ricorso alla mediazione familiare ed alla prestazione degli esperti mediatori, atteso che la ratio di tale istituto è proprio quello di far conservare ai figli minori rapporti significativi con entrambi i genitori e con gli ascendenti ed i parenti di ciascun ramo genitoriale. Casistica
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