Il concorso eventuale nei reati associativi tra moniti sovranazionali, resistenze domestiche e questioni aperte

07 Aprile 2017

L'annoso dibattito sulla configurabilità del concorso esterno nei reati associativi, sopitosi negli ultimi anni, ha ricevuto di recente una forte rivitalizzazione ad opera della decisione della Corte europea dei diritti dell'uomo assunta nel 2015 su ricorso di Bruno Contrada, condannato in Italia per concorso esterno in associazione mafiosa. A fronte di tale importante pronuncia vi è stata, sul piano interno, una iniziativa (bocciata) per estendere il dicta europeo anche ad altri condannati ...
Abstract

L'annoso dibattito sulla configurabilità del concorso esterno nei reati associativi, sopitosi negli ultimi anni, ha ricevuto di recente una forte rivitalizzazione ad opera della decisione della Corte europea dei diritti dell'uomo assunta nel 2015 su ricorso di Bruno Contrada, condannato in Italia per concorso esterno in associazione mafiosa. A fronte di tale importante pronuncia vi è stata, sul piano interno, una iniziativa (bocciata) per estendere il dicta europeo anche ad altri condannati (i c.d. fratelli minori di Contrada) e un tentativo (anch'esso respinto) di rimettere in discussione la configurabilità giuridica del concorso esterno nell'associazione “ordinaria”. La complessa tematica, qui affrontata con uno sguardo d'insieme, sottende questioni dogmatiche di più ampio respiro, che attingono il problema della tipicità penale e delle declinazioni della legalità penale nell'ottica europea.

I reati associativi: aspetti generali

I reati associativi (ad es.: artt. 370-bis, 416 e 416-bis c.p.; art. 74, d.P.R. 309/1990; art. 291-quater, d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43) rappresentano i reati plurisoggettivi di maggiore interesse teorico e di più vasta applicazione giurisprudenziale. Il paradigma è rappresentato dall'art. 416 c.p., diretto a sanzionare la creazione di un organismo stabilmente destinato alla sistematica commissione di reati. La condotta tipica consiste proprio nella predisposizione delle condizioni e dei mezzi necessari all'attuazione del programma criminoso concordato dagli affiliati, di modo che la funzione dell'art. 416 c.p. è quella di anticipare la soglia di tutela penale dei beni giuridici singolarmente protetti dalle figure criminose ad una fase prodromica. Sotto questo profilo, si tratta di un reato-mezzo (o reato-ostativo) posto a tutela dell'ordine pubblico, in quanto tendente ad evitare la commissione di ulteriori reati (reati-scopo) che non occorre si realizzino affinché scatti l'incriminazione per il reato associativo, come dimostra l'inciso per ciò solo che compare nel testo dell'art. 416, comma 1, c.p., con il quale il Legislatore intende evitare che la partecipazione alla condotta attuativa del programma criminale assorba il disvalore penale della condotta associativa.

Il reato associativo deve essere tenuto distinto dal concorso di persone nel reato. Come chiarito dalla giurisprudenza, i requisiti che differenziano la prima fattispecie dalla seconda sono: 1) il vincolo associativo, tendenzialmente stabile o permanente tra tre o più soggetti, destinato a durare anche dopo la realizzazione di ciascun delitto programmato; 2) la indeterminatezza del programma criminoso a fronte, invece, del vincolo occasionale tra più persone circoscritto alla realizzazione di uno o più reati determinati tipico del concorso di persone nel reato; 3) l'esistenza di una stabile struttura, risultante dall'organizzazione di uomini e mezzi, funzionale a realizzare gli obiettivi criminosi programmati (Cass. pen., Sez. I, 10 gennaio 2014, n. 9284).

Quindi, secondo la linea esegetica espressa dalla suprema Corte, nel concorso di persone il sodalizio tra i correi (non necessariamente integrante un vero e proprio accordo) si realizza in via occasionale e accidentale per il compimento di uno o più reati determinati, con la commissione dei quali si esaurisce, mentre nel reato associativo si registra un accordo criminoso tendenzialmente permanente o comunque stabile diretto all'attuazione di un più vasto programma che precede e contiene gli accordi concernenti la realizzazione dei singoli crimini e che permane anche dopo la (e indipendentemente dalla) realizzazione di ciascuno di essi. In sostanza, nella fattispecie concorsuale l'accordo criminoso è finalizzato alla realizzazione di uno o più reati determinati, cosicché diviene rilevante solo in quanto si estrinsechi in un'attività esecutiva che pervenga alla concreta realizzazione di almeno uno dei reati programmati, quantomeno nella forma tentata. Nella fattispecie associativa, invece, l'accordo è destinato a costituire una struttura permanente teleologicamente orientata alla realizzazione di una serie indeterminata di reati da cui deriva quel particolare allarme sociale che sta alla base della fattispecie incriminatrice, per la cui realizzazione la legge non richiede che vengano effettivamente realizzati i reati per la commissione dei quali è stata costituita la societas sceleris. Ne consegue che non è configurabile il delitto associativo quando, pur in presenza di plurime condotte delittuose, siano stati predisposti complessi accorgimenti organizzativi al solo fine di perseguire lo scopo criminoso preventivamente individuato e non di realizzare una struttura stabile, funzionalmente destinata alla commissione di una serie indeterminata di delitti (Cass. pen., Sez. VI, 8maggio 2013, n. 19783).

Va detto che il Legislatore tende a distinguere, sul piano del trattamento sanzionatorio, la partecipazione semplice da quella qualificata al sodalizio criminale. Tuttavia, trattandosi di una norma a più fattispecie, l'assunzione di più ruoli qualificati comporta la consumazione di un solo reato, escludendo il concorso. Di regola, per il differente valore simbolico rivestito rispetto agli altri partecipanti, si distinguono le figura del fondatore, del promotore, dell'organizzatore e del capo. È evidente, infatti, che la figura carismatica del «capo-organizzatore non solo orienta la strategia complessiva del sodalizio, la sua stessa politica criminale, ma in continuazione rafforza e instilla fiducia nella psiche degli altri partecipi all'associazione. In particolare, riveste il ruolo di promotore non solo chi sia stato l'iniziatore dell'associazione, ma anche colui che, rispetto ad un gruppo già costituito, provochi ulteriori adesioni, sovraintenda alla complessa attività di gestione di esso, assuma funzioni decisionali (Cass. pen., sez. VI, 12 dicembre 1995, n. 5301).

Per quanto riguarda, invece, la distinzione con il concorso di persone nel reato continuato, essa va individuata nel carattere dell'accordo criminoso, che nell'indicata ipotesi di concorso si concretizza in via meramente occasionale ed accidentale, essendo diretto alla commissione di uno o più reati determinati – anche nell'ambito del medesimo disegno criminoso – con la realizzazione dei quali si esaurisce l'accordo e cessa ogni motivo di allarme sociale, mentre nel reato associativo risulta diretto all'attuazione di un più vasto programma criminoso, per la commissione di una serie indeterminata di delitti, con la permanenza di un vincolo associativo tra i partecipanti, anche indipendentemente ed al di fuori dell'effettiva commissione dei singoli reati programmati (Cass. pen., Sez. II, 11 ottobre 2013, n. 933).

Il problema del concorso eventuale nei reati associativi

Nell'ambito dei reati associativi, due sono le questioni di maggiore interesse teorico e pratico concernenti l'applicazione delle disposizioni generali sul concorso di persone (artt. 110 ss. c.p.): a) se e a quali condizioni i membri di un'associazione criminosa (in particolare i vertici: capi, organizzatori, dirigenti, ecc.) rispondano dei reati scopo eseguiti da altri associati per realizzare il programma criminoso; b) se e a quali condizioni sia configurabile un concorso ex artt. 110 e ss. c.p. in un'associazione criminosa da parte di soggetti estranei alla stessa.

Quanto alla seconda questione, mentre non desta particolare dibattito il concorso esterno di tipo morale (si cita sempre il caso del boss a riposo che convince il figlio a entrare nell'associazione criminale di cui egli faceva parte), ancora si discute della legittimità dogmatica e dell'opportunità politico-criminale del concorso esterno di tipo materiale.

In verità, è ormai minoritaria quella dottrina che esclude tale ultimo concorso, in quanto, partendo da una concezione ampia di partecipazione all'associazione criminosa intesa come contributo significativo all'esistenza o conservazione dell'associazione stessa, ritiene che la realizzazione dei presupposti necessari alla sua integrazione finirebbe necessariamente con l'integrare anche i presupposti del concorso esterno.

La dottrina maggioritaria e la giurisprudenza ammettono, infatti, il concorso esterno di tipo materiale (non soltanto con riguardo alle associazioni di stampo mafioso anche straniere – art. 416-bis c.p. – ma anche con riguardo alla comune associazione per delinquere – art. 416 c.p. – o a quella con finalità di terrorismo – art. 270-bis c.p.) qualora sussistano i requisiti essenziali del concorso eventuale: 1) un contributo necessario o agevolatore per la costituzione, conservazione o rafforzamento dell'associazione; 2) una condotta atipica rispetto alla fattispecie associativa di parte speciale; 3) un dolo di concorso, consistente nella coscienza e volontà di contribuire alla costituzione, conservazione o rafforzamento dell'associazione. Non è invece richiesto il dolo specifico di perseguire il programma criminoso.

Tuttavia, ad oggi non risultano ancora pienamente definiti i tratti distintivi dell'istituto rispetto alla effettiva partecipazione al sodalizio criminale, da un lato, e alle diverse fattispecie di favoreggiamento o assistenza agli associati (artt. 270, 307 e 408 c.p., vieppiù a seguito della riforma del 2001 che ha introdotto – nell'art. 408 c.p. – una circostanza aggravante quando le condotte di assistenza di protraggono nel tempo), dall'altro, dato che l'elemento discretivo sembra essere quello, alquanto sfuggente, dell'affectio societatis, ancorché desumibile da indicatori fattuali dai quali, sulla base di attendibili regole di esperienza attinenti proprio al fenomeno della criminalità organizzata e senza alcun automatismo probatorio, possa logicamente inferirsi l'appartenenza al sodalizio criminoso.

A riprova di ciò, basti considerare che sull'annosa questione del concorso esterno nel reato di associazione di stampo mafioso (art. 416-bis c.p.), in giurisprudenza si sono a lungo contrapposti due orientamenti contrastanti che hanno trovato soluzione nel 1994 con l'intervento delle Sezioni unite (Cass. pen., Sez. unite, 28 dicembre 1994, n. 16). La suprema Corte, nella sua composizione più autorevole, ha chiarito che il partecipe è colui senza il cui apporto quotidiano, o comunque assiduo, l'associazione non raggiunge i suoi scopi o non li raggiunge con la dovuta speditezza ovvero colui che agisce nella “fisiologia”, nella quotidianità dell'associazione, mentre il concorrente è colui che non vuol far parte dell'associazione e che l'associazione non chiama a far parte ma al quale si rivolge sia per colmare eventuali vuoti temporanei in un determinato ruolo, sia, soprattutto, nel momento in cui la “fisiologia” dell'associazione entra in fibrillazione, attraversando una fase “patologica” che, per essere superata, richiede il contributo temporaneo, limitato anche ad un unico intervento, di un esterno: insomma è il soggetto che occupa uno spazio proprio nei momenti di emergenza della vita associativa.

L'anno successivo la Suprema Corte (Cass. pen., Sez. unite, 14 dicembre 1995, n. 30) è intervenuta a chiarire, sul piano soggettivo, che, ai fini della configurabilità del concorso esterno nel delitto associativo, il concorrente non deve agire con il dolo specifico proprio del partecipe, ossia la consapevolezza di far parte dell'associazione e la volontà di contribuire a tenerla in vita e a farle raggiungere gli obiettivi che si è prefissa, bensì con il dolo generico, consistente nella coscienza e volontà di dare il proprio contributo al conseguimento degli scopi dell'associazione.

Nonostante la convergenza di decisioni favorevoli alla configurabilità del concorso esterno nell'associazione mafiosa espressa dalle Sezioni unite, la sesta Sezione, nel 2000, ha riproposto la tesi negazionista, ritenendo che l'aiuto portato all'associazione nei momenti di crisi o fibrillazione integri, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, la condotta del far parte del sodalizio criminoso (Cass. pen., sez. VI, 23 gennaio 2000, n. 3299).

Sono quindi dovute intervenire nuovamente le Sezioni unite che, nel confermare l'orientamento prevalente, hanno significativamente innovato i tratti distintivi della fattispecie in esame. È stato, infatti, stabilito che il ruolo del partecipe è caratterizzato dall'affectio societatis, a prescindere dalla celebrazione o meno di riti di affiliazione, mentre il concorrente esterno è colui che, anche fuori dai casi di fibrillazione dell'associazione, presta un contributo necessario al suo mantenimento o rafforzamento, purché non meramente agevolatore, sorretto da dolo non solo diretto (e non più eventuale) con riguardo alla propria condotta concretamente idonea alla realizzazione almeno parziale del programma criminoso, ma anche specifico. In particolare, si è affermato che assume la qualità di concorrente esterno il soggetto che, privo dell'affectio societatis e non essendo inserito nella struttura organizzativa dell'associazione, fornisce un concreto, specifico, consapevole e volontario contributo, a carattere indifferentemente occasionale o continuativo, purché abbia un'effettiva rilevanza causale ai fini della conservazione o del rafforzamento dell'associazione e sia comunque diretto alla realizzazione anche parziale del programma criminoso della medesima (Cass. pen., Sez. unite, 21 maggio 2003, n. 22327). Da un lato, dunque, si è ampliato lo spazio di operatività della figura al di là degli stati di crisi dell'associazione, dall'altro, se ne sono ristretti i confini sul versante oggettivo e soggettivo, facendola assomigliare sempre più ad una “para-partecipazione” priva dell'affectio societatis, sia pur manifestata per facta concludentia.

L'attuale “stato dell'arte” si trova condensato nell'ultimo intervento sul tema delle Sezioni unite (Cass. pen., sez.un., 20 settembre 2005, n. 33748), le quali hanno stabilito che la condotta di partecipazione è riferibile a colui che si trova in rapporto di stabile e organica compenetrazione con il tessuto organizzativo del sodalizio, tale da implicare, più che uno status di appartenenza, un ruolo dinamico e funzionale, in attuazione del quale l'interessato prende parte al fenomeno associativo, rimanendo a disposizione dell'ente per il perseguimento dei comuni fini criminosi; mentre assume il ruolo di concorrente esterno il soggetto che, non inserito stabilmente nella struttura organizzativa dell'associazione e privo dell'affectio societatis (che quindi non ne fa parte), fornisce tuttavia un concreto, specifico, consapevole e volontario contributo, sempre che questo abbia un'effettiva rilevanza causale ai fini della conservazione o del rafforzamento delle capacità operative dell'associazione (o, per quelle operanti su larga scala come Cosa nostra, di un suo particolare settore o ramo di attività o articolazione territoriale) e sia comunque diretto alla realizzazione, anche parziale, del programma criminoso della medesima.

Anche la Corte costituzionale ha recentemente avvallato l'elaborazione giurisprudenziale in tema di concorso esterno in associazione mafiosa, osservando che la differenza tra il partecipante “intraneus” all'associazione mafiosa e il concorrente esterno risiede, pertanto, nel fatto che il secondo, sotto il profilo oggettivo, non è inserito nella struttura criminale, pur offrendo un apporto causalmente rilevante alla sua conservazione o al suo rafforzamento, e, sotto il profilo soggettivo, è privo dell'«affectio societatis», laddove invece l'”intraneus” è animato dalla coscienza e volontà di contribuire attivamente alla realizzazione dell'accordo e del programma criminoso in modo stabile e permanente». Osserva ancora il giudice delle leggi che, «a prescindere dal “peso specifico” dei rispettivi contributi, la figura del concorrente esterno – se pure espressiva di una posizione di “contiguità” alla consorteria mafiosa – si differenzia da quella dell'associato [per lo] stabile inserimento in una organizzazione criminale con caratteristiche di spiccata pericolosità (assente nel primo caso, presente nel secondo) (Corte cost., 26 marzo 2015, n. 48).

Le Sezioni unite si sono occupate anche del tema della prova della reale efficacia causale del contributo esterno, sia esso di natura morale o materiale, rispetto alla concreta realizzazione del fatto criminoso collettivo e della lesione del bene giuridico protetto costituto dall'ordine pubblico. Al riguardo si è precisato che non è sufficiente una valutazione ex ante del contributo concorsuale, risolta in termini di mera probabilità di lesione del bene giuridico protetto, ma è necessario un apprezzamento ex post, in esito al quale sia dimostrato con certezza l'effettivo nesso condizionalistico tra la condotta stessa e la realizzazione del fatto di reato, come storicamente verificatosi hic et nunc.

Nonostante gli sforzi della giurisprudenza tesi a restringere il campo di azione del concorso esterno attraverso un rigoroso giudizio sull'efficacia causale del contributo, non può escludersi il rischio di una estensione eccessiva della rilevanza penale dei fenomeni di contiguità mafiosa, se non altro per la difficoltà di rinvenire leggi di copertura o anche solo massime di esperienza in grado di distinguere contributi effettivamente condizionalistici rispetto al mantenimento o rafforzamento dell'associazione al di fuori delle ipotesi di crisi, emergenza o fibrillazione della stessa.

Sul piano soggettivo, occorre invece dimostrare che il soggetto è consapevole dei metodi e dei fini dell'associazione mafiosa (a prescindere dal suo atteggiamento interiore verso di essi, che può essere di condivisione, avversione, indifferenza, ecc.) e dell'efficacia causale della sua attività di sostegno, vantaggiosa per la conservazione o il rafforzamento dell'associazione. Occorre in sostanza che egli sappia e voglia che il suo contributo sia diretto alla realizzazione, anche parziale, del programma criminoso, dovendosi escludere contegni psichici di mera accettazione del rischio di verificazione dell'evento (dolo eventuale).

Riassumendo, secondo l'indirizzo giurisprudenziale tuttora prevalente, il concorso esterno si atteggia, al pari della partecipazione, a reato permanente ed è contraddistinto: 1) un contributo concreto, specifico e comunque necessario al mantenimento o al rafforzamento dell'associazione (da accertarsi alla stregua dei canoni processuali elaborati dalla Sezioni unite nella nota sentenza Franzese in tema di causalità), con esclusione dei contributi di mera agevolazione; 2) dal medesimo dolo specifico del partecipe, esteso a metodi e finalità e programma dell'organizzazione, ma pur sempre con esclusione dell'affectio societatis.

La partecipazione eventuale all'associazione mafiosa: la vicenda Contrada e i moniti della Corte Edu

L'esigenza di definire con maggiore precisione i requisiti costitutivi del concorso esterno in associazione mafiosa è stata recentemente confermata dalla sentenza del 14 aprile 2015 con la quale la Corte europea dei diritti dell'uomo ha condannato l'Italia per violazione dell'art. 7, Cedu (che afferma il principio nulla poena sine lege) per aver condannato un imputato per concorso esterno in associazione mafiosa, nonostante all'epoca dei fatti (1979-1988) il reato non fosse sufficientemente chiaro e il ricorrente non potesse conoscere nello specifico la pena in cui incorreva per la responsabilità che discendeva dagli atti compiuti. La sentenza origina da un procedimento a carico di Bruno Contrada, condannato in via definitiva nel 2006 dalla Corte d'appello di Palermo per concorso esterno in associazione mafiosa per avere, tra il 1979 e il 1988, giovandosi della posizione chiave ricoperta nelle forze dell'ordine, sistematicamente contribuito alle attività e alla realizzazione degli scopi criminali dell'associazione mafiosa “Cosa Nostra” fornendo ad alcuni associati informazioni confidenziali concernenti le investigazioni e le operazioni di polizia in corso contro alcuni di loro. Il ricorrente lamentava la violazione dell'art. 7, Cedu, in quanto il reato per cui era stato condannato avrebbe costituito il frutto di una complessa evoluzione giurisprudenziale posteriore all'epoca dei fatti. La Corte ha ritenuto di dovere verificare se, all'epoca dei fatti, a partire dalla lettera della legge e alla luce dell'interpretazione fornitane dalla giurisprudenza, il ricorrente fosse in grado di prevedere con precisione le conseguenze penali della propria condotta. I giudici di Strasburgo hanno quindi evidenziato come tale reato sia comparso per la prima volta, nella giurisprudenza, nel 1987 (Cass. pen., Sez. I, 14 luglio 1987, n. 8092) e sia poi stato oggetto di interpretazioni divergenti, fino alla pronuncia delle Sezioni unite del 1994 che, mettendo fine ai contrasti, ne ha espressamente riconosciuto la configurabilità. La Corte non ha invece considerato rilevante il fatto che al concorso esterno si fosse già fatto riferimento fin dagli anni sessanta in talune pronunce in materia di associazione finalizzata alla cospirazione politica (Cass. pen., Sez. I, 27 novembre 1968, n. 1569) e di terrorismo (Cass. pen., Sez. I, 1 giugno 1977, n. 1475; Cass. pen., Sez. I, 18 marzo 1978, n. 588; Cass. pen., Sez. I, 25 ottobre 1983, n. 617), in ragione della differenza sostanziale intercorrente tra questi casi e il concorso in associazione mafiosa, comprovata dal fatto che quest'ultimo sarebbe stato oggetto di una distinta ed ulteriore evoluzione giurisprudenziale. I giudici di Strasburgo hanno quindi concluso che, all'epoca dei fatti contestati, il reato non sarebbe stato sufficientemente chiaro e quindi prevedibile dall'imputato. Ciò risulterebbe oltretutto riconosciuto dagli stessi giudici italiani che hanno condannato il ricorrente: e infatti, la sentenza di condanna in primo grado del 1996 dà conto in motivazione della compresenza di almeno tre configgenti orientamenti giurisprudenziali; mentre la sentenza della Corte d'appello del 2006 fa leva su approdi giurisprudenziali di molto successivi all'epoca dei fatti contestati (citando le Sezioni unite del 1994, 1995, 2002 e 2005). È interessante osservare come la sostanziale equiparazione tra fonte legislativa e fonte giurisprudenziale in materia penale, originariamente funzionale a consentire un scrutinio di legalità sia nei sistemi di civil law sia di common law nell'orizzonte europeo, oggi assuma sempre più rilievo anche negli ordinamenti continentali. Dal momento che il contenuto essenziale del diritto convenzionalmente riconosciuto è costituito dall'accessibilità e prevedibilità della norma, ciò che risulta determinante è, infatti, non solo l'intelligibilità della fonte formale ma anche la sua applicazione giudiziale: ed è proprio da questo ultimo punto di vista che la Corte di Strasburgo rileva come l'evoluzione giurisprudenziale che ha partorito il concorso esterno, dopo un iniziale “silenzio” protrattosi dall'introduzione nel 1982 del delitto di associazione di tipo mafioso fino alla prima sentenza della Cassazione nel 1987, risulta contraddistinta da ripetuti capovolgimenti, almeno fino al 1994 con l'intervento “stabilizzatore” della Cassazione a sezioni riunite.

Segue: le ricadute interne della decisione contrada

Nella giurisprudenza di merito, la decisione sul caso Contrada ha dato la stura a pronunce di segno opposto.

Talune decisione sono giunte ad escludere configurabilità stessa del concorso esterno in associazione mafiosa. In tale direzione si colloca, ad esempio, una sentenza pronunciata dal Gip del tribunale di Catania (n. 1077 del 12 febbraio 2016). Il giudice siciliano osserva che la prima volta che tale reato viene citato è nell'ordinanza-sentenza del primo maxi processo contro cosa nostra, istruito da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, fatti-specie ottenuta sommando gli articoli 110 e 416 bis del codice penale, onde perseguire i cosiddetti “colletti bianchi”, soggetti che apportano dei concreti contributi alla attività mafiosa, tra cui Vito Ciancimino. Il riferimento storico non è di poco momento se si considera che l'articolo 416 bis c.p. viene introdotto nel 1982 e il grandissimo intuito di Falcone aveva portato a coprire una zona meritevole di tutela giurisdizionale. Nel 2015, però, ci si trova di fronte ad una situazione diversa che ha avuto una notevole evoluzione nel tempo, non potendosi non osservare che sono passati oltre trent'anni senza che il Legislatore abbia inteso disciplinare questa delicatissima materia nonostante siano stati proposti diversi progetti di legge. E allora – continua al sentenza – se i giudici sono soggetti soltanto alla legge occorre una norma di legge affinché il giudice adotti un provvedimento giurisdizionale motivato. L'intuizione di Giovanni Falcone e la conseguente creazione di una fattispecie di reato che potesse coprire la zona grigia della collusione con la mafia, oggi non può che essere demandata al Legislatore il quale deve farsi carico di stabilire i confini di tali figure di reato secondo precisi criteri di ermeneutica giuridica. Una volta individuata legislativamente tale fattispecie, sarà allora compito dell'interprete capire se il comportamento del singolo individuo vada ricompreso nella figura dell'associato di cui all'articolo 416 bis o meno: il problema non è di poco momento. Soprattutto perché lascia all'interprete il compito di definire qualcosa che, allo stato, non è definibile. Anzi – afferma il giudice – la creazione del cosiddetto concorso esterno, appare (purtroppo) una figura che si potrebbe definire quasi “idealizzata” nell'ambito di un illecito penale così grave per la collettività. Invero, la figura del concorso esterno è stata definita quale “mezza-mafia” con ciò volendosi intendere che un professionista, o addirittura un appartenente alle istituzioni, non possa ontologicamente essere considerato un mafioso, ma un mezzo mafioso si. Un qualcosa di mafia c'è in lui ma non così tanto da volerlo considerare inserito nella compagine criminosa mafiosa, tanto che nei suoi confronti non scatta la presunzione assoluta ai fini della custodia in carcere, per come indicato dalla sentenza Corte Cost., n. 47-2015. Per avvalorare il ragionamento, il giudice cita la recente pronuncia della Corte di cassazione nel processo Mafia Capitale (Cass.sentenza n. 34147 del 21 aprile 2015), la quale ha evidenziato la nebulosa applicazione dei canoni individuati dalla giurisprudenza, giungendo ad affermare che detti canoni, astrattamente ineccepibili, possono in concreto, risultare di nebulosa applicazione; e che associazione mafiosa e concorso esterno costituiscono fenomeni completamente alternativi tra loro, concretandosi, nel secondo caso, le condotte in un ausilio occasionale all'associazione.

Di diverso avviso la prima sezione penale della Corte di appello di Caltanissetta (sentenza n. 924 del 17 marzo 2016) che ha dichiarato infondata l'istanza di revisione del processo di Bruno Contrada. La Corte siciliana ritiene che il fondamento legale del concorso esterno in associazione mafiosa si rinvenga pacificamente negli artt. 110 e 416-bis c.p. e che tale fondamento non sia stato messo in dubbio dalla Corte Edu, che anzi ha confermato la legittimità della costruzione giurisprudenziale del concorso esterno. Osserva inoltre la Corte che, se è vero che la sentenza Dimitry del 1994 per la prima volta confronta le differenti interpretazioni giurisprudenziali, risolve i contrasti e fissa in maniera precisa degli argomenti che non dovrebbero consentire più alcun dubbio circa l'esistenza del concorso esterno, quanto alla posizione specifica di Contrada, ad egli non potevano mancare elementi chiari e univoci per avere consapevolezza dell'esistenza del concorso esterno e della sanzionabilità in sede penale di condotte che offrivano un contributo alle organizzazioni mafiose, anche se rimanendo estranei alla compagine del sodalizio, e ciò in quanto Contrada era un funzionario attivo negli uffici investigativi impegnati nel contrasto alla criminalità organizzata […] e riceveva direttive da parte delle stesse autorità giudiziarie che già in quel periodo storico elaboravano contestazioni riconducibili al reato di cui agli artt. 110 e 416 bis c.p. In sostanza, ad avviso della Corte di appello di Caltanissetta, Contrada, dato il suo ruolo, non poteva certo considerare non prevedibile la sanzionabilità penale del proprio comportamento, anche alla luce di quanto emerso nel maxi processo di Palermo e del maxi processo ter.

Segue: i “fratelli minori” di Contrada

Va rilevato che di recente la Corte di cassazione (sentenza n. 44193 dell'11 ottobre 2016), si è trovata ad affrontare la complessa questione relativa alla possibilità di estendere gli effetti favorevoli della sentenza emessa dalla Corte Edu nel caso Contrada ad un soggetto diverso da quello che l'aveva adita. Infatti, Marcello Dell'Utri, pur non avendo proposto ricorso a Strasburgo, ha tentato di avvalersi dei principi di diritto espressi dai giudici europei per ottenere la revoca ex art. 673 c.p.p. della propria sentenza di condanna, assumendo di aver subito la medesima violazione riscontrata nella vicenda Contrada.

La Corte di cassazione, sul piano generale, ha chiarito che lo strumento per adeguare l'ordinamento interno ad una decisione definitiva della Corte Edu va individuato, in via principale, nella revisione introdotta dalla sentenza additiva della Corte costituzionale n. 113 del 2011, applicabile sia nelle ipotesi di vizi procedurali rilevanti ex art. 6 Cedu, sia in quelle di violazione dell'art. 7 Cedu, che non implichino un vizio assoluto di responsabilità (per l'assenza di una norma incriminatrice al momento del fatto) ma solo un difetto di prevedibilità della sanzione – ferma restando la responsabilità penale – o che comunque lascino aperte più soluzioni del caso. Lo strumento dell'incidente di esecuzione, invece, può essere utilizzato solo quando l'intervento di rimozione o modifica del giudicato sia privo di contenuto discrezionale, risolvendosi nell'applicazione di altro e ben identificato precetto senza necessità della previa declaratoria di illegittimità costituzionale di alcuna norma, fermo restando che, qualora l'incidente di esecuzione sia promosso per estendere gli effetti favorevoli della sentenza della Corte Edu ad un soggetto diverso da quello che l'aveva adita, è necessario anche che la predetta decisione (pur non adottata nelle forme della "sentenza pilota") abbia una obiettiva ed effettiva portata generale, e che la posizione dell'istante sia identica a quella del caso deciso dalla Corte di Strasburgo.

Venendo alla specifica posizione del Dell'Utri, la Corte osserva che la decisione Cedu emessa nel caso Contrada non sembra avere portata generale in quanto valorizza le circostanze concrete del caso analizzando la condotta processuale tenuta dal Contrada e declina le sue valutazioni finali sempre in termini individuali.

In verità, il ricorso del Contrada in sede Cedu è stato accolto per un profilo “misto”, correlato, da un lato, alla condotta processuale del ricorrente e, dall'altro, ad una vicenda interpretativa delle norme di legge applicate nell'ordinamento interno (il contrasto di opinioni composto ad ottobre 1994), e ciò potrebbe consentire all'interprete di estrarre dalla decisione in parola un profilo generalista estensibile a soggetti diversi.

Tuttavia, il limitato “contenuto generale” di tale decisione è ricollegabile al deficit di prevedibilità del trattamento sanzionatorio inflitto, posto che la qualificazione giuridica della condotta del Contrada è ritenuta dalla Corte Edu non prevedibile al momento del fatto.

Tuttavia, analizzando la condotta processuale del Dell'Utri, emerge una diversità di condizione soggettiva. Infatti, il Dell'Utri, a differenza del Contrada, ha affrontato il giudizio penale con contestazione aperta, spinta sino ad epoca (fine anni '90) posteriore alla decisione Demitry. Il contraddittorio processuale ha dunque incluso sia periodi antecedenti rispetto all'intervento delle Sezioni Unite che periodi successivi (per la stessa Cedu immuni da ogni dubbio di legalità convenzionale), in rapporto ai quali l'imputato è stato assolto.

Quanto al periodo antecedente al 1994 Dell'Utri Marcello – nella articolazione delle sue difese nel giudizio interno – non ha mai sollevato, a differenza del Contrada, il tema del difetto di prevedibilità dell'inquadramento giuridico o quello della retroattività della interpretazione giurisprudenziale, avendo più volte invocato proprio l'applicazione dei principi espressi dalle Sezioni unite nella decisione del 1994, ritenuti funzionali alla propria strategia difensiva. Inoltre, il tema della tassatività “debole” del concorso esterno è stato coltivato dal Dell'Utri esclusivamente in chiave processuale, dando luogo ad una questione di genericità del capo di imputazione (che è ovviamente profilo diverso), respinta dalla Corte.

Dunque, dal contegno processuale tenuto dal Dell'Utri nei giudizi interni non emerge alcun deficit in punto di prevedibilità in concreto delle conseguenze della condotta tenuta al momento del fatto in rapporto all'esito del giudizio, non essendosi mossa alcuna contestazione (a differenza del Contrada) di tale specifico profilo innanzi alla giurisdizione interna.

Il recente tentativo (fallito) di rimettere in dubbio la configurabilità del concorso esterno nell'associazione ordinaria

La configurabilità del concorso eventuale di persone nell'associazione per delinquere "ordinaria" (art. 416 c.p.) è stata recentemente posta in discussione dalla prima Sezione penale della suprema Corte che, con ordinanza n. 370 del 13 maggio 2016, ne ha rimesso la decisione alle Sezioni unite.

Ad avviso della Corte rimettente non sarebbe ipotizzabile, sul piano logico e giuridico, un concorso eventuale nel reato di cui all'art. 416 c.p., al pari di quanto ormai ritenuto in riferimento al delitto di cui all'art. 416-bis c.p. Aggiungere il concorso eventuale a quello necessario caratterizzante l'ipotesi tipica ex art. 416 c.p. integrerebbe una illogica duplicazione di quest'ultima, nel senso che, per la tipicità del delitto in esame (tipicità data dall'accordo per commettere delitti particolari), il concorso eventuale sarebbe destinato sempre (e necessariamente) a confondersi con la partecipazione al sodalizio criminale.La Corte ritiene, inoltre, che la tipizzazione di figure criminose concorsuali attraverso la coniugazione dell'art. 110 c.p. con l'art. 416 c.p. sia un'operazione normativa di dubbia legittimità in relazione ai principi di legalità, in quanto finisce per parificare le condotte ascrivibili a ciascun concorrente senza descriverle, dilatando la sfera di punibilità in contrasto col principio di offensività, attesa la difficoltà di ipotizzare una condotta concorsuale che non corrisponda ad una attività di partecipazione all'associazione.

Secondo la decisione in esame, analoga problematicità (logica e giuridica) non si porrebbe, invece, per il concorso esterno nell'associazione di stampo mafioso. Ciò in quanto tra le due norme vi è un rapporto di indipendenza e non una relazione di specialità, nel senso che senza il delitto di cui all'art. 416-bis c.p. non tutte le ipotesi ivi previste sarebbero punibili ex art. 416 c.p. Inoltre, la condotta incriminata dall'art. 416-bis c.p. è data dalla semplice partecipazione associativa, punita anche in relazione a condotte non dirette a finalità illecite (acquisire appalti o attività economiche, controllare maggioranze politiche, ecc.), di talché sono immaginali anche contiguità non strettamente partecipative (non caratterizzate dall'affectio societatis) ma ciononostante essenziali per l'operatività, l'affermazione e il consolidamento del sodalizio mafioso.

Va detto che il primo Presidente della Corte di cassazione ha restituito al rimettente gli atti del procedimento, ritenendo insussistente il denunciato contrasto ermeneutico giacché la giurisprudenza di legittimità è concorde nel considerare il concorso eventualeex art. 110 c.p. compatibile con ogni tipologia di fattispecie associativa. L'unica pronuncia di segno contrario citata dai rimettenti, del resto, oltre a essere molto risalente, non si era neanche occupata di tale tematica in modo specifico, dal momento che negava tout court la configurabilità del concorso esterno in relazione a qualsiasi reato di tipo associativo.

In effetti, a fronte di un concorde e consolidato quadro giurisprudenziale, l'ordinanza di rimessione, piuttosto che evidenziare l'esistenza di un vero e proprio dissenso, si limitava a prospettare in via meramente “problematica” una differente soluzione interpretativa, mancando così di osservare i rigorosi presupposti fissati dell'art. 618 c.p.p.

In conclusione

Come abbiamo visto, la Corte di cassazione si mostra refrattaria ai tentativi di rimettere in discussione la fisionomia dell'istituto del concorso eventuale nei reati associativi, rimanendo ancorata agli approdi più recenti delle Sezioni unite.

I giudici di Strasburgo, dal canto loro, non contestano l'attuale configurabilità del concorso esterno in associazione mafiosa ma considerano imprevedibili gli sviluppi interpretativi che ne hanno segnato la storia giurisprudenziale.

Tuttavia, il possibile effetto destabilizzante della sentenza Contrada si limita agli eventuali riflessi sui casi (ormai molto lontani nel tempo) di condanna per fatti antecedenti al 1994.

Ciò che invece è rimasto sottotraccia al panorama giurisprudenziale tratteggiato è la matrice non legislativa del precetto penale – essendo l'istituto in commento di origine giurisprudenziale – e la sua compatibilità col precetto costituzionale di legalità, in generale, e di determinatezza delle fattispecie penali, in particolare.

Guida all'approfondimento

DONINI, Il concorso esterno “alla vita dell'associazione” e il principio di tipicità penale, in Dir. pen. cont., 13 gennaio 2017;

LEO, voce Concorso esterno nei reati associativi, in Il libro dell'anno Treccani, 2017;

FARINI-TRINCI, Compendio di diritto penale. Parte generale, Roma, 2016.

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