Favoreggiamento personale e realeFonte: Cod. Pen Articolo 378
07 Settembre 2015
Inquadramento
Gli artt. 378 e 379 c.p. disciplinano in modo distinto, anche se con tratti in parte comuni, le fattispecie di “favoreggiamento personale” e di “favoreggiamento reale”. Precisamente, l'art. 378 c.p., relativo al “favoreggiamento personale”, sanziona, al primo comma, “chiunque, dopo che fu commesso un delitto per il quale la legge stabilisce l'ergastolo o la reclusione, e fuori dei casi di concorso nel medesimo, aiuta taluno a eludere le investigazioni dell'Autorità, comprese quelle svolte da organi della Corte penale internazionale, o a sottrarsi alle ricerche effettuate dai medesimi soggetti”. Il medesimo articolo, inoltre, dopo aver previsto al secondo comma un'aggravante per l'ipotesi di favoreggiamento relativo al reato di cui all'art. 416-bis c.p., e al terzo comma una pena più lieve per il caso in cui il reato presupposto sia costituito da un delitto punito con “pena diversa” ovvero da una contravvenzione, precisa al quarto comma: “Le disposizioni di questo articolo si applicano anche quando la persona aiutata non è imputabile o risulta che non ha commesso il delitto”. L'art. 379 c.p., riguardante il “favoreggiamento reale”, punisce, al primo comma, “chiunque, fuori dei casi di concorso nel reato e dei casi previsti dagli articoli 648, 648-bis e 648-ter, aiuta taluno ad assicurare il prodotto o il profitto o il prezzo di un reato”, fissando pene diverse a seconda che il reato presupposto sia un delitto o una contravvenzione. Il medesimo articolo, poi, al secondo comma, richiama le disposizioni del secondo e del quarto comma dell'art. 378 c.p. Si tratta di fattispecie incriminatrici le quali entrambe appartengono al catalogo dei delitti contro l'amministrazione della giustizia, e sono costruite come reato comune, a forma libera e a dolo generico. Il bene giuridico tutelato
“Prima facie”, in ragione della comune catalogazione nell'ambito dei delitti contro l'amministrazione della giustizia, può sembrare ‘scontato' che il bene giuridico protetto dalle disposizioni che sanzionano le condotte di favoreggiamento reale e personale si identifichi, per entrambe le fattispecie, nell'interesse ad evitare ostacoli o intralci all'attività diretta all'accertamento e alla repressione dei reati.
È bene evidenziare, inoltre, che numerose sono le precisazioni apportate dai singoli studiosi per la esatta individuazione del bene protetto. In particolare, con riferimento al favoreggiamento personale, vi è chi evidenzia che la fattispecie mira ad apprestare una tutela “esterna” delle investigazioni e delle ricerche dell'Autorità, nel senso che tende ad impedire una modifica in peggio delle condizioni “esterne” nelle quali hanno luogo le attività riconducibili gli interventi urgenti o “a caldo” (così, in particolare, PULITANO', Il favoreggiamento personale fra diritto e processo penale, Milano, 1984, p. 67 ss.). Altri Autori, invece, sottolineano che la disposizione incriminatrice ha di mira la protezione delle attività proprie della polizia giudiziaria (cfr., per tale impostazione, ZANOTTI, Studi in tema di favoreggiamento personale, Padova, 1984, p. 56 ss., nonché DINACCI, Favoreggiamento personale e tipologia delle attività investigative tra vecchio e nuovo, Padova, 1989, p. 31 s.). Altra opinione, ancora, attribuisce alla previsione contemplata nell'art. 378 c.p. la funzione di “norma onnicomprensiva di chiusura”, idonea a reprimere ogni condotta di intralcio all'attività della giustizia penale (v., specificamente, PIFFER, I delitti contro l'amministrazione della giustizia, I delitti contro l'attività giudiziaria, in Trattato di diritto penale, parte speciale, diretto da DOLCINI e MARINUCCI, IV, Padova, 2005, p. 643). Per quanto attiene al favoreggiamento reale, molti Studiosi tendono a mettere in luce la “labilità” del legame tra la fattispecie e l'interesse al regolare svolgimento del processo, in particolare rappresentando che il delitto di cui all'art. 379 c.p. può essere commesso anche successivamente alla sentenza definitiva in ordine al reato presupposto (cfr., in particolare, BOSCARELLI, La tutela penale del processo, I, Milano, 1951, p. 227 e 255, nonché PAGLIARO, Favoreggiamento (diritto penale), in Enc. Dir., XVII, Milano, 1968, p. 37). Altra opinione, tuttavia, avvicina l'oggetto di tutela delle due previsioni incriminatrici, affermando che quella relativa al favoreggiamento reale presidia la eseguibilità della confisca del prodotto, profitto o prezzo del reato ai sensi dell'art. 240 c.p. (così, tra gli altri, PISA, Favoreggiamento personale e reale, in D. Disc. Pen., VI, Torino, 1991, p.162).
Gli approfondimenti e le precisazioni sull'oggetto giuridico tutelato dalle due disposizioni non sono privi di ricadute applicative. Invero, entrambe le fattispecie, in quanto incentrate sulla condotta di “aiuto”, costituiscono reati a forma libera. Di conseguenza, l'esatta individuazione del bene protetto può assumere un significato decisivo per valutare l'oggettiva idoneità offensiva del comportamento e, quindi, per selezionare le condotte penalmente rilevanti. Soggetti attivi dei delitti di favoreggiamento e presupposti della condotta
Soggetto attivo dei reati di favoreggiamento reale e personale è “chiunque”. Presupposti comuni, espressamente previsti dalla legge per la configurabilità di entrambi i delitti di favoreggiamento, sono: a) un reato precedentemente commesso; b) il mancato concorso del favoreggiatore nel reato precedentemente commesso.
Primo presupposto è un reato precedentemente commesso. In tale nozione, secondo la generale opinione, rientra qualunque fatto conforme ad una fattispecie sanzionata penalmente che non risulti commesso in presenza di una causa di giustificazione. È quindi esclusa la configurabilità del favoreggiamento quando risulta accertata l'insussistenza del reato presupposto (così, da ultimo, in giurisprudenza, Sez. VI, 19 novembre 2013, n. 6751, per il favoreggiamento personale, e Sez. I, 10 giugno 2014, n. 35419, per il favoreggiamento reale). Più controverso è se la condotta favoreggiatrice sia configurabile quando, pur essendo già integrato il reato presupposto, debba ancora verificarsi in relazione a quest'ultimo una condizione di punibilità o di procedibilità. Secondo un indirizzo, in questi casi la sussistenza del favoreggiamento deve essere esclusa perché il difetto della condizione di punibilità o di procedibilità (ad esempio, la querela) preclude ogni possibile intervento degli organi della giustizia penale, e, conseguentemente, il rischio di manipolazioni (così, per tutti, FIANDACA-MUSCO, Diritto Penale, Parte Speciale, vol. I, 2012, p. 407). Secondo altro indirizzo, invece, i reati di favoreggiamento sono configurabili anche in assenza del verificarsi della condizione di punibilità o di procedibilità (per questa tesi, v., in giurisprudenza, Sez. Un., 28 febbraio 2001, n. 8, rv. 218769, in fattispecie relativa a favoreggiamento reale), o quanto meno quando questa si verifichi successivamente alla condotta prevista dagli artt. 378 e 379 c.p. (cfr., in questo senso, in dottrina, PAGLIARO, Favoreggiamento (diritto penale), cit., p. 38). Allo stesso modo, si discute se i reati di favoreggiamento siano configurabili quando l'autore del reato presupposto sia non punibile per la presenza di cause di esclusione della colpevolezza o di cause personali di esclusione della pena. Un'opinione è per la soluzione negativa, quando sia unico l'autore del reato precedentemente commesso, poiché “in assenza della punibilità di qualcuno, verrebbe infatti meno la caratteristica di «reato» del fatto criminoso che fa da presupposto al favoreggiamento” (così FIANDACA-MUSCO, Diritto Penale, cit., p. 410). Altro orientamento, invece, accede ad opposta soluzione rilevando che gli artt. 378 e 379 c.p. sono applicabili – per l'espresso disposto dell'art. 378, ultimo comma, richiamato dall'art. 379, secondo comma – anche “quando la persona aiutata non è imputabile” (cfr., in proposito, PADOVANI, Favoreggiamento, in Enc. Giur. Treccani, XIV, Roma, 1989, p. 4). Consolidata, invece, è l'opinione secondo cui il verificarsi di una causa di estinzione del reato presupposto esclude la configurabilità dei reati di favoreggiamento quando la condotta che integra le fattispecie di cui agli artt. 378 e 379 c.p. è successiva al realizzarsi della vicenda estintiva. Va peraltro precisato che, laddove la condotta di “aiuto” è stata posta in essere anteriormente all'estinzione del reato presupposto, la vicenda estintiva relativa a quest'ultimo non esclude la sussistenza dei reati di favoreggiamento: secondo l'art. 170 c.p., “quando un reato è presupposto di un altro reato, la causa che lo estingue non si estende all'altro reato”.
Secondo presupposto è il mancato concorso del favoreggiatore nel reato precedentemente commesso. Secondo l'opinione ad oggi assolutamente maggioritaria, i delitti di favoreggiamento non sono mai configurabili se il favoreggiatore sia in qualche modo coinvolto nel reato presupposto; ne consegue, ad esempio, che la condotta di chi promette un aiuto ad eludere le investigazioni o a sottrarsi alle ricerche dell'Autorità, o a nascondere il bene derivante dal reato presupposto, prima della commissione di quest'ultimo, non può integrare le fattispecie di favoreggiamento: si tratta, infatti, di condotta che dà luogo al rafforzamento della determinazione a delinquere del destinatario della promessa, e, quindi, al concorso nel reato che si assumerebbe come presupposto (cfr., per tutti, in dottrina, FIANDACA-MUSCO, Diritto Penale, cit., p. 408, nonché PADOVANI, Favoreggiamento, cit., p. 3; in giurisprudenza, nello stesso senso, v., ad esempio, Sez. V, 17 gennaio 2007, n. 4997, rv. 236066). Una opinione risalente, peraltro, aveva affermato la configurabilità del favoreggiamento del concorrente nel reato presupposto, sia pure nelle limitate ipotesi in cui il fatto di ‘aiuto' sia stato commesso ad esclusivo vantaggio altrui e non rappresenti il mantenimento di una promessa istigatrice (così MANZINI, Trattato di diritto penale italiano, vol. V, Torino, 1982, p. 977 ss.). Controverso è se sia ipotizzabile il favoreggiamento quando il reato presupposto sia un reato permanente ancora in corso. In dottrina, secondo l'opinione tradizionale, in questi casi, le condotte di ‘aiuto' integrerebbero sempre un'ipotesi di concorso nel reato, in quanto in particolare l'art. 378 c.p. si riferisce a condotte poste in essere “dopo che fu commesso un delitto” (cfr. MANZINI, Trattato di diritto penale italiano, vol. V, cit., p. 985). Più recentemente, però, si è evidenziato, in senso contrario, che la formula «delitto commesso» non coincide necessariamente con quella di «delitto consumato», che la legge penale prevede la configurabilità di fattispecie diverse dalla compartecipazione pure quando la condotta è posta in essere in costanza del reato permanente, come nei casi di cui agli artt. 307 e 418 c.p. di assistenza agli associati, e che, anzi, proprio gli artt. 307 e 418 c.p., contemplando una riserva per il “favoreggiamento”, costituiscono un indice della possibilità di ipotizzare un “aiuto-favoreggiamento in favore di chi è tuttora partecipe di un'associazione criminosa” (cfr., in particolare, CORSO, Favoreggiamento e reato permanente, in Giust. Pen., 1982, II, p. 317 ss., nonché PISA, Favoreggiamento personale e reale, cit., p.164). Anche la giurisprudenza risulta divisa. In effetti, se diverse decisioni ammettono la sussistenza del delitto di favoreggiamento in relazione al reato permanente, specie quando quest'ultimo sia costituito dalla partecipazione ad associazione per delinquere (cfr., da ultimo, Sez. VI, 18 giugno 2014, n. 30873), altre pronunce, specialmente con riferimento ad altri reati permanenti, e in particolare a quelli di illecita detenzione di sostanze stupefacenti, concludono per l'opposta soluzione (v., per tutte, Sez. Un. 24 maggio 2012, n. 36258). Per ulteriori approfondimenti in tema di ammissibilità del favoreggiamento (reale o personale) in relazione a reato permanente tuttora in corso cfr. Favoreggiamento reale e personale e reato permanente
Le condotte di favoreggiamento
Nucleo centrale della condotta è la prestazione di un ‘aiuto'. Nel reato di favoreggiamento personale, precisamente, la condotta deve consistere nell'“aiuta[re] taluno a eludere le investigazioni dell'Autorità … o a sottrarsi alle ricerche” di questa, mentre, nel reato di favoreggiamento reale, la stessa è costituita dall'“aiuta[re] taluno ad assicurare il prodotto o il profitto o il prezzo di un reato”.
In linea generale, “eludere le investigazioni” vuol dire frustrare le attività dirette a scoprire le fonti di prova e a desumere da queste gli elementi per accertare se e da chi è stato commesso un reato, ed ha riguardo non solo alla fase delle indagini, ma anche – nella prospettiva che inquadra la fattispecie di cui all'art. 378 c.p. come “norma onnicomprensiva di chiusura”, idonea a reprimere ogni condotta di intralcio all'attività della giustizia penale – a quella dell'istruttoria dibattimentale (cfr., in tal senso, Sez. VI, 23 novembre 1999, n. 14222). Il “sottrarsi alle ricerche”, invece, evoca la vanificazione delle attività finalizzate alla coercizione personale, e quindi dell'arresto, del fermo, dell'ordine di custodia, ma anche dell'accompagnamento coattivo. L'“assicurare il prodotto o il profitto di un reato”, infine, consiste nel rendere definitivo o comunque certo il vantaggio che il reo ha tratto dal reato. In quest'ottica, per “prodotto” si intende ciò che si acquista non solo direttamente, ma anche indirettamente dal reato presupposto, come ad esempio attraverso l'alienazione del bene direttamente conseguito mediante quest'ultimo (si pensi al denaro frutto della vendita della refurtiva); per “profitto”, poi, si ritiene ogni vantaggio derivante da reato, anche non puramente economico (così PISANI, Favoreggiamento reale, cit., p. 538). Oggetto di discussione è se le condotte di ‘aiuto' possano essere commesse anche in forma omissiva. Parte della dottrina propende per la soluzione negativa, in particolare perché, da un lato, il termine “aiutare” evocherebbe una condotta positiva, e, dall'altro, le fattispecie di favoreggiamento sarebbero prive di un evento naturalistico, o comunque non vi sarebbe un generale obbligo di garanzia diretto ad impedire il verificarsi di questo (così, per il favoreggiamento personale, cfr. FIANDACA-MUSCO, Diritto Penale, cit., p. 412, nonché, per il favoreggiamento reale, MANZINI, Trattato di diritto penale italiano, vol. V, cit., p. 1001). Altra parte della dottrina (cfr., in particolare, ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, Parte speciale, vol. II, Milano, 2008, p. 555 e 558) e la giurisprudenza prevalente (v. Sez. VI, 18 maggio 2004, in Cass. pen., 2006, I, p. 120, per il favoreggiamento personale, nonché Sez. III, 26 giugno 1981, n. 7328, rv. 149890, per il favoreggiamento reale) accedono, invece, alla conclusione opposta, osservando che il termine “aiutare”, per la sua genericità, includerebbe anche i comportamenti omissivi. In ogni caso, le condotte di ‘aiuto', commissive od omissive, debbono essere oggettivamente idonee ad intralciare il corso della giustizia o il recupero delle utilità sottratte con il reato. Non è però necessario l'effettivo conseguimento della finalità di ‘aiuto' (così, da ultimo, in tema di favoreggiamento reale, Sez. I, 21 maggio 2013, n. 40280, nonché, in tema di favoreggiamento personale, Sez. VI, 7 novembre 2011, n. 3523), né rileva che l'ostacolo frapposto sia limitato o temporaneo (cfr., in tema di favoreggiamento personale, Sez. VI, 5 febbraio 2015, n. 9989, rv. 262799). Le condotte di favoreggiamento reale o personale, inoltre, debbono essere indirizzate ad agevolare “taluno”, e cioè una qualsiasi persona sospettata di aver commesso un reato diversa dal favoreggiatore. È quindi estranea all'area di applicazione delle due fattispecie incriminatrici sia la condotta di autofavoreggiamento (così, per il favoreggiamento personale, FIANDACA-MUSCO, Diritto Penale, cit., p. 409, e, per il favoreggiamento reale, PISANI, Favoreggiamento reale, cit., p. 536), sia la condotta di autofavoreggiamento mediato, allorché il favoreggiamento del terzo costituisce una conseguenza necessitata della condotta di autofavoreggiamento (cfr. FIANDACA-MUSCO, Diritto Penale, cit., p. 410, nt. 10).
Un primo settore ‘critico' si è manifestato in relazione al mendacio, al silenzio, alla reticenza o al rifiuto di fornire notizie alla polizia giudiziaria per la ricostruzione del fatto o per l'identificazione del colpevole. Alcuni Autori hanno escluso, in linea generale, la configurabilità del reato di cui all'art. 378 c.p., salvo che la condotta non determini un vero e proprio effetto di ‘depistaggio', sottolineando che l'espressa incriminazione della falsa testimonianza e non anche del mendacio alla polizia giudiziaria dovrebbe significare una differente rilevanza dei due comportamenti, e che, con specifico riguardo al silenzio, alla reticenza o al rifiuto di fornire informazioni, il favoreggiamento personale non è ammissibile in forma omissiva, tanto più che non può configurarsi a carico dei cittadini l'obbligo di impedire l'intralcio delle indagini (cfr., per tutti, FIANDACA-MUSCO, Diritto Penale, cit., p. 411 ss., nonché PULITANO', Il favoreggiamento personale fra diritto e processo penale, cit., p. 162, il quale osserva, in particolare, che “il cittadino comune, come non è tenuto ad impedire reati, a maggior ragione non è tenuto a ‘garantire' da possibili turbamenti il contesto delle investigazioni e ricerche”). In contrario avviso, tuttavia, la giurisprudenza si mostra favorevole alla configurabilità del reato di cui all'art. 378 c.p., nel caso di condotta omissiva da parte di colui che si rifiuti di rendere dichiarazioni e fornire indicazioni alla polizia giudiziaria, rappresentando l'esistenza dell'obbligo di rispondere a questa secondo verità, desumibile dagli artt. 351, 362, comma 1, e 198 c.p.p. (così, recentemente Sez. VI, 11 luglio 2013, n. 30349, rv. 256909). Questa soluzione, inoltre, risulta confortata sia dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, che ha esteso l'applicazione della causa di non punibilità di cui all'art. 384, secondo comma, c.p. al reato di favoreggiamento personale realizzato mediante false o reticenti informazioni rese alla polizia giudiziaria fornite da chi avrebbe dovuto essere informato della facoltà di astenersi dal deporre (cfr. Corte cost., sent. n. 416 del 1996), sia dal recente intervento legislativo di modifica dell'art. 376, primo comma, c.p., mediante l'art. 1, comma 6, della legge 15 luglio 2009, n. 94, che ha previsto l'operatività della causa di non punibilità della ritrattazione anche in relazione al reato di favoreggiamento personale, così attribuendo indirettamente, ma inequivocabilmente, rilevanza penale alle false dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria. Vi è poi da aggiungere che, secondo la giurisprudenza, una volta ammessa la configurabilità del delitto di favoreggiamento personale in capo al soggetto escusso dalla polizia giudiziaria che nega la conoscenza di fatti a lui noti, deve ritenersi sussistente la fattispecie di cui all'art. 378 c.p. anche se le informazioni richieste hanno ad oggetto circostanze già accertate mediante altre fonti di prova, poiché la ricerca della verità esige una pluralità di elementi (così, tra le tante, Sez. VI, 28 novembre 2013, n. 13086 del 2014, rv. 259497, e Sez. VI, 13 giugno 2013, n. 28426, rv. 256064). Un secondo settore ‘critico' riguarda le condotte poste in essere dal difensore. In linea generale, nessuno dubita della piena liceità delle attività svolte nell'ambito della difesa tecnica. Allo stesso modo, pacificamente si ritiene la sussistenza del reato quando il professionista procede all'eliminazione materiale di elementi di prova, a nascondere il ricercato, a portare messaggi di detenuti ai sodali in libertà, ad indurre terzi a rendere dichiarazioni mendaci (cfr., per tutti, in dottrina, FIANDACA-MUSCO, Diritto Penale, cit., p. 413, e PISANI, Favoreggiamento personale, in Reati contro la pubblica amministrazione e contro l'amministrazione della giustizia, Torino, 2011, p. 532 s., nonché, in giurisprudenza, Sez. III, 18 giugno 2014, n. 16789 del 2015, rv. 263470). I profili problematici, in realtà, si presentano in relazione alla comunicazione di informazioni all'assistito, ad esempio in ordine all'emissione di provvedimenti coercitivi o dispositivi di intercettazioni telefoniche. Secondo un'opinione, il “discrimen” dovrebbe dipendere dal fatto se il difensore comunica un'informazione che dovrebbe restare riservata o se, invece, si limiti a fornire un semplice suggerimento non accompagnato da informazioni (così FIANDACA-MUSCO, Diritto Penale, cit., p. 413 s.). Secondo altri, invece, è penalmente lecita la rivelazione di notizie legittimamente acquisite ed incidenti sulla posizione dell'assistito (così PISANI, Favoreggiamento personale, cit., p. 534, nonché, in giurisprudenza, Sez. VI, 26 luglio 2000, in Cass. pen., 2001, p. 939). Su questa seconda linea sembra porsi la giurisprudenza quando ritiene sanzionabile la condotta del difensore che, acquisita illegalmente la notizia dell'emissione di un provvedimento coercitivo nei confronti del proprio assistito, lo informi, consentendogli di sottrarsi all'esecuzione della misura ed alle successive ricerche dell'Autorità (cfr. Sez. VI, 18 luglio 2013, n. 35327, rv. 256098). La ‘genericità' del termine “aiutare” ha determinato l'evidenziazione di particolari fattispecie problematiche in relazione al reato di favoreggiamento personale. Un primo settore ‘critico' si è manifestato in relazione al mendacio, al silenzio, alla reticenza o al rifiuto di fornire notizie alla polizia giudiziaria per la ricostruzione del fatto o per l'identificazione del colpevole. Alcuni Autori hanno escluso, in linea generale, la configurabilità del reato di cui all'art. 378 c.p., salvo che la condotta non determini un vero e proprio effetto di ‘depistaggio', sottolineando che l'espressa incriminazione della falsa testimonianza e non anche del mendacio alla polizia giudiziaria dovrebbe significare una differente rilevanza dei due comportamenti, e che, con specifico riguardo al silenzio, alla reticenza o al rifiuto di fornire informazioni, il favoreggiamento personale non è ammissibile in forma omissiva, tanto più che non può configurarsi a carico dei cittadini l'obbligo di impedire l'intralcio delle indagini (cfr., per tutti, FIANDACA-MUSCO, Diritto Penale, cit., p. 411 ss., nonché PULITANO', Il favoreggiamento personale fra diritto e processo penale, cit., p. 162, il quale osserva, in particolare, che “il cittadino comune, come non è tenuto ad impedire reati, a maggior ragione non è tenuto a ‘garantire' da possibili turbamenti il contesto delle investigazioni e ricerche”). In contrario avviso, tuttavia, la giurisprudenza si mostra favorevole alla configurabilità del reato di cui all'art. 378 c.p., nel caso di condotta omissiva da parte di colui che si rifiuti di rendere dichiarazioni e fornire indicazioni alla polizia giudiziaria, rappresentando l'esistenza dell'obbligo di rispondere a questa secondo verità, desumibile dagli artt. 351, 362, comma 1, e 198 c.p.p. (così, recentemente Sez. VI, 11 luglio 2013, n. 30349). Questa soluzione, inoltre, risulta confortata sia dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, che ha esteso l'applicazione della causa di non punibilità di cui all'art. 384, comma 2, c.p. al reato di favoreggiamento personale realizzato mediante false o reticenti informazioni rese alla polizia giudiziaria fornite da chi avrebbe dovuto essere informato della facoltà di astenersi dal deporre (cfr. Corte cost., sent. n. 416 del 1996), sia dal recente intervento legislativo di modifica dell'art. 376, comma 1, c.p., mediante l'art. 1, comma 6, della legge 15 luglio 2009, n. 94, che ha previsto l'operatività della causa di non punibilità della ritrattazione anche in relazione al reato di favoreggiamento personale, così attribuendo indirettamente, ma inequivocabilmente, rilevanza penale alle false dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria. Vi è poi da aggiungere che, secondo la giurisprudenza, una volta ammessa la configurabilità del delitto di favoreggiamento personale in capo al soggetto escusso dalla polizia giudiziaria che nega la conoscenza di fatti a lui noti, deve ritenersi sussistente la fattispecie di cui all'art. 378 c.p. anche se le informazioni richieste hanno ad oggetto circostanze già accertate mediante altre fonti di prova, poiché la ricerca della verità esige una pluralità di elementi (così, tra le tante, Sez. VI, 28 novembre 2013, n. 13086, e Sez. VI, 13 giugno 2013, n. 28426). Un secondo settore ‘critico' riguarda le condotte poste in essere dal difensore. In linea generale, nessuno dubita della piena liceità delle attività svolte nell'ambito della difesa tecnica. Allo stesso modo, pacificamente si ritiene la sussistenza del reato quando il professionista procede all'eliminazione materiale di elementi di prova, a nascondere il ricercato, a portare messaggi di detenuti ai sodali in libertà, ad indurre terzi a rendere dichiarazioni mendaci (cfr., per tutti, in dottrina, FIANDACA-MUSCO, Diritto Penale, cit., p. 413, e PISANI, Favoreggiamento personale, in Reati contro la pubblica amministrazione e contro l'amministrazione della giustizia, Torino, 2011, p. 532 s., nonché, in giurisprudenza, Sez. III, 18 giugno 2014, n. 16789 del 2015, rv. 263470). I profili problematici, in realtà, si presentano in relazione alla comunicazione di informazioni all'assistito, ad esempio in ordine all'emissione di provvedimenti coercitivi o dispositivi di intercettazioni telefoniche. Secondo un'opinione, il “discrimen” dovrebbe dipendere dal fatto se il difensore comunica un'informazione che dovrebbe restare riservata o se, invece, si limiti a fornire un semplice suggerimento non accompagnato da informazioni (così FIANDACA-MUSCO, Diritto Penale, cit., p. 413 s.). Secondo altri, invece, è penalmente lecita la rivelazione di notizie legittimamente acquisite ed incidenti sulla posizione dell'assistito (così PISANI, Favoreggiamento personale, cit., p. 534, nonché, in giurisprudenza, Sez. VI, 26 luglio 2000, in Cass. pen., 2001, p. 939). Su questa seconda linea sembra porsi la giurisprudenza quando ritiene sanzionabile la condotta del difensore che, acquisita illegalmente la notizia dell'emissione di un provvedimento coercitivo nei confronti del proprio assistito, lo informi, consentendogli di sottrarsi all'esecuzione della misura ed alle successive ricerche dell'Autorità (cfr. Sez. VI, 18 luglio 2013, n. 35327, rv. 256098). Elemento psicologico
L'elemento soggettivo necessario per la sussistenza dei delitti di favoreggiamento è il dolo generico, secondo un orientamento consolidato in dottrina e giurisprudenza (cfr., esemplificativamente, per il favoreggiamento personale, FIANDACA-MUSCO, Diritto Penale, cit., p. 414, nonché Sez. VI, 24 maggio 2011, n. 24035, e, per il favoreggiamento reale, PISANI, Favoreggiamento reale, cit., p. 538).
È importante precisare, quanto al contenuto del dolo, che occorre che il favoreggiatore sappia che il reato presupposto è stato commesso, ma non anche quando e come ciò sia avvenuto, o quale sia il titolo criminoso dello stesso e quali saranno le relative conseguenze (così, per il favoreggiamento personale, Sez. VI, 2 dicembre 2014, n. 53593,; in termini sostanzialmente analoghi, per il favoreggiamento reale, PADOVANI, Favoreggiamento, cit., p. 6). Forme di manifestazione del reato:tentativo e circostanze
Il tentativo è configurabile sia con riferimento al favoreggiamento personale (cfr., per tutti, FIANDACA-MUSCO, Diritto Penale, cit., p. 414, il quale fornisce l'esempio del soggetto che, dopo aver ricevuto un messaggio, non sia riuscito a recapitarlo), sia con riferimento al favoreggiamento reale (in tale senso, “ex multis”, MANZINI, Trattato di diritto penale italiano, vol. V, cit., p. 1007). Va tuttavia precisato che l'ambito applicativo di tale forma di manifestazione del reato appare ridotto, poiché, per la consumazione dei delitti di cui agli artt. 378 e 379 c.p., è sufficiente l'idoneità della condotta ad aiutare l'autore del reato presupposto, mentre non è necessario l'effettivo conseguimento di tale finalità (v., infatti, Sez. I, 21 maggio 2013, n. 40280, che, proprio sulla base di tale considerazione, ha ritenuto integrata la fattispecie consumata e non quella tentata di favoreggiamento reale in relazione alla condotta di un soggetto che aveva sollecitato l'acquirente di una partita di droga a pagare al venditore la fornitura ricevuta). L'art. 378, comma 2, c.p., prevede una circostanza aggravante speciale, “quando il delitto commesso è quello previsto dall'art. 416 bis”, applicabile anche al favoreggiamento reale, per effetto dell'espresso richiamo operato dall'art. 379, comma 2, c.p. In relazione ad essa, il tema che risulta più approfondito è quello della sua compatibilità con l'aggravante prevista dall'art. 7, d.l. n. 152 del 1991, convertita in legge 12 luglio 1991, n. 203, quando la condotta di favoreggiamento sia posta in essere “al fine di agevolare l'attività delle associazioni previste” dall'art. 416-bis c.p. Sembra, peraltro, ormai ampiamente consolidato l'orientamento che afferma la compatibilità tra le due aggravanti (cfr, in particolare: Sez. V, 14 ottobre 2009, n. 16556; Sez. II, 13 giugno 2007, n. 35266, che si sofferma sulla diversità tra le due circostanze; Sez. VI, 10 giugno 2005, n. 35680). Per approfondimenti sul tema se l'attività agevolativa della latitanza del capo-mafia possa, di per sé, ritenersi finalizzata ad agevolare l'attività dell'associazione nel suo complesso, e, quindi, integri, per ciò solo l'aggravante prevista dall'art. 7, d.l. n. 152 del 1991, o se, invece, per ritenere la sussistenza di tale finalità, e quindi della relativa aggravante, sia necessario un “quid pluris” cfr. Agevolazione della latitanza di esponente di spicco di associazione mafiosa e configurabilità dell'aggravante di cui all'art. 7, d.l. 152/1991) Il codice prevede diverse ipotesi di cause speciali di non punibilità per il delitto di favoreggiamento personale. Si tratta di cause di non punibilità riferibili ad una pluralità di delitti, ed in relazione alle quali, per esigenze di economicità della trattazione, saranno dedicati solo dei cenni. Più specificamente, l'art. 376 c.p. prevede che, anche nel caso di cui all'art. 378 c.p., “il colpevole non è punibile se, nel procedimento penale in cui ha prestato il suo ufficio o reso le sue dichiarazioni, ritratta il falso e manifesta il vero non oltre la chiusura del dibattimento”. L'art. 384, comma 1, c.p., invece, stabilisce che, anche nel caso di cui all'art. 378 c.p., “non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé medesimo o un prossimo congiunto da un grave e inevitabile nocumento nella libertà e nell'onore”. A questo proposito, sia pure nell'estrema sinteticità della trattazione, sembra utile segnalare che consolidato è l'orientamento della giurisprudenza secondo cui detta causa di non punibilità non può essere invocata sulla base del semplice timore di essere coinvolto nella vicenda criminosa o comunque in indagini penali, occorrendo invece un effettivo pericolo di danno evitabile solo con la commissione di uno dei reati previsti dall'art. 384, comma 1, c.p. (cfr. Sez. VI, 28 novembre 2013, n. 13086, nonché Sez. VI, 15 novembre 2012, n. 10271). Infine, l'art. 384, comma 2, c.p., per effetto delle dichiarazioni di incostituzionalità pronunciate della Corte costituzionale con sentenze n. 416 del 1996 e n. 75 del 2009, esclude la punibilità delle false o reticenti informazioni fornite alla polizia giudiziaria da soggetto sentito senza che gli fosse stato dato l'avvertimento della facoltà di astenersi dal renderle, ovvero da soggetto che non avrebbe potuto essere obbligato a rispondere in quanto indagato in reato probatoriamente collegato a quello cui dette informazioni si riferiscono. In relazione al favoreggiamento personale, invece, se le cause di non punibilità precedentemente indicate non sono applicabili, l'art. 1, comma 4-bis, del d.l. 15 gennaio 1991, n. 8 (convertito con modificazioni nella legge 14 marzo 1991, n. 82) contempla una esimente specifica per il caso del soggetto che abbia agito in favore del prossimo congiunto quando il delitto presupposto sia quello di sequestro di persona a scopo di estorsione e la condotta sia stata finalizzata a far conseguire agli autori di quest'ultimo il prezzo della liberazione della vittima (v., in argomento, PISANI, Favoreggiamento reale, cit., p. 539 s.). Rapporti con altri reati
Nell'esperienza giurisprudenziale, in materia di favoreggiamento personale, un tema oggetto di ampia casistica risulta essere quello relativo alla distinzione tra fattispecie di cui all'art. 378 c.p. e partecipazione ad associazione per delinquere. In effetti, una volta ritenuto ammissibile il favoreggiamento quando il reato di partecipazione all'associazione sia ancora in corso, resta però da individuare il confine tra la condotta integrante il delitto di cui all'art. 378 c.p. e quella di concorso esterno o di piena compartecipazione nel fatto associativo. Il criterio distintivo che appare desumibile dal quadro complessivo delle decisioni dei giudici di legittimità è quello secondo cui si avrà favoreggiamento personale in caso di episodico aiuto in favore del singolo associato e, invece, concorso esterno o partecipazione piena nel reato associativo in caso di attività continuativa e sistematica (così, tra le più recenti: Sez. VI, 13 novembre 2013, n. 11898; Sez. VI, 12 dicembre 2013, n. 8657; Sez. I, 7 maggio 2013, n. 33243; Sez. V, 23 marzo 2012, n. 22582). In materia di favoreggiamento reale, invece, il tema maggiormente dibattuto è quello relativo alla differenziazione tra fattispecie di cui all'art. 379 c.p. e ricettazione. In linea generale, si ritiene che la distinzione tra le figure di reato è determinata dalla finalità che muove l'agente: si avrà favoreggiamento quando il fine è quello di prestare aiuto all'autore del reato presupposto; si avrà invece ricettazione quando il fine è quello di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto. Può aggiungersi, tuttavia, che, mentre la giurisprudenza più recente sottolinea, ai fini della configurabilità del favoreggiamento reale e non della ricettazione, la necessità di una condotta posta in essere “nell'interesse esclusivo dell'autore del reato” (così Sez. II, 10 aprile 2014, n. 30744), la maggior parte della dottrina e giurisprudenza più datata indicano come criterio decisivo per ravvisare l'una o l'altra fattispecie, il fine prevalente perseguito dall'agente (cfr., per la dottrina, FIANDACA-MUSCO, Diritto Penale, cit., p. 415, nonché ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, Parte speciale, vol. II, Milano, 2008, p. 558, e, per la giurisprudenza, Sez. II, 23 ottobre 1984, n. 9007). Aspetti processuali
In relazione al reato di favoreggiamento personale:
In relazione al reato di favoreggiamento reale:
Casistica
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