Partecipazione a distanza all'udienza. La decisione del Gup di Cremona in un caso di insufficiente capienza dell'aula

Michele Sbezzi
06 Giugno 2016

Il Gup del tribunale di Cremona, stante l'insufficiente capienza dell'aula ha disposto l'allestimento di tre diverse aule, collegandole tra loro per mezzo di sistemi digitali, telematici ed audiovisivi, assai avanzati, per mezzo dei quali la partecipazione e la presenza alla trattazione è risultata mediata.
Abstract

Il Gup del tribunale di Cremona, stante l'insufficiente capienza dell'aula – che non avrebbe potuto ospitare le centinaia di possibili aventi diritto a partecipare all'udienza preliminare – ha disposto l'allestimento di tre diverse aule, collegandole tra loro per mezzo di sistemi digitali, telematici ed audiovisivi, assai avanzati, per mezzo dei quali la partecipazione e la presenza alla trattazione è risultata mediata. Ciò in un caso estraneo rispetto a quello regolamentato dall'art. 146-bis disp. att. c.p.p., al titolo partecipazione al dibattimento a distanza.

Hanno fatto seguito le eccezioni di nullità sollevate dai difensori.

Il caso concreto

L'innovazione scientifica è da tempo entrata nella gestione dei fatti processuali, in tutti gli uffici giudiziari italiani. Il processo civile telematico è ormai una realtà avviata e obbligatoriamente funzionante, anche se la cosiddetta copia di cortesia, cartacea, viene comunque depositata a fascicolo perchè, di fatto, pretesa o anche solo cortesemente richiesta. Anche nel campo penale, seppure con velocità parecchio inferiore, siamo ormai giunti alle notifiche telematiche di avvisi di cancelleria ai difensori o, in qualche ufficio, all'accettazione di depositi di liste testi, istanze ed atti vari, che fino a qualche tempo fa pervenivano via fax (a suo tempo innovativo ed oggi quasi obsoleto) e ora cominciano ad esser versati per pec.

In molti tribunali ed in molte procure sono, da qualche tempo, disponibili le copie elettroniche degli incartamenti processuali penali, cui però non si può ancora accedere da remoto ma solo di presenza, utilizzando terminali dedicati, disponibili ai difensori e collegati ad un cervellone centrale; oppure tramite i normali terminali in dotazione alle cancellerie.

I tempi delle lunghe e faticose disamine di ponderosi incartamenti processuali, in cui piegare le pagine per segnare le copie che si ha interesse ad ottenere, sono destinati a non durare ancora a lungo.

L'innovazione tecnologica non sembra, però, essere imposta dal Ministero della Giustizia ma essere soprattutto effetto dell'impulso di pochi uffici, ai quali sono evidentemente preposti funzionari e magistrati che, più di altri, stanno tentando di sfruttare potenzialità poco condivise.

Ci sono, quindi, uffici ove la digitalizzazione non è ancora una realtà; ed altri ove, invece, si è andati parecchio avanti.

Tra questi ultimi, certamente, il tribunale di Cremona.

Da anni si è ivi proceduto alla smaterializzazione, dapprima sperimentale e di seguito sostanzialmente sistematica, dei fascicoli d'archivio per poi giungere ai procedimenti pendenti, in vista dell'obiettivo prefissato del grande risparmio di spazi e di pesi, di una grande funzionalità nella ricerca e, soprattutto, della disponibilità quasi immediata di qualsiasi documento, necessario per l'attività dei soggetti titolati ad utilizzarlo.

Così la copia, integrale o parziale, di qualsiasi procedimento, finalmente a prescindere dalle sue dimensioni, si rende facilmente e subito disponibile a chiunque abbia diritto di averla in ragione dell'attività da svolgere o della posizione rivestita.

Naturalmente, è probabile siano ancora pochi gli uffici giudiziari italiani che potranno raggiungere in tempi brevi la piena digitalizzazione e concedere, così, facilità di accesso e grande funzionalità all'utenza. È certo, però, che l'iter è ormai avviato.

Sembra, peraltro, che le sentenze giunte a conclusione di un iter così tecnologicamente avanzato riscontrino tassi di impugnazione più bassi dei precedenti (da una relazione del Dott. Pierpaolo Beluzzi al Congresso La.P.E.C. di Siracusa)

Il prossimo passo non potrà che essere quello della consultazione da remoto, cui sarà connessa la possibilità di depositare, o di ricevere, con piena validità, atti di qualsiasi natura e finalità per via telematica. Seguirà la partecipazione all'udienza da remoto?

È l'argomento di cui dobbiamo occuparci.

Ad oggi sappiamo per certo, per via dell'ordinanza che è argomento del presente lavoro, che il tribunale di Cremona ha affrontato e risolto – ma vedremo di seguito se sia del tutto accoglibile la soluzione data – il problema di un processo che coinvolgeva un grande numero di parti e che, per ciò solo, imponeva gravi problemi di reperimento di locali e spazi che consentissero l'effettiva, funzionale e contemporanea partecipazione all'udienza di tutte le parti.

Al fine dichiarato di mantenere all'interno del palazzo di Giustizia – perché sua sede naturale – la trattazione del processo in cui erano coinvolti 114 imputati, molte parti offese e tantissimi difensori, l'Ufficio Gup di quel tribunale ha deciso di allestire tre diverse aule, di capienza complessiva sufficiente ad ospitare tutte le parti potenzialmente interessate; e di collegare tali aule tra loro per mezzo di servizi digitali innovativi.

In ciascuna aula è stato presente un cancelliere, che ha avuto a disposizione le macchine e la tecnologia in grado di procedere alla formalizzazione di ogni produzione documentale, analogica o digitale, effettuata dalle parti, scansionata, digitalizzata e caricata, in tempo reale e con procedura automatizzata, sul gestore documentale e quindi messa ad immediata disposizione di tutte le parti partecipanti.

Al contempo, erano state automatizzate le operazioni di verifica delle costituzioni delle parti ai sensi dell'art. 420 c.p.p., così come la redazione del verbale di udienza.

Si è così resa disponibile a tutti gli aventi diritto la consultazione del fascicolo digitalizzato, in formato pdf, a partire dal fascicolo preventivamente predisposto ex art. 416, comma 2, c.p.p. e fino a tutte le integrazioni e produzioni intervenute durante la trattazione dell'udienza preliminare.

Previa una procedura di autenticazione, le parti hanno così potuto collegarsi alla gestione documentale online per scaricare il monumentale fascicolo (81 faldoni cartacei) e gli aggiornamenti sui proprii dispositivi, utilizzare servizi di comunicazione tra loro, visualizzare rapidamente, durante la trattazione dell'udienza, ogni documento utile e perfino ascoltare direttamente ciascuna delle intercettazioni telefoniche, o semplicemente accedere alla trascrizione disponibile.

Al contempo, il sistema ha consentito alle parti di interloquire con gli uffici, richiedere i servizi disponibili, collaborare nella verifica delle presenze e regolare l'afflusso dei difensori alle aule.

Cosa assolutamente fondamentale, infine, il sistema ha previsto l'utilizzo di una tecnologia messa a disposizione dal Dipartimento Gestione Risorse del Ministero della Giustizia, che ha consentito collegamenti audio e video bidirezionali, il controllo da remoto di ogni postazione microfonica da parte di chi ha presieduto l'udienza e la condivisione sullo schermo del personal computer per l'esame in contraddittorio di documenti, anche multimediali. Le tre aule sono state collegate tra loro tramite servizio di video-conferenza ad alta definizione, tale da consentire ad ogni partecipante di seguire direttamente e perfettamente, de visu, lo svolgimento di ogni incombente, a prescindere dalla propria posizione e dalla distanza dal luogo in cui stava accadendo ciò che veniva ripreso.

L'eccezione difensiva

In tal situazione, talmente inconsueta da potersi definire più che straordinaria, i difensori hanno sollevato eccezioni.

La seconda di esse ha riguardato il regime di libera fruibilità e di consultazione del fascicolo online, senza onere di pagamento del diritto di copia. L'eccezione non riguarda l'argomento della presente trattazione.

La prima, eccezione ha invece riguardato l'adozione del sistema di collegamento in video-presenza in un caso estraneo a quelli espressamente e specificamente previsti all'art. 146-bis delle disposizioni di attuazione del codice di rito, anche sotto l'aspetto della mancata adozione del decreto di cui al comma 2 della norma sopra richiamata.

I difensori hanno quindi eccepito la nullità dell'intera udienza per le modalità della sua tenuta.

L'ufficio ha respinto l'eccezione, ritenendo che la norma non fosse applicabile al caso.

L'art. 146-bis disp. att. c.p.p. prevede, infatti ed espressamente, che può esser disposta partecipazione a distanza ai procedimenti per i delitti indicati agli artt. 51, comma 3-bis, e 407, comma 2, lett. a), n. 4 del codice di rito, o quando si procede nei confronti di detenuti cui siano state applicate le misure di cui all'art. 41-bis, comma 2, l. 354/1975, o ancora quando si debba esaminare un teste che si trovi in stato di detenzione in istituto.

Nel caso dell'udienza preliminare in questione, invero, non ricorreva nessuno dei casi sopra elencati, i reati contestati agli imputati non essendo quelli di cui agli artt. 51 o 407 c.p.p. e non essendovi alcun imputato detenuto.

La norma di cui era stata eccepita violazione, inoltre, non è stata giudicata applicabile al caso perchè espressamente riservata a regolare solo la tenuta dell'udienza dibattimentale, e non anche quella preliminare.

La norma in questione, l'art. 146 disp. att. c.p.p., secondo il Gup, è finalizzata a contemperare generali esigenze di sicurezza collegate ai trasferimenti con l'esigenza che l'imputato detenuto sia presente in aula e partecipi direttamente al dibattimento.

Nulla a che fare, dunque, con la tenuta dell'udienza in questione, resa difficoltosa solo dalla quantità di parti che avevano diritto a parteciparvi.

Ciò che sembra assumere maggior interesse riguardo la presente trattazione è però l'altro argomento richiamato dal giudice per respingere l'eccezione difensiva: manca, nel codice di rito, una norma che espressamente vieti la tenuta di un'udienza in video-conferenza o telepresenza in casi diversi da quelli di cui all'art. 146 disp. att. c.p.psopra richiamato. Né la pretesa violazione rientra nella previsione, notoriamente tassativa, delle nullità.

Le nullità astrattamente richiamabili nel caso in argomento

I difensori, con tutta evidenza, hanno ritenuto che una partecipazione a distanza possa esser disposta solo in presenza delle circostanze legittimanti di cui sopra; e che, quindi, sia affetta da nullità la decisione di far partecipare a distanza le parti di un processo in ogni caso diverso da quelli.

A parere del giudice, invece, una nullità potrebbe semmai derivare solo dalla violazione di norme aventi carattere generale, previste all'art. 178 c.p.p. ed in particolare alle lettere b) e c) che riguardano partecipazione […] intervento, assistenza e rappresentanza dell'imputato e delle altre parti private.

In entrambi i casi, il codice di rito mira a garantire la partecipazione attiva dell'imputato e delle altre parti private all'udienza, anche per il tramite di un difensore tecnico e professionale.

Ebbene, lo sviluppo imponente delle tecnologie avrebbe, a parere di quel giudice, riempito di contenuti e potenzialità il concetto di partecipazione, perché ciò che era prima possibile solo con la presenza fisica in aula è oggi perfettamente replicabile attraverso sessioni di telepresenza o videopresenza in alta definizione, che consentono – meglio di come può verificarsi in aule enormi e affollate, in cui si sta a distanza dal teste che viene quindi sentito ma ben poco visto – di soddisfare la capacità di cogliere le espressioni visive e comportamentali di qualsiasi dichiarante e di esprimere quindi un giudizio di attendibilità.

Nessuna nullità, quindi, veniva ritenuta sussistente dal giudice nel caso in questione.

La situazione di fatto e quella di diritto

Effettivamente, sembra potersi dire che la partecipazione, se intesa nel senso di attività utile, attiva e funzionale agli interessi della parte, rimanga piena anche nel caso, oggi ancora futuristico, di video-collegamento ad altissimo tasso di tecnologia, come quello adottato nel caso in esame. Di fatto, la partecipazione attiva al processo, qualunque ne sia la fase, è effettiva e funzionale quando intervento, assistenza e rappresentanza siano completati dalla possibilità di essere protagonisti – e non semplici spettatori – della vicenda processuale. In ciò sembra doversi scorgere la congruità rispetto a quanto voluto dall'impianto codicistico.

Tutto ciò dipende certamente dai modi effettivi della partecipazione, per la cui valutazione, però, si deve prestare attenzione al risultato (e cioè a che nulla comprometta poteri e facoltà delle parti) piuttosto che ai semplici modi di esercizio.

In diritto, potrebbe non essere così? L'art. 178 c.p.p. si limita a prevedere che è sempre prescritta a pena di nullità – di ordine generale – l'osservanza delle disposizioni concernenti “… c) l'intervento, l'assistenza e la rappresentanza dell'imputato e delle altre parti private, nonché la citazione in giudizio della persona offesa dal reato e del querelante.”

Non esiste norma, fino a poco tempo fa del resto imprevedibile, che specifichi con quali modalità debba esercitarsi il diritto di presenza della parte. La partecipazione a distanza è presa in considerazione solo per il caso sopra indicato dell'art. 146 disp. att. c.p.p., in cui la presenza è mediata ma, comunque, certamente sussistente.

In buona sostanza, il Legislatore non ha previsto altra forma di partecipazione che quella esercitata “di presenza”. Vale qui l'antico brocardo secondo cui non disse perchè non volle?

In buona sostanza, può dirsi violata la norma che garantisce il diritto della parte a esser effettivamente presente quando questa presenzi al processo stando davanti a un monitor, in una stanza diversa da quella in cui il teste viene sentito o il pubblico ministero propone le proprie richieste?

Che cosa debba intendersi per “partecipazione al processo”

Ovvero: è partecipazione, nel senso voluto dal Legislatore, l'assistere allo svolgimento degli atti processuali da un monitor? È evidente che il Legislatore, formulando il codice di rito penale, non ha valutato il problema delle aule troppo piccole, che non possono contenere le centinaia di persone che vantano il diritto, incomprimibile ma irrealizzabile, di entrarvi.

L'unica partecipazione da remoto prevista e regolata è quella di cui sopra, giustificata da ragioni di sicurezza pubblica e speditezza.

È quindi vero che risultano valutate circostanze che legittimano una partecipazione da remoto; ed è quindi forse vero che – per gli altri, possibili casi – il Legislatore nulla disse perchè nulla volle. E comunque non valutò come tale il problema.

Tuttavia, com'è noto, il Legislatore è contemporaneo e conserva il potere di modificare le norme. Ne è, anzi, l'unico titolare. Non risulta lo abbia mai voluto esercitare per regolamentare casi simili a quello che ci occupa. Continua a non dire perchè continua a non volere?

In giurisprudenza non si rinvengono casi che possano contribuire a fare chiarezza, neppure a proposito della partecipazione dell'imputato, che in genere è analizzata solo in tema di processo in assenza.

Per quanto riguarda la giurisprudenza sovranazionale, la Corte europea ha affermato, sin dalla sentenza Colozza c. Italia, che sebbene non sia menzionata espressamente nell'art. 6 § 1, il diritto dell'accusato di partecipare all'udienza si ricava dall'oggetto e dallo scopo dell'intero articolo. Del resto, prosegue la Corte, senza la presenza dell'accusato non si comprenderebbero le lettere c), d) ed e) del paragrafo 3 che gli riconoscono il diritto di difendersi da sé, di interrogare o far interrogare i testimoni e di farsi assistere gratuitamente da un interprete se non comprende o non parla la lingua impiegata nell'udienza.

Tutto ciò conferma che è indispensabile garantire che la parte sia posta in condizioni di poter partecipare al giudizio; in ogni sua fase. Ma non risolve il problema di cosa debba intendersi per partecipazione, esente da vizi comportanti la nullità.

Il Gup del tribunale di Cremona non ha affrontato il problema ed ha risolto le eccezioni indicando esplicitamente che il regime delle nullità è tassativo e che non esiste norma che vieti, sottoponendola a sanzione di nullità, la partecipazione al giudizio da remoto.

Sostiene anzi che, con l'adozione della strumentazione audiovisiva cui si è fatto ricorso, è stata addirittura potenziata ogni facoltà delle parti e dei difensori, avendo tutti potuto profittare di schermi ed impianti audio che hanno di fatto reso effettiva, efficace ed efficiente – addirittura incrementandola nei contenuti – la partecipazione delle parti all'udienza preliminare in relazione ai presupposti di cui all'art. 178 cpp.

Non può francamente dubitarsi che, in quella fase processuale, le parti abbiano potuto partecipare più e meglio di quanto avrebbero potuto fare se si fosse trovata, in quel palazzo di giustizia, un'aula capace di contenere tutti. Nessuna compromissione, quindi, hanno dovuto subire e nulla, a quel che è dato sapere, può essere validamente lamentato.

Potrebbe, però, eccepirsi che l'art. 146 disp. att. c.p.p. esprime indicazione tassativa, che non può prevedere estensioni analogiche: la trattazione in quelle forme è prevista solo per il dibattimento e solo in presenza di determinate circostanze; non è, dunque, applicabile all'udienza preliminare, né a casi in cui altre siano le imputazioni e non vi siano detenuti.

Partecipazione è solo quella esercitata di presenza e, se si accede alla considerazione di tassatività di cui sopra, unica presenza sarebbe quella effettiva.

Nessun argomento milita, però, per la tassatività delle ipotesi previste nella norma in argomento, se non quello logico che discende dall'impianto generale del codice e, soprattutto, dalla necessità di considerare che non possono esistere più forme di trattazione del processo, diverse e comunque ulteriori rispetto a quella voluta dal codice.

Nel processo codicistico, e perciò “giusto”, la garanzia da riconoscere alla partecipazione delle parti è indiscutibile.

Può il giudice “inventare” soluzioni ad un problema che il codice non prevede? E, nel caso che ci occupa, può il giudice stabilire la trattazione del processo nelle forme del richiamato art. 146 disp. att. c.p.p., che influisce sulle modalità di partecipazione, anche quando non ne ricorrano le condizioni legittimanti?

Una risposta non può prescindere dalla corretta disamina del fatto che nessun danno pare esser stato arrecato alle parti di quel processo.

Nessuno sembra aver subito limitazioni all'esercizio dei propri poteri, diritti e facoltà.

L'esito di quella fase di giudizio, dunque, non sembra condizionata dalla scelta “innovativa” compiuta dal giudice. In tal caso, la questione non sembra neppure essere possibile oggetto di un'impugnazione, che dovrebbe basarsi – oltre che su una violazione di legge – su un interesse (art. 568, comma 4, c.p.p.), che nel caso si fatica a individuare.

Si torna, quindi, al problema iniziale, consistente nella necessità di interpretare cosa il codice intenda per partecipazione.

Non sembra potersi adottare soluzione diversa da quella che intende per partecipazione la presenza alla trattazione secondo modalità che rendano immediatamente possibile la piena comprensione di tutto ciò che accade e l'efficace, tempestivo intervento a tutela dei propri diritti e facoltà. Non c'è motivo di ritenere che una partecipazione, mediata da strumenti tecnologici avanzatissimi, sia qualcosa di diverso.

Del resto, è ciò che accade giornalmente in ogni aula giudiziaria: per i motivi più diversi, ogni parte è pienamente presente a ciò che accade e riesce a spiegare intervento per il tramite dei sistemi audio che gli consentono di sentire e capire così come di esser sentito e capito.

Anche in questo caso si tratta di una partecipazione mediata attraverso strumenti ma non per questo meno funzionale ed efficiente.

Partecipazione al processo è concetto che va inteso nel senso della funzionalità al pieno esercizio di tutte le facoltà di cui si compone il complesso dei diritti che il codice riconosce alle parti.

Nessuna nullità, dunque, sembra potersi validamente eccepire nel caso in questione perchè nessuna violazione espressamente sanzionata si è verificata.

Ed anche da un punto di vista squisitamente “fattuale”, non sembra potersi validamente sostenere che qualcuno abbia dovuto sopportare una qualsivoglia minorazione quale conseguenza della coraggiosa ed innovativa decisione di quel giudice.

Va, anzi, sottolineato che se le norme a presidio della partecipazione delle parti al processo penale prevedono che facoltà e diritti delle parti siano garantiti ed effettivi, ogni miglioramento di tali facoltà e di tali diritti non può che dirsi come assolutamente congruo rispetto allo spirito della legge.

La partecipazione, in conclusione, è tutelata e garantita in tutte le forme che ne assicurino efficacia funzionale.

In conclusione

Eppure, anche se non può intravvedersi nullità alcuna e non può, quindi validamente reclamarsi sanzione alcuna, va fatta qualche sottolineatura.

È certamente vero che non esiste una soluzione codicistica al problema ma è anche vero che proprio tale mancanza comporterebbe che nessuna soluzione vada improntata e applicata da chi non ha potere normativo.

Non è la soluzione che manca, bensì – e ancor prima – la prospettazione del problema.

Il codice non esamina, e quindi non risolve, il problema delle aule piccole o comunque di insufficiente capienza; può essere il giudice titolare del diritto di intervenire?

Nei limiti che il codice pone a tutela dei diritti delle parti – le quali non devono riceverne compromissioni – e in ragione di una trattazione funzionale del processo, probabilmente si!

Nonostante ciò, si pone comunque il problema di un possibile arbitrio, per quanto ingeneroso il termine possa apparire.

Il fatto è che, in situazioni simili e in mancanza di una soluzione chiara e univoca offerta dalla legge, si corre il rischio che ogni giudice possa ritenere opportuna ed adeguata una soluzione diversa, che per ciò solo non potrà esser sempre congrua.

Nell'ottica del giusto processo costituzionale, va garantito che il processo sia trattato sulla base di regole uguali per tutti e che pervenga a un esito che su tali regole trovi fondamento.

Semplicemente, la trattazione dei processi deve seguire le regole, le sole, previste nel codice.

L'antico brocardo secondo cui ubi voluit dixit, a prescindere perfino dalla sua effettiva e concreta logicità, deve stare soprattutto a significare che non è dato ad altri, se non al Legislatore, il potere di introdurre soluzioni alle problematiche che vengano a presentarsi. Né di innovare i codici.

Neppure nel caso, come quello in argomento, in cui la soluzione offerta sia non solo esente da nullità ma addirittura migliorativa e qualitativamente ineccepibile

In conclusione, la decisione adottata dal giudice di Cremona non sembra impugnabile; e ciò tanto per difetto diinteresse, quanto per difetto di violazioni di legge, che nel caso non ricorrono. Tuttavia, essa pone il problema del limite al potere del giudice di merito di interpretare le singole norme o, ancor più, quelle indicazioni che derivano dall'impianto e dall'andamento generale del codice, rese di difficilissima comprensibilità dai molteplici e disordinati interventi che negli anni si sono susseguiti.

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