Estorsione
10 Dicembre 2015
Inquadramento
Il delitto di estorsione si concreta, secondo la formula dell'art. 629 c.p., nel fatto di chi mediante violenza o minaccia, costringendo taluno a fare o ad omettere qualche cosa, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno. La norma descrive la condotta (la violenza e la minaccia), una serie di eventi naturalistici (il metus indotto nel soggetto passivo e la di lui conseguente condotta di disposizione patrimoniale, il danno e il profitto ingiusto) e il nesso causale tra la minaccia o la violenza e il comportamento collaborativo, ai quali conseguono danno e profitto. La norma tutela l'interesse del soggetto a poter operare in termini patrimonialmente rilevanti indipendentemente da altre interferenze incidenti sulla formazione della sua volontà. Si tratta pertanto di un reato plurioffensivo in quanto lesivo del patrimonio e della libera determinazione della persona I soggetti
Soggetto attivo può essere chiunque (reato comune). Quando si tratti di pubblico ufficiale occorrerà indagare se, concorrendo l'abuso della qualità o delle funzioni e il metus publicae potestatis, non ricorrano gli estremi del più grave delitto di concussione (art. 317 c.p.), capace di prevalere nella situazione di concorso apparente di norme eventualmente ravvisabile.
Tale disposizione non trova invece applicazione nell'ipotesi tentata di detti delitti, perché, in virtù dell'autonomia del delitto tentato, gli effetti giuridici sfavorevoli previsti con specifico richiamo di determinate norme incriminatrici vanno riferiti alle sole ipotesi di reato consumato, essendo le norme sfavorevoli di stretta interpretazione con la conseguenza che in difetto di espressa previsione non trovano applicazione anche per le corrispondenti ipotesi di delitto tentato. (Cass. pen.,n. 13694 del 2005; Cass. pen., n. 12403 del 2009; Cass. pen, n. 18273 del 2011; Cass. pen., n. 5504 2014). Soggetto passivo può essere colui contro il quale viene realizzata la violenza o minaccia o anche altra persona se, per effetto di ciò, subendo l'intimidazione, si induca ad un atto per lei pregiudizievole. Non vi è quindi necessaria identità tra il minacciato, l'intimidito e il danneggiato. La violenza o minaccia
L'azione criminosa deve essere qualificata da violenza o minaccia. La violenza può essere propria, cioè volta a vincere la resistenza del paziente con l'impiego diretto di qualsiasi mezzo di coazione fisica; o impropria, cioè attuata mettendo taluno nella impossibilità di determinarsi liberamente con una attività insidiosa o esercitando comunque, con azioni od omissioni giuridicamente rilevanti e non riconducibili allo schema della minaccia o del semplice inganno, una apprezzabile pressione psichica sul soggetto passivo, tale da indurlo a comportamenti che egli in condizioni normali non porrebbe in essere . Mentre per la rapina la legge esige espressamente una violenza alla persona, nell'estorsione richiede semplicemente l'impiego della violenza. Nel delitto in esame si è pertanto inteso attribuire rilievo non soltanto alla violenza propria ma anche a quella impropria, che, se pur può cadere sui beni patrimoniali, si riverbera in una coazione psichica verso il soggetto passivo. Del resto, chi consideri la gamma dei comportamenti che nella coscienza sociale vengono pacificamente considerati come idonei all'estorsione e che tali sono stati ritenuti dalla giurisprudenza, non può conservare dubbi sulla rilevanza della violenza reale (incendio, taglio di piante, furto o uccisione di animali, ecc.) Il contenuto della nozione di violenza deve essere ricavato dal raffronto e conseguente reciproca delimitazione della sfera di operatività della minaccia, elemento materiale della rapina. È stato messo in evidenza come la violenza richiamata dall'articolo 629 c.p. non possa consistere in una vis absoluta, presente la quale il suo destinatario verrebbe posto nella impossibilità di porre in essere quella condotta ragionevolmente riferibile al proprio autore richiesta dal legislatore, essa deve invece lasciare al proprio destinatario uno spazio di libertà si da mantenere pur sempre e solo un significato strumentale rispetto ad un obiettivo ulteriore, quello di indurlo a realizzare, scegliendo il male minore, la condotta pretesa dall'agente (lasciandoli pertanto un minimo ragionevole di libertà di scelta). Risulta pertanto difficoltosa una netta separazione della violenza dalla minaccia cui in termini di equivalenza fa riferimento l'art. 629 c.p. La violenza si deve collocare infatti fra due limiti: uno superiore costituito dalla violenza richiesta dalla previsione che delinea la rapina; uno inferiore, costituito dalla possibilità che l'estorsione stessa sia posta in essere mediante ricorso alla minaccia e comunque deve essere caratterizzata dal proprio essere strumentale al conseguimento di un obiettivo postulante il fatto collaborativo del soggetto passivo; fatto collaborativo ottenuto in relazione all'indotto metus. Per la sussistenza del delitto di estorsione non si richiede che la volontà del soggetto passivo, per effetto della minaccia, sia completamente esclusa ma che, residuando la possibilità di scelta fra l'accettare le richieste dell'agente o subire il male minacciato, la possibilità di autodeterminazione sia condizionata in maniera più o meno grave dal timore di subire il pregiudizio prospettato; se la minaccia, viceversa, si risolvesse in un costringimento psichico assoluto, cioè in un annullamento di qualsiasi possibilità di scelta, ed il risultato dell'agente fosse il conseguimento di un bene mobile, si configurerebbe infatti un vero e proprio impossessamento e, conseguentemente, il diverso reato di rapina.
La minaccia, intesa come promessa di un male apprezzabile futuro ed ingiusto, dipendente dalla volontà del soggetto attivo e tale da annullare, o almeno limitare considerevolmente, il potere di autodeterminazione del soggetto passivo, può assumere gli aspetti più diversi. Può essere fatta direttamente o a mezzo di intermediario, per posta, per telefono, in modo palese o larvato, reale o simbolico, determinato o allusivo o pretestuoso e può anche concretarsi in artifizi, raggiri, simulazioni, mezzi fraudolenti di qualunque genere, sempre che non siano volti semplicemente ad indurre in inganno, perché in questo caso si avrebbe il delitto di truffa, ma siano finalizzati ad intimidire. Persino il consiglio, l'esortazione e la preghiera, quando per le modalità di ambiente o di persona siano tali da esercitare una apprezzabile pressione sull'animo del destinatario, possono acquisire rilievo.
La giurisprudenza (Cass. pen., n.19724 del 2010; Cass. pen., n. 2833 del 2013; Cass. pen., n. 11922 del 2013; Cass. pen., n. 53652 del 2014) ha definito estorsione ambientale quella particolare forma di estorsione, che viene perpetrata da soggetti notoriamente inseriti in pericolosi gruppi criminali che spadroneggiano in un determinato territorio e che è immediatamente percepita dagli abitanti di quella zona come concreta e di certa attuazione, stante la forza criminale dell'associazione di appartenenza del soggetto agente, quand'anche attuata con linguaggio e gesti criptici, a condizione che questi siano idonei ad incutere timore e a coartare la volontà della vittima. È stato ritenuto integrare il delitto di estorsione il fatto del ladro che chiede ed ottiene dal derubato il pagamento di una somma di denaro come corrispettivo della restituzione della refurtiva, a nulla rilevando che il pagamento sia successivo alla restituzione; e ciò in quanto la vittima subisce gli effetti della minaccia originaria che ne contiene una implicita, e cioè quella della rappresaglia in mancanza di adempimento dell'obbligazione contratta in adesione alla richiesta di danaro rivoltale dal ladro (Cass. pen. Sez. II, 11 ottobre 2000, n. 12326). Così come è stato ritenuto integrare il delitto di tentata estorsione la condotta dell'autore di una truffa che chiede alla persona offesa il pagamento di una somma di denaro come corrispettivo della restituzione di quanto illecitamente sottrattogli con artifici e raggiri.(Cass. pen. n. 8309 del 1998; Cass. pen., n. 12326 del 2000; Cass. pen., n. 25675 del 2014)
Il contenuto della coartazione
Ad integrare l'elemento materiale del reato si richiede che con la violenza o la minaccia il soggetto passivo sia stato costretto a fare o ad omettere qualche cosa. La formula è analoga a quella della violenza privata (art. 610 c.p.), dove tuttavia accanto al riferimento al fare e all'omettere compare quello al tollerare. L'oggetto materiale dell'azione od omissione deve consistere in un atto capace di incidere in modo diretto o indiretto sul patrimonio del soggetto passivo. L'amplissimo riferimento normativo al fare o all'omettere qualche cosa trova, infatti, una limitazione negli altri requisiti che concorrono a costituire l'elemento materiale del reato e il qualche cosa finisce col concretarsi in un atto di disposizione patrimoniale di qualsiasi genere e relativo a qualsivoglia bene o diritto. È pertanto agevole rilevare un altro carattere differenziale rispetto alla rapina che richiede l'impossessamento di una cosa mobile. Altro fondamentale requisito del delitto in oggetto, che lo distingue dalla violenza privata, è, da parte dell'agente, il procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno. L'elemento dell'ingiusto profitto si individua in qualsiasi vantaggio, non solo di tipo economico, che l'autore intenda conseguire, e che non si collega ad un diritto o è perseguito con uno strumento antigiuridico, o ancora con uno strumento legale ma avente uno scopo tipico diverso. Nella nozione di profitto è compreso sia l'arricchimento sia la mancata diminutio del patrimonio.
Nell'estorsione patrimoniale, che si realizza quando al soggetto passivo sia imposto di porsi in rapporto negoziale di natura patrimoniale con l'agente o con altri soggetti, l'elemento dell'ingiusto profitto con altrui danno è implicito nel fatto stesso che il contraente-vittima sia costretto al rapporto in violazione della propria autonomia negoziale, impedendogli così di perseguire i propri interessi economici nel modo e nelle forme ritenute più confacenti ed opportune. Precisato che un profitto non può mai essere ritenuto ingiusto quando abbia come fondamento una pretesa riconosciuta e tutelata dall'ordinamento giuridico, sia in modo diretto (cioè, col concedere azione per farla valere in giudizio), sia in modo indiretto (per esempio, negando la condictio indebiti e accordando il beneficio della soluti retentio, come avviene per le obbligazioni naturali), deve rilevarsi che in tali ipotesi, se si verifichi una violenza o minaccia per indurre il soggetto passivo a fare od omettere qualche cosa, si potrà ravvisare a seconda dei casi la violenza privata o l'esercizio arbitrario delle proprie ragioni, non l'estorsione .
Quando la pretesa sia legittima non incide sull'ingiustizia del profitto la sola antigiuridicità del mezzo coattivo usato (percosse, lesioni, ecc.). Oltre al profitto ingiusto del soggetto attivo la legge richiede il danno altrui come conseguenza dell'azione criminosa, alla quale il pregiudizio deve essere legato da nesso eziologico. Deve trattarsi di un danno patrimoniale, mentre, come si è detto, è indifferente che l'oggetto della minaccia sia o non sia il patrimonio o che lo scopo di profitto sia o meno la realizzazione di un vantaggio economico . Tanto il profitto quanto il danno possono riferirsi a persone rispettivamente diverse dal soggetto attivo o da colui o coloro contro cui la violenza o minaccia è diretta. Il momento consumativo e il tentativo
Il momento consumativo si realizza quando da un lato l'agente consegue il profitto ingiusto che si è proposto e dall'altro il soggetto passivo incontra il danno patrimoniale.
Il tentativo è naturalmente ipotizzabile tanto se l'azione criminosa sia rimasta interrotta per cause indipendenti dalla volontà dell'agente, quanto se, esaurita l'azione, il danno non si sia verificato. In ogni modo, quando il soggetto attivo si sia proposto di realizzare un ingiusto profitto con altrui danno, il mancato raggiungimento dello scopo darà luogo a tentativo di estorsione, non a semplice violenza privata o minaccia. Solo se non si riscontra il fine suddetto o se è intervenuta desistenza potranno sussistere questi ultimi reati, ove ne concorrano gli estremi.
Ricorre l'ipotesi di desistenza volontaria solo qualora l'agente abbia ancora l'oggettiva possibilità di consumare il reato in quanto ancora nel pieno dominio dell'azione in atto
Le circostanze aggravanti
Il comma 2 dell'art. 629 c.p. richiama le circostanze aggravanti speciali elencate nell'ultimo capoverso dell'articolo 628 c.p.
Così come è stato osservato dalla giurisprudenza della Cassazione (Cass. pen., n. 31199 del 2014) nel reato di estorsione, la circostanza aggravante delle più persone riunite – integrata dalla simultanea presenza di non meno di due persone nel luogo ed al momento di realizzazione della violenza o della minaccia – non richiede quale connotato soggettivo la consapevolezza della partecipazione di altri concorrenti nel numero sufficiente ad integrare l'aggravante stessa, poiché essa, concernendo le modalità dell'azione, ha natura oggettiva e, conseguentemente, si comunica a tutti coloro che concorrono nel reato. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto corretta la decisione impugnata laddove aveva applicato l'aggravante in questione ai concorrenti morali non presenti sul luogo e nel momento in cui era formulata la richiesta estorsiva). I rapporti con gli altri reati
Truffa. Secondo l'orientamento della giurisprudenza integra il delitto di truffa la condotta di colui che prospetti un male possibile ed eventuale, in ogni caso non proveniente direttamente o indirettamente da chi lo prospetta, in modo che la persona offesa non sia coartata, ma si determini alla prestazione, costituente l'ingiusto profitto dell'agente, perché tratta in errore dall'esposizione di un pericolo inesistente; mentre si configura l'estorsione se il male viene indicato come certo e realizzabile ad opera del reo o di altri, poiché in tal caso la persona offesa è posta nell'ineluttabile alternativa di far conseguire all'agente il preteso profitto o di subire il male minacciato (Cass. pen., Sez. II, 6 maggio 2008, n. 21537; Cass. pen., Sez. II, 30 giugno 2010, n. 35346; Cass. pen., Sez. II, 4 aprile 2012, n. 27363; Cass. pen., Sez. II, n. 28390 del 2013 Rv. 256459; Cass. pen., Sez. II,n. 7662 del 2015). Violenza privata. Nei rapporti con la violenza privata (art. 610 c.p.) l'estorsione si differenzia, da un lato, perché l'oggetto della costrizione non può consistere in un mero pati, in una semplice tolleranza del soggetto passivo, dall'altro e soprattutto perché l'agente opera per realizzare un ingiusto profitto con altrui danno patrimoniale. Così delineati i rapporti colla violenza privata restano a fortiori definiti quelli col reato di minaccia. Violenza o minaccia per costringere a commettere un reato (art. 611 c.p.). Tale delitto e quello di estorsione possono formalmente concorrere perché essi, data la diversità delle condotte finalistiche e dei beni tutelati, non sono in rapporto di specialità. Turbata libertà degli incanti. Secondo l'orientamento prevalente della giurisprudenza di legittimità (Cass. pen., n. 3797 del 1990; Cass. pen., n. 45625 del 2003; Cass. pen., n. 4925 del 2006; Cass. pen. n. 12266 del 2008; Cass. pen., n. 13505 del 2008; Cass. pen., n. 22200 del 2013 l'estorsione e la turbata libertà degli incanti possono concorrere formalmente, in quanto le due norme hanno diversa obiettività giuridica, tutelando la prima il patrimonio, attraverso la repressione di atti diretti a coartare la libertà di autodeterminazione del soggetto negli atti di disposizione patrimoniale, e, la seconda, la libera formazione delle offerte nei pubblici incanti e nelle licitazioni private. Rapina. Con riguardo ai rapporti con la rapina è indispensabile determinare se la condotta spesa dal soggetto passivo è stata propria di quest'ultimo o no: in altri termini occorre accertare se quest'ultimo ha avuto o no a disposizione, al momento dell'eventuale spendita di una condotta collaborativa una ragionevole possibilità di scelta. Concussione. Merita ricordare che la giurisprudenza ha affermato che è configurabile il reato di concussione quando la costrizione (ossia la minaccia) del pubblico ufficiale si concretizzi nel compimento di un atto o di un comportamento del proprio ufficio, strumentalizzato per perseguire illegittimi fini personali; mentre sussiste il delitto di estorsione aggravata ai sensi dell'art. 61, n. 9 c.p. quando l'agente ponga in essere, nei confronti di un privato, minacce diverse da quelle consistenti nel compimento di un atto o di un comportamento del proprio ufficio, sicché la qualifica di pubblico ufficiale si pone in un rapporto di pura occasionalità, avente la funzione di rafforzare la condotta intimidatoria nei confronti del soggetto passivo (Cass. pen., n. 12736 del 2014). Casistica
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