Estorsione

Giovanna Verga
10 Dicembre 2015

Il delitto di estorsione si concreta, secondo la formula dell'art. 629 c.p., nel fatto di chi mediante violenza o minaccia, costringendo taluno a fare o ad omettere qualche cosa, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno. La norma descrive la condotta (la violenza e la minaccia), una serie di eventi naturalistici (il metus indotto nel soggetto passivo e la di lui conseguente condotta di disposizione patrimoniale, il danno e il profitto ingiusto) e il nesso causale tra la minaccia o la violenza e il comportamento collaborativo, ai quali conseguono danno e profitto.
Inquadramento

Il delitto di estorsione si concreta, secondo la formula dell'art. 629 c.p., nel fatto di chi mediante violenza o minaccia, costringendo taluno a fare o ad omettere qualche cosa, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno. La norma descrive la condotta (la violenza e la minaccia), una serie di eventi naturalistici (il metus indotto nel soggetto passivo e la di lui conseguente condotta di disposizione patrimoniale, il danno e il profitto ingiusto) e il nesso causale tra la minaccia o la violenza e il comportamento collaborativo, ai quali conseguono danno e profitto.

La norma tutela l'interesse del soggetto a poter operare in termini patrimonialmente rilevanti indipendentemente da altre interferenze incidenti sulla formazione della sua volontà. Si tratta pertanto di un reato plurioffensivo in quanto lesivo del patrimonio e della libera determinazione della persona

I soggetti

Soggetto attivo può essere chiunque (reato comune).

Quando si tratti di pubblico ufficiale occorrerà indagare se, concorrendo l'abuso della qualità o delle funzioni e il metus publicae potestatis, non ricorrano gli estremi del più grave delitto di concussione (art. 317 c.p.), capace di prevalere nella situazione di concorso apparente di norme eventualmente ravvisabile.

In evidenza

Nelle ipotesi di delitto consumato di cui agli artt. 628, 629 e 630 c.p., la causa di non punibilità prevista dall'art. 649, ultimo comma, c.p.p.non opera sempre e comunque sia che il reato sia stato commesso con violenza o con minaccia, proprio perché la testuale locuzione limitatrice commesso con violenza alle persone si riferisce unicamente ad ogni altro delitto contro il patrimonio: id est ad ogni delitto contro il patrimonio ulteriore e diverso rispetto a quelli espressamente e nominativamente indicati (artt. 628, 629 e 630 c.p.), dei quali dunque, pur se commessi in danno di prossimi congiunti, permane punibilità e perseguibilità d'ufficio ancorché connotati dal ricorso alla minaccia e non anche dalla violenza alle persone ( Cass. pen. n. 22628/2001; Cass. pen. n. 28141/2010).

Tale disposizione non trova invece applicazione nell'ipotesi tentata di detti delitti, perché, in virtù dell'autonomia del delitto tentato, gli effetti giuridici sfavorevoli previsti con specifico richiamo di determinate norme incriminatrici vanno riferiti alle sole ipotesi di reato consumato, essendo le norme sfavorevoli di stretta interpretazione con la conseguenza che in difetto di espressa previsione non trovano applicazione anche per le corrispondenti ipotesi di delitto tentato. (Cass. pen.,n. 13694 del 2005; Cass. pen., n. 12403 del 2009; Cass. pen, n. 18273 del 2011; Cass. pen., n. 5504 2014).

Soggetto passivo può essere colui contro il quale viene realizzata la violenza o minaccia o anche altra persona se, per effetto di ciò, subendo l'intimidazione, si induca ad un atto per lei pregiudizievole. Non vi è quindi necessaria identità tra il minacciato, l'intimidito e il danneggiato.

La violenza o minaccia

L'azione criminosa deve essere qualificata da violenza o minaccia.

La violenza può essere propria, cioè volta a vincere la resistenza del paziente con l'impiego diretto di qualsiasi mezzo di coazione fisica; o impropria, cioè attuata mettendo taluno nella impossibilità di determinarsi liberamente con una attività insidiosa o esercitando comunque, con azioni od omissioni giuridicamente rilevanti e non riconducibili allo schema della minaccia o del semplice inganno, una apprezzabile pressione psichica sul soggetto passivo, tale da indurlo a comportamenti che egli in condizioni normali non porrebbe in essere .

Mentre per la rapina la legge esige espressamente una violenza alla persona, nell'estorsione richiede semplicemente l'impiego della violenza. Nel delitto in esame si è pertanto inteso attribuire rilievo non soltanto alla violenza propria ma anche a quella impropria, che, se pur può cadere sui beni patrimoniali, si riverbera in una coazione psichica verso il soggetto passivo. Del resto, chi consideri la gamma dei comportamenti che nella coscienza sociale vengono pacificamente considerati come idonei all'estorsione e che tali sono stati ritenuti dalla giurisprudenza, non può conservare dubbi sulla rilevanza della violenza reale (incendio, taglio di piante, furto o uccisione di animali, ecc.)

Il contenuto della nozione di violenza deve essere ricavato dal raffronto e conseguente reciproca delimitazione della sfera di operatività della minaccia, elemento materiale della rapina. È stato messo in evidenza come la violenza richiamata dall'articolo 629 c.p. non possa consistere in una vis absoluta, presente la quale il suo destinatario verrebbe posto nella impossibilità di porre in essere quella condotta ragionevolmente riferibile al proprio autore richiesta dal legislatore, essa deve invece lasciare al proprio destinatario uno spazio di libertà si da mantenere pur sempre e solo un significato strumentale rispetto ad un obiettivo ulteriore, quello di indurlo a realizzare, scegliendo il male minore, la condotta pretesa dall'agente (lasciandoli pertanto un minimo ragionevole di libertà di scelta).

Risulta pertanto difficoltosa una netta separazione della violenza dalla minaccia cui in termini di equivalenza fa riferimento l'art. 629 c.p.

La violenza si deve collocare infatti fra due limiti: uno superiore costituito dalla violenza richiesta dalla previsione che delinea la rapina; uno inferiore, costituito dalla possibilità che l'estorsione stessa sia posta in essere mediante ricorso alla minaccia e comunque deve essere caratterizzata dal proprio essere strumentale al conseguimento di un obiettivo postulante il fatto collaborativo del soggetto passivo; fatto collaborativo ottenuto in relazione all'indotto metus.

Per la sussistenza del delitto di estorsione non si richiede che la volontà del soggetto passivo, per effetto della minaccia, sia completamente esclusa ma che, residuando la possibilità di scelta fra l'accettare le richieste dell'agente o subire il male minacciato, la possibilità di autodeterminazione sia condizionata in maniera più o meno grave dal timore di subire il pregiudizio prospettato; se la minaccia, viceversa, si risolvesse in un costringimento psichico assoluto, cioè in un annullamento di qualsiasi possibilità di scelta, ed il risultato dell'agente fosse il conseguimento di un bene mobile, si configurerebbe infatti un vero e proprio impossessamento e, conseguentemente, il diverso reato di rapina.

La minaccia, intesa come promessa di un male apprezzabile futuro ed ingiusto, dipendente dalla volontà del soggetto attivo e tale da annullare, o almeno limitare considerevolmente, il potere di autodeterminazione del soggetto passivo, può assumere gli aspetti più diversi. Può essere fatta direttamente o a mezzo di intermediario, per posta, per telefono, in modo palese o larvato, reale o simbolico, determinato o allusivo o pretestuoso e può anche concretarsi in artifizi, raggiri, simulazioni, mezzi fraudolenti di qualunque genere, sempre che non siano volti semplicemente ad indurre in inganno, perché in questo caso si avrebbe il delitto di truffa, ma siano finalizzati ad intimidire. Persino il consiglio, l'esortazione e la preghiera, quando per le modalità di ambiente o di persona siano tali da esercitare una apprezzabile pressione sull'animo del destinatario, possono acquisire rilievo.

In evidenza

Ciò che conta in sostanza è l'idoneità del comportamento a coartare la libertà di determinazione. L'idoneità della minaccia, quale elemento costitutivo del delitto di estorsione, va valutata con giudizio ex ante e cioè nella obiettive capacità di porre in essere un attacco alla libertà psichica della vittima che viene, in conseguenza, a trovarsi in uno stato di costrizione.

Non è necessario che il danno o il pericolo prospettato colla minaccia sia gravissimo o grave, bastando che sia serio e comunque capace di coartare la volontà del soggetto passivo, tenuto conto di tutte le modalità del caso e senza che abbia rilievo la circostanza che la coartazione non abbia avuto in concreto successo per le doti di carattere dell'offeso.

La giurisprudenza (Cass. pen., n.19724 del 2010; Cass. pen., n. 2833 del 2013; Cass. pen., n. 11922 del 2013; Cass. pen., n. 53652 del 2014) ha definito estorsione ambientale quella particolare forma di estorsione, che viene perpetrata da soggetti notoriamente inseriti in pericolosi gruppi criminali che spadroneggiano in un determinato territorio e che è immediatamente percepita dagli abitanti di quella zona come concreta e di certa attuazione, stante la forza criminale dell'associazione di appartenenza del soggetto agente, quand'anche attuata con linguaggio e gesti criptici, a condizione che questi siano idonei ad incutere timore e a coartare la volontà della vittima.

È stato ritenuto integrare il delitto di estorsione il fatto del ladro che chiede ed ottiene dal derubato il pagamento di una somma di denaro come corrispettivo della restituzione della refurtiva, a nulla rilevando che il pagamento sia successivo alla restituzione; e ciò in quanto la vittima subisce gli effetti della minaccia originaria che ne contiene una implicita, e cioè quella della rappresaglia in mancanza di adempimento dell'obbligazione contratta in adesione alla richiesta di danaro rivoltale dal ladro (Cass. pen. Sez. II, 11 ottobre 2000, n. 12326).

Così come è stato ritenuto integrare il delitto di tentata estorsione la condotta dell'autore di una truffa che chiede alla persona offesa il pagamento di una somma di denaro come corrispettivo della restituzione di quanto illecitamente sottrattogli con artifici e raggiri.(Cass. pen. n. 8309 del 1998; Cass. pen., n. 12326 del 2000; Cass. pen., n. 25675 del 2014)

Il contenuto della coartazione

Ad integrare l'elemento materiale del reato si richiede che con la violenza o la minaccia il soggetto passivo sia stato costretto a fare o ad omettere qualche cosa.

La formula è analoga a quella della violenza privata (art. 610 c.p.), dove tuttavia accanto al riferimento al fare e all'omettere compare quello al tollerare.

L'oggetto materiale dell'azione od omissione deve consistere in un atto capace di incidere in modo diretto o indiretto sul patrimonio del soggetto passivo. L'amplissimo riferimento normativo al fare o all'omettere qualche cosa trova, infatti, una limitazione negli altri requisiti che concorrono a costituire l'elemento materiale del reato e il qualche cosa finisce col concretarsi in un atto di disposizione patrimoniale di qualsiasi genere e relativo a qualsivoglia bene o diritto. È pertanto agevole rilevare un altro carattere differenziale rispetto alla rapina che richiede l'impossessamento di una cosa mobile.

L'ingiusto profitto con altrui danno

Altro fondamentale requisito del delitto in oggetto, che lo distingue dalla violenza privata, è, da parte dell'agente, il procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno.

L'elemento dell'ingiusto profitto si individua in qualsiasi vantaggio, non solo di tipo economico, che l'autore intenda conseguire, e che non si collega ad un diritto o è perseguito con uno strumento antigiuridico, o ancora con uno strumento legale ma avente uno scopo tipico diverso.

Nella nozione di profitto è compreso sia l'arricchimento sia la mancata diminutio del patrimonio.

In evidenza

L'ingiustizia che deve connotare il profitto va intesa in senso ampio e cioè come contrarietà al diritto (profitto ingiusto come profitto conseguito contra jus) sia come mancanza di supporto normativo (profitto conseguito sine jure).

Il profitto deve ritenersi ingiusto allorché sia fondato su una pretesa non tutelata dall'ordinamento giuridico né in via diretta - quando, cioè, si riconosce al suo titolare il potere di farla valere in giudizio – nè in via indiretta – quando, pur negandosi il potere di agire, si accordi il diritto di ritenere quanto spontaneamente sia stato adempiuto, come nel caso delle obbligazioni naturali menzionate nell'art. 2034 c.c.

Nell'estorsione patrimoniale, che si realizza quando al soggetto passivo sia imposto di porsi in rapporto negoziale di natura patrimoniale con l'agente o con altri soggetti, l'elemento dell'ingiusto profitto con altrui danno è implicito nel fatto stesso che il contraente-vittima sia costretto al rapporto in violazione della propria autonomia negoziale, impedendogli così di perseguire i propri interessi economici nel modo e nelle forme ritenute più confacenti ed opportune.

Precisato che un profitto non può mai essere ritenuto ingiusto quando abbia come fondamento una pretesa riconosciuta e tutelata dall'ordinamento giuridico, sia in modo diretto (cioè, col concedere azione per farla valere in giudizio), sia in modo indiretto (per esempio, negando la condictio indebiti e accordando il beneficio della soluti retentio, come avviene per le obbligazioni naturali), deve rilevarsi che in tali ipotesi, se si verifichi una violenza o minaccia per indurre il soggetto passivo a fare od omettere qualche cosa, si potrà ravvisare a seconda dei casi la violenza privata o l'esercizio arbitrario delle proprie ragioni, non l'estorsione .

In evidenza

Sul punto occorre considerare che la pretesa deve ritenersi non riconosciuta o tutelata non soltanto quando manchi assolutamente di fondamento, ma anche quando sia indebita per l'entità, il momento in cui viene avanzata, il soggetto a cui si richiede.

Quando la pretesa sia legittima non incide sull'ingiustizia del profitto la sola antigiuridicità del mezzo coattivo usato (percosse, lesioni, ecc.).

Oltre al profitto ingiusto del soggetto attivo la legge richiede il danno altrui come conseguenza dell'azione criminosa, alla quale il pregiudizio deve essere legato da nesso eziologico.

Deve trattarsi di un danno patrimoniale, mentre, come si è detto, è indifferente che l'oggetto della minaccia sia o non sia il patrimonio o che lo scopo di profitto sia o meno la realizzazione di un vantaggio economico .

Tanto il profitto quanto il danno possono riferirsi a persone rispettivamente diverse dal soggetto attivo o da colui o coloro contro cui la violenza o minaccia è diretta.

Il momento consumativo e il tentativo

Il momento consumativo si realizza quando da un lato l'agente consegue il profitto ingiusto che si è proposto e dall'altro il soggetto passivo incontra il danno patrimoniale.

Casistica

La giurisprudenza non esclude la consumazione del reato il fatto che la consegna del denaro da parte della vittima all'estorsore sia avvenuta sotto gli occhi delle forze dell'ordine preventivamente allertate ed appostate, le quali peraltro non l'abbiano impedita, ma siano intervenute soltanto dopo il conseguimento del possesso, ancorché temporaneo, della somma da parte dell'estorsore (Cass. pen., Sez. unite n. 19 del 1999; Cass. pen., n. 27601 del 2009)

L'avvenuta consegna, sia pure per pochi attimi, di una somma di denaro inferiore a quella richiesta dall'agente non vale ad escludere la consumazione del reato di estorsione, nè – stante l'unicità dell'azione criminosa – a scindere il reato stesso in un delitto consumato limitatamente alla somma consegnata e tentato per la differenza ma riguarda soltanto l'entità del danno materiale, da commisurarsi alla somma per la quale la dazione si è verificata e che, se di speciale tenuità, potrebbe rendere applicabile l'attenuante prevista dall'art. 62, n. 4 c.p. (Cass. pen., n. 171005 del 1985)

Il tentativo è naturalmente ipotizzabile tanto se l'azione criminosa sia rimasta interrotta per cause indipendenti dalla volontà dell'agente, quanto se, esaurita l'azione, il danno non si sia verificato. In ogni modo, quando il soggetto attivo si sia proposto di realizzare un ingiusto profitto con altrui danno, il mancato raggiungimento dello scopo darà luogo a tentativo di estorsione, non a semplice violenza privata o minaccia. Solo se non si riscontra il fine suddetto o se è intervenuta desistenza potranno sussistere questi ultimi reati, ove ne concorrano gli estremi.

In evidenza

In tema di tentata estorsione, l'idoneità degli atti deve essere valutata con giudizio operato ex ante: ne consegue che, ai fini della valutazione dell'idoneità di una minaccia estorsiva, è priva di rilievo la capacità di resistenza dimostrata, dopo la formulazione della minaccia, dalla vittima.

Ricorre l'ipotesi di desistenza volontaria solo qualora l'agente abbia ancora l'oggettiva possibilità di consumare il reato in quanto ancora nel pieno dominio dell'azione in atto

L'elemento psicologico
Alla integrazione del reato occorre il dolo generico che consiste nella previsione e volontà dell'agente di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, accompagnate dalla coscienza e volontà di usare violenza o minaccia a questo scopo.
Le circostanze aggravanti

Il comma 2 dell'art. 629 c.p. richiama le circostanze aggravanti speciali elencate nell'ultimo capoverso dell'articolo 628 c.p.

In evidenza

Deve sottolinearsi che le Sezioni unite della Corte di cassazione con la sentenza n. 21837 del 2012 hanno stabilito che nel reato di estorsione, la circostanza aggravante speciale delle più persone riunite richiede la simultanea presenza di non meno di due persone nel luogo ed al momento di realizzazione della violenza o della minaccia.

Così come è stato osservato dalla giurisprudenza della Cassazione (Cass. pen., n. 31199 del 2014) nel reato di estorsione, la circostanza aggravante delle più persone riunite – integrata dalla simultanea presenza di non meno di due persone nel luogo ed al momento di realizzazione della violenza o della minaccia – non richiede quale connotato soggettivo la consapevolezza della partecipazione di altri concorrenti nel numero sufficiente ad integrare l'aggravante stessa, poiché essa, concernendo le modalità dell'azione, ha natura oggettiva e, conseguentemente, si comunica a tutti coloro che concorrono nel reato. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto corretta la decisione impugnata laddove aveva applicato l'aggravante in questione ai concorrenti morali non presenti sul luogo e nel momento in cui era formulata la richiesta estorsiva).

I rapporti con gli altri reati

Truffa. Secondo l'orientamento della giurisprudenza integra il delitto di truffa la condotta di colui che prospetti un male possibile ed eventuale, in ogni caso non proveniente direttamente o indirettamente da chi lo prospetta, in modo che la persona offesa non sia coartata, ma si determini alla prestazione, costituente l'ingiusto profitto dell'agente, perché tratta in errore dall'esposizione di un pericolo inesistente; mentre si configura l'estorsione se il male viene indicato come certo e realizzabile ad opera del reo o di altri, poiché in tal caso la persona offesa è posta nell'ineluttabile alternativa di far conseguire all'agente il preteso profitto o di subire il male minacciato (Cass. pen., Sez. II, 6 maggio 2008, n. 21537; Cass. pen., Sez. II, 30 giugno 2010, n. 35346; Cass. pen., Sez. II, 4 aprile 2012, n. 27363; Cass. pen., Sez. II, n. 28390 del 2013 Rv. 256459; Cass. pen., Sez. II,n. 7662 del 2015).

Violenza privata. Nei rapporti con la violenza privata (art. 610 c.p.) l'estorsione si differenzia, da un lato, perché l'oggetto della costrizione non può consistere in un mero pati, in una semplice tolleranza del soggetto passivo, dall'altro e soprattutto perché l'agente opera per realizzare un ingiusto profitto con altrui danno patrimoniale. Così delineati i rapporti colla violenza privata restano a fortiori definiti quelli col reato di minaccia.

Violenza o minaccia per costringere a commettere un reato (art. 611 c.p.). Tale delitto e quello di estorsione possono formalmente concorrere perché essi, data la diversità delle condotte finalistiche e dei beni tutelati, non sono in rapporto di specialità.

Turbata libertà degli incanti. Secondo l'orientamento prevalente della giurisprudenza di legittimità (Cass. pen., n. 3797 del 1990; Cass. pen., n. 45625 del 2003; Cass. pen., n. 4925 del 2006; Cass. pen. n. 12266 del 2008; Cass. pen., n. 13505 del 2008; Cass. pen., n. 22200 del 2013 l'estorsione e la turbata libertà degli incanti possono concorrere formalmente, in quanto le due norme hanno diversa obiettività giuridica, tutelando la prima il patrimonio, attraverso la repressione di atti diretti a coartare la libertà di autodeterminazione del soggetto negli atti di disposizione patrimoniale, e, la seconda, la libera formazione delle offerte nei pubblici incanti e nelle licitazioni private.

Rapina. Con riguardo ai rapporti con la rapina è indispensabile determinare se la condotta spesa dal soggetto passivo è stata propria di quest'ultimo o no: in altri termini occorre accertare se quest'ultimo ha avuto o no a disposizione, al momento dell'eventuale spendita di una condotta collaborativa una ragionevole possibilità di scelta.

Concussione. Merita ricordare che la giurisprudenza ha affermato che è configurabile il reato di concussione quando la costrizione (ossia la minaccia) del pubblico ufficiale si concretizzi nel compimento di un atto o di un comportamento del proprio ufficio, strumentalizzato per perseguire illegittimi fini personali; mentre sussiste il delitto di estorsione aggravata ai sensi dell'art. 61, n. 9 c.p. quando l'agente ponga in essere, nei confronti di un privato, minacce diverse da quelle consistenti nel compimento di un atto o di un comportamento del proprio ufficio, sicché la qualifica di pubblico ufficiale si pone in un rapporto di pura occasionalità, avente la funzione di rafforzare la condotta intimidatoria nei confronti del soggetto passivo (Cass. pen., n. 12736 del 2014).

Casistica
  • Secondo l'insegnamento della suprema Corte il ripetersi delle minacce o delle violenze da parte dell'estorsore per costringere la vittima non dà luogo, di per sé, ad una pluralità di reati, occorrendo prima accertare se ci si trovi in presenza di una azione unica o meno, e ciò alla stregua del duplice criterio: finalistico e temporale.Azione unica, infatti, non equivale ad atto unico, ben potendo la stessa essere composta da una molteplicità di atti che, in quanto diretti al conseguimento di un unico risultato, altro non sono che un frammento dell'azione, una modalità esecutiva della condotta delittuosa. L'unicità del fine a sua volta non basta per imprimere all'azione un carattere unitario essendo necessaria, la così detta contestualità, vale a dire l'immediato succedersi dei singoli atti, sì da rendere l'azione unica. I diversi conati posti in essere per procurarsi un ingiusto profitto costituiscono autonomi reati, unificabili con il vincolo della continuazione, quando, singolarmente considerati in relazione alle circostanze del caso concreto e, in particolare, alle modalità di realizzazione e soprattutto all'elemento temporale, appaiono dotati di una propria completa individualità; al contrario, si ha un solo reato di estorsione, pur in presenza di diversi atti intimidatori, allorché gli stessi costituiscono singoli momenti di un'unica azione perché sorretti da un'unica e continua determinazione, che non registri sul piano della volontà interruzioni o desistenze.(Cass. pen., n. 2070 del 1995; Cass. pen., n. 27314 del 2003; Cass. pen. n. 41167 del 2013; Cass. pen., n. 7555 del 2014).
  • È principio pressoché uniforme in giurisprudenza che colui che, per i legami con l'autore del furto, conduca le trattative rivolte a far ottenere al derubato la restituzione della refurtiva contro il pagamento di una somma, ben può ritenersi responsabile di estorsione, ovvero di concorso in essa, quando agisca anche nell'interesse del ladro, contribuendo in tal caso con la sua condotta all'opera di pressione nei confronti del derubato oppure sia intervenuto nelle trattative per lucrare una somma di danaro (Cass. pen., Sez. II, 27 aprile 1988 - dep. 25 luglio 1989, n. 10491; Cass. pen., Sez. II, 8 aprile 1988 - dep. 19 ottobre 1988, n. 10176).
  • Non risponde invece di concorso in estorsione colui che, per incarico della vittima di un furto e nell'esclusivo interesse di quest'ultima, si metta in contatto con gli autori del reato, per ottenere la restituzione della cosa sottratta mediante esborso di denaro, senza conseguire alcuna parte del prezzo( Cass. pen., Sez. VI, 20 novembre 2007, n. 1705; Cass. pen. Sez. II, 16 febbraio 1995, n. 5845).
  • Le Sezioni unite di questa Corte con la sentenza n. 12228 del 2014) hanno affermato che l'abuso costrittivo dell'incaricato di pubblico servizio, prima dell'entrata in vigore della l. n. 190 del 2012 sanzionato dall'art. 317 c.p., è attualmente un illecito estraneo allo statuto dei reati contro la P.A. ed è punibile, a seconda dei casi concreti, in base alle disposizioni incriminatrici dell'estorsione, della violenza privata o della violenza sessuale, fattispecie tutte che si pongono in rapporto di continuità normativa con la precedente norma di cui all'art. 317 c.p., con la conseguenza che, in relazione ai fatti pregressi, sarà compito del giudice verificare in concreto quale norma contiene la disposizione più favorevole da applicare.

Aspetti processuali

  • Ai fini della individuazione del giudice competente per il reato di estorsione, la consegna di un assegno bancario, configura il momento consumativo del reato, essendo, irrilevante il luogo del successivo cambio dell'assegno. (Cass. pen. n. 262 del 1984).
  • Essendo l'estorsione una figura di illecito complesso in cui si ritrova come elemento costitutivo il reato di minaccia, occorre, nell'evenienza di estorsione tentata, tener conto, ai fini della competenza, delle specifiche modalità con cui sia stata in concreto realizzata la minaccia. L'individuazione del luogo dell'ultimo atto diretto a commettere il reato si lega alle anzidette modalità - trattandosi di minacce estorsive attuate mediante comunicazioni telefoniche, il luogo dell'ultimo atto diretto a commettere il reato è quello dove la persona offesa ha recepito le comunicazioni minacciose (Cass. pen., n. 1031 del 1986).
  • Ai fini dell'individuazione della speciale competenza per le indagini preliminari attribuita alla procura distrettuale antimafia ai sensi dell'art. 51, comma 3-bis, c.p.p., il criterio distintivo tra delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall'art. 416-bis c.p. ovvero al fine di agevolare l'attività di un'associazione per delinquere di tipo mafioso, e delitti che tali connotati non hanno, non può essere restrittivo, in quanto così opinando si vanificherebbe la "ratio" della norma che ha inteso accentrare nelle mani del procuratore della Repubblica distrettuale tutte le indagini comunque connesse a fatti di mafia, le quali presuppongono e comportano una più completa ed approfondita conoscenza del fenomeno criminoso; deve pertanto ritenersi applicabile la norma predetta, con conseguente attribuzione della competenza per lo svolgimento delle indagini preliminari alla procura distrettuale, anche in ipotesi diverse da quelle in cui sia stata contestata l'aggravante di cui all'art. 7,d.l. 13 maggio 1991, n. 152 (conv. in legge 12 luglio 1991, n. 203), il cui testo, riferendosi ai delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall'art. 416 bis cod. pen. ovvero ai fini di agevolare l'attività di un'associazione per delinquere di tipo mafioso, riproduce letteralmente il disposto del predetto comma terzo bis dell'art. 51 c.p.p. (Nella specie la Corte ha ritenuto la competenza della procura distrettuale - e del giudice per le indagini preliminari individuato ai sensi dell'art. 328, comma 1-bis, c.p.p. - nell'ipotesi di estorsione aggravata ai sensi dell'art. 628, comma 3, n. 3, c.p., per essere stata la violenza o minaccia posta in essere da soggetto appartenente ad associazione mafiosa) (Cass. pen., n. 1630 del 1996).
  • La legittimazione alla costituzione di parte civile dell'ente territoriale che invoca un danno alla propria immagine è ammissibile anche in riferimento ad un reato commesso da privati in danno di privati, purché tale tipologia di danno sia in concreto configurabile. (Fattispecie nella quale la Corte ha annullato senza rinvio la decisione del giudice di merito dalla quale non emergeva il danno all'immagine subito in concreto dal Comune e dall'Azienda Trasporti in conseguenza di reati di usura ed estorsione, commessi dagli imputati, in contesto estraneo alla criminalità organizzata mafiosa) (Cass. pen.,n. 13244 del 2014).
  • In tema di prova dichiarativa, allorché venga in rilievo la veste che può assumere il dichiarante, spetta al giudice il potere di verificare al di là del riscontro di indici formali - come l'eventuale già intervenuta iscrizione nel registro delle notizie di reato - l'attribuibilità allo stesso della qualità di indagato nel momento in cui le dichiarazioni stesse vengano rese e il relativo accertamento si sottrae, se congruamente motivato, al sindacato di legittimità. (Fattispecie in tema di estorsione aggravata dal metodo mafioso in cui la Corte ha ritenuto congruamente motivato il provvedimento del Tribunale del riesame che aveva considerato corretta l'assunzione in qualità di persona informata sui fatti della persona offesa, attribuendo un iniziale reticenza della stessa al timore, sempre ravvisabile in territori permeati dalla criminalità organizzata, di ritorsioni da parte degli imputati)(Cass. pen., Sez. unite, n. 15208 del 2010; Cass. pen., Sez. II,n. 51840 del 2013).
Sommario