Una procedura consensuale troppo "flessibile" e senza garanzie per i conflitti di giurisdizione tra Paesi della Ue

Gian Marco Baccari
07 Aprile 2016

Con il d.lgs. 29 del 2016 il legislatore delegato si è limitato a recepire, con minime specificazioni, l'iter procedimentale delineato dalla decisione quadro 2009/948/Gai per risolvere i conflitti di giurisdizione in ambito penale tra Paesi dell'Unione europea.
Abstract

Con il d.lgs. 29 del 2016 il legislatore delegato si è limitato a recepire, con minime specificazioni, l'iter procedimentale delineato dalla decisione quadro 2009/948/Gai per risolvere i conflitti di giurisdizione in ambito penale tra Paesi dell'Unione europea. Si tratta di una procedura imperniata su obblighi di cooperazione ma non di risultato, senza possibilità per la difesa dell'imputato di interloquire. Si è, così, persa l'occasione di introdurre una normativa più dettagliata e più attenta alla tutela dei diritti delle persone sottoposte a procedimento penale.

Cenni introduttivi

Negli ultimi anni all'interno dell'Unione europea si è registrato un aumento di casi di duplicazione di procedimenti penali in ordine ai medesimi fatti dinanzi ad autorità nazionali diverse. Ciò è dovuto a molteplici ragioni, esaminate attentamente anche dalla Commissione europea, tra cui spiccano il ridimensionamento del principio di territorialità, la connotazione transnazionale di alcune gravi forme di criminalità e la facilità di spostamento delle persone (cfr. il Libro verde della Commissione europea, Sui conflitti di giurisdizione e il principio del ne bis in idem del 23 dicembre 2005).

Come è stato ben messo in luce in dottrina, per evitare in radice la possibilità per gli Stati di rivendicare la propria sovranità, sarebbe necessario procedere ad una compiuta armonizzazione degli ordinamenti penali prevedendo regole di giurisdizione esclusiva. Ad oggi soltanto il principio del ne bis in idem, stabilito dagli artt. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e 54 della Convenzione di applicazione dell'Accordo di Schengen del 1990, può impedire la duplicazione dei procedimenti penali sui medesimi fatti ma sempre che vi sia già stata almeno una decisione preclusiva dell'apertura di un nuovo procedimento.

Il 30 novembre 2009, proprio il giorno prima dell'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, il Consiglio dell'Unione europea ha approvato la decisione quadro 2009/948/Gai, Sulla prevenzione e la risoluzione dei conflitti relativi all'esercizio della giurisdizione nei procedimenti penali. Tale atto ha delineato un sistema poco ambizioso di cooperazione giudiziaria, non vincolante e di carattere residuale; si tratta di un testo di compromesso, data la nota riluttanza dei singoli Stati membri ad abdicare da una delle principali forme di espressione di sovranità. Ne è conferma il considerando n. 11 ove si legge che nessuno Stato membro dovrebbe essere obbligato a rinunciare o a esercitare la competenza giurisdizionale contro la sua volontà. Pur sussistendo una stretta correlazione con il principio del ne bis in idem, la decisione quadro 2009/948/Gai è dedicata esclusivamente a risolvere le situazioni di litispendenza, ravvisabili ogni volta in cui la stessa persona è oggetto, in relazione agli stessi fatti, di procedimenti penali paralleli in Stati membri diversi, che potrebbero dar luogo a una pronuncia definitiva in due o più Stati membri.

Dopo che il 1° dicembre 2014 è scaduto il periodo transitorio quinquennale previsto dal Trattato di Lisbona per la materia della cooperazione giudiziaria penale, il Parlamento italiano con la l. 9 luglio 2015, n. 114, stante anche il rischio di incorrere in un procedimento d'infrazione da parte della Commissione europea, ha delegato il Governo ad adottare, tra le altre, le norme occorrenti per l'attuazione della decisione quadro 2009/948/Gai. Il che è avvenuto, sia pure con alcuni mesi di ritardo, con il decreto legislativo 29 del 15 febbraio 2016, entrato in vigore il 22 marzo scorso. Il contenuto del decreto riproduce in più parti quasi alla lettera quello della decisione quadro 2009/948/Gai, a partire – e non poteva essere diversamente – dalle definizioni di procedimenti paralleli (art. 2 d.lgs. 29/2016 e art. 3 decisione quadro 2009/948/Gai). Il tema è vasto e involge aspetti delicatissimi ai quali, in questa sede, potremo soltanto far cenno.

La prima fase della procedura: l'obbligo di contatto diretto tra le autorità nazionali

L'iter procedurale di composizione del conflitto si articola in due fasi. La prima è una procedura di contatto diretto tra le autorità giudiziarie nazionali e prende avvio quando via sia un fondato motivo di ritenere che in un altro Stato membro sia in corso un procedimento parallelo, definito come quel procedimento penale che si trovi nella fase delle indagini preliminari o in una fase successiva e abbia ad oggetto gli stessi fatti nei confronti della stessa persona (art. 2 d.lgs. 29/2016): in tal caso l'autorità giudiziaria italiana procedente – che durante le indagini preliminari è il pubblico ministero – ha l'obbligo di contattare con atto scritto l'autorità competente dell'altro Stato membro per verificare la contestuale pendenza. In caso di difficoltà nell'individuazione dell'autorità da contattare, è prevista la possibilità di ricorrere anche ai punti di contatto della rete giudiziaria europea.

Nonostante la previsione dell'obbligo di contatto, l'autorità procedente gode di ampi margini di discrezionalità nell'avvio della procedura. Invero, manca una definizione normativa del concetto di idem factum, anche se più volte la Corte di giustizia lo ha ravvisato nella presenza di un insieme di fatti inscindibilmente collegati tra loro, indipendentemente dalla qualificazione giuridica di tali fatti o dall'interesse giuridico tutelato (cfr., fra le altre, sent. 9 marzo 2006, Van Esbrock, con riguardo all'art. 54 della Convenzione di Applicazione degli Accordi di Schengen). Inoltre, l'ampia libertà concessa all'autorità contattante deriva anche dal fatto che non sono specificati gli elementi dai quali va desunto il fumus di litispendenza; nè, al riguardo, appare di particolare aiuto il considerando n. 5 della decisione quadro, che indica come fondati motivi situazioni fin troppo chiare come l'eccezione di litispendenza addotta in modo dettagliato dallo stesso imputato ovvero la richiesta di assistenza giudiziaria proveniente dall'autorità di un altro Stato membro.

Tra il testo della decisione quadro e il decreto legislativo si nota qualche differenza con riguardo alle informazioni minime della richiesta scritta da inviare all'autorità dell'altro Stato. In particolare, l'art. 6 del decreto legislativo stabilisce che la richiesta deve contenere, oltre alla descrizione dei fatti oggetto del procedimento (lett. b)), l'indicazione dell'identità dell'indagato o dell'imputato, laddove la decisione quadro richiede l'indicazione di tutti gli elementi rilevanti in merito all'identità dell'indagato o dell'imputato; inoltre l'atto europeo richiede, se del caso, l'indicazione dell'identità delle vittime (art. 8, lett. e) decisione quadro), mentre il decreto legislativo fa espresso riferimento alle persone offese e a quelle danneggiate. La richiesta, inoltre, deve indicare se l'indagato o imputato sia sottoposto a custodia cautelare (lett. e)) e ogni altra informazione che si ritenga opportuno fornire, compatibilmente con la segretezza che potrebbe caratterizzare la fase dell'altro procedimento. Qualche dubbio si pone per quanto riguarda l'indicazione dell'autorità competente (lett. a)), e cioè se – come pare preferibile – si debba precisare quali siano le autorità nazionali legittimate a condurre le eventuali successive consultazioni.

È naturale pensare che lo scambio di informazioni debba esaurirsi in tempi molto stretti. Tuttavia, la durata temporale della procedura di contatto, in entrambi i testi normativi in esame, è affidata in modo inopportuno alla totale discrezionalità dei soggetti coinvolti. Invero, l'autorità contattante può fissare un termine – purché ragionevole, a detta dell'atto europeo – entro il quale quella contatta dovrebbe rispondere; in mancanza di un'indicazione espressa, l'autorità contattata è tenuta a rispondere senza indebito ritardo (art. 6, comma 1, della decisione quadro e art. 5, comma 1, d.lgs. 29/2016). L'utilizzo di una formula così poco stringente finisce per lasciare senza dubbio un'ampia autonomia alle autorità coinvolte. Merita ricordare che, al contrario, la Risoluzione legislativa del Parlamento europeo dell'8 ottobre del 2009 fissava un termine massimo di trenta giorni per la risposta alla richiesta di informazioni.

Balza evidente una difformità tra i due testi. Mentre la decisione quadro impone di trattare con urgenza la richiesta quando l'autorità contattante abbia informato l'autorità contattata che l'imputato è sottoposto ad una misura detentiva preventiva (sic!) o custodia cautelare, il decreto legislativo in esame prevede soltanto che l'autorità italiana tratti con urgenza la richiesta se nel procedimento pendente dinanzi ad essa «l'imputato sia sottoposto a misura cautelare»: con il risultato paradossale che l'autorità italiana dovrebbe trattare la richiesta con urgenza nel caso di imputato sottoposto nel nostro Paese ad una qualsiasi misura cautelare, anche non custodiale se non addirittura di tipo reale, mentre dovrebbe procedere senza indebito ritardo se l'imputato si trovi in vinculis in altro Stato membro della Ue.

L'autorità italiana, se non è in grado di rispettare il termine assegnato, deve spiegarne le ragioni e fissare – a sé stessa dunque – un nuovo termine per adempiere (art. 5, comma 2, d.lgs. 29/2016). Nulla è previsto poi in caso di mancata risposta, a differenza della proposta originaria di decisione quadro del gennaio del 2009, che prevedeva almeno la possibilità di segnalare ad Eurojust la mancata comunicazione delle notizie richieste.

Per quanto attiene al contenuto minimo della risposta da fornire alla richiesta proveniente dall'autorità di altro Stato membro, si registra una quasi perfetta corrispondenza tra i due atti normativi. La risposta dell'autorità giudiziaria italiana deve indicare se è in corso o se è stato definito un procedimento penale nei confronti della stessa persona per alcuno o per tutti i fatti oggetto del procedimento parallelo; l'indicazione dell'autorità competente; la fase, lo stato o il grado del procedimento italiano e, se adottata, la decisione e il suo contenuto (art. 7 d.lgs. 29/2016). Non è altresì imposto che l'autorità italiana contattata, nel fornire ulteriori informazioni, dia conto dell'esistenza di eventuali fatti connessi a quelli oggetto del procedimento parallelo.

La seconda fase: l'obbligo delle consultazioni dirette e l'intervento del Ministro della Giustizia

Quando è accertata l'esistenza di procedimenti in idem, le autorità competenti degli Stati interessati hanno l'obbligo di avviare la seconda fase, ossia le consultazioni dirette, al fine dichiarato di pervenire ad un accordo per la concentrazione dei procedimenti paralleli in un solo Stato (art. 8, comma 1, d.lgs. 29/2016) e di evitare così le conseguenze negative della litispendenza (art. 10 della decisione quadro).

Alle suddette consultazioni deve provvedere il procuratore generale presso la Corte d'appello nel cui distretto ha sede l'autorità giudiziaria italiana contattante o contattata e su richiesta di quest'ultima (artt. 3 e 8, comma 2, d.lgs. 29/2016).

Per quanto riguarda i criteri di cui deve tener conto il procuratore generale durante le consultazioni, il legislatore delegato ha riprodotto quasi integralmente il considerandum n. 9 della decisione quadro, che – come si legge nella Relazione illustrativa – contiene un catalogo "aperto" di criteri puramente orientativi, non vincolanti, né gerarchicamente ordinati: il testo italiano riproduce i criteri del luogo in cui si è verificata la maggior parte dell'azione, dell'omissione o dell'evento (art. 8, comma 4, lett. a)) o della maggior parte delle conseguenze dannose (lett. b)), della prognosi maggiormente favorevole di consegna o di estradizione in altre giurisdizioni (lett. d)), della maggior tutela delle parti (sic) offese e minor sacrificio dei testimoni. A conferma del carattere non esaustivo dell'elenco in esame viene prevista in ultimo anche una clausola aperta, che attribuisce al Procuratore generale il potere di tenere conto di ogni altro fattore ritenuto pertinente (lett. g)).

Come per la procedura di scambio di informazioni, non sono previsti limiti temporali stringenti neppure per la fase delle consultazioni dirette, nonostante l'esigenza di risolvere in tempi brevi il conflitto di giurisdizione.

La scelta di lasciare al rappresentante dell'accusa una libertà di gestione così ampia desta fortissime perplessità. La mancanza di criteri tassativi e oggettivi, rappresenta senza dubbio uno dei punti più critici del sistema predisposto per il tentativo di risoluzione del conflitto di giurisdizione. Tanto più che il legislatore delegato, disattendendo gli inviti provenienti da più parti, non si è preoccupato di un aspetto delicatissimo, e cioè di garantire all'accusato il diritto di interloquire con le autorità procedenti in merito all'accordo sulla composizione del conflitto.

Dell'avvio delle consultazioni il procuratore generale deve dare notizia (nel più breve tempo possibile, crediamo) al Ministro della Giustizia il quale, entro dieci giorni, può disporre che non si dia corso alla concentrazione dei procedimenti in altro Stato membro, qualora rilevi che dal mancato esercizio della giurisdizione in Italia possano essere compromessi la sicurezza o altri interessi essenziali dello Stato (art. 8, comma 3, d.lgs. 29/2016). Stante l'elevato tasso di discrezionalità, quindi, la decisione sulla rinuncia o meno alla giurisdizione italiana è stata affidata alle valutazioni politiche del Ministro della Giustizia, sulla falsariga di quanto già previsto dalla l. 20 dicembre 2012, n. 237, relativa all'adeguamento alle disposizioni dello statuto istitutivo della Corte penale internazionale.

Il ricorso a Eurojust

Qualche osservazione può farsi con riguardo all'intervento di Eurojust, organo indicato dall'atto europeo in buona sostanza come mediatore privilegiato nei casi in cui i procedimenti paralleli riguardino le gravi forme di criminalità indicate dall'art. 4 decisione quadro 2002/187/Gai, come modificato dalla decisione quadro 2009/426/Gai. Mentre però la decisione quadro 2009/948/Gai sembra considerare in questi casi il ricorso a Eurojust come un passaggio inevitabile qualora le autorità nazionali non siano state in grado di raggiungere un accordo (art. 12, comma 2, e considerando n. 4 della decisione quadro), il testo italiano si limita a prevedere in modo generico e più scontato che in ogni momento le autorità coinvolte nelle consultazioni dirette possono sottoporre la questione sulla risoluzione del conflitto di giurisdizione a Eurojust (art. 9 d.lgs. 29/2016). La differente formulazione è sintomatica dell'intenzione del legislatore delegato di non voler enfatizzare il ruolo di Eurojust come soggetto di ultima istanza per il tentativo di risoluzione della litispendenza.

In conclusione

In conformità al considerando n. 11 della decisione quadro, il procedimento penale non viene sospeso durante le consultazioni dirette. È fatto divieto, tuttavia, al giudice di pronunciare la sentenza (art. 10, comma 1, d.lgs. 29/2016). Si tratta a ben vedere soltanto di una stasi temporanea, perché il legislatore delegato si affretta a precisare che la sospensione del processo conseguente al divieto di pronunciare sentenza (...) non può avere durata superiore a venti giorni (art. 10, comma 2, d.lgs. 29/2016). Non sarebbe, quindi, del tutto scongiurato il rischio che, nelle more della composizione del conflitto, venga pronunciata sentenza, con le conseguenze negative del caso soprattutto per i soggetti coinvolti.

Se viene raggiunto un consenso sulla giurisdizione italiana, gli atti probatori compiuti all'estero conservano efficacia e sono utilizzabili (art. 11, comma 1, d.lgs. 29/2016): il periodo di custodia cautelare eventualmente sofferto all'estero viene computato ai fini dei termini di durata massima della custodia cautelare (art. 303, comma 4, c.p.p.), ai fini della sospensione di detti termini (art. 304 c.p.p.) e per il calcolo dell'eventuale pena espiata senza titolo (art. 657 c.p.p.).

Per il caso di raggiungimento di un accordo con rinuncia alla giurisdizione da parte dello Stato italiano, il d.lgs. 29/2016 introduce una specifica causa di improcedibilità (art. 11, comma 2), che si ritiene debba condurre ad un provvedimento di archiviazione ovvero ad una sentenza di non luogo o di non doversi procedere a seconda della fase in cui la si accerta. Nella relazione illustrativa del decreto legislativo si legge che tale provvedimento non sarebbe in contrasto con il principio costituzionale di obbligatorietà dell'azione penale (art. 112 Cost.), attesa la superfluità di un processo penale sugli stessi fatti per i quali è già avviata un'iniziativa penale in un altro Paese dell'Unione. Ma ci pare davvero arduo aderire a questa interpretazione in presenza di una procedura di risoluzione caso per caso del conflitto di giurisdizione, basata su criteri non predeterminati in modo rigido e nella quale assumono un ruolo decisivo il procuratore generale presso la corte d'appello e il Ministro della Giustizia.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.