In generale, con il termine relazioni sindacali si intendono i rapporti tra l'impresa e la collettività dei lavoratori. Queste relazioni si realizzano tramite un soggetto intermedio, cioè il sindacato, che rappresenta le istanze e gli interessi dei lavoratori stessi e che dialoga con l'azienda, ricevendo le indicazioni dei propri iscritti. Solitamente si predispongono dei tavoli negoziali dove le parti condividono e risolvono conflitti generati da una delle due parti. Nei primi anni ‘90, la contrattazione collettiva ha sostituito le rappresentanze sindacali aziendali (RSA) con le rappresentanze sindacali unitarie (RSU). Nel pubblico impiego la normativa di riferimento è individuabile non solo nello Statuto dei lavoratori, ma anche nel d.lgs. n. 165/2001 (TUPI).
Introduzione
Il diritto di costituire associazioni sindacali (e di aderirvi) è sancito dall'articolo 14 dello Statuto dei lavoratori.
L'articolo 19 dello stesso Statuto prevede che rappresentanze sindacali aziendali possono essere costituite ad iniziativa dei lavoratori in ogni unità produttiva, nell'ambito delle associazioni sindacali che siano firmatarie di contratti collettivi di lavoro applicati nell'unità produttiva.
In base all'accordo interconfederale del 1993, le rappresentanze sindacali unitarie (RSU) sostituiscono le RSA.
Nelle PP.AA. (occupanti almeno 15 dipendenti), in base a quanto disposto dall'art. 42, commi 2, 3, 3bis e 8, del TUPI, le organizzazioni sindacali che siano ammesse alle trattative per la sottoscrizione dei contratti collettivi (art. 43 TUPI), possono costituire rappresentanze sindacali aziendali ai sensi dell'art. 19 prefato. Ad esse spettano, in proporzione alla rappresentatività, le garanzie previste dagli articoli 23,24 e 30 St. Lav. e le migliori condizioni derivanti dai contratti collettivi. Inoltre, in ciascuna Amministrazione, ad iniziativa anche disgiunta delle organizzazioni sindacali suddette, viene costituito un organismo di rappresentanza unitaria del personale mediante elezioni alle quali è garantita la partecipazione di tutti i lavoratori. Ai fini della costituzione di tali organismi, è garantita la partecipazione del personale in servizio presso le rappresentanze diplomatiche e consolari nonché presso gli istituti italiani di cultura all'estero, ancorché assunto con contratto regolato dalla legge locale.
Nel caso di Amministrazioni o enti con pluralità di sedi o strutture periferiche, possono essere costituiti anche presso le sedi o struttura periferiche che siano considerate livelli decentrati di contrattazione collettiva dai contratti collettivi nazionali.
La rappresentanza conferisce ad un'associazione sindacale diversi diritti, quali
possibilità di usufruire di specifici locali;
ore di permesso per sindacalisti e lavoratori in assemblea;
indizione scioperi;
obblighi di informazione, consultazione o partecipazione sindacale dove previsti dalla legge.
Con l'entrata in vigore del D.lgs. n. 75/2017 è nuovamente mutato l'assetto delle fonti e delle relazioni sindacali nel pubblico impiego privatizzato.
In particolare, la modifica degli artt. 2,5 e 40 D.lgs. n. 165/2001 ha evidenziato una rinnovata fiducia nei confronti della contrattazione collettiva rispetto alla fonte legislativa il Legislatore non stravolge il previgente sistema, ma ne risolve alcune rigidità, operando un riequilibrio dei rapporti tra fonte legislativa e negoziale, pur conservando certi limiti, nell'ottica di privilegiare la fonte contrattuale quale luogo naturale per la disciplina del rapporto di lavoro, dei diritti e delle garanzie dei lavoratori, nonché degli aspetti organizzativi a questi direttamente pertinenti.
In materia di partecipazione sindacale, l'intervento ha riguardato principalmente l'art. 5, co. 2, TUPI, il quale prevede ora che le determinazioni per l'organizzazione degli uffici e le misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro sono assunte dalla dirigenza pubblica con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro “fatte salve la sola informazione ai sindacati ovvero le ulteriori forme di partecipazione”. La relativa disciplina viene devoluta alla contrattazione collettiva che determina modalità e istituti della partecipazione (art. 9), fermo restando che è preclusa qualsiasi forma di contrattazione nelle materie oggetto di partecipazione sindacale e in quelle riguardanti le prerogative dirigenziali. Le clausole difformi sono nulle e non possono essere applicate, venendo sostituite ai sensi degli artt. 1339 e 1419, co. 2, c.c.
ARAN
Con la riforma del 1993 è stata costituita l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle Pubbliche Amministrazioni (ARAN), in sostituzione della pluralità di agenti pubblici legittimati alle trattative nel regime della legge quadro del 1983.
I membri vengono scelti tra esperti in materia di relazioni sindacali e di gestione del personale, anche estranei alla P.A. (art. 46 D.lgs. n. 165/2001).
L'ARAN rappresenta tutte le PP.AA. per la stipulazione dei contratti nazionali e può assistere, se richiesta, le singole Amministrazioni nella contrattazione integrativa. Dal punto di vista soggettivo sfuggono alla rappresentanza legale dell'ARAN le Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e Bolzano, le quali possono dar vita a proprie agenzie o contrattare direttamente avvalendosi della sola assistenza dell'ARAN (art. 46, co. 13, D.lgs. n. 165/2001).
La rappresentanza dell'ARAN assolve ad una duplice funzione:
fa sì che il contratto produca i suoi effetti nei confronti di tutte le pubbliche amministrazioni interessate, senza necessità di un atto di recezione da parte degli organi di governo di ciascuna di esse;
la sua attribuzione ad un unico organismo nazionale per tutte le PP.AA. favorisce la creazione di un quadro unitario delle politiche contrattuali seguite nei diversi comparti.
L'azione di rappresentanza dell'ARAN si svolge all'interno di atti di indirizzo espressi dai comitati di settore. Questi ultimi sono organismi appositi costituiti per ciascun comparto ed espressi dalle forme associative delle amministrazioni e degli enti rispettivamente interessati.
Rappresentatività delle oo.ss.
Nelle PP.AA. la nozione di “sindacato maggiormente rappresentativo” non individua solo i soggetti titolari dei diritti sindacali, ma anche i sindacati abilitati all'attività di contrattazione collettiva nazionale. Questa è una differenza fondamentale con il settore privato, dove la selezione dei soggetti ammessi al tavolo della trattativa contrattuale non è giuridicamente regolata, ma affidata al rapporto di forza.
In particolare, l'art. 43 d.lgs. n. 165/2001 dispone che l'ARAN ammette alla contrattazione collettiva nazionale le organizzazioni sindacali che abbiano nel comparto o nell'area una rappresentatività non inferiore al 5%, considerando a tal fine la media tra il dato associativo e il dato elettorale.
Il dato associativo è espresso dalla percentuale delle deleghe per il versamento dei contributi sindacali rispetto al totale delle deleghe rilasciate nell'ambito considerato.
Il dato elettorale è espresso dalla percentuale dei voti ottenuti nelle elezioni delle rappresentanze unitarie del personale, rispetto al totale dei voti espressi nell'ambito considerato.
La misurazione della rappresentatività in base ad una media tra i due indici costituisce un equilibrato compromesso nella valorizzazione di due dimensioni compresenti nell'esperienza sindacale (i.e. il sindacato come organizzazione e il sindacato come movimento).
La raccolta dei dati sui voti e sulle deleghe è assicurata dall'ARAN. I dati relativi alle deleghe rilasciate a ciascuna amministrazione nell'anno considerato sono rilevati e trasmessi all'ARAN non oltre il 31 marzo dell'anno successivo dalle pubbliche amministrazioni, controfirmati da un rappresentante dell'organizzazione sindacale interessata, con modalità che garantiscano la riservatezza delle informazioni.
Alla contrattazione collettiva nazionale per il relativo comparto o area partecipano altresì le confederazioni alle quali le organizzazioni sindacali ammesse alla contrattazione collettiva sono affiliate.
L'ARAN sottoscrive i contratti collettivi verificando previamente che le organizzazioni sindacali che aderiscono all'ipotesi di accordo rappresentino nel loro complesso almeno il 51 % come media tra dato associativo e dato elettorale nel comparto o nell'area contrattuale, o almeno il 60% del dato elettorale nel medesimo ambito.
La contrattazione collettiva
Con la riforma del pubblico impiego i rapporti di lavoro dei dipendenti pubblici hanno perso il loro carattere formalmente autoritativo per essere ricondotti sotto la disciplina del diritto civile e regolati mediante contratti individuali e collettivi (c.d. privatizzazione del pubblico impego).
In questo nuovo quadro istituzionale, gli accordi sindacali non sono più un elemento di un più complesso procedimento che sfocia in un atto amministrativo di natura regolamentare, bensì atti di autonomia privata.
Il contratto collettivo regola direttamente ed immediatamente il rapporto di lavoro pubblico, negli stessi termini di quello privato, senza bisogno di alcun atto di recezione da parte della P.A.
Con riferimento al contenuto della contrattazione collettiva, l'art. 40 TUPI prevede che con essa vengano disciplinati il rapporto di lavoro e le relazioni sindacali. Nelle materie relative alle sanzioni disciplinari, alla valutazione delle prestazioni ai fini della corresponsione del trattamento accessorio, della mobilità, la contrattazione collettiva è consentita nei limiti previsti dalle norme di legge.
La contrattazione collettiva disciplina, in coerenza con il settore privato, la struttura contrattuale, i rapporti tra i diversi livelli e la durata dei contratti collettivi nazionali e integrativi.
La durata viene stabilita in modo che vi sia coincidenza fra la vigenza della disciplina giuridica e di quella economica.
Sono escluse dalla contrattazione collettiva le materie:
· attinenti all'organizzazione degli uffici;
· oggetto di partecipazione sindacale ai sensi dell'art. 9 TUPI;
· afferenti alle prerogative dirigenziali (art. 5, commi 2, 16 e 17, TUPI);
· afferenti il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali;
· quelle di cui all'art. 2, co. 1, lettera c), L. n. 421/1992 (controversie di lavoro riguardanti i pubblici dipendenti).
Le PP.AA. adempiono agli obblighi assunti con i contratti collettivi nazionali o integrativi dalla data della sottoscrizione definitiva e ne assicurano l'osservanza nelle forme previste dai rispettivi ordinamenti.
Per ragioni di trasparenza della spesa pubblica, a differenza dei datori di lavoro privati, le Amministrazioni non possono attribuire trattamenti economici non previsti dalla legge e dalla contrattazione collettiva, nemmeno se di miglior favore (Cass., sez. lav., n. 17226/2020; Cass. sez. lav., n. 31387/2019).
È opportuno precisare che nel pubblico impiego contrattualizzato il parametro per verificare l'attuazione del principio della parità di trattamento economico di cui all'art. 45 TUPI è costituito dall'applicazione del contratto collettivo del comparto di appartenenza, rispetto al quale l'Amministrazione-datrice di lavoro non ha alcun potere di disposizione, mentre non assume rilevanza l'applicazione di fatto di un contratto collettivo diverso (Cass. sez. lav. n. 6090/2021). In altri termini, la P.A. non può scegliere a proprio piacimento il contratto collettivo applicabile, ma è tenuta in ogni caso al rispetto del vincolo derivante dall'art. 2, co. 3, d.lgs. n. 165/2001, in base al quale “l'attribuzione di trattamenti economici può avvenire esclusivamente mediante contratti collettivi o, alle condizioni previste, mediante contratti individuali. Le disposizioni di legge, regolamenti o atti amministrativi che attribuiscono incrementi retributivi non previsti da contratti cessano di avere efficacia a far data dall'entrata in vigore del relativo rinnovo contrattuale. I trattamenti economici più favorevoli in godimento sono riassorbiti con le modalità e nelle misure previste dai contratti collettivi e i risparmi di spesa che ne conseguono incrementano le risorse disponibili per la contrattazione collettiva”.
Pertanto, il riconoscimento al lavoratore di un trattamento economico di miglior favore rispetto a quello previsto dalla contrattazione collettiva risulta essere affetto da nullità, con la conseguenza che la P.A., anche nel rispetto dei principi sanciti dall'art. 97 Cost., è tenuta al ripristino della legalità violata mediante la ripetizione delle somme corrisposte senza titolo (Cass, sez. lav., n. 16150/2024; Cass., sez. lav., n. 6715/2021; Cass., sez. lav., n. 13479/2018). Non è ravvisabile in capo al lavoratore, cui sia stato illegittimamente applicato un trattamento individuale (anche migliorativo) diverso da quello previsto dalla contrattazione collettiva, una posizione giuridica soggettiva tutelabile in virtù dell'adozione, da parte dell'Amministrazione, di un provvedimento (illegittimo) di individuazione di un errato regime degli emolumenti, e ciò in quanto il trattamento economico deve trovare necessario fondamento nella contrattazione collettiva, con la conseguenza che il diritto si stabilizza in capo al dipendente solo qualora l'atto sia conforme alla volontà delle parti collettive (Cass., sez. lav., n. 15902/2018). Risulta inapplicabile a tale ipotesi la norma di cui all'art. 2126 c.c., in quanto quest'ultima previsione è riferita all'ipotesi di prestazione lavorativa resa sulla base di un contratto nullo e non al caso in cui il vizio di nullità non concerna il rapporto lavorativo in sé, bensì la sua irregolare regolamentazione tramite un atto dispositivo viziato adottato dall'Amministrazione datrice di lavoro, la quale venga ad applicare un trattamento economico diverso da quello previsto dalla fonte legale vincolante, e cioè la contrattazione collettiva di settore.
Contrattazione integrativa
I soggetti e le procedure della contrattazione collettiva integrativa sono disciplinati, in conformità all'art. 40 TUPI, dai contratti collettivi nazionali, fermo quanto previsto dal comma 7 dell'art. 42, in base al quale, ai fini dell'esercizio della contrattazione collettiva integrativa, la rappresentanza unitaria del personale può essere integrata da rappresentanti delle organizzazioni sindacali firmatarie del contratto collettivo nazionale del compatto.
Le PP.AA. attivano autonomi livelli di contrattazione collettiva integrativa, nel rispetto dell'art. 7, co. 5, TUPI e dei vincoli di bilancio risultanti dagli strumenti di programmazione annuale e pluriennale di ciascuna Amministrazione.
La contrattazione collettiva integrativa assicura adeguati livelli di efficienza e produttività dei servizi pubblici, incentivando l'impegno e la qualità della performance, destinandovi, per l'ottimale perseguimento degli obiettivi organizzativi ed individuali, una quota prevalente delle risorse finalizzate ai trattamenti economici accessori comunque denominati, ai sensi dell'art. 45, co, 3 TUPI.
La contrattazione collettiva integrativa si svolge sulle materie, con i vincoli e nei limiti stabiliti dai contratti collettivi nazionali, tra i soggetti e con le procedure negoziali che questi ultimi prevedono; essa può avere ambito territoriale e riguardare più amministrazioni. I contratti collettivi nazionali definiscono il termine delle sessioni negoziali in sede decentrata. Alla scadenza del termine le parti riassumono le rispettive prerogative e libertà di iniziativa e decisione.
Nel caso in cui non si raggiunga l'accordo per la stipulazione di un contratto collettivo integrativo, qualora il protrarsi delle trattative determini un pregiudizio alla funzionalità dell'azione amministrativa, nel rispetto dei principi di correttezza e buona fede fra le parti, l'Amministrazione interessata può provvedere, in via provvisoria, sulle materie oggetto del mancato accordo fino alla successiva sottoscrizione e prosegue le trattative al fine di pervenire in tempi celeri alla conclusione dell'accordo.
I contratti collettivi nazionali possono individuare un termine minimo di durata delle sessioni negoziali in sede decentrata, decorso il quale l'Amministrazione interessata può in ogni caso provvedere, in via provvisoria, sulle materie oggetto del mancato accordo.
Aspettative e permessi sindacali (art. 50 TUPI)
Al fine del contenimento, della trasparenza e della razionalizzazione delle aspettative e dei permessi sindacali nel settore pubblico, la contrattazione collettiva ne determina i limiti massimi in un apposito accordo, tra l'ARAN e le confederazioni sindacali rappresentative.
La gestione dell'accordo e le modalità di utilizzo e distribuzione delle aspettative e dei permessi sindacali tra le confederazioni e le organizzazioni sindacali aventi titolo sulla base della loro rappresentatività, e con riferimento a ciascun comparto e area separata di contrattazione, è demandata alla contrattazione collettiva.
L'art. 50 TUPI deve essere letto tenendo conto dell'art. 42, che attribuisce alle RSA, ovvero alle RSU, le guarentigie previste dallo Statuto agli artt. 23 (permessi retribuiti), 24 (permessi non retribuiti) e 30 (permessi retribuiti per la partecipazione alle riunioni degli organi direttivi nazionali e provinciali del sindacato di appartenenza), nonché le migliori condizioni riconosciute in sede di contrattazione collettiva. Altresì, il successivo art. 43 riconosce alle confederazioni e alle organizzazioni sindacali, ammesse alla contrattazione collettiva nazionale, in proporzione alla loro rappresentatività nel comparto o nell'area, il diritto a godere di aspettative, permessi e distacchi.
Condotta antisindacale
Anche nel pubblico impiego la tutela dei diritti sindacali è garantita mediante il procedimento di cui all'art. 28 St. Lav.
L'art. 63 TUPI devolve alla cognizione del giudice del lavoro tutte le controversie relative a condotte antisindacali.
Nelle ipotesi in cui tali comportamenti siano relativi a rapporti di lavoro non privatizzati, ferma l'esperibilità dell'azione per la repressione della condotta antisindacale, la tutela delle posizioni individuali è riservata alla possibile cognizione del giudice amministrativo il che, in ipotesi di condotte plurioffensive, lascia spazio alla possibilità di pronunce contrastanti sulla medesima situazione di fatto.
Riferimenti
Per i recenti orientamenti sul tema si veda: Corte EDU, 14 dicembre 2023, n. 5943318 e altre 3, N. Tritta, Il diritto di sciopero e la CEDU: ammesse le restrizioni che non privano di contenuto il diritto di associazione sindacale; Cass. Civ. sez. lav., 18 agosto 2023, n. 24807, G. Lavizzari e V. M. Manzotti, Contrattazione collettiva integrativa nel pubblico privatizzato: non è possibile riconoscere trattamenti economici non previsti dalla contrattazione nazionale
Normativi:
D.lgs. n. 75/2017
D.lgs. n. 165/2001
D.lgs. n. 29/1993
L. n. 300/1970
Giurisprudenza:
Cass, sez. lav., n. 16150/2024
Cass., sez. lav., n. 6715/2021
Cass., sez. lav., n. 13479/2018
Cass., sez. lav., n. 15902/2018
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