I poteri di integrazione probatoria nel corso dell’udienza preliminare
16 Luglio 2015
Abstract
Per giungere alla scelta tra sentenza di non luogo a procedere e decreto di rinvio a giudizio, il materiale di indagine deve essere completo; ove infatti dalla lettura degli atti – o su impulso di parte – emergano delle lacune, il G.U.P. ha due strumenti per colmare il vuoto: l'ordinanza per l'integrazione delle indagini e l'attività di integrazione probatoria.
Lacune probatorie e attività del G.U.P.
La funzione dell'udienza preliminare è di evitare l'approdo dibattimentale a processi che si fondano su un materiale probatorio non idoneo a sostenere l'accusa in giudizio; la ragione è chiara: il processo penale, considerato“di per sé una pena” (Carnelutti), richiede una domanda adeguata a non disperdere il prezioso strumento dell'attività dibattimentale, per i costi che ne derivano a carico dello Stato, del cittadino innocente o della vittima (esposta alla preclusione del ne bis in idem) ove il materiale di indagine si presenti malfermo, privo di adeguate potenzialità dimostrative in sede processuale. Al G.U.P. spetta una previsione complessa, simile a quella che deve operare il pubblico ministero nell'esercizio dell'azione penale, sulla possibilità che il materiale di indagine, presentato e discusso dalla parti, diventi prova in dibattimento. Per giungere alla scelta tra sentenza di non luogo a procedere e decreto di rinvio a giudizio, tuttavia, il materiale di indagine deve essere completo; ove infatti dalla lettura degli atti – o su impulso di parte – emergano delle lacune, il G.U.P. ha due strumenti per colmare il vuoto: l'ordinanza per l'integrazione delle indagini e l'attività di integrazione probatoria. L'ordinanza per l'integrazione delle indagini
L'art. 421-bis si apre con un richiamo all'impossibilità di decidere allo stato degli atti, empasse alla quale il G.U.P. deve porre rimedio indicando al pubblico ministero specificamente i temi di indagine incompleti, fissare il termine per il loro compimento e la data della nuova udienza preliminare. Sul contenuto dell'ordinanza vi è chi ritiene che il G.U.P. debba specificare esattamente gli atti che il P.M. deve compiere; in senso opposto l'impostazione dottrinaria prevalente ritiene che il G.U.P. debba limitarsi ad indicare i temi di indagine incompleti, senza ulteriori specificazioni sull'oggetto e modalità di assunzione, appannaggio esclusivo del pubblico ministero (Corte cost. 6 giugno 1991, n. 253). La giurisprudenza di legittimità sembra attestarsi su una posizione intermedia che legittima entrambe le soluzioni (Cass. pen., Sez. IV, 2 aprile 2007, n. 21592). L'ordinanza deve essere comunicata (ulteriore analogia con il disposto dell'art. 409 c.p.p.) al Procuratore Generale presso la Corte di appello affinché questi possa valutare se avocare le indagini con decreto motivato; la ratio è evidente: il G.U.P. ha individuato una possibile inerzia del pubblico ministero e la comunicazione serve ad attivare un meccanismo di controllo per porvi rimedio. In ogni caso, il rispetto del principio del contraddittorio impone al G.U.P. una terzietà che si deve esprimere nel metodo neutrale di indicazione del tema di indagine (Ubertis): occorre infatti rispettare il solco dell'imputazione, non potendo concepirsi – senza pericoli per la terzietà del giudice – una indicazione di ipotesi nuove con investigazioni ad hoc; in tali casi la figura dell'accusatore finirebbe a coincidere con quella del giudice “perché nella scelta del tema vi è già la confessione di una preferenza, e nella formulazione del problema è già implicito il criterio della soluzione” (Calamandrei). Nella nuova udienza, già fissata con l'ordinanza, si procederà ad una nuova discussione e, se le lacune sono state colmate, si arriverà all'epilogo naturale della sentenza di non luogo a procedere o del decreto che dispone il giudizio; se l'inerzia permane o l'indagine non ha dato risultati significativi, il G.U.P. può fare ricorso ad una integrazione probatoria, ove ritenga la stasi superabile, ma solo se decisiva ai fini della sentenza di non luogo a procedere. La completezza delle indagini fa mutare per la difesa il quadro ed impone una nuova valutazione sulla utilità di fare ricorso ad un rito alternativo, possibile fino all'inizio della discussione.
Attività di integrazione probatoria del G.U.P.
Anche per l'attività di integrazione probatoria del giudice la norma richiede l'impossibilità di decidere allo stato degli atti, ponendo il potere istruttorio in rapporto sussidiario e complementare alla richiesta di indagini al pubblico ministero: mentre l'art. 421-bis è diretto a colmare ogni lacuna investigativa che pregiudichi la decisione, l'art. 422 si attiva in presenza di un materiale processuale che riveli con evidenza la possibilità di proscioglimento dell'imputato con una prova mancante ma desumibile dagli atti. Il G.U.P. può dunque procedere ad una attività di integrazione probatoria quando:
Quest'ultima limitazione sembra affrontare il noto dibattito sulla compatibilità tra poteri istruttori d'ufficio e terzietà del giudice in una nuova prospettiva; le Sezioni unite e la Corte costituzionale concordano nel legittimare tale intervento a tutela del principio della ricerca della verità, così centrale nel nostro ordinamento da non arrestarsi (come accade negli orientamenti di common law) a fronte di un processo che non ha dimostrato la colpevolezza dell'imputato. Ed allora in sede di udienza preliminare il giudice può disporre d'ufficio nuove prove solo in funzione di un proscioglimento dell'imputato, dovendo ritenersi inutilizzabili le prove acquisite in violazione di tale divieto e nullo il seguente decreto di rinvio a giudizio; non mancano, tuttavia, autorevoli posizioni contrarie basate sui riflessi pratici: in ogni caso la prova inutilizzabile potrebbe essere assunta successivamente, “non fruibile in quella sede, lo sarebbe nel seguito, appena fosse revocata la sentenza” (Cordero). In tale parzialità risiede la specificità della norma che, a differenza degli interventi d'ufficio in sede dibattimentale e di abbreviato, non consente al giudice di ricercare la verità anche acquisendo d'ufficio prove contro l'imputato per poi giudicarle in posizione di precaria terzietà. L'art. 422 c.p.p. prevede la possibilità di citare testimoni, periti, consulenti tecnici, persone indicate nell'art. 210 c.p.p. ma vi è unanime consenso che l'elenco delle prove sia meramente esemplificativo, con possibilità per il giudice di fare ricorso al qualsiasi prova della quale ravvisi la evidente decisività. La prova può essere assunta alla stessa udienza, ove possibile, o all'udienza successiva; l'esame dei soggetti citati viene condotto direttamente dal giudice, mentre le parti posso proporre domande soltanto a mezzo del giudice. Tale metodologia non si applica all'esame dell'imputato che, nel caso di richiesta di parte, può essere sentito nelle forme dell'esame incrociato. A presidio della genuinità della prova da assumere ex art. 422, l'art. 430-bis vieta al pubblico ministero, alla polizia giudiziaria e al difensore di assumere informazioni dalla persona citata fino a quando la testimonianza non sia assunta: tale divieto è stabilito a pena di inutilizzabilità delle prove così assunte, i cui verbali non potranno entrare nel fascicolo del P.M., né in quello del difensore e le cui risultanze non potranno costituire il fondamento di alcuna richiesta del giudice del dibattimento (Galluzzo).
In conclusione
Abbiamo affrontato sopra quello che è un momento estremamente delicato per le scelte difensive, dal momento che le lacune investigative invitano alla richiesta di giudizio abbreviato per cristallizzare gli elementi di prova (actore non probante reus absolvitur)ma non manca l'insidia: anche dopo l'ammissione del rito il giudice può disporre integrazioni probatorie, ai sensi dell'art. 441, comma 5, c.p.p. Ed è per questa ragione che grava anche sul difensore un giudizio prognostico non solo sul materiale probatorio presente nel fascicolo ma anche su elementi ulteriori che gli atti suggeriscono; ove infatti il giudice dell'abbreviato decida di colmare la lacuna su cui si fondava la strategia difensiva, gli esiti si annunciano nefasti: la prova contra reo è assunta dallo stesso giudice che la ritiene necessaria e che emetterà la sentenza, in una posizione di difficile terzietà rispetto alle sue stesse scelte istruttorie. In sede di udienza preliminare, invece, l'assunzione di prove d'ufficio non riguarda l'assunzione di qualsiasi tipo di prova ma solo di quelle che appaiono decisive ai fini della sentenza di non luogo a procedere, mentre nella indicazione dei temi di indagine al pubblico ministero il G.U.P. potrà indicare anche temi di prova idonei a confermare l'accusa, analogamente ai già richiamati pericoli alla terzietà segnalati per l'art. 441, comma 5, c.p.p.
Guida all'approfondimento
Carnelutti, Lezioni sul processo penale, I, Edizioni dell'Ateneo, 1946, p. 34-35. Ubertis, Neutralità metodologica e principio di acquisizione processuale, in Riv. It. Dir. e proc. pen., 2007, 18 ss. Calamandrei, Il giudice e lo storico, in Riv. dir. proc., 1939, I, 110 Cordero F., Procedura penale, 2006, pag. 921. Galluzzo F., Procedura penale, 2015, pag. 703. |