O.P.G. ultimo atto. Il passaggio alle Rems e la difficile relazione tra il diritto e la psichiatria

20 Febbraio 2017

Il decreto legge del 22 dicembre 2011, n. 211, rubricato Interventi urgenti per il contrasto della tensione detentiva determinata dal sovraffollamento delle carceri, convertito in legge 9 del 17 febbraio 2012, ha previsto il completamento del processo di superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari ...
Abstract

Il decreto legge del 22 dicembre 2011, n. 211, rubricato Interventi urgenti per il contrasto della tensione detentiva determinata dal sovraffollamento delle carceri, convertito in legge 9 del 17 febbraio 2012, ha previsto il completamento del processo di superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari per come predisposto dall'allegato C del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, 1° aprile 2008.

Dal 31 marzo 2015 gli ospedali psichiatrici giudiziari sono chiusi e le misure di sicurezza del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario e dell'assegnazione a casa di cura e custodia sono eseguite esclusivamente all'interno delle strutture sanitarie localizzate nelle singole regioni (Rems), fermo restando che le persone che hanno cessato di essere socialmente pericolose devono essere senza indugio dimesse e prese in carico, sul territorio, dai Dipartimenti di salute mentale (art. 3-ter del d.l. 211/2011 convertito in l. 9/2012).

Il processo di superamento degli O.P.G. deve portare ad affermare il diritto alla salute mentale e affinché le Rems non diventino semplici “contenitori” è necessario un percorso ben definito, controllato e che porti al reinserimento sociale.

La misura di sicurezza amministrativa del ricovero in un ospedale psichiatrico giudiziario

L'art. 222 del codice penale, come noto, disciplina la misura di sicurezza amministrativa del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario. Nei casi di proscioglimento per vizio totale di mente dovuto a infermità psichica, ovvero per intossicazione cronica da alcool o da sostanze stupefacenti, ovvero per sordomutismo, è disposto il ricovero dell'imputato in un ospedale psichiatrico giudiziario per un tempo non inferiore a due anni.

È necessario che il soggetto sia stato ritenuto socialmente pericoloso.

La volontà legislativa era di prevenire nuovi reati attraverso l'internamento coattivo nell'ospedale ma anche quella di consentire il recupero del delinquente non imputabile.

Nella pratica, però, la realtà dei sei ospedali psichiatrici giudiziari era ben diversa dalle intenzioni del Legislatore.

D'altronde, il cambiamento del nome da manicomio giudiziario ad ospedale psichiatrico giudiziario non poteva modificare la natura repressiva e segregante della misura di sicurezza in questione.

La stessa Corte costituzionale, con la sentenza del 27 luglio 1982 n.139, nel dichiarare l'illegittimità costituzionale degli artt. 222, comma 1, 204, cpv. e 205, cpv. n. 2, del c.p., nella parte in cui non subordinava il provvedimento di ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario dell'imputato prosciolto per infermità psichica al previo accertamento, da parte del giudice, della persistente pericolosità sociale derivante dalla infermità medesima al tempo dell'applicazione della misura, si soffermava: sulle effettive condizioni organizzative e di gestione degli ospedali psichiatrici giudiziari, rappresentate come tali da menomare grandemente o addirittura vanificare la funzione di cura degli internati per soddisfare, invece e soltanto, una funzione repressiva e segregante.

Dalle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 222 c.p. alla legge 81/2014

È stato ancora una volta il giudice delle leggi a dare una svolta al superamento della disciplina degli O.P.G.

Con la sentenza del 18 luglio 2003 n. 253 la Corte costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 222 del c.p. nella parte in cui non consentiva al giudice di adottare, in luogo del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario, una diversa misura di sicurezza idonea ad assicurare adeguate cure all'infermo di mente e a far fronte alla sua pericolosità sociale. Nella motivazione della sentenza la Corte ha evidenziato che così come per il minore, infatti, anche per l'infermo di mente l'automatismo di una misura segregante e totale, come il ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario, imposta pur quando appaia in concreto inadatta, infrange l'equilibrio costituzionalmente necessario e viola esigenze essenziali di protezione dei diritti della persona, nella specie del diritto alla salute.

Con l'emanazione del d.p.c.m del 1° aprile 2008 il governo prevedeva il trasferimento alla sanità regionale delle funzioni relative agli O.P.G. mediante delle linee guida per la sua attuazione.

Da più parti, invece, aumentavano le critiche in merito alle condizioni igienico-sanitarie, organizzative e clinico-psichiatriche delle strutture (si veda la Relazione sulle condizioni di vita e di cura all'interno degli Ospedali psichiatrici giudiziari approvata dalla Commissione Parlamentare nella seduta n. 125 del 20 luglio 2011).

Soltanto con il d.l. 31 marzo 2014, n. 52, recante disposizioni urgenti in materia di superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari, convertito in legge 30 maggio 2014 n.81, il Legislatore ha recepito i princìpi ricavabili dalla sentenze dalla Corte costituzionale. La novella legislativa ha previsto che il giudice dispone nei confronti dell'infermo di mente e del seminfermo di mente l'applicazione di una misura di sicurezza, anche in via provvisoria, diversa dal ricovero in un ospedale psichiatrico giudiziario o in una casa di cura e custodia, salvo quando sono acquisiti elementi dai quali risulta che ogni misura diversa non è idonea ad assicurare cure adeguate e a fare fronte alla sua pericolosità sociale.

Con riferimento alla pericolosità sociale nei confronti dei soggetti cui può essere applicata la misura di sicurezza in questione, si è stabilito che l'accertamento è effettuato sulla base delle qualità soggettive della persona e senza tenere conto delle condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo di cui all'articolo 133, comma 2, n. 4,c.p.

La legge 81/2014 ha anche previsto che non costituisce elemento idoneo a supportare il giudizio di pericolosità sociale la sola mancanza di programmi terapeutici individuali.

In ordine alla durata delle misure di sicurezza detentive provvisorie o definitive, compreso il ricovero nelle residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza, è previsto che non possono durare oltre il tempo stabilito per la pena detentiva prevista per il reato commesso, avuto riguardo alla previsione edittale massima, salvo il caso dei delitti puniti con l'ergastolo.

Il tribunale di sorveglianza di Messina, con ordinanza del 16 luglio 2014, ha sollevato una questione di legittimità costituzionale relativamente all'art. 1, comma 1, lettera b), deldecretolegge 31 marzo 2014, n. 52: nelle parti in cui stabilisce che l'accertamento della pericolosità sociale è effettuato sulla base delle qualità soggettive della persona e senza tenere conto delle condizioni di cui all'articolo 133, secondo comma, numero 4, del c.p.e che non costituisce elemento idoneo a supportare il giudizio di pericolosità sociale la sola mancanza di programmi terapeutici individuali.

La Corte costituzionale con la sentenza n. 186/2015 ha ritenuto la questione di legittimità non fondata, rilevando che la normativa in questione appare in linea con la giurisprudenza costituzionale, concludendo che: la disposizione censurata non ha modificato, neppure indirettamente, per le persone inferme di mente o seminferme di mente, la nozione di pericolosità sociale, ma si è limitata ad incidere sui criteri di scelta tra le diverse misure di sicurezza e sulle condizioni per l'applicazione di quelle detentive.

Dal diritto alla psichiatria, nuove relazioni

Sul superamento degli O.P.G. – riflettendo il latente conflitto fra trattamento e punizione – in modo radicale da strutture alternative e “nuovi” percorsi terapeutici vi era accordo unanime. L'ospedale psichiatrico giudiziario è stato, di fatto, utilizzato come separata struttura di massima sicurezza; con l'applicazione della misura di sicurezza psichiatrica, in detta struttura, ci si preoccupava da un lato di sottrarre il malato di mente ad una carcerazione ritenuta ingiusta, dall'altro di collaborare al controllo sociale attraverso la contemporanea assicurazione delle esigenze terapeutiche. Ma tutta una serie di elementi, nel corso del tempo, hanno vanificato questa affermazione; da una attenta ed illuminata analisi ci si è resi conto che da valutazioni equivoche discendevano prognosi equivoche che si traducevano in giudizi non fondati sulla pericolosità sociale psichiatrica. Infatti, le caratteristiche contenitive proprie dell'O.P.G. – che da sole controllavano gli agiti violenti anche per una fisica distanza d pungoli stenici-finivano, spesso, con il non rendere necessario l'utilizzo di una terapia che, in definitiva, avrebbe consentito la dimissione del paziente.

L'alta finalità positiva della legge 30 maggio 2014 n. 81 è quella di restituire la “cura” del paziente portatore di patologia psichiatrica, autore di reato, coinvolto in vicende giudiziarie, destinatario di misure di sicurezza, al D.S.M.

Ma la modalità ambigua con cui è stata declinata – nell'attuale momento di transizione – rischia di portare al collasso il lavoro clinico-riabiltativo-giuridico; suscitando un ampio dibattito su alcuni aspetti problematici.

Un primo argomento riguarda la modifica del luogo con l'identificazione delle strutture alternative all'O.P.G. nelle Rems.

Le Rems sono residenze sanitarie ancora senza una fisionomia definita, non tanto in riferimento a logistica e organizzazione, per molti versi strutturate in base ai criteri minimi del decreto ministero della salute del 1° ottobre 2012 (dotazione massima di 20 posti letto, rispetto di requisiti strutturali, tecnologici ed organizzativi, presenza di personale qualificato, aggiornato sulle questioni medico-legali, competente in riabilitazione e con alta formazione specifica) o in riferimento ai programmi terapeutici da assicurare (durata dei trattamenti e differenziazione dei percorsi di cura per particolari gruppi di pazienti), quanto alle modalità con cui assicurarli (obbligatorietà di cura) e primariamente riguardo l'ambivalenza – insita nell'acronimo stesso residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza – poco conciliabile tra le nozioni di cura e di controllo, essendo previsto il raggiungimento di standard assistenziali elevati e la contemporanea garanzia di massima sicurezza (ovviamente non sanitaria!).

Di massimo rilievo è quindi il tema della responsabilità professionale, della posizione di garanzia e dell'obbligo alla cura; premessa a qualsiasi riflessione su questi temi è che vengano sciolti una serie di nodi e che venga fatta chiarezza su princìpi e mandati. Quella che emerge complessivamente da norme e direttive è una rappresentazione della realtà dicotomica: nei pazienti “giudiziari" come si integrano i due princìpi etici della beneficità e dell'autonomia con l'implicito mandato di difesa sociale?

Uno dei problemi più sentiti in questo momento dagli psichiatri in Italia – proprio nel senso di vuoto normativo-regolamentare – è non a caso quello del "salto" esistente fra il momento dell'urgenza (prevalere della beneficità) e quello di garantire la continuità terapeutica al trattamento (ritorno all'autonomia) in una forma trattamentale che ha, alla base, quella che potremmo definire obbligatorietà "mediata" alle cure se è vero che l'art. 32 della Costituzione tutela la salute come diritto dell'individuo ma anche come interesse della collettività.

Restituire chiarezza di contesto al lavoro psichiatrico – dei diritti dei pazienti e dei diritti/doveri degli operatori di salute mentale che operano normativamente in zone che è poco dire d'ombra – è dunque indispensabile.

L'idea che un progetto terapeutico possa rispondere sia al dovere di tutela della salute dell'infermo che ad esigenze di difesa sociale non sempre è, tuttavia, realistica; le finalità trattamentali del paziente psichiatrico "giudiziario" (e non solo dei pazienti nelle Rems ma anche di tutti quei pazienti che attualmente, al di là della chiusura degli O.P.G., a seguito della nota sentenza n. 253/2003 della Corte cost. che, consentendo il ricorso alla misura di sicurezza della libertà vigilata, già oggi stanno nel territorio – e segnatamente nelle strutture riabilitative – in una forma trattamentale che ha, alla base, quella che potremmo definire volontà condizionata) riflettono difatti inevitabilmente la volontà di prevenirne la possibile recidiva violenta. Rispondere a questa complessità operativa – e ai tanti "vuoti" normativi che essa denuncia – richiede, prima di qualsiasi intervento "tecnico", chiarezza in ordine a princìpi e obiettivi, ma anche un buon esame di realtà. Quale che sia la sintesi a cui si giunga, ciò che conta sono soluzioni unitarie e coerenti, a garanzia di pazienti, familiari e operatori del settore.

Un secondo nodo, a soli 32 mesi dalla legge n. 81/2014, è il problema della sempre crescente lista di soggetti – autori di reato con vizio di mente, giudicati socialmente pericolosi in senso psichiatrico – in attesa che il Dap assegni la misura di sicurezza detentiva da eseguire con il ricovero presso le Rems.

Si è osservato, infatti, una notevole variabilità a livello regionale in termini di ritardo temporale nella realizzazione di queste strutture, nonostante la corsa ed i costi elevati, rispetto ai termini stabiliti dalla legge; e, di conseguenza un numero di posti non idoneo ad accogliere i pazienti provenienti dagli O.P.G. (ove taluni ancora risultano internati) ed i nuovi ingressi; una mancata realizzazione di reparti psichiatrici altamente qualificati all'interno delle singole strutture carcerarie quale potenziamento dell'assistenza psichiatrica negli istituti di pena, un inadeguato supporto delle A.S.P. – necessario ed indispensabile – ai servizi di salute mentale coinvolti nei percorsi di cura dei pazienti “giudiziari” competenti per territorio (specifica formazione del personale della dirigenza medica e del comparto e potenziamento in termini di unità operative, rappresentano aspetti essenziali per la costruzione di un setting e di un clima di stabilità dell'equipe, tale da consentire modalità appropriate di intervento per la gestione della nuova realtà).

Il problema delle “liste d'attesa”, conseguente a tutto quanto sopra e non solo, si riflette a cascata in seno ai dipartimenti di salute mentale che hanno avuto, hanno e avranno il gravoso compito di prendere in carico, oltre l'utenza ormai quasi mensilmente inviata con misura di sicurezza della libertà vigilata, anche i pazienti con problematiche giudiziarie “dismessi” dagli O.P.G., ricoverati nelle Rems e da tali strutture dimessi e i tanti bloccati nelle “liste d'attesa”; tutti pazienti con “speciali” bisogni, non solo portatori di necessità cliniche e assistenziali ma richiedenti anche percorsi di cura e reinserimento personalizzati, oltre obblighi di natura giuridica (taluni dei quali peraltro in assenza di reali patologie psicotiche - psicopatia, disturbo antisociale - che mal si legano e convivono con la realtà del paziente psichiatrico).

In particolar modo nelle comunità terapeutiche assistite, tutto ciò ha determinato e determina una crescente difficoltà nella gestione dei rapporti tra tipologie differenti di pazienti che si riflette in tutte le sue componenti, inclusa la difficoltà degli operatori e le difficoltà connesse alle crescenti richieste della Magistratura; con rischio concreto di non poter assicurare i L.E.A. (Livelli Essenziali di Assistenza) e grave pregiudizio, anche, della “sicurezza” del personale. Ultròneo ricordare che punto fermo per la dirigenza medica rimane quello di assumere - solo nell'ambito degli obblighi di garanzia e non in un'ottica di difesa sociale che non gli compete - una serie di misure aventi funzione di protezione del paziente giudiziario a “difesa” dello stesso da quelle alterazioni psichiche acute e gravi che possono accompagnarsi con reali, concreti passaggi all'atto e di tutela degli altri pazienti e di tutti gli operatori.

La terza e forse più evidente criticità è, infine, relativa alla mancata modifica del codice penale con specifico riferimento alla perizia/consulenza tecnica psichiatrica.

Ricadono nel percorso giudiziario-psichiatrico, di fatto, quei soggetti con riconosciuta pericolosità sociale in senso psichiatrico sulla quale si esprime il perito solo se è stata riscontrata un'incapacità d'intendere e/o di volere.

L'arbitrario utilizzo di categorie diagnostiche psichiatriche al servizio del vizio di mente, l'ambivalente ed aleatoria prognosi sovrapposta confusamente al concetto di pericolosità psichiatrica e questo al concetto di pericolosità giuridica non ha evitato l'ingresso nei circuiti sanitari a persone con pericolosità sociale non derivante da malattia psichiatrica.

Chi si confronta con questi temi ben sa che i concetti imputabilità e pericolosità sociale sono gli elementi chiamati in causa a motivare l'applicazione delle misure di sicurezza. Tanto spesso continuiamo a sentire, da parte di avvocati, suggestive richieste di perizie psichiatriche a fronte di una documentata cartella clinica con diagnosi di disturbo di personalità antisociale o pubblici ministeri richiedere ed ottenere –in assenza di valutazione tecnica – l'applicazione provvisoria di misura di sicurezza con internamento in Rems.

Al fine di una fruibile applicazione dei princìpi ispiratori della legge 81/2014, è necessario che vengano affrontati alcuni snodi problematici:

  1. Individuata la categoria diagnostica nosografica - disturbi psicotici e disturbi di personalità gravi -con rigorosa estromissione delle psicopatie e del disturbo antisociale, per i quali è esclusa ogni rilevanza in punto di vizio (totale o parziale) di mente- l'analisi va spostata al funzionamento presente al momento del fatto reato ed in riferimento allo stesso (modello diagnostico integrato).
  2. L'eventuale presenza e persistenza di quella condizione psicopatologica che, sempre nell'ambito delle convezione, si è tradotta in vizio di mente supporterà il concetto di pericolosità psichiatrica (pazienti acuti, subacuti e non responder alle terapie) in termini di rischio clinico e di necessità – allo stato – di cura ad elevata o attenuata intensità terapeutica cioè bisogno di cura e “controllo” sanitario.
  3. L'elaborato peritale deve essere utilizzato per offrire al giudice della cognizione e al magistrato di sorveglianza indicazione di luoghi e modalità di esecuzione del relativo programma terapeutico da applicare alla malattia (e non all'infermità! Che non è uno stato bensì un lasso temporale circoscritto al momento del fatto ed in riferimento allo stesso); progetto di cura all'interno del quale saranno valutati gli indicatori psicopatologici di rischio psichiatrico analogamente alle risorse individuali e ambientali ed ai fattori protettivi così da garantire la previsione di un percorso il più possibile aderente e consono alla patologia psichiatrica dell'individuo, alle sue condizioni personali, sociali ed individuali.
  4. Durante tutto il percorso giudiziario, il dipartimento di salute mentale - che ha in carico cura e controllo degli internati in una Rems e dei liberi vigilati con tutti gli obblighi di garanzia che già ha nei confronti dei pazienti psichiatrici “civili” - attui protocolli d'intesa con la Magistratura affidante.
In conclusione

Seppur accompagnata da un grande vuoto codicistico, la legge 81 del 2014, non può delinearsi come un totem ideologico. Con essa è iniziata una nuova era i cui processi e esiti sono da monitorare con accuratezza.

È fondamentale pertanto che l'uso delle misure di sicurezza sia inquadrato in una cultura primariamente orientata alla cura (prendersi cura) – perizie e consulenze devono implementarsi in maniera dinamica, secondo l'aspirazione della legge 81 e il dettato costituzionale che stabilisce essere quello alle cure un diritto inalienabile di tutti i cittadini – attraverso un'azione integrata inserita in un sistema assistenziale a rete, di cui fa parte l'A.S.P. ed il D.S.M. con tutte le strutture a essi afferenti ma soprattutto operatori della giustizia, della sanità e dei servizi sociali cui è demandata la tutela del paziente psichiatrico giudiziario e che devono a tale scopo costruire percorsi comuni di collaborazione e di reciproca comunicazione.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario