Spese di giustizia e compensi dei difensoriFonte: DPR 30 maggio 2002 n. 115
20 Maggio 2016
Inquadramento
Con la l. 248/2006 (c.d. legge Bersani) sono state apportate le prime sostanziali modifiche al sistema tariffario (basato sulla predeterminazione amministrativa, aggiornabile, varata su proposta degli ordini professionali ed approvata dal Ministro competente) prevedendo la non obbligatorietà delle tariffe fisse minime, la nullità delle pattuizioni dei compensi conclusi tra avvocati e clienti se non redatti in forma scritta (riformulazione art. 2233, comma 3, c.c.). L'art. 9 del d.l. 24 gennaio 2012, n. 1 (Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività) convertito con modificazioni dalla l. 27/2012, ha espressamente abrogato le tariffe professionali ed ogni altra norma che facesse riferimento alle tariffe, prevedendo, in via residuale, che, per la sola liquidazione dei compensi da parte di un organo giurisdizionale, si dovesse fare riferimento a parametri stabiliti con decreto del ministero della giustizia; successivamente, è stato, quindi, emanato il d.m. 20 luglio 2012, n. 140, con il quale sono stati regolamentati e determinati detti parametri. Per la determinazione del compenso la regola doveva essere quella del mercato attraverso la necessaria pattuizione scritta del compenso all'atto del conferimento dell'incarico. La nuova legge professionale, l. 31 dicembre 2012 n. 247, recante Nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense, in vigore dal 2 febbraio 2013, quale provvedimento speciale e posteriore, è intervenuta ed ha sostanzialmente superato la precedente normativa, stabilendo, all'art. 13, comma 2, che il compenso spettante al professionista è pattuito di regola per iscritto all'atto del conferimento dell'incarico professionale e che solo nel caso in cui il compenso non sia stato pattuito in forma scritta, o manchi qualsivoglia determinazione consensuale, o, ancora, in caso di liquidazione giudiziale, o per prestazioni rese nell'interesse di terzi e per prestazioni officiose previste dalla legge, si debbano applicare i parametri (art. 13, comma 6). Il riferimento deve intendersi ai parametri indicati nel decreto 55, emanato dal Ministro della giustizia, su proposta del C.N.F., in attuazione della legge stessa (art. 1, comma 3) che è stato firmato in data 10 marzo 2014, pubblicato sulla Gazz. uff. n. 77 in data 2 aprile 2014 ed entrato in vigore il giorno successivo. Tutta la normativa citata non ha intaccato la specialità della disciplina dei compensi prevista, anche per gli avvocati, dal d.P.R. 115/2002, Testo unico per le spese di giustizia. La determinazione del compenso
L'art. 13 della l. 247/2012, Conferimento dell'incarico e compenso, lascia all'avvocato la massima libertà nella determinazione del proprio compenso, prevedendo espressamente che la relativa pattuizione possa avvenire, di regola (ma non più obbligatoriamente),per iscritto all'atto del conferimento dell'incarico: a tempo, forfetariamente, per convenzione avente ad oggetto, uno o più affari, per stadi di erogazione della prestazione, per singole fasi o per l'intera attività, a percentuale. Nel caso in cui manchi il preventivo accordo, ed in ogni altra ipotesi prevista al comma 6, sarà possibile utilizzare i parametri di cui al d.m. 55/2014, applicabili alle liquidazioni giudiziali successive al 3 aprile 2014 (data di entrata in vigore), così come espressamente previsto dall'art. 28. Le Sezioni unite erano già intervenute stabilendo che i nuovi parametri (il riferimento era a quelli introdotti dal d.m. 140/2012) debbano trovare applicazione ogni qual volta la liquidazione giudiziale del compenso intervenga in un momento successivo alla data della loro entrata in vigore se, a quella data, il professionista non aveva ancora completato la propria prestazione professionale, anche se tale prestazione abbia avuto inizio, e si sia in parte svolta, in epoca precedente, quando ancora erano in vigore le tariffe professionali abrogate (Cass. civ., Sez. unite, 12 ottobre 2012, n. 17406). Anche la Corte costituzionale ha avallato tale interpretazione sul presupposto che il compenso professionale costituisce un corrispettivo unitario relativo all'opera professionale complessivamente prestata (Corte cost. 7 novembre 2013, n. 261). La disciplina introdotta dalla nuova legge professionale ha mitigato gli effetti dirompenti che aveva provocato la precedente normativa che, abrogando definitivamente le tariffe professionali, prevedeva che la pattuizione del compenso con il cliente dovesse essere conclusa per iscritto a pena di nullità, conformemente a quanto previsto dall'art. 2233, comma 3, c.c. e che, sempre a pena di nullità, nella pattuizione del compenso, non si potesse far riferimento ai parametri ministeriali (d.l. 1/2012, d.m. 140/2012), i quali potevano essere utilizzati solo per le liquidazioni giudiziali. L'accordo tra le parti rimane, comunque, il principale criterio ispiratore della riforma. Tuttavia, la legge professionale consente di poter far riferimento ai parametri di cui al d.m. 55/2014, non solo nei casi di liquidazione da parte di un organo giurisdizionale ma anche in tutti gli altri casi previsti nel già citato art. 13, comma 6 e ribaditi dall'art. 1 del medesimo decreto. Quale corollario dell'affermata funzione sociale dell'avvocato ad opera della nuova legge professionale: i parametri forensi rispondono all'esigenza di trasparenza e prevedibilità dei costi legali, garantendo che cittadini ed imprese possano valutare economicamente i costi ed i benefici della prestazione professionale (Comunicato stampa C.N.F. 10 marzo 2013). La legge 247/2012 ha previsto un sistema di regolamentazione biennale dei compensi secondo il quale ogni successivo intervento normativo è abrogativo del precedente. È stato, inoltre, ammesso che l'avvocato possa svolgere l'incarico professionale a proprio favore e che l'incarico possa essere svolto a titolo gratuito. Al fine di evitare inutili ripetizioni, il d.m. 55/2014 raggruppa in un unico capo, le norme che devono trovare applicazione in tutte le controversie, a prescindere dalla materia. I criteri generali prevedono che il compenso debba essere proporzionato all'importanza dell'opera, intesa come attività professionale, e che debba sempre essere riconosciuto (anche in caso di determinazione contrattuale del compenso) un rimborso forfetario, nella misura indicativa (“di regola”) del 15% del compenso totale, per le c.d. spese generali: cioè quelle spese che sono effettive ma non documentabili per ogni singola pratica, quali ad es. quelle relative alla gestione dello studio (art. 13, comma 10,l. 247/2012). In tali spese non sono ricomprese, ma andranno comunque riconosciute, sia l'indennità di trasferta che il rimborso delle spese documentate, sostenute dall'avvocato per lo svolgimento dell'attività al di fuori del luogo in cui svolge prevalentemente la professione (artt. 2, 5, 11, 15, 27). A garanzia e tutela dell'indipendenza dell'avvocato rispetto agli interessi personali del cliente (artt. 9, 23, comma 3, 24, 25 cod. deontologico), la nuova legge professionale ha reintrodotto il divieto del c.d. patto di quota lite: con cui si prevede che l'avvocato percepisca come compenso, in tutto o in parte, una quota del bene oggetto della prestazione o della ragione litigiosa (art. 13, comma 4, 1261 c.c.); la violazione del divieto è punita dal codice deontologico con la sanzione della sospensione dall'esercizio della professione da due a sei mesi (art. 25, comma 2, cod. deontologico). Il preventivo
Nel rispetto del principio di trasparenza, se richiesto, l'avvocato deve comunicare al cliente, o a colui che gli conferisce l' incarico, l'ammontare degli oneri ipotizzabili per l'adempimento dell'incarico stesso, distinguendo fra oneri, spese, anche forfetarie, e compenso professionale: il preventivo, a seconda della richiesta, potrà essere scritto o orale. Per la redazione del preventivo potranno essere utilizzati i parametri ministeriali di cui al d.m. 55/2012. Specie per l'attività defensionale penale non è sempre agevole e, spesso, neppure possibile (si pensi al caso di un assistito arrestato) poter prontamente redigere un preventivo, per di più scritto, in cui poter ipotizzare non solo i costi ma i possibili sbocchi dell'attività difensiva. Necessariamente, si dovrà procedere per singole fasi, o, addirittura, per singoli atti, aggiornando, man mano, il preventivo. Il preventivo di massima era già stato introdotto dalla precedente normativa: l'art. 1 del d.m, 140/2012, prevedeva, addirittura, che la sua mancanza costituisse elemento di valutazione negativa per la liquidazione del compenso da parte dell'organo giurisdizionale. Oggi, l'onere imposto all'avvocato risponde al più generale dovere d'informazione previsto anche dal codice deontologico, il quale, con riferimento al compenso, all'art. 27, comma 2, cod. deontologico ripropone, in sintesi, il testo dell'art. 13, comma 5, l. 247/2012. La mancata informazione in merito al prevedibile costo della prestazione, quindi il mancato rilascio di preventivo scritto o orale, è deontologicamente sanzionata con l'avvertimento. L'avvocato, per tutto il corso del mandato, deve tenere la contabilità puntuale delle spese sostenute e degli acconti ricevuti, rendicontando il cliente che ne faccia richiesta (art. 29, comma 2, cod. deontologico). All'atto del conferimento dell'incarico, dovrà, inoltre, sempre verificare se l'assistito abbia i requisiti per accedere al patrocinio a spese dello stato, informandolo di tale beneficio (art. 27, comma 4, T.U.S.G.): anche questa violazione è sanzionata con l'avvertimento. Una volta che l'assistito venga ammesso al patrocinio a spese dello stato, gli è fatto divieto richiedere o percepire compensi o rimborsi, a qualunque titolo, dalla parte o da terzi: la violazione del dettato deontologico è severamente punita con la sanzione della sospensione dall'attività professionale da sei mesi ad un anno (artt. 29, commi 8 e 9, cod. deontologico, art. 85 T.U.S.G.). I parametri per la determinazione del compenso in materia penale
Gli artt. 12 e ss. del d.m. 55/2014 si occupano specificatamente della regole applicabili per la determinazione dei compensi per l'attività penale di cui alla allegata tabella n. 15. Quest'ultima fissa i parametri numerici medi cui far riferimento per ciascuna fase del giudizio in relazione a specifiche tipologie di attività o ai diversi organi giudicanti davanti alle quali viene svolta l'attività difensiva. Sono state previste quattro fasi del giudizio penale, suddivise in: studio della controversia, fase introduttiva del giudizio, istruttoria e/o dibattimentale, decisionale. Ciascuna fase potrà trovare applicazione davanti al giudice di pace, durante le indagini preliminari, nel corso delle indagini difensive, per l'attività da svolgere in caso di misure cautelari personali e/o reali, davanti al Gip e/o al Gup, davanti al tribunale monocratico, al tribunale collegiale, alla Corte d'assise, al tribunale di sorveglianza, alla Corte d'appello, alla Corte d'assise d'appello, alla Corte di cassazione ed alle giurisdizioni superiori. Per ciascuna fase è elencata, esemplificativamente, l'attività tipica da ricomprendere nella determinazione del compenso unitario di fase (art. 12, comma 3). I valori medi di fase, indicati nella tabella 15 potranno essere, di regola, maggiorati sino all'80%, o diminuiti sino al 50% in ragione delle circostanze concrete, secondo alcuni indici espressamente previsti ed elencati; anche in questo caso l'utilizzo del termine di regola, implica che il riferimento è meramente indicativo e non vincolante (Relazione di accompagnamento al d.m. 55/2014), tuttavia, il giudice non potrà compiere valutazioni meramente discrezionali rispetto ad aumenti e diminuzioni previste ex lege e dovrà sempre motivare in merito (art. 111, comma 6, Cost).
Nel caso in cui l'avvocato assista più soggetti aventi la medesima posizione processuale, il compenso potrà essere aumentato, indicativamente, ma non obbligatoriamente, del 20% per ogni soggetto oltre il primo e fino ad un massimo di dieci e del 5% per ogni soggetto oltre i primi dieci fino ad un massimo di venti. Qualora l'incarico non venga portato a compimento, per rinuncia o revoca del mandato, oppure per cause estintive del reato, l'avvocato avrà diritto al compenso maturato per l'opera svolta sino alla data di cessazione dell'incarico o della pronuncia della causa estintiva. Le regole dettate per la determinazione del compenso in materia penale, previste dal Capo III del d.m. 55/2012 (artt. 12 - 17) e dalla tabella 15 allegata, si applicano anche ai difensori delle altre parti private: parte civile, responsabile civile e civilmente obbligato. La normativa citata non ha intaccato la specialità della disciplina prevista dal d.P.R. 115/2002, Testo Unico per le Spese di Giustizia, per la liquidazione dei compensi agli avvocati delle parti ammesse al patrocinio a spese dello Stato e per il difensore d'ufficio in casi particolari (artt. 74 – 145). Per quanto riguarda, specificatamente il compenso per il difensore che assiste un soggetto ammesso al patrocinio a spese dello stato in materia penale, occorre evidenziare, come già la l. 147 del 23 dicembre 2013, c.d. legge si stabilità 2014, con l'introduzione dell'art. 106-bis, abbia anticipato la riduzione del compenso nella misura del 30% che sarebbe stata, in ogni caso, prevista dal successivo d.m. 155/2014; la relazione accompagnatoria del decreto ministeriale ne dà espressamente atto, rilevando che per effetto di tale anticipata riduzione, è stato espunto dall'art. 12, comma 2, d.m. 155/2014 l'inciso relativo alla determinazione del compenso nella fattispecie in esame. Per la determinazione del compenso al difensore della parte ammessa al patrocinio a spese dello stato in materia penale, si dovrà, quindi, fare riferimento sia alla previsione generale dell'art. 82 T.U.S.G. che pone quale limite massimo alla liquidazione i valori medi, tenuto conto della natura dell'impegno professionale, in relazione all'incidenza degli atti assunti rispetto alla posizione processuale della persona difesa, nonché di quanto previsto specificatamente dall'art. 12, comma 2, ultima parte, d.m. 115/2012, che ripropone quest'ultimo inciso richiedendo la valutazione della concreta incidenza degli atti compiuti dal difensore. Per effetto di tali disposizioni e di quanto previsto dall'art. 12, comma 1, d.m. 155/2014 il compenso potrà ulteriormente venir decurtato per effetto della diminuzione fino al 50% (non vincolante, ma certamente non discrezionale) applicabile una volta valutata concretamente l'attività svolta dal professionista secondo i criteri previsti dalla norma, oppure maggiorato fino all'80%. Ai sensi e per gli effetti del citato art. 106-bis T.U.S.G., l'importo della liquidazione andrà, ulteriormente, ridotto di un terzo. La norma è operante per tutte le liquidazioni successive alla sua entrata in vigore anche se relative ad istanze già depositate in cancelleria e, quindi, relative ad attività terminate prima. La norma è applicabile anche alle liquidazioni dei compensi al difensore d'ufficio che dimostri di essersi inutilmente attivato per il recupero del credito professionale (art. 116), al difensore d'ufficio dell'irreperibile (art. 117) e del minore (art. 118), nonché del difensore dei collaboratori di giustizia (art. 115). Al fine di rendere maggiormente certi ed omogenei i principi applicabili alle liquidazioni per prestazioni officiose ed ridurre il numero delle impugnazioni, in molti distretti di Corte d'appello e tribunali sono stati stipulati protocolli di liquidazione concordati tra i Presidenti degli Uffici giudiziari, la Procura, i Consigli dell'Ordine e la Camera penale (es. protocollo Corte d'appello di Milano del 16 ottobre 2014, reperibile sul sito dell'Ordine degli Avvocati di Milano). |