Estensione del fallimento alla società di fatto: inammissibile la questione di costituzionalità

La Redazione
18 Dicembre 2014

E' inammissibile, per difetto di motivazione, la questione di legittimità costituzionale, sollevata dal Tribunale di Bari, dell'art. 147, comma 5, l. fall., nella parte in cui, in ipotesi di fallimento originariamente dichiarato nei confronti di una società di capitali, non consente l'estensione del fallimento ad una società di fatto tra la società originariamente dichiarata fallita ed altri soci di fatto, siano essi persone fisiche o altre società.

E' inammissibile, per difetto di motivazione, la questione di legittimità costituzionale, sollevata dal Tribunale di Bari, dell'art. 147, comma 5, l. fall., nella parte in cui, in ipotesi di fallimento originariamente dichiarato nei confronti di una società di capitali, non consente l'estensione del fallimento ad una società di fatto tra la società originariamente dichiarata fallita ed altri soci di fatto, siano essi persone fisiche o altre società. Lo ha stabilito la Corte Costituzionale, con sentenza n. 276 depositata il 12 dicembre.


La vicenda. Con ordinanza del 20 novembre 2013 il Tribunale di Bari ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 147, comma 5, nella parte in cui non consente l'estensione del fallimento, originariamente dichiarato nei confronti di una società di capitali, ad una società di fatto costituita tra la società di fatto e altri soci: tale disposizione violerebbe l'art. 3 Cost., prevedendo una disparità di trattamento tra società di fatto.


L'aspetto controverso: partecipazione di una società di capitali a una società di fatto. La Corte Costituzionale ha ritenuto inammissibili le censure prospettate dal Tribunale per difetto di motivazione: il rimettente, infatti, ha omesso di interrogarsi sulla possibilità, per una società di capitali, di partecipare a una società di fatto. Rileva la Consulta che, in base all'art. 2361, comma 2, c.c., una società di capitali può assumere partecipazioni in imprese comportanti la responsabilità illimitata, purché tale assunzione sia deliberata dall'assemblea dei soci e gli amministratori ne diano specifica informazione nella nota integrativa di bilancio. Considerato che la costituzione delle società di fatto avviene per facta concludentia, dunque senza alcuna formalità, il giudice a quo avrebbe dovuto verificare la compatibilità dell'art. 2361 c.c. con la possibilità per le società di capitali di partecipare a società di fatto, prendendo anche posizione sulle conseguenze del mancato rispetto delle formalità prescritte dalla norma codicistica. Avrebbe dovuto, infine, esprimersi sulla possibilità di estendere anche alle società a responsabilità limitata la disciplina che l'art. 2361 detta espressamente per le sole s.p.a.
Sul punto si registra un contrasto in dottrina e nella giurisprudenza di merito, mentre la Cassazione non si è ancora pronunciata: la mancanza di ogni argomentazione al riguardo, da parte del Tribunale, comporta un vizio di motivazione che rende inammissibile la questione di legittimità costituzionale prospettata.


Verifica dell'esistenza della società di fatto. L'ordinanza di rimessione appare censurabile sotto un ulteriore profilo: il giudice a quo, infatti, non ha compiuto la necessaria verifica dell'esistenza della società di fatto, limitandosi a richiamare gli elementi da cui il curatore fallimentare ha tratto il proprio convincimento sull'esistenza di una struttura societaria. Una simile valutazione del giudice appare, al contrario, imprescindibile, dal momento che l'applicabilità dell'art. 147, comma 5. l. fall., è appunto condizionata all'esistenza della società.
Anche per questo motivo la Corte Costituzionale deve dichiarare l'inammissibilità della questione di legittimità proposta.

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