AdE: welfare unilaterale esente anche se collegato ad obiettivi individuali

Paolo Bonini
17 Novembre 2017

Dopo una breve introduzione sul tema del welfare aziendale in termini generali, il Focus si sofferma sull'Interpello n. 904-791/2017. In esso, l'Agenzia interviene sul trattamento fiscale da riservarsi all'offerta, volontaria ed unilaterale, di flexible benefit, la cui effettiva fruizione sia collegata al raggiungimento di particolari obiettivi sia individuali che aziendali. Si vedrà in conclusione che la risposta dell'Agenzia delle Entrate ha importanti implicazioni sulle possibili decisioni aziendali in materia.
Premessa

Come noto, il cosiddetto welfare aziendale è il vero tema caldo degli ultimi anni sul fronte dell'organizzazione del lavoro dipendente. Insieme ad altre misure ad esso correlate, esso può costituire, ad un tempo, il mezzo e il punto di approdo di un processo capace, in un'ottica win-win, di dare risposta a molteplici esigenze: del mondo del lavoro (in senso ampio, ossia con riferimento a tutte le parti coinvolte), dell'organizzazione statale (salvaguardia - in un contesto di sussidiarietà - del “lato sociale” dell'economia di mercato, messo sempre più in discussione dalle reciproche interazioni tra debito pubblico, tendenze demografiche, vincoli e impegni assunti a livello internazionale), trasformazioni sociali (vecchi e nuovi bisogni, non solo di carattere strettamente economico, come ad esempio i temi legati alla conciliazione dei tempi di vita e di lavoro).

Dal punto di vista delle relazioni industriali, ciò comporta, quantomeno, un maggiore accento sulle logiche “collaborative” rispetto a quelle “conflittuali”, e una maggiore spinta alla contrattazione decentrata.

In questo senso si è mosso il legislatore fiscale (e, dunque, previdenziale), a partire dalla L. n. 208/2015: l'estensione di regimi agevolati per importanti categorie di benefit, anche quando contrattati a livello territoriale o aziendale (superando gli orientamenti che consideravano il benefit contrattato in azienda, in quanto tale, come elemento retributivo tout-court, con ciò riconducendolo nell'alveo del c. 1 dell'art. 51 TUIR, quale “valore” per lo più pienamente imponibile), consente, nel confronto tra le parti contrattuali, se non altro, una puntuale rilevazione dei reciproci bisogni. Il benefit così individuato sarà senz'altro maggiormente idoneo a raggiungere il proprio scopo rispetto a quanto avviene nella logica del welfare unilaterale. Nell'ambito della comunità aziendale, tale scopo può essere sintetizzato, dal un lato, in un maggiore benessere del lavoratore (così fidelizzato), e nelle conseguenti positive ricadute in termini di efficienza e produttività aziendale, dall'altro.

Così, inevitabilmente, il tema del welfare aziendale non può che intrecciarsi, anche a livello normativo, con il tema della retribuzione di produttività e della contrattazione decentrata in senso più ampio. Il cantiere è aperto: dopo la L. n. 208/2015, come noto, anche la L. n. 232/2016 è intervenuta, ampliando il raggio d'azione delle norme in parola; occorre poi non dimenticare le nuove norme in materia di spendibilità dei buoni pasto (Decreto 7 giugno 2017, n. 122), né tantomeno le misure in materia di accordi di secondo livello che favoriscano la conciliazione tra tempi di vita e di lavoro, verso i quali sono state “riorientate” le risorse in precedenza destinate alla decontribuzione dei premi variabili (D.M. 12 settembre 2017, recentemente approdato in G.U.). Le parti sociali sembrano rispondere positivamente, non solo con il rinnovo del CCNL dei metalmeccanici, che appunto “approfitta” proprio dell'intervento della Legge n. 232/2016, ma anche con il moltiplicarsi di intese aziendali e territoriali volte a raggiungere anche le realtà di più piccola dimensione; aumentano anche gli accordi “partecipativi”, ossia quelli che prevedono il coinvolgimento dei lavoratori nell'organizzazione del lavoro. Gli organi amministrativi sono poi intervenuti per quanto di loro competenza, sia dando attuazione a disposizioni di legge (D.M. 25 marzo 2016), sia fornendo interpretazioni di prassi (su tutte, la Circolare n. 28/E/2016 dell'Agenzia delle Entrate). Del resto, le nuove norme lasciano sopravvivere il cd. welfare unilaterale, ossia quello attuato per iniziativa del datore di lavoro, senza coinvolgimento delle parti sociali. È proprio questo l'oggetto del presente Focus: la risposta ad Interpello n. 904-791/2017 della Direzione regionale lombarda dell'Agenzia delle Entrate, riguarda la deducibilità fiscale di servizi di welfare offerti unilateralmente dal datore di lavoro e collegati al raggiungimento di obiettivi individuali e aziendali.

Welfare aziendale: oggetto e trattamento fiscale e contributivo

L'individuazione delle possibili misure di welfare aziendale e del relativo trattamento fiscale e contributivo, passa attraverso la lettura:

  • dell'art. 51 TUIR, come modificato ed integrato dalle L. nn. 208/2015 e 232/2016;
  • degli artt. 95 e 100 TUIR;
  • dell'art. 8, c. 4 e 6, D.Lgs. n. 252/2005;
  • dell'art. 1, cc. 182-190 della stessa L. n. 208/2015, come modificata ed integrata dalla L. n. 232/2016;
  • del D.M. 25 marzo 2016, adottato in attuazione dell'art. 1, c. 188, L. n. 208/2015.

Importanti precisazioni ed esemplificazioni sono poi contenute nella prassi ministeriale (su tutte, come detto, la circolare AdE n. 28/E del 25 giugno 2016).

L'art. 51 TUIR, come noto, detta le regole di determinazione del reddito di lavoro dipendente, a partire dal generale principio di onnicomprensività di cui al c. 1, per proseguire poi elencando elementi che, in deroga tale principio, sono da considerarsi totalmente o parzialmente esenti, alle condizioni ivi stesso previste.

Le regole di deducibilità della contribuzione alla previdenza complementare, oggetto di un importante intervento da parte delle L. n. 232/2016, sono invece contenute, oltre che nella citata Legge (art. 1, c. 160, che inserisce il c. 184-bis nell'art. 1, L. n. 208/2015), nell'art. 8, commi 4 e 6 del D.Lgs. n. 252/2005.

Come accennato, il trattamento fiscale e contributivo delle varie misure è differenziato (sia per il dipendente che per l'azienda), tra l'altro, a seconda che il loro riconoscimento tragga origine:

  • da atto unilaterale del datore di lavoro (regolamento), o anche da contrattazione individuale, anche plurima (welfare volontario);
  • da disposizioni di contratto collettivo (aziendale o territoriale), o anche, come sopra accennato, di regolamento aziendale, tale però da configurare un obbligo negoziale in capo al datore di lavoro. Tale potrebbe essere, ad esempio, il regolamento adottato in esecuzione di un precedente obbligo negoziale di fonte collettiva. Occorre precisare che, con riguardo alle opere e ai servizi (cd. flexible benefit) offerti ai lavoratori di cui alla lettera f) del c. 2 dell'art. 51 TUIR, il regime agevolato si applica anche laddove la fonte negoziale sia il CCNL (art. 1, c. 162, L. n. 232/2016);
  • dall'esercizio, da parte del lavoratore, dell'opzione di sostituzione dei premi monetari variabili (cd. “premio sociale”), purché tale diritto sia riconosciuto dalla fonte istitutiva degli stessi premi (contratto collettivo aziendale o territoriale).
L'Interpello n. 904-791/2017: welfare unilaterale ma anche premiante

L'interpello oggetto del presente focus riguarda il solo welfare unilaterale. Come noto, un piano di benefit può ben consistere nell'individuazione di un paniere di beni, tra i quali i dipendenti interessati sceglieranno in base alle proprie esigenze. Tale è il piano elaborato dalla Società istante. Esso consiste appunto nella messa a disposizione di tutti i dipendenti di un paniere di beni selezionabili attraverso l'accesso ad una piattaforma web. Si tratta di un piano incentrato sul cd. “carrello della spesa”: il dipendente accede alla piattaforma e sceglie i benefit dei quali intende fruire, componendo liberamente il suo personale paniere. La società istante, alla luce delle particolari caratteristiche e della struttura del proprio piano, chiede quale ne sia il trattamento fiscale.

Il piano infatti, pur essendo unilateralmente disposto, assoggetta la possibilità di accesso ai benefit ad un meccanismo premiale e incentivante, legato cioè al raggiungimento di determinati obiettivi, realizzati i quali si prevede l'assegnazione ai dipendenti di un “credito Welfare” per un valore massimo (ossia variabile in base alla percentuale di raggiungimento dei risultati attesi) di € 1.500,00 annui. In particolare, nel biennio di vigenza del piano stesso:

  • per il primo anno, il “credito welfare” sarà assegnato per intero al raggiungimento del 100% di un determinato obiettivo individuale; nel caso di risultati inferiori esso sarà proporzionalmente ridotto;
  • per il secondo anno, il risultato atteso non è più di carattere individuale, consistendo nel raggiungimento di un determinato livello di fatturato aziendale; anche in questo caso sono previsti riproporzionamenti.

Inoltre, in nessun caso i benefit eventualmente non fruiti potranno essere convertiti in denaro e, come già detto, essi sono rivolti a tutti i dipendenti e non solo ad alcuni di essi.

L'Agenzia sposa la soluzione prospettata dalla società istante, secondo la quale sussistono i presupposti per escludere da imposizione il valore del “credito Welfare”.

Tale valore infatti, rientra nelle previsioni dei commi 2 e 3 dell'art. 51 TUIR, così come nelle disposizioni interpretative dettate dalla prassi ministeriale.

Le argomentazioni dell'Agenzia si rifanno evidentemente alle condizioni di non imponibilità dei benefit di cui all'art. 51, c. 2, lett. f), e art. 100, c. 1 TUIR (opere o servizi riconosciuti dal datore di lavoro, offerti alla generalità dei dipendenti o a categorie di dipendenti e ai familiari indicati nell'art. 12 per specifiche finalità di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto).

Tali condizioni sono essenzialmente due:

  • deve trattarsi di “opere o servizi”, non di somme di denaro (neanche parzialmente); non solo, la prassi ministeriale ha chiarito che tali opere o servizi possano essere forniti anche mediante l'intervento di strutture terze, purché i beneficiari (dipendenti o loro familiari) restino estranei al rapporto contrattuale tra azienda e prestatore del servizio (AdE, Risoluzione 10 marzo 2004, n. 34; AdE, Risoluzione 29 marzo 2010, n. 26); a nulla rilevando, per la soluzione del quesito, evidentemente, il fatto che nei casi più specifici di cui alle lett. f-bis e f-ter (servizi di educazione e istruzione e servizi connessi destinati ai familiari, servizi di assistenza ai familiari anziani o non autosufficienti), possano essere riconosciuti anche somme di denaro e/o rimborsi. Per inciso, ricordiamo che il riferimento all'art. 12 viene in considerazione al solo scopo di individuare i familiari beneficiari in base al loro rapporto di parentela/affinità con il lavoratore, non essendo necessario che gli stessi siano fiscalmente a carico di quest'ultimo;
  • le opere e i servizi devono essere offerti alla generalità o a categorie di dipendenti; anche qui la prassi ministeriale ha più volte ribadito che il concetto di “categoria” di dipendenti è da riferirsi all'individuazione di gruppi omogenei di dipendenti (AdE, Circolare n. 28/E/2016, che conferma quanto già affermato nella Circolare n. 326 del 1997: l'espressione “categoria” non è riferita alle categorie legali, con la conseguenza che essa può essere variamente individuata; può essere quindi “categoria” non solo l'insieme degli impiegati dell'azienda, ma anche l'insieme degli addetti ad un determinato reparto, o l'insieme dei dipendenti con figli a carico, ecc…). Peraltro, anche in questo caso, la questione sarebbe irrilevante, poiché il piano welfare oggetto dell'interpello è rivolto a tutti i dipendenti. Ad ogni modo, solo laddove l'offerta di benefit sia effettuata ad personam o a gruppi di dipendenti non individuati in base a caratteristiche comuni, il relativo valore formerà oggetto di imposizione.

Quindi, verificato che il piano welfare oggetto del quesito soddisfa le condizioni così individuate non resta che concludere che i relativi valori possano essere esclusi dal reddito di lavoro dipendente, non essendo rilevante a questi fini il fatto che l'accesso al benefit sia subordinato al raggiungimento di particolari obiettivi.

In conclusione

L'orientamento espresso dall'Agenzia ha un'importante implicazione: la possibilità di prevedere forme “retributive” incentivanti e tenute esenti da imposizione senza necessariamente attivare procedure negoziali, bensì con iniziativa unilaterale del datore di lavoro (regolamento). L'eventuale differenziazione, in termini di valore conseguito da parte di differenti lavoratori, che potrebbe verificarsi “a valle” del processo non incide sul requisito della generalità dell'offerta (rivolta a tutti o a categorie di lavoratori), che deve essere verificato “a monte”. Peraltro, la fissazione degli obiettivi, anche individuali, non soggiace in questo caso alle norme di oggettività e verificabilità in termini numerici proprie dell'ambito negoziale (D.M. 25 marzo 2016). Ferma in ogni caso la non monetizzabilità dei valori offerti. Si conferma dunque come, anche a seguito degli ultimi interventi legislativi, il tema del welfare, della produttività aziendale, delle politiche retributive e di costo siano sempre più variamente declinabili da parte delle singole realtà imprenditoriali. Le scelte nei singoli casi dovranno dunque essere attentamente valutate e confezionate in modo da attagliarsi quanto più possibile alle esigenze di tutte le parti in causa, e i “sistemi” introdotti dovranno essere poi attentamente monitorati e sottoposti a “manutenzione” costante.

Rifermenti

Normativi

L. n. 232/2016

L. n. 208/2015, Art. 1, cc. 182-191

TUIR: Art. 51, Art. 95, Art. 100

D.M. 25 marzo 2016

Prassi

AdE, Circolare 15 giugno 2016, n. 28

AdE, Risoluzione 10 marzo 2004, n. 34

AdE, Risoluzione 29 marzo 2010, n. 26

AdE, Circolare n. 326/97

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