Reati fallimentari: SMS e conversazioni WhatsApp non sono identificati come “corrispondenza”
17 Gennaio 2018
Legittimo il sequestro del telefono (con tanto di copia integrale delle conversazioni SMS e WhatsApp) nel caso di reati fallimentari. Lo conferma la Cassazione con la sentenza del 16 gennaio 2018 n. 1822, secondo la quale la messaggistica non risponde alle regole per la corrispondenza e alla disciplina delle intercettazioni.
Nel caso in esame, una contribuente ricorreva in Cassazione in merito ad un sequestro che aveva riguardato, tra le altre cose, anche il telefono cellulare dal quale erano state estratte tutte le conversazioni SMS e WhatsApp. Per la ricorrente, era stato violato il principio di proporzionalità ed adeguatezza (nell'aver copiato tutti i dati archiviati).
La Cassazione ha rigettato il ricorso. I dati informatici acquisiti dalla memoria del telefono dell'indagata, infatti, «hanno natura di documenti ai sensi dell'art. 234 del c.p.p.», hanno specificato i giudici della Suprema Corte, evidenziando che «la relativa attività acquisitiva non soggiace né alle regole stabilite per la corrispondenza, né tantomeno alla disciplina delle intercettazioni telefoniche». La Corte di Cassazione ha quindi osservato che «non è applicabile la disciplina dettata dall'art. 234 del c.p.p., con riferimento a messaggi WhatsApp e SMS rinvenuti in un telefono cellulare sottoposto a sequestro, in quanto questi testi non rientrano nel concetto di “corrispondenza” la cui nozione implica un'attività di spedizione in corso o comunque avviata dal mittente mediante consegna a terzi per il recapito».
Anche il principio di proporzionalità ed adeguatezza non è stato violato, «poiché l'acquisizione di dati informatici mediante la cosiddetta copia forense è una modalità conforme alla legge». |