Diritto di visita: troppo generico il provvedimento che permette al padre di vedere la figlia “quando vuole”
31 Gennaio 2018
Il caso. Parte ricorrente ha presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza con cui la Corte di appello di Roma aveva confermato la sua condanna alla pena di cui all'art. 388, comma 2, c.p., per aver reiteratamente eluso il provvedimento con cui il Presidente del Tribunale di Roma, in sede di giudizio di separazione, aveva regolato il diritto di visita della figlia minore a favore dell'ex marito, prevedendo la possibilità per quest'ultimo di esercitarlo a suo piacimento.
La disciplina del diritto di visita deve essere specifica. Secondo la Suprema Corte, la motivazione della sentenza impugnata deve considerarsi contraddittoria nella parte in cui, pur prendendo atto dell'obiettiva e «dannosa» genericità del provvedimento del Presidente e del comportamento abusivo di tale provvedimento posto in essere dall'ex marito, ha comunque ritenuto che nella specie vi fosse stata elusione da parte dell'imputata. Infatti, secondo la giurisprudenza di legittimità, «integra una condotta elusiva dell'esecuzione di un provvedimento del Giudice civile concernente l'affidamento di minori, rilevante ai sensi dell'art. 388, comma 2, c.p., anche il mero rifiuto di ottemperarvi da parte del genitore affidatario» (v. Cass. pen., 18 marzo 2016, n. 12391). Tale rifiuto non è rinvenibile nella fattispecie in esame poiché per adempiere al provvedimento del Giudice di prime cure, la ricorrente avrebbe dovuto essere costantemente a disposizione dell'ex coniuge, non potendosi allontanare dalla propria abitazione «perché ciò avrebbe comportato sempre l'ineliminabile rischio di sottrarsi alla richiesta incondizionata e non previamente concordata (…) di fare visita alla bambina». La Cassazione ha, pertanto, annullato la sentenza impugnata e rinviato la causa alla Corte di appello di Roma in diversa composizione. |