Curatore (responsabilità del)
16 Marzo 2018
Inquadramento BUSSOLA IN FASE DI AGGIORNAMENTO DI PROSSIMA PUBBLICAZIONE Il curatore è uno degli organi preposti al fallimento al quale compete l'amministrazione e la gestione del patrimonio fallimentare. Tale organo della procedura è tuttavia responsabile quando non adempie ai doveri del proprio ufficio imposti dalla legge o derivanti dal piano di liquidazione con la diligenza richiesta dalla natura dell'incarico (art. 38, comma 1, l. fall.). L'azione di responsabilità, ai sensi del comma 2 di tale articolo, deve essere esercitata, in pendenza della procedura fallimentare, dal curatore nominato in luogo del precedente, previa autorizzazione del giudice delegato o del comitato dei creditori. Tale azione, di natura contrattuale, presuppone pertanto l'esercizio esclusivo da parte del curatore nominato in sostituzione del precedente in costanza di fallimento. Ai sensi dell'art. 38, comma 1, l. fall., il curatore è responsabile quando non «adempie ai doveri del proprio ufficio imposti dalla legge o derivanti dal piano di liquidazione con la diligenza richiesta dalla natura dell'incarico». Con riferimento agli eventi forieri di danno e al grado di diligenza che deve caratterizzare la condotta del curatore, giova rilevare che con la riforma del diritto fallimentare del 2006 è stato arricchito il novero degli eventi damni, rispetto alla previgente normativa, attraverso l'introduzione accanto ai “doveri del proprio ufficio imposti dalla legge”, di quelli inerenti al programma di liquidazione ex art. 104-ter l. fall. (per un approfondimento, U. DE CRESCIENZO, L'eterno dilemma della natura della responsabilità del curatore fallimentare, in Il Fallimento, 2014, 1218 ss.; V. SALLORENZO, Natura ed elementi costitutivi della responsabilità del curatore fallimentare, in Ilcaso.it, 26 ottobre 2015;G. VERNA, La responsabilità del curatore fallimentare, in Riv. Dottori commercialisti, 1/2010, 163).
Relativamente alla “diligenza richiesta dalla natura dell'incarico”, è opportuno considerare che la medesima è parametrata non più a quella del “buon padre di famiglia” di cui all'art. 1176, comma 1, c.c., ma a quella qualificata dalla professionalità dell'incarico ai sensi del secondo comma di tale articolo. Al riguardo, è stato osservato che la nuova formulazione della norma sancisce a carico della curatela un criterio di condotta identico a quello previsto dall'art. 2392 c.c. per gli amministratori di società per azioni, cioè quello dell'avvenuto gestore (così U. DE CRESCIENZO, L'eterno dilemma della natura della responsabilità del curatore fallimentare, cit. 1285). In pratica, alla luce della modifica dei compiti del curatore operata con la citata riforma del 2006, è stato evidenziato che la responsabilità del medesimo sia da ancorare principalmente alla violazione del dovere generico di corretta amministrazione; con la conseguenza che sarà sicuramente tenuto al risarcimento dei danni qualora lo stesso ponga in essere scelte gestionali irrazionali.
Per ciò che attiene alla natura della responsabilità, si discute se la stessa sia contrattuale o extracontrattuale. La prima presuppone che l'obbligazione di risarcimento del danno trovi origine da un inadempimento contrattuale, quindi dall'omessa o ritardata o inesatta esecuzione della prestazione dovuta (art. 1218 c.c.). La responsabilità extracontrattuale, definita anche aquiliana, al contrario, sorge dal compimento di un atto illecito, con la conseguenza che il trasgressore diventa debitore del soggetto danneggiato di un importo commisurato al danno da questi patito. A ben vedere, la differenza tra i suddetti due tipi di responsabilità non è di poco conto. L'inadempimento contrattualepresume la colpa del prestatore, per cui il soggetto danneggiato si limita alla prova dell'inadempimento e del danno subito, spettando al prestatore stesso provare l'impossibilita` della prestazione per causa a lui non imputabile (art. 1218 c.c.). In ogni caso, qualora la prestazione, che costituisce l'obbligazione contrattuale, implica la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà, il prestatore risponde dei danni soltanto in caso di dolo o colpa grave (art. 2236 c.c.). Ai sensi dell'art. 2496 c.c., l'azione di responsabilità contrattuale si prescrive in dieci anni a decorrere dal giorno in cui si e` verificato il danno. Per contro, colui che agisce invocando la responsabilità extracontrattuale deve provare, oltre alla condotta illecita dell'autore e il rapporto causale, tra la condotta e il danno, anche la colpa o il dolo dell'autore stesso, e quest'ultimo non può liberarsi dalla responsabilità, proprio perché ha commesso un atto non dovuto, eccependo la colpa lieve. Tale responsabilità si prescrive in cinque anni che decorrono dal giorno in cui l'atto dannoso si è verificato (art. 2947 c.c.).
L'orientamento prevalente, sia in dottrina che in giurisprudenza, propende, relativamente ai danni cagionati alla massa, per la natura contrattuale della responsabilità del curatore (per un approfondimento, C. TRENTINI, La responsabilità del curatore fallimentare, in ilcaso.it, 13 luglio 2015, il quale evidenzia come il discrimen tra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale non si individua con mero riferimento all'esistenza o meno di un contratto e di un obbligo negoziale da questo derivante; bensì ogni qual volta sia possibile individuare l'esistenza di un obbligo specifico, derivante da una disposizione di legge o da altra fonte normativa). Per Trib. Roma 20 novembre 2014 dalla prospettata natura contrattuale della responsabilità gravante sul curatore discende che, nel giudizio promosso ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 38 l. fall., l'istante deve allegare e provare le condotte di inadempimento, il pregiudizio in concreto sofferto dalla massa nonché il nesso di causalità tra tale danno e le condotte od omissioni ascrivibili al curatore; per converso, in forza del disposto dell'art. 1218 c.c., la colpa si presume, onde grava sul convenuto provare la non imputabilità dei concreti eventi lesivi.
In relazione alla responsabilità nei confronti della massa, giova evidenziare che, oltre alle fattispecie di responsabilità ricollegate a condotte penalmente rilevanti (come, a titolo esemplificativo, le ipotesi di appropriazione di beni costituenti l'attivo fallimentare), vanno considerate le ipotesi di colpa grave e quella di colpa ordinaria.
Per i giudici di legittimità, è responsabile il curatore il quale abbia tollerato prelevamenti non autorizzati da parte di terzi dal libretto di deposito intestato alla procedura (Cass. civ., 17 febbraio 2014, n. 3706, in Giust. Civ. Mass., 2014; Cass. civ., 4 marzo 2013, n. 5300); che abbia omesso di riscuotere i canoni di locazione dell'immobile di proprietà del fallito, essendo pendente, alla data di apertura della procedura il contratto di locazione (Cass. civ., 8 settembre 2011, n. 18438); che abbia omesso di attivarsi per la riscossione dei crediti iva dovuti dall'imprenditore fallito (Cass. civ., 11 febbraio 2000, n. 1507, in Giust. Civ. Mas., 2000, 296).
I giudici di merito, a loro volta, hanno riconosciuto una responsabilità per la curatela che abbia ritardato la liquidazione dei beni e, conseguentemente, fatto perdere alla massa la possibilità di conseguire gli interessi attivi dal deposito delle somme riscosse (Trib. Milano 20 maggio 1985, in Il fallimento) e che abbia dato corso al riparto finale dell'attivo impedendo la partecipazione al concorso del concessionario della riscossione che aveva presentato istanza tardiva di ammissione del credito al passivo (App. Torino, 17 settembre 1994, in Il fallimento). È stato altresì giudicato gravemente colposo il comportamento del curatore che ha causato la perdita dei beni inventariati qualora egli abbia gestito il patrimonio immobiliare del fallito con interventi del tutto insufficienti ed episodici, senza risolvere il problema della custodia e della conservazione dei beni aziendali (Trib. Napoli 13 marzo 2004, in Il Fallimento, 2004, 1401, secondo cui parimenti responsabile è il curatore che non ha proceduto alle azioni di recupero dei crediti del soggetto fallito, senza dimostrare che il mancato esercizio di tali azioni è dipeso da una consapevole valutazione dei negativi risultati che potevano scaturire dai tentativi di realizzo. In senso conforme, Trib. Milano 15 marzo 2001, in Giur. merito, 2002, 408).
Si può discutere sulla eventuale responsabilità del curatore per la prolungata durata della procedura concorsuale. Sul tema, per Trib. Padova 17 marzo 2017, la prolungata durata di una procedura concorsuale può determinare un danno per il creditore che, in conseguenza del fenomeno inflazionistico, vede eroso il valore reale delle somme che debbono essergli restituite. Tuttavia, la soluzione di tale problema non può di certo essere trovata facendo sorgere un'obbligazione di pagamento in capo all'imprenditore soggetto alla procedura concorsuale, che medio tempore non può in alcun modo adempiere e che dovrebbe subire i pregiudizi derivati dalle scelte di soggetti terzi e/o da circostanze estranee alla sua sfera di controllo. Appare doveroso, secondo i giudici di primo grado veneti, pretendere dai curatori ogni sforzo volto alla chiusura entro il più breve tempo possibile delle stesse, potendo valutarsi una responsabilità extracontrattuale laddove si accertino negligenze o inerzie in capo agli organi della procedura che hanno per colpa impedito una tempestiva soddisfazione dei creditori.
La dottrina, a sua volta, ha ritenuto responsabile il curatore nei casi di violazione delle direttive del giudice delegato, di commissione di atti svantaggiosi per la procedura, di esperimento di azioni giudiziarie disastrose e di trascuratezza nell'esperire liti necessarie, nonché di difettosa compilazione dell'inventario, di deficienza della relazione al giudice delegato o falsità o inesattezza del suo contenuto, di omissione o manchevolezze nell'esposizione periodica dell'amministrazione, di mancato adempimento alla richiesta di esibizione dei documenti giustificativi, di intempestiva, negligente o irregolare vendita dei beni, di omessa sorveglianza sull'esercizio provvisorio, di incompleto o falso rendiconto della gestione (per un approfondimento, cfr. G. VERNA, La responsabilità del curatore fallimentare, cit. e la dottrina ivi richiamata. Per G. D'ATTORRE, Commento sub art. 38, in La legge fallimentare dopo la riforma, a cura di A. NIGRO, M. SANDULLI, V. SANTORO, Torino, 2010, 521, nel caso di mancato esperimento dell'azione di responsabilità verso gli amministratori, il danno subito dalla procedura, a carico del curatore inadempiente, andrà commisurato non riferendosi all'ammontare del petitum dell'azione che sarebbe dovuto promuoversi, bensì avuto riguardo al patrimonio di colui che sarebbe dovuto essere convenuto).
Ulteriori fattispecie di responsabilità sono rappresentate dall'omesso o ritardato deposito del rapporto riepilogativo semestrale delle attività svolte di cui all'art. 33, comma 5, l. fall. e dal ritardato deposito del programma di liquidazione previsto dall'art. 104-ter l. fall. L'ingiustificato ritardo del deposito di tale importate documento, oltre ad essere giusta causa di revoca dall'incarico (a tal fine, v. Infra), potrà, infatti, generare richieste risarcitorie da parte dei creditori.
Il curatore, infine, potrà rispondere per le operazioni compiute dal soggetto delegato a sostituirlo in specifici adempimenti. Ai sensi dell'art. 32 l. fall., infatti, la curatela può delegare ad altri specifiche operazioni, previa autorizzazione del comitato dei creditori, ad eccezione di quelle previste dagli artt. 89 (predisposizione degli elenchi dei creditori); 92 (formulazione dell'avviso relativo all'udienza di verifica del passivo); 95 (predisposizione del progetto di stato passivo e partecipazione all'udienza fissata per l'esame); 97 (comunicazione dell'esito dell'accertamento del passivo) e 104-ter (predisposizione del programma di liquidazione) l. fall. Il comma 2 del citato art. 32 prevede altresì la possibilità per il curatore, sempre previa autorizzazione del predetto comitato, a farsi coadiuvare da tecnici o da altre persone retribuite, compreso il fallito, sotto la sua responsabilità. In presenza di delegati, potrà configurarsi in capo alla curatela sia una culpa in vigilando (nel caso in cui ha omesso di vigilare i soggetti chiamati a svolgere l'attività sotto la sua responsabilità); sia una culpa in eligendo (se indicherà un soggetto privo dei requisiti di idoneità e capacità per l'incarico); sia, infine, una colpa ai sensi dell'art. 1717, comma 3, c.c., quando le istruzioni date ai soggetti incaricati siano state incomplete o abbiano causato danni (sul tema, v. V. SALLORENZO, Natura ed elementi costitutivi della responsabilità del curatore fallimentare, cit.).
Ai sensi dell'art. 38, comma 2, l. fall., l'azione di responsabilità deve essere esercitata, in pendenza della procedura fallimentare, dal curatore nominato in luogo del precedente, previa autorizzazione del giudice delegato ovvero del comitato dei creditori.
Dall'analisi di tale disposizione emerge, in primo luogo, che la legittimazione attiva all'esercizio dell'azione di responsabilità compete esclusivamente al “nuovo curatore” e che, pertanto, presupposto di tale azione sarebbe la revoca del curatore ritenuto responsabile (per Trib. Roma 20 novembre 2014, cit., legittimato ad agire in giudizio per far valere la responsabilità dell'ex curatore fallimentare, ai sensi del citato art. 38 - e, conseguentemente, la responsabilità del terzo per concorso nell'illecito ascrivibile al medesimo ex curatore - è il nuovo curatore, incaricato ex lege di tutelare e far valere i diritti e gli interessi dei creditori concorsuali).
In secondo luogo, che, mirando tale azione a risarcire un danno patito dalla massa dei creditori, la medesima può essere esercitata soltanto in costanza di fallimento (Per Cass. civ., 4 ottobre 1996, n. 8716, in Il Fallimento, 1997, 601 - con riferimento ad una fattispecie regolata dalla normativa previgente - la legittimazione a far valere la responsabilità del curatore, sopravvenuta la chiusura del fallimento, spetta all'imprenditore ritornato in bonis).
In relazione, infine, all'organo della procedura deputato a rilasciare l'autorizzazione, la dottrina si è interrogata sulla necessità o meno dell'autorizzazione all'azione da parte sia del giudice delegato, sia del comitato dei creditori. Sul tema, secondo alcuni, ove si ritiene necessaria l'autorizzazione da parte di entrambi tali organi della procedura, la mancata autorizzazione di uno dei due non impedisce l'esercizio dell'azione, dal momento che “la norma pone su un piano di parità i due organi” (così G. D'ATTORRE, Commento sub art. 38, cit., 250). Per altri, al contrario, in caso di pronuncia difforme dei due organi, ambedue aditi, sarebbe necessario presentare reclamo ex art. 26 l. fall. (A. RUGGIERO, in La legge fallimentare, a cura di M. FERRO, Padova, 2007, 290; V. SALLORENZO, Natura ed elementi costitutivi della responsabilità del curatore fallimentare, cit.). Altri ancora, per ragioni di competenza, hanno ritenuto che il nuovo curatore debba indirizzare la richiesta di autorizzazione all'azione di responsabilità ad ambedue gli organi tutori, che l'azione possa essere esercitata in forza di una sola autorizzazione, ma opportunamente sospesa ove tale autorizzazione fosse oggetto di reclamo (in questo senso, G. VERNA, La responsabilità del curatore fallimentare, cit., 170).
A ben vedere, la questione sorge a causa della congiunzione alternativa indicata al comma 2 dell'art. 38 e del mancato coordinamento con l'art. 25, n. 6, l. fall., che, come noto, condiziona lo stare in giudizio del curatore - sia come attore, che come convenuto - ad un'autorizzazione da parte del giudice delegato. Proprio in considerazione di tale disposizione, a parere di chi scrive il secondo comma dell'art. 38 l. fall. pare doversi interpretare nel senso della necessaria autorizzazione da parte del giudice delegato, previo parere del comitato dei creditori (ove esistente).
Quale ultima considerazione, risulta opportuno evidenziare che il legislatore fallimentare ha escluso il terzo, i creditori ed il fallito dal novero dei soggetti che possono agire in via autonoma e diretta nei confronti del curatore fallimentare, per gli atti dal medesimo compiuti nell'esercizio delle sue funzioni ritenuti dannosi per la massa fallimentare. Alla luce di ciò, i creditori ed i terzi in genere, in pendenza di fallimento, possono agire nei confronti della curatela esclusivamente ai sensi dell'art. 2043 c.c. e soltanto per gli atti che abbiano cagionato un danno diretto ed immediato al loro patrimonio. La natura contrattuale dell'azione di responsabilità porta ad analizzare le conseguenze dell'approvazione del conto della gestione sull'esercizio dell'azione di responsabilità del curatore. Parte della dottrina, pur riconoscendo la profonda diversità, sia formale, che teleologica, tra impugnazione del conto della gestione ed azione di responsabilità, ha ritenuto - una volta approvato tale rendiconto da tutti i creditori concorsuali regolarmente avvertiti della fissazione dell'udienza ex art. 116, comma 3, l. fall. - non più esercitabile l'azione di responsabilità almeno in relazione alle operazioni indicate nel conto della gestione medesimo (G. VERNA, La responsabilità del curatore fallimentare, cit., 167. Nello stesso senso, G. D'ATTORRE, Commento sub art. 38, cit., 527, secondo cui l'esposizione analitica delle operazioni contabili e dell'attività di gestione della procedura fallimentare porta a ritenere che l'esame del rendiconto non è limitato a meri aspetti contabili e numerici, ma investe anche l'operatività e le scelte di gestione). Per altri, invece, l'azione di responsabilità può essere esercitata anche dopo l'approvazione del rendiconto, in quanto il procedimento di approvazione del conto della gestione di cui all'ultimo comma dell'art. 116 l. fall., in caso di contestazione, svolgendosi con rito camerale (e non più mediante giudizio ordinario di cognizione), consente la modificabilità o revocabilità dei provvedimenti conclusivi (così C. TRENTINI, La responsabilità civile del curatore fallimentare, cit.).
Per la procedibilità dell'azione di responsabilità anche dopo l'approvazione del rendiconto si sono espressi anche i giudici di legittimità (Cass. civ., 22 gennaio 2014, n. 1280) sul presupposto per il quale l'azione di responsabilità esercitata nell'ambito del giudizio di rendiconto non ha carattere di esclusività, ben potendosi ammettere che la questione relativa sia sollevata in altro procedimento.
La revoca del curatore fallimentare
Strettamente connessa all'azione di responsabilità e la revoca del curatore fallimentare. Al riguardo, l'art. 37, comma 1, l. fall., concede la facoltà al tribunale, in qualsiasi momento, di revocare d'ufficio, su proposta del giudice delegato o richiesta del comitato dei creditori, il curatore, a condizione che vi sia un giustificato motivo, vale a dire l'esistenza di una causa tale da pregiudicare gli interessi della procedura. Sul punto, è stato osservato che il curatore, ancorché conservi la veste di pubblico ufficiale, svolge la sua attività nell'interesse dei creditori (soggetti privati), sicché, nell'ipotesi di revoca disposta in assenza di giustificati motivi, ha senza dubbio diritto al risarcimento dei danni, diritto che origina un credito prededudcibile, al pari del credito inerente al compenso ed alle spese (in questo senso G. D'ATTORRE, Commento art. 37, in La riforma della legge fallimentare, cit., 231 s. In senso analogo, L. ABETE, Commento art. 37, in Il nuovo diritto fallimentare, a cura di A. JORIO, M. FABIANI, Bologna, 2006, 618).
In linea generale, il curatore può essere revocato qualora abbia, con dolo o con colpa, in violazione dei doveri che afferiscono al proprio ufficio, posto in essere una condotta, anche omissiva, da cui sia scaturito un pregiudizio per il patrimonio fallimentare (sul tema, v. Trib. Milano 13 giugno 2006, in Il Fallimento, 2006, 1455).
Per Trib. Forlì 29 gennaio 2015 (in ilcaso.it), integrano violazione dei doveri connessi all'ufficio di curatore - come tali legittimanti la revoca dell'incarico - sia il ritardo nelle operazioni di stima degli immobili appresi al fallimento (nel caso di specie, operazioni non ancora ultimate a distanza di due anni dall'apertura della procedura), sia il mancato riparto ai creditori, da effettuarsi ogni quattro mesi ex art. 110 l. fall., delle somme già facenti parte dell'attivo, risultando in tal modo compromesso l'interesse dei medesimi a conseguire quanto prima la liquidazione dell'attivo.
Costituiscono, in ogni caso, “giusta causa di revoca del curatore”:
Al curatore incombe l'obbligo di motivare specificamente le ragioni del ritardo tali da giustificare la deroga già al momento della redazione del programma di liquidazione. Sulla bontà delle ragioni – e pertanto sulla eventuale pretestuosità delle medesime – vi sarà quindi l'immediato sindacato del comitato dei creditori e del giudice delegato, con tutte le eventuali conseguenze del caso. Per contro, deve ritenersi ammissibile che eventuali ritardi dovuti ad oggettivi motivi non prevedibili al momento della redazione del programma di liquidazione possano giustificare il mancato rispetto del termine biennale - o di quello diverso indicato nel programma stesso - da parte del curatore, a prescindere dalla mancata previsione delle difficoltà di vendita all'interno dello stesso (cfr. M. VITIELLO, Atti del convegno Le nuove modalità e i tempi della liquidazione dell'attivo, Milano, 23 novembre 2015);
Il procedimento di revoca si svolge dinanzi al tribunale secondo le forme di cui agli art. 737 c.p.c. e ss. e quindi seguendo le disposizioni relative ai procedimenti in Camera di Consiglio. Il Tribunale provvede con decreto motivato, sentiti sia il curatore, che il comitato dei creditori. Avverso tale decreto è esperibile - ai sensi dell'art. 37, comma 3, l. fall. - reclamo alla Corte di appello ai sensi dell'art. 26 l. fall. L'accoglimento da parte della Corte d'appello del reclamo origina la reintegrazione nella carica del curatore in precedenza destituito e, conseguentemente, l'automatica cessazione della nomina del nuovo curatore medio tempore decretata dal tribunale (secondo App. Lecce, Sez. distaccata Taranto, 29 giugno 2015, in IlFallimentarista.it, non sarebbe ammissibile il reclamo avverso il decreto adottato dal tribunale fallimentare di revoca dell'incarico di curatore fallimentare, trattandosi di provvedimento non decisorio, bensì di natura amministrativa e ordinatoria privo di portata decisoria su posizioni di diritto soggettive. La nomina del curatore e il mantenimento dell'ufficio attengono all'esigenza del corretto svolgimento della procedura e non è dunque configurabile una posizione soggettiva giuridicamente rilevante del curatore).
Pur facendo riferimento il secondo comma dell'art. 37 l. fall. espressamente all'ipotesi di revoca della curatela, pare lecito ritenere ammissibile l'esperimento dell'azione di responsabilità nei confronti del curatore dimissionario o che abbia cessato il propri ufficio prima della chiusura della procedura. La mera interpretazione letterale della norma, infatti, creerebbe un ingiustificato diverso trattamento tra il curatore revocato ed il curatore che avesse cagionato gravi danni alla massa dei creditori che, essendosi dimesso una volta scoperta la sua infedeltà, sarebbe esente da responsabilità. In tale ottica, pertanto, l'espressione “curatore revocato” contenuta nell'art. 37, comma 2, pare doversi più propriamente intendere come “curatore cessato” (in senso conforme, C. TRENTINI, La responsabilità civile del curatore fallimentare, cit.).
(FONTE: ilfallimentarista.it)
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