Società e comunioneFonte: Cod. Civ. Articolo 1100
14 Giugno 2018
Inquadramento
La comunione di godimento non è riconducibile al fenomeno della società; difatti le due fattispecie differiscono, sul piano funzionale e teleologico, in ciò che nella prima il bene comune forma oggetto del godimento e tale godimento rappresenta il fine della comunione, mentre nella seconda il godimento è solo il mezzo per l'esercizio di un'attività di impresa. Sul piano formale e strutturale, tale differenza si traduce nella connotazione della società come contratto, mentre la comunione si esaurisce in una situazione giuridica di contitolarità. È possibile l'evoluzione da società a comunione e viceversa, ma non è mai concepibile una comunione d'impresa che non sia anche società. La comunione vuole la mera comproprietà, statica, del bene senza che l'attività sullo stesso possa tradursi in attività di tipo economico, lasciando, tuttavia, ai comproprietari il diritto di percepire i frutti naturali e/o civile dal godimento del bene. La società vuole, all'opposto, la presenza di una attività di natura economico-imprenditoriale sul bene o sui beni che vanno a formare la dotazione dell'ente, giacché i c.d. soci non percepiscono i frutti ma vanno a ottenere gli utili che dall'attività economico possono derivare. In materia di comunione, si deve ricordare che ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto (art. 1102 c.c.); inoltre, ciascuno dei partecipanti può sempre domandare lo scioglimento della comunione (art. 1111 c.c.) ed i creditori personali del singolo partecipante possono aggredire i beni indivisi in comunione per soddisfare il proprio credito (artt. 599 ss. c.p.c.). Invece, a livello societario, il socio non può servirsi, senza il consenso degli altri soci, delle cose appartenenti al patrimonio sociale per fini estranei a quelli della società (art. 2256 c.c.) e la società si scioglie solo al verificarsi di una delle cause tipiche previste dalla legge o dal contratto sociale (art. 2272 c.c.), mentre il creditore particolare del socio, finché dura la società, non può chiedere la liquidazione della quota del socio debitore (art. 2305 c.c.). Ebbene, la distanza giuridica si coglie nell'assenza di una specifica destinazione dei beni in comproprietà nella comunione d'impresa e nella presenza di uno specifico vincolo di destinazione sui beni sociali nella società. Si badi; il vincolo di destinazione sui beni sociali consente l'utilizzo dei beni solo per l'esercizio in comune dell'attività d'impresa, essendo essi destinati, in via esclusiva, al soddisfacimento dei creditori sociali, ovvero di quei creditori che sono divenuti tali in conseguenza dell'esercizio dell'attività d'impresa.
Criteri di distinzione
Il criterio di discriminazione fra comunione di godimento e società consiste non tanto (o non soltanto) nello scopo di guadagno - che può sussistere anche nella prima, senza che ciò comporti necessariamente il suo inquadramento nello schema societario - quanto nella presenza dell'impresa, nel senso che si ha comunione quando l'attività dei comproprietari si esaurisca nel godimento dei beni, cioè sia svolta in funzione di questi, mentre si configura la società se lo scopo lucrativo sia perseguito attraverso una attività imprenditrice, che si sostituisca o si affianchi al mero godimento, ed in funzione del quale vengano adoperati in tutto o in parte i beni comuni, che vanno perciò a costituire il fondo comune, dell'organismo sociale. La trasformazione della comunione in società, ovvero la costituzione di questa accanto alla prima, possono risultare, oltre che da atto formale, anche attraverso il comportamento che, in concreto, i comproprietari assumono, svolgendo di fatto attività d'impresa e utilizzando all'uopo i beni comuni. La differenza tra società (di qualunque tipo) e comunione a scopo di godimento è che nella prima è comune l'esercizio dell'attività, laddove nella seconda l'elemento aggregante è la cosa e, più precisamente, che nel caso della società i beni hanno valore strumentale rispetto all'attività, laddove nella comunione l'attività è strumentale al godimento del bene. Tale criterio di accertamento di distinzione, basato sulla strumentalità, costituisce il necessario prdromo valutativo nell'operazione di interpretazione della reale situazione giuridica esistente. Difatti, mentre nella società i beni rivestono valore strumentale rispetto all'attività che la società svolge, nella comunione è l'attività ad essere strumentale per il godimento dei beni stessi. Occorre, tuttavia, indicare che, altresì, sussiste una comunione a scopo di godimento non soltanto quando si ha un'attività meramente conservativa, ma anche quando, pur in presenza di un'attività di valorizzazione lucrativa, il bene comune costituisce comunque l'elemento preminente ed essenziale rispetto al quale l'attività svolta riveste una funzione servente. A modo di esempio, costituisce contratto di società quello con cui le parti rispettivamente convengano, una, il conferimento in comune di un'area edificabile di sua proprietà e l'altra l'edificazione della medesima per la successiva vendita in compartecipazione degli appartamenti costruiti, secondo coefficienti ed in base a prezzi predeterminati di comune accordo, sussistendo, nella fattispecie, entrambi gli elementi essenziali del rapporto societario ex art. 2247 c.c. e, cioè, l'esistenza di un patrimonio comune e l'esercizio in comune di un'attività.
Comunione e trasformazione
Le società di capitali possono trasformarsi in consorzi, società consortili, società cooperative, comunioni di azienda, associazioni non riconosciute e fondazioni. Si applica l'art. 2500-sexies, in quanto compatibile. La deliberazione deve essere assunta con il voto favorevole dei due terzi degli aventi diritto, e comunque con il consenso dei soci che assumono responsabilità illimitata. Nella ipotesi in cui i comproprietari dell'azienda decidano di procedere allo svolgimento di attività diretta sulla medesima mediante esercizio comune d'impresa, non può ravvisare alcuna comunione d'impresa e si avrà necessariamente la nascita di una società di fatto. Nel caso in cui i soci decidano di trasformare la società di capitali in comunione di azienda e proseguano in comune, in veste di comproprietari dell'azienda, l'attività d'impresa già svolta mediante la società di capitali, si avrà trasformazione da società di capitali in società di fatto, in quanto il godimento diretto dell'azienda di proprietà comune ha dato luogo alla nascita di una società di fatto. Il criterio di discriminazione fra comunione di godimento e società consiste non tanto (o non soltanto) nello scopo di guadagno - che può sussistere anche nella prima, senza che ciò comporti necessariamente il suo inquadramento nello schema societario - quanto nella presenza dell'impresa, nel senso che si ha comunione quando l'attività dei comproprietari si esaurisca nel godimento dei beni, cioè sia svolta in funzione di questi, mentre si configura la società se lo scopo lucrativo sia perseguito attraverso una attività imprenditrice, che si sostituisca o si affianchi al mero godimento, ed in funzione del quale vengano adoperati in tutto o in parte i beni comuni, che vanno perciò a costituire il fondo comune, dell'organismo sociale. La trasformazione della comunione in società, ovvero la costituzione di questa accanto alla prima, possono risultare, oltre che dà atto formale, anche attraverso il comportamento che, in concreto, i comproprietari assumono, svolgendo di fatto attività d'impresa e utilizzando all'uopo i beni comuni.
Azienda e comunione: utilizzo
Infine, la disposizione dell'art. 2248 c.c. non può applicarsi al caso in cui la cosa in comunione sia un'azienda ed il godimento di essa avvenga con un diretto sfruttamento della medesima, da parte dei partecipanti alla comunione, che la usino ed utilizzino direttamente a proprio profitto: è la stessa particolare natura dell'azienda quale bene il cui godimento e sfruttamento danno luogo all'esercizio dell'impresa, a qualificare siffatta comunione di godimento come impresa e precisamente, come impresa collettiva. Quindi qualora i proprietari ed usufruttuari del bene "azienda" continuino, con l'azienda caduta in successione ereditaria, direttamente l'esercizio dell'impresa del defunto, si avrà un'impresa collettiva, comune a tutti i medesimi e qualificabile come società di fatto. Né vale ad escludere ciò la circostanza che l'azienda rientri in un patrimonio accettato con beneficio d'inventario. L'indagine circa la sussistenza di una comunione di beni caratterizzata dallo scopo di godimento, ovvero di una società caratterizzata dal conferimento di beni e di servizi per l'esercizio in comune di una attività economica al fine di dividerne gli utili, si risolve nell'apprezzamento di elementi di fatto ed è incensurabile in sede di legittimità se sorretta da motivazione logicamente adeguata ed esente da vizi giuridici. Ancora, l'autonomia patrimoniale caratterizzante la società di persone non può essere intesa quale patrimonio separato rispetto ai restanti patrimoni dei soci, oggetto di comunione particolare qualificata allo scopo e unificata in funzione di esso: esclusa la personalità giuridica, i soci si trovano nel loro complesso in posizione primaria quale unitario centro soggettivo di riferimento delle situazioni giuridiche attive e passive e dell'esercizio dell'impresa. Tenuto conto del carattere meramente dispositivo della disciplina codicistica sulla liquidazione, in caso di scioglimento della società per mancata ricostituzione della pluralità dei soci nel termine di sei mesi ai sensi dell'art. 2272 n. 4 c.c.
Volendo, altresì, inquadrare la fattispecie sotto il profilo ereditario, vale notare che la comunione ereditaria scaturita dalla morte di un imprenditore individuale non si trasforma automaticamente in società di fatto tra i coeredi, ma è necessario che sia data la prova dell'esistenza di un valido contratto di società e che la continuazione dell'impresa sia esteriorizzata in modo che i terzi possano ragionevolmente ritenere di potere fare affidamento, per il soddisfacimento delle proprie ragioni, su un patrimonio sociale e su quello personale di tutti i pretesi soci. Difatti, l'azienda facente parte di un patrimonio ereditario forma oggetto di comunione solo se è operante il fine del semplice godimento in comune fra i successori dell'azienda relitta dal de cuius secondo la consistenza di essa al momento dell'apertura della successione, ma se detta azienda viene esercitata in comune dagli eredi con finalità speculative, l'originaria comunione incidentale si trasforma in una società, sia pure di fatto, e le vicende del rapporto sono regolate dalla disciplina delle società e non da quella dello scioglimento della comunione, con la conseguenza che la morte di un socio resta disciplinata - quanto alle conseguenze - dalla normativa dell'art. 2284 c.c.
Riferimenti
Normativi:
Giurisprudenza:
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