Il profitto dell'autoriciclaggio non può coincidere con quello del reato presupposto
13 Luglio 2018
«Il prodotto, il profitto o il prezzo del reato di autoriciclaggio non coincide con quello del reato presupposto, ma è da questo autonomo in quanto consiste nei proventi conseguiti dall'impiego del prodotto, del profitto o del reato presupposto in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative». Il principio è stato affermato da Cass. pen., Sez. II, sentenza n. 30401 depositata il 5 luglio 2018. L'obiettivo perseguito dall'art. 648-ter.1 c.p. è quello di sterilizzare il profitto conseguito dal reato presupposto così da impedire all'agente di reinvestirlo nell'economia legale ovvero di inquinare il libero mercato ledendo l'ordine economico con l'utilizzo di risorse economiche provenienti da reato, proprio per tale ragione, infatti, non è punibile chi abbia commesso il reato presupposto se il denaro, i beni o le altre utilità vengono destinate alla mera utilizzazione o al godimento personale (art. 648-ter.1, comma 4, c.p.) Altresì, far coincidere, sic et simpliciter, il profitto del reato presupposto con quello di autoriciclaggio comporterebbe l'inapplicabilità dell'art. 648-quater c.p. in quanto, essendo il provento del reato presupposto a sua volta confiscabile, verrebbe in essere una duplicazione della confisca della stessa somma di denaro e si violerebbe il «il principio fondamentale secondo il quale si può sequestrare (e confiscare) solo il vantaggio economico di diretta e immediata derivazione causale da ogni reato commesso, ma non si può duplicare la somma confiscabile perché si sanzionerebbe l'agente in assenza di un vantaggio economico (rectius: profitto) derivante dal reato di autoriciclaggio, violando così il divieto del ne bis in idem» |