E’ illegittimo il licenziamento del dipendente che aveva postato in una chat sindacale pesanti offese nei confronti dell’ad della azienda

La Redazione
12 Settembre 2018

I messaggi che circolano attraverso le nuove "forme di comunicazione", ove inoltrati non ad una moltitudine indistinta di persone ma unicamente agli iscritti ad un determinato gruppo, come nelle chat private o chiuse, devono essere considerati alla stregua della corrispondenza privata, chiusa e inviolabile. Tale caratteristica è logicamente incompatibile con i requisiti propri della condotta diffamatoria, ove anche intesa in senso lato, che presuppone la destinazione delle comunicazioni alla divulgazione nell'ambiente sociale.

Il caso. Un lavoratore, componente della rsa, in una “chat” sindacale aveva rivolto pesanti offese all'amministratore delegato della società datrice di lavoro. Lo scambio di messaggi online, che aveva coinvolto un altro sindacalista e una dipendente, era stato poi consegnato – in forma anonima – ai rappresentanti dell'azienda che avevano conseguentemente licenziato il lavoratore.

Il licenziamento, confermato in primo grado, viene successivamente dichiarato illegittimo dalla Corte d'appello di Lecce. I giudici di secondo grado condannano quindi il datore di lavoro alla reintegra e al pagamento di un'indennità pari a dodici mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, nonché al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali.

Nuove forme di comunicazione e inviolabilità della corrispondenza privata. Per la Corte di cassazione, ove la comunicazione con più persone avvenga in un ambito privato, cioè all'interno di una cerchia di persone determinate, non solo vi è un interesse contrario alla divulgazione, anche colposa, dei fatti e delle notizie oggetto di comunicazione, ma si impone l'esigenza di tutela della libertà e segretezza delle comunicazioni stesse.

Come ribadito dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 20 del 2017, il diritto alla libertà e alla segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione, tutelato dall'art. 15, Cost., comprende tanto la corrispondenza quanto le altre forme di comunicazione, incluse quelle telefoniche, elettroniche, informatiche, tra presenti o effettuate con altri mezzi resi disponibili dallo sviluppo della tecnologia.

L'esigenza di tutela della segretezza nelle comunicazioni si impone quindi anche riguardo ai messaggi di posta elettronica scambiati tramite mailing list riservata agli aderenti ad un determinato gruppo di persone, alle newsgroup o alle chat private, con accesso condizionato al possesso di una password fornita a soggetti determinati.

Messaggi via chat e condotta diffamatoria. I messaggi che circolano attraverso le nuove "forme di comunicazione", ove inoltrati non ad una moltitudine indistinta di persone ma unicamente agli iscritti ad un determinato gruppo, come appunto nelle chat private o chiuse, devono essere considerati alla stregua della corrispondenza privata, chiusa e inviolabile.

Tale caratteristica, per i giudici di legittimità, è logicamente incompatibile con i requisiti propri della condotta diffamatoria, ove anche intesa in senso lato, che presuppone la destinazione delle comunicazioni alla divulgazione nell'ambiente sociale.

Nel caso di specie, la conversazione tra gli iscritti al sindacato era da essi stessi intesa e voluta come privata e riservata, uno sfogo in un ambiente ad accesso limitato, con esclusione della possibilità che quanto detto in quella sede potesse essere veicolato all'esterno (tanto che ciò è avvenuto per mano di un anonimo), il che porta ad escludere qualsiasi intento o idonea modalità di diffusione denigratoria.

La mancanza del carattere illecito - da un punto di vista oggettivo e soggettivo - della condotta del lavoratore, riconducibile piuttosto alla libertà, costituzionalmente garantita, di comunicare riservatamente, esclude la condotta diffamatoria rilevante ai fini delle nozione di giusta causa.

La Corte di cassazione pertanto conferma la decisione di secondo grado quanto alla mancanza di antigiuridicità della condotta addebitata al lavoratore e rigetta il ricorso.

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