Non è contraria all'ordine pubblico la sentenza straniera di divorzio senza separazione
24 Settembre 2018
Massima
Se il diritto straniero regolamenta il divorzio senza il presupposto della separazione personale dei coniugi, tale disciplina non costituisce ostacolo al riconoscimento in Italia della sentenza straniera di divorzio, non essendo contraria all'ordine pubblico, tenuto conto che al fine del riconoscimento è sufficiente l'accertamento dell'irreparabile venir meno della comunione di vita tra i coniugi. Il caso
Il Tribunale di Galati, in Romania, con provvedimento in data 18 febbraio 2014 dichiarava l'annullamento del matrimonio celebrato tra due coniugi rumeni, ponendo a carico del marito l'obbligo del versamento a favore della moglie dell'assegno percentuale del 33% del suo reddito mensile a titolo di contributo al mantenimento due figli minori. A seguito del ricorso ex art. 702-bis c.p.c. e art. 30 d.lgs. 1 settembre 2011, n. 150 avanzato dalla moglie, la Corte d'appello di Venezia, con ordinanza in data 10 giugno 2016, dichiarava efficace nel Territorio della Repubblica Italiana la suddetta sentenza del Tribunale romeno. Avverso questa decisione ricorreva in Cassazione l'ex marito, peraltro contumace nel giudizio avanti la Corte d'appello, attraverso cinque motivi di impugnazione. In particolare, sosteneva la inammissibilità della domanda per violazione dell'art. 702-bis c.p.c. e degli artt. 153 e 154 c.p.c. per il mancato rispetto del termine per la notifica, nonché per la violazione dell'art. 70 c.c. in ordine alla mancata notificazione alla Procura della Repubblica. Con gli altri motivi, il ricorrente eccepiva la violazione o falsa applicazione degli artt. 64 ss. l. 31 maggio 1995, n. 218 per contrarietà all'ordine pubblico della sentenza romena, nonché per contrarietà all'ordine pubblico e processuale stante l'estensione dell'obbligo di mantenimento per i figli oltre al consenso prestato e per violazione del diritto di difesa. Tutti i motivi avanzati dal ricorrente sono stati rigettati per inammissibilità dalla Suprema Corte di cassazione. La questione
Le questioni su cui la Suprema è stata chiamata ad intervenire sono, da una parte, squisitamente processuali e dall'altra interpretative in ordine al riconoscimento nell'ordinamento italiano della sentenza di divorzio pronunciata in uno Stato straniero (nella specie Romania). Conseguentemente, l'esame si incentra, in particolare, sulla applicazione dell'art. 702-bis c.p.c. e art. 30 d.lgs. 1 settembre 2011, n. 150, nonché sull'art. 64 l. 31 maggio 1995, n. 218. Le soluzioni giuridiche
Come è noto, l'art. 702-bis c.p.c, aggiunto dalla legge 18 giugno 2009, n. 69, introduce il capo III-bis del codice di procedura civile intitolato «Del procedimento sommario di cognizione», che disciplina la forma della domanda. Quest'ultima deve contenere le indicazioni di cui all'art. 163 c.p.c., secondo cui il giudice designato fissa con decreto l'udienza di comparizione delle parti, assegnando il termine per la costituzione del convenuto, che deve avvenire non oltre dieci giorni prima dell'udienza; il ricorso, unitamente al decreto di fissazione dell'udienza, deve essere notificato al convenuto almeno trenta giorni prima della data fissata per la sua costituzione. Tale articolo deve essere letto, nel caso di specie, nel combinato disposto con l'art. 30 d.lgs 1 settembre 2011, n. 150 che stabilisce che le controversie aventi ad oggetto l'attuazione di sentenze e provvedimenti stranieri di giurisdizione volontaria di cui all'art. 67 legge 31 maggio 1995, n. 218, sono regolate dal rito sommario di cognizione e che è competente la Corte di appello del luogo di attuazione del provvedimento. Instaurato, dunque, il procedimento per la delibazione della sentenza straniera da parte della ex moglie ai sensi e per gli effetti dei sopra citati articoli, il ricorrente ha lamentato il mancato rispetto del termine di notifica fissato dalla Corte d'appello con la conseguenza che quest'ultima non avrebbe dovuto rimettere la parte in termini, come invece era avvenuto, bensì rilevare d'ufficio la decadenza. A sostegno della propria eccezione, l'ex marito richiamava il principio secondo il quale in caso di inosservanza, nel procedimento ex art. 702-bis c.p.c., dei requisiti afferenti all'editio in ius e alla vocatio in ius, se il convenuto non si costituisce, è applicabile la regola della rinnovazione dell'atto introduttivo, nullo, con l'assegnazione da parte del giudice di un termine perentorio entro il quale provvedere alla nuova notificazione. Osserva la Suprema Corte a questo proposito che dagli atti è emerso che i termini assegnati dalla Corte d'appello per la notificazione al convenuto e per la costituzione di quest'ultimo scadevano con immediata prossimità alla data di deposito del decreto stesso, in tal modo rendendo impossibile l'espletamento degli adempimenti previsti. Ne consegue che la Corte con il suo provvedimento non ha disposto una rimessione in termini a favore della ex moglie, come sostenuto dall'ex marito, ma ha provveduto a disporre un mero differimento con termini di notifica poi rispettati dalla ricorrente. È stato, altresì, respinto anche il motivo riguardante la mancata partecipazione del P.M. al procedimento di delibazione, essendo sufficiente che dagli atti risulti la posizione, la richiesta o il parere, del Pubblico Ministero affinché possa ritenersi integrato il requisito della sua necessaria partecipazione, senza che rilevi la sua presenza fisica all'udienza. Quanto, infine, alla invocata violazione dell'ordine pubblico e, quindi, della irriconoscibilità della sentenza straniera per l'ordinamento italiano, la Suprema Corte conferma l'ormai consolidato principio secondo il quale: se una sentenza di divorzio è pronunciata da un Paese il cui ordinamento non prevede l'istituto della separazione, ovvero ammette che il divorzio possa essere pronunciato senza passare attraverso la separazione personale dei coniugi, il suo riconoscimento in Italia non è contrario all'ordine pubblico come disciplinato dall'art. 64, comma 1, lett. g), l. n. 218/1995. Ai fini del riconoscimento, infatti, è sufficiente che in fase divorzile sia stato accertato l'irreparabile venire meno della comunione di vita tra i coniugi. A nulla vale, dunque, riferirsi ai brevi parametri temporali della procedura di divorzio, rispetto a quelli intercorrenti tra la separazione e il divorzio, che consentono ai coniugi un adeguato tempo per un eventuale ripensamento, in quanto l'elemento di riferimento per integrare il rispetto dell'ordine pubblico risiede nell'accertata cessazione della comunione di vita. Essendo stato integralmente respinto il ricorso avanzato, l'ex coniuge è stato condannato alla rifusione delle spese legali a favore della convenuta liquidate in € 3.100,00.
Osservazioni
Al centro delle argomentazioni della presente ordinanza della Suprema Corte vi è il tema del riconoscimento dei provvedimenti stranieri di volontaria giurisdizione. Come è noto, l'art. 64 l. n. 218/1995 stabilisce i requisiti affinché la sentenza straniera sia riconosciuta immediatamente in Italia senza il ricorso ad alcun procedimento: tra questi, alla lett. g), la norma richiede che le disposizioni della sentenza straniera non siano contrarie all'ordine pubblico. Alla contrarietà all'ordine pubblico consegue l'inapplicabilità da parte del giudice italiano della norma straniera laddove questa contrasti con i principi fondamentali morali e giuridici sui quali si fonda il nostro ordinamento e che possono identificarsi con quelli fondanti la nostra Costituzione. I maggiori casi in cui, statisticamente, un coniuge si oppone al riconoscimento in Italia di sentenze straniere di separazione o divorzio, si fondano sulla eccezione della loro contrarietà all'ordine pubblico il quale, si ribadisce, deve concretizzarsi in una lesione dei principali fondamentali e irrinunciabili dell'ordinamento interno. Ma questo principio va integrato e conciliato con il più ampio concetto di ordine pubblico internazionale da intendersi come quell'insieme di principi che caratterizzano la struttura sociale delle comunità nazionali in un determinato periodo storico. Il principio applicato dalla Corte d'appello di Venezia e confermato dall'ordinanza della Suprema Corte in esame, dunque, è conforme a quanto già da tempo la giurisprudenza di merito e di legittimità vanno affermando: ovvero che la circostanza che il diritto straniero preveda che il divorzio si possa pronunciare a prescindere dallo stato di separazione personale dei coniugi, non è certo di ostacolo al riconoscimento della sentenza straniera di divorzio in Italia se è stata accertata la irreparabilità della crisi coniugale, in quanto non contraria all'ordine pubblico. Sarà dunque sufficiente che il divorzio sia stato pronunciato per cause previste dal diritto straniero che si adeguino nella sostanza agli inderogabili principi giustificativi della dissolubilità del vincolo coniugale (cfr. Cass. civ. 28 maggio 2004, n. 10378; Cass. civ. 25 luglio 2006, n. 16978). Ne consegue, a titolo di esempio, che sarà ritenuta contraria all'ordine pubblico e pertanto non riconoscibile nel nostro ordinamento ex art. 64 l. n. 218/1995 la sentenza di divorzio iraniana pronunciata secondo l'art. 1333 del codice iraniano che prevede che il marito possa ottenere il divorzio per ripudio unilaterale secondo il suo arbitrio senza che la moglie possa difendersi o paralizzare la volontà del coniuge. Tale sentenza si pone, infatti, in palese contrasto con i principi dell'ordine pubblico in quanto lesiva del fondamentale rispetto della parità tra uomo e donna e del diritto di difesa e libertà. In buona sostanza, la ratio dell'art. 31 l. n. 218/1995 risiede nell'evitare l'applicazione di leggi straniere che non prevedono istituti volti a recidere il vincolo coniugale o che ne limitino in modo discriminatorio l'esercizio soltanto a uno dei due coniugi, violando il principio di uguaglianza e parità. |