Delibazione di sentenze ecclesiastiche di nullità del matrimonio ed effettiFonte: L. 25 marzo 1985 n. 121
04 Gennaio 2022
Inquadramento
L'ordinamento italiano prevede che il matrimonio possa essere celebrato, oltre che innanzi all'Ufficiale di Stato civile italiano, anche innanzi al ministro del culto cattolico. Il matrimonio celebrato davanti al ministro del culto cattolico è regolato dall'art. 8 dell'Accordo di modificazione del Concordato lateranense (e dal n. 4. Protocollo) stipulato il 18 febbraio 1984, e ratificato con la l. 25 marzo 1985, n. 121. Con questo accordo lo Stato italiano riconosce effetti civili ai matrimoni contratti secondo le norme del diritto canonico, a condizione che l'atto relativo sia trascritto nei registri dello stato civile, previe pubblicazioni nella casa comunale, e che durante la celebrazione venga data lettura degli artt. 143, 144, 147 c.c.. Si tratta, nella sostanza, di riconoscere effetti ad un atto formato secondo le regole di un altro ordinamento. Il codice canonico ed il codice civile, peraltro, non disciplinano allo stesso modo il matrimonio, in particolare per quanto riguarda le cause di nullità. Il diritto canonico prevede cause di nullità ulteriori rispetto a quelle previste dal codice civile: in particolare sono considerate tali dal diritto canonico le riserve mentali, come quella di uno dei coniugi circa uno dei bona matrimonii, ad esempio il bonum prolis, ovvero quella sulla indissolubilità del matrimonio. L'Accordo di modifica del Concordato del 1984 ha previsto che le sentenze di nullità del matrimonio pronunciate dai Tribunali ecclesiastici possono essere dichiarate efficaci (delibate) nell'ordinamento italiano, a determinate condizioni. Le questioni più complesse sono quelle della compatibilità della sentenza ecclesiastica con l'ordine pubblico, e quella dei rapporti con i giudizi pendenti o che possono essere instaurati innanzi all'autorità giurisdizionale nazionale. L'ordinamento interno, che è piuttosto rigoroso in materia di nullità matrimoniale, conosce, infatti, l'istituto del divorzio, (l. 1° dicembre 1970, n. 898 e successive modifiche) non ammesso dal diritto canonico; ma il divorzio, a differenza della dichiarazione di nullità del matrimonio, non travolge del tutto i doveri di solidarietà tra (ex) coniugi. Riserva di giurisidzione ecclesiastica
Le sentenze di nullità del matrimonio pronunciate dai Tribunali ecclesiastici possono essere dichiarate efficaci nell'ordinamento italiano, a determinate condizioni. Si ritiene, tuttavia, che la riserva di giurisdizione dei Tribunali ecclesiastici sulle cause di nullità del matrimonio sia stata abrogata, dopo la revisione del Concordato, per la mancanza di una disposizione che sancisca il carattere esclusivo della giurisdizione ecclesiastica e per il principio di assoluta parità delle sfere di sovranità. Nel 1993 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno esplicitamente affermato il principio della abrogazione della riserva di giurisdizione, rilevando che il disposto dell'art. 8 dell'Accordo di revisione del Concordato subordina la dichiarazione di efficacia della sentenza ecclesiastica all'accertamento della sussistenza delle condizioni richieste dalla legislazione italiana per la dichiarazione di efficacia delle sentenze straniere, rinviando all'art. 797 c.p.c. il quale, a sua volta, subordina la delibazione anche alla non contrarietà della sentenza straniera ad altra sentenza pronunciata da un giudice italiano e all'inesistenza di un processo per il medesimo oggetto davanti ad un giudice italiano (Cass. civ., S.U., 13 febbraio 1993, n. 1824).
Competenza e procedimento
Le sentenze ecclesiastiche che dichiarano la nullità del matrimonio sono delibate secondo il procedimento previsto dagli artt. 796 ss. c.p.c.. Queste norme, in verità, sono state abrogate, per quanto riguarda i rapporti con tutte le altre autorità straniere, dalla l. 31 maggio 1995, n. 218 (riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato); i rapporti con la Santa Sede erano tuttavia già disciplinati da una normativa ad hoc, e pertanto si è posto il problema della applicabilità alle sentenze pronunciate dai Tribunali ecclesiastici dell'art. 64 l. n. 218/1995, che prevede il riconoscimento automatico, senza necessità di procedimento di delibazione, purché sussistano i requisiti previsti dalla norma (e tra questi il rispetto del principio del contraddittorio, la non preventiva pendenza di processo innanzi alla autorità giurisdizionale nazionale, la non contrarietà all'ordine pubblico); la legge di diritto privato internazionale prevede all'art. 67 l'intervento del giudice per l'accertamento dei requisiti del riconoscimento solo in caso di mancata ottemperanza, contestazione ovvero quando sia necessario procedere ad esecuzione forzata. La risposta è in senso negativo perché la l. n. 218/1995 fa salva l'applicazione delle Convenzioni internazionali in vigore per l'Italia, e quindi anche del Concordato. A tutt'oggi pertanto la delibazione delle sentenze ecclesiastiche da parte della Corte d'Appello competente è ritenuta condizione di efficacia delle sentenze ecclesiastiche di nullità e il procedimento è ancora quello previsto e regolato dagli ormai abrogati (quanto alle altre sentenze straniere) artt. 796 ss. c.p.c.. La Corte d'appello del luogo dove la sentenza deve essere eseguita è il giudice territorialmente competente per la delibazione, secondo il principio della domanda, cioè su ricorso delle parti o su citazione di una di esse. Il procedimento non può essere instaurato d'ufficio e la domanda deve essere proposta con il patrocinio di un avvocato anche quando è congiunta (Cass. civ., S.U., 5 febbraio 1988, n. 1212; Cass. civ., sez. I, 16 maggio 1990, n. 4260). La giurisprudenza di legittimità ritiene che si applichi anche alla procedura di delibazione l'art 127 c.c., che sancisce la intrasmissibilità dell'azione, salvo che il giudizio non sia pendente alla morte dell'attore; con la conseguenza che la sopravvenienza della morte di uno dei coniugi, nel corso del procedimento, non determina la cessazione della materia del contendere (Cass. sez. I, 16 ottobre 2020, n. 22599). Presupposti
La Corte d'Appello, investita della domanda di delibazione deve verificare il rispetto del principio dell'integrità del contraddittorio e soprattutto del diritto alla difesa. In particolare, si deve accertare che sia stato assicurato alle parti il diritto di agire e di resistere in giudizio in modo non difforme dai principi fondamentali dell'ordinamento italiano. Deve tenersi conto però anche delle norme processuali proprie dell'ordinamento canonico, e quindi si ritiene che sussiste una violazione del diritto delle parti di agire e resistere in giudizio solo in presenza di una compressione della difesa negli aspetti e requisiti essenziali garantiti dall'ordinamento dello Stato italiano. Altro presupposto per la delibazione è l'accertamento del passaggio in giudicato della sentenza da delibare, secondo la legge del luogo in cui è stata pronunciata. Tale requisito sussiste quando il matrimonio concordatario sia stato dichiarato nullo con sentenza di prima istanza dal tribunale ecclesiastico regionale, confermata con decreto di ratifica dal tribunale ecclesiastico d'appello ed infine dichiarata esecutiva con decreto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, in conformità delle leggi canoniche (Cass. civ., sez. I, 22 maggio 2014, n. 11416). Si deve tuttavia tenere presente che, con decorrenza dall'8 dicembre 2015, entra in vigore la riforma del processo canonico per la valutazione della validità del matrimonio, introdotta da Papa Francesco con la lettera apostolica motu proprio del 15 agosto 2015. Tra le novità vi è la riforma del can. 1679, che conferisce efficacia esecutiva alla sentenza di primo grado dichiarativa della nullità del vincolo, in difetto d'impugnazione; viene meno quindi il requisito della duplice pronuncia in senso conforme. La riforma si applica ai processi canonici instaurati in data successiva all'8 dicembre, ma questa norma in particolare si applica alle sentenze pubblicate a far data dalla entrata in vigore del provvedimento, e quindi riguarda anche i processi già pendenti e non ancora conclusi a quella data. Per il riconoscimento di efficacia delle sentenze ecclesiastiche è necessario che la sentenza non contenga disposizioni contrarie all'ordine pubblico italiano. Ordine pubblico è inteso come ordine pubblico internazionale, filtro che serve ad impedire l'ingresso nell'ordinamento statuale di valori giuridici estranei, un concetto funzionale, ma anche variabile nello spazio e nel tempo. Il riferimento primario è ai principi fondamentali posti dalla Costituzione e dalle leggi ordinarie, ma anche ai diritti fondamentali dell'Uomo riconosciuti dalla Convenzione Europea dei diritti dell'Uomo nell'interpretazione che ne offre la Corte EDU. La riserva mentale è una divergenza mentale consapevole tra la volontà e la dichiarazione. Il matrimonio canonico, anche quello con effetti civili, ha come requisiti di validità, tra l'altro, che i coniugi abbiano consapevolezza e volontà dei tre bona matrimonii e cioè il bonum fidei (unione fedele tra i due coniugi), il bonum sacramenti (indissolubilità) e il bonum prolis(la finalità procreativa); questi ultimi due requisiti non sono richiesti nel matrimonio civile. Pertanto chi contrae matrimonio concordatario con la volontà di non procreare o con la prefigurazione del suo eventuale scioglimento, esprime una riserva mentale, che, per il diritto canonico, è causa di annullamento. Per delibare una sentenza canonica che abbia annullato il matrimonio per la sussistenza di una riserva mentale, deve prima verificarsi che la sentenza non si ponga in contrasto con i principi fondamentali del nostro ordinamento che tutela l'affidamento e la buona fede. La declaratoria di esecutività richiede quindi l'accertamento che tale riserva sia stata manifestata all'altro coniuge ovvero che questi l'abbia effettivamente conosciuta o che non l'abbia conosciuta per propria negligenza; diversamente, la delibazione trova ostacolo nella contrarietà con l'ordine pubblico italiano, nel cui ambito va ricompreso il principio fondamentale della tutela della buona fede e dell'affidamento incolpevole (Cass. civ. sez. I, 25 giugno 2019 n. 17036). L'accertamento della conoscenza o conoscibilità, da parte del coniuge delle “riserve” dell'altro, ovvero della apposizione di condizioni, spetta al giudice della delibazione con piena autonomia rispetto al giudice ecclesiastico. Non ha invece importanza che il contenuto della riserva o condizione riguardi uno dei bona matrimoniali propri del diritto canonico e non previsti dall'ordinamento interno. Convivenza triennale tra i coniugi
È stato a lungo dibattuta la questione se possa considerarsi contraria all'ordine pubblico la delibazione della sentenza ecclesiastica quando vi sia stata una prolungata convivenza tra i coniugi, ed eventualmente anche la nascita di figli, e cioè quando si è in presenza di un matrimonio-rapporto valido e prolungato, pur nella originaria invalidità del matrimonio-atto. L'originaria opinione della giurisprudenza italiana era nel senso che non fosse contraria all'ordine pubblico la sentenza ecclesiastica che dichiarava la nullità, pur dopo la convivenza dei coniugi o quando la domanda fosse stata proposta oltre il termine annuale dalla iniziata coabitazione, termine di decadenza previsto dal diritto civile italiano (artt. 120, 122, 123 c.c.) per le ipotesi di errore, violenza, simulazione ed incapacità naturale al momento della celebrazione (a patto che sia cessata la causa di invalidità: ad esempio, esso decorre da quando è stato scoperto l'errore essenziale). Detto orientamento è stato di recente messo in discussione dalla prima sezione della Corte di Cassazione, creando un contrasto interno sulla delibabilità della sentenza in caso di convivenza protratta nel tempo. Il contrasto è stato composto nel2014 dalle Sezioni Unite (Cass. civ., S.U., 17 luglio 2014, n. 16379) che hanno sancito il principio secondo il quale la convivenza come coniugi, protrattasi per almeno tre anni dalla data di celebrazione del matrimonio concordatario, connotando nell'essenziale l'istituto del matrimonio nell'ordinamento italiano, è costitutiva di una situazione giuridica disciplinata da norme costituzionali, convenzionali ed ordinarie, di "ordine pubblico italiano" e, pertanto, è ostativa alla dichiarazione di efficacia nella Repubblica Italiana delle sentenze definitive di nullità di matrimonio pronunciate dai tribunali ecclesiastici, per qualsiasi vizio genetico del matrimonio accertato e dichiarato dal giudice ecclesiastico, nonostante la sussistenza di detta convivenza coniugale. Il suddetto principio si applica, secondo quanto precisato dalla Corte di Cassazione nel 2015, anche in caso di esistenza di un'incapacità psichica originaria, astrattamente idonea a viziare il matrimonio-atto, che tuttavia non può escludere lo scrutinio rispetto ai parametri di ordine pubblico che governano il matrimonio-rapporto, ed in particolare non può trascurare il rilievo del carattere costitutivo della convivenza così come declinata dalle norme costituzionali interne, Europee e convenzionali (Cass., sez. I, 27 gennaio 2015, n. 1494). La Corte di Cassazione ha tuttavia precisato, sempre nella sentenza resa a Sezioni Unite nel 2014 (Cass. n. 16379/2014), che il fatto della convivenza costituisce eccezione in senso stretto (exceptio juris) opponibile da un coniuge alla domanda di delibazione proposta dall'altro coniuge e, pertanto, non può essere eccepita dal pubblico ministero interveniente nel giudizio di delibazione né rilevata d'ufficio dal giudice della delibazione o dal giudice di legittimità. Essa deve essere eccepita esclusivamente, a pena di decadenza, nella comparsa di risposta, dal coniuge convenuto in tale giudizio, che sia interessato a farla valere; il coniuge che eccepisce la convivenza è gravato dell'onere di allegare e provare i fatti e comportamenti dei coniugi specifici e rilevanti, idonei ad integrare detta situazione giuridica d'ordine pubblico. Anche il coniuge che ha promosso l'azione di nullità davanti al Tribunale ecclesiastico può eccepire, innanzi alla autorità giurisdizionale italiana, nel giudizio di delibazione introdotto dall'altro, l'intervenuta convivenza triennale, preclusiva del riconoscimento della sentenza canonica di nullità, poiché i due processi si collocano su piani diversi e non è possibile desumere dal solo fatto che la parte abbia introdotto il giudizio di nullità del matrimonio concordatario la volontà di ottenere anche la produzione di effetti giuridici nell'ordinamento italiano della relativa sentenza (Cass. civ. sez. I, 21 luglio 2021, n. 20846).
Orientamenti a confronto
Effetti della delibazione
Se il matrimonio concordatario è dichiarato nullo dal Tribunale ecclesiastico con sentenza resa esecutiva nello Stato, si ritiene applicabile il regime patrimoniale previsto dall'ordinamento civile per il matrimonio putativo agli artt. 129, 129-bis c.c.. Pertanto, al coniuge in buona fede potrà essere riconosciuto un assegno (di natura indennitaria) di durata non superiore ai tre anni, a condizione che il richiedente non abbia adeguati redditi propri e non sia passato a nuove nozze. Il coniuge cui sia imputabile la nullità può essere condannato a versare una indennità, senza necessità di prova del danno, ed è comunque tenuto a prestare gli alimenti. Il requisito della buona fede non può però ritenersi sussistente quando le riserve e condizioni anche unilaterali (esclusione del bonum prolis, esclusione dell'indissolubilità) erano conosciute ed accettate dall'altro. Venuta meno la riserva di giurisdizione, è possibile la contemporanea pendenza del giudizio di nullità innanzi ai Tribunali ecclesiastici e innanzi al Tribunale civile: se il giudice civile ha pronunciato la nullità del matrimonio con sentenza passata in giudicato, non può essere delibata la sentenza ecclesiastica di nullità dello stesso matrimonio. Se il giudice civile ha escluso la nullità del matrimonio, può essere delibata la sentenza ecclesiastica che abbia pronunciato la nullità sulla base di diversi motivi. Il giudizio ecclesiastico non impedisce l'instaurazione del processo di divorzio, in pendenza del quale può essere proposta in via riconvenzionale la domanda di nullità del matrimonio, che a questo punto dovrà essere decisa dal giudice italiano; il principio di prevenzione opera infatti in favore del giudice italiano, mentre non si verifica litispendenza se il giudice ecclesiastico è stato adito per primo. Inoltre la pendenza di un giudizio civile sulla nullità del matrimonio impedisce la delibazione della sentenza ecclesiastica (Cass. civ., sez. VI, 3 settembre 2014, n. 18627). Non vi è rapporto di pregiudizialità tra il giudizio di separazione e quello di nullità del matrimonio. Finché la sentenza di nullità non sia stata delibata, i coniugi, anche separati, continuano ad essere considerati tali: al passaggio in giudicato della sentenza di delibazione, la declaratoria di nullità acquista efficacia nell'ordinamento nazionale e vengono meno gli obblighi economici (Cass. civ., sez. I, 21 marzo 2014, n. 6754). Se la delibazione interviene mentre il giudizio di separazione è pendente, venendo meno il vincolo coniugale si determina la cessazione della materia del contendere (Cass. civ. sez. I 19 dicembre 2017, n. 30496). Se è stata dichiarata la cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario, può essere successivamente pronunciata e delibata sentenza ecclesiastica di nullità. In questo caso però rimangono ferme le decisioni sui rapporti patrimoniali tra coniugi contenute nella pronuncia di divorzio; l'assegno di divorzio che è stato deciso rimane fermo se su questo punto si sia formato il giudicato, né può essere chiesta la revisione delle condizioni di divorzio ai sensi dell'art. 9 l. n. 898/1970, dal momento che la successiva delibazione della sentenza ecclesiastica non costituisce giusto motivo di revisione (Cass. civ., sez. I, 18 settembre 2013, n. 21331). In sintesi, la delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio, successiva al passaggio in giudicato della sentenza di separazione, fa venir meno le statuizioni economiche relative al rapporto tra i coniugi in essa previste, poiché il diritto al mantenimento a favore del coniuge separato trova il suo fondamento nella permanenza del vicolo coniugale e nel dovere di assistenza materiale tra coniugi sicché, venuto meno il vincolo matrimoniale, viene meno anche tale diritto; diversamente per l'assegno divorzile perché fondato sulla solidarietà post coniugale (Cass. civ. sez. I, 11 maggio 2018 n. 11553).
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