La negoziazione assistita in materia di separazione e divorzio e i controlli a tutela dell'interesse del minore

23 Ottobre 2018

L'art. 6 d.l. n. 132/2014, prevede la negoziazione assistita anche ai fini della risoluzione delle crisi coniugali. L'accordo di negoziazione non è, però, del tutto sottratto al controllo giudiziale che spetta al PM deputato al rilascio, a seconda dei casi, di un nullaosta o di un'autorizzazione, rispettivamente a seguito di un controllo c.d. formale (nel primo caso) o di un controllo c.d. sostanziale (nel secondo caso).
La negoziazione assistita facoltativa e la regolamentazione delle crisi coniugale e dei rapporti genitoriali

L'art. 6 d.l. n. 132/2014 consente di fare ricorso alla negoziazione assistita anche ai fini della risoluzione delle crisi coniugali e/o genitoriali. Trattasi di negoziazione facoltativa e non obbligatoria.

La norma in oggetto consente ai coniugi/genitori di sottoscrivere – con l'assistenza di «almeno un avvocato per parte» (comma 1) – convenzioni dirette a sostituire (quanto agli effetti) la pronuncia di separazione personale, quelle di cessazione degli effetti civili del matrimonio e di scioglimento del medesimo (divorzio successivo però alla separazione personale e non c.d. diretto) e il decreto di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio (comma 3).

L'accordo non è sottratto però al controllo giudiziale. La delicatezza della materia e il possibile coinvolgimento dell'interesse dei figli, anche minori o con handicap, ha portato il legislatore ad introdurre una particolare forma di “interlocuzione” con l'Autorità Giudiziaria. Non però con un ufficio giudicante ma con un ufficio requirente deputato al rilascio, a seconda dei casi, di un nullaosta o di un'autorizzazione.

Va distinta una negoziazione (solo) “coniugale”, diretta a disciplinare rapporti tra soli coniugi, senza figli o con figli già economicamente autosufficienti da una negoziazione (anche) “genitoriale”, volta a disciplinare pure i rapporti tra genitori e figli.

Il comma 2 dell'art. 6 d.l. n. 132/2014 consente infatti il ricorso alla negoziazione assistita nelle materie in questione (separazione, divorzio e modifica delle relative condizioni) anche in presenza di figli minori, di figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave (ex art. 3, comma 4, l. n. 104/1992) ovvero economicamente non autosufficienti.

Se in entrambi i casi (negoziazione coniugale e negoziazione genitoriale) nell'accordo si deve dare atto «che gli avvocati hanno tentato di conciliare le parti e le hanno informate della possibilità di esperire la mediazione familiare e che gli avvocati hanno informato le parti dell'importanza per il minore di trascorrere tempi adeguati con ciascuno dei genitori» (art. 6, comma 3), diversa è però la procedura.

Nel procedimento di negoziazione “coniugale” il PM si limita a concedere un nullaosta, verificando che l'accordo non presenti irregolarità (art. 6, comma 2, prima parte).

In presenza di figli minori, incapaci, con handicap grave o economicamente dipendenti, invece, il PM deve verificare la rispondenza dell'accordo all'interesse della prole e concedere un'apposita autorizzazione. Tale iter è allora più articolato. Anche in questi casi «l'accordo raggiunto a seguito di convenzione di negoziazione assistita deve essere trasmesso… al procuratore della Repubblica presso il tribunale competente» (entro il termine, in questo caso fissato, di 10 giorni), ma qui il controllo del PM non è (come nell'altro) di mera regolarità ma è di merito, dovendo il PM valutare se l'accordo risponda o meno «all'interesse dei figli». L'autorizzazione verrà così rilasciata se l'accordo risponda a tale interesse. In caso contrario, il procuratore della Repubblica «lo trasmette, entro cinque giorni, al presidente del tribunale, che fissa, entro i successivi trenta giorni, la comparizione delle parti e provvede senza ritardo».

Nel d.l. n. 132/2014 non si prevede uno specifico termine per la trasmissione dell'accordo al PM in caso di negoziazione coniugale, mentre si stabilisce un termine di 10 giorni in ipotesi di negoziazione genitoriale.

Restando pertanto fedeli alla lettera della norma, il termine dei 10 giorni sarebbe contemplato solo quando l'accordo contiene anche condizioni relative a figli minori, incapaci, con handicap grave o economicamente non indipendenti. Tale soluzione non pare però condivisibile perché anche in assenza di figli in queste condizioni l'accordo di negoziazione incide (salvo il caso delle “modifiche delle condizioni”) sullo status,dato che i coniugi comunque si separano o divorziano. La disciplina va allora interpretata nel senso che in entrambi i casi l'accordo di negoziazione va trasmesso al PM sempre entro 10 giorni e ciò pure per evitare che possano venire adottati comportamenti che possano risultare in frode alla legge o in frode ai creditori (in sede, ad esempio, di esecuzioni o fallimenti).

In sostanza, considerato che gli effetti giuridici decorrono dalla data certificata dell'accordo (Circ. Min. Int. 1 ottobre 2014), l'assenza di un termine per la trasmissione al PM, nell'uno come nell'altro caso, consentirebbe ai coniugi di rinviare volutamente, mercanteggiando così sugli status, il momento della conoscenza e della conoscibilità per i terzi dell'accordo e, potenzialmente, realizzando anche una lesione dei loro interessi (venendo comunque in rilievo atti aventi “data certa”).

Sul punto si noti pure che l'art. 3 l. n. 898/1970 prevede che, per la proposizione della domanda di divorzio, le separazioni devono essersi protratte ininterrottamente per almeno sei mesi «dalla data certificata nell'accordo di separazione raggiunto a seguito di convenzione di negoziazione assistita».

Si ritiene allora che il termine di 10 giorni per la trasmissione al PM sia fondamentale e che la trasmissione fuori termine impedisca al PM di concedere il nullaosta o di autorizzare l'accordo. In questi casi non rimarrà ai coniugi/genitori che stipulare un nuovo patto con data certificata nuova.

Il procedimento appena descritto è, secondo chi scrive, di volontaria giurisdizione, in quanto il PM, quale autorità giurisdizionale, non è chiamato a risolvere conflitti tra contrapposti diritti ma ad amministrare interessi privati per la rilevanza pubblicistica degli altri interessi coinvolti.

Successivamente al rilascio del nullaosta o dell'autorizzazione del PM (o dell'autorizzazione del presidente del tribunale in caso di diniego di quest'ultima), «l'avvocato della parte è obbligato a trasmettere, entro il termine di dieci giorni, all'ufficiale dello stato civile del Comune in cui il matrimonio fu iscritto o trascritto, copia, autenticata dallo stesso, dell'accordo munito delle certificazioni di cui all'articolo 5», e cioè le certificazioni dell'autografia delle firme e della conformità dell'accordo alle norme imperative ed all'ordine pubblico.

La norma tace in merito al momento a partire dal quale inizia a decorrere il termine di 10 giorni per la trasmissione del patto all'ufficiale dello stato civile. È da ritenere che tale termine decorra dalla comunicazione alle parti del provvedimento (nulla osta o autorizzazione) del PM o del Presidente del Tribunale alla luce di un principio generale in tema di procedimento civile secondo il quale i provvedimenti dell'Autorità Giudiziaria emessi fuori udienza vanno resi noti alle parti tramite comunicazione.

L'obbligo di trasmissione grava sugli avvocati e si ritiene che sia sufficiente che vi provveda anche uno solo di essi.

Anche per gli accordi conclusi a seguito di negoziazione assistita aventi ad oggetto una mera modifica delle condizioni sussiste l'obbligo di trasmissione del patto all'ufficiale dello Stato Civile. Ve ne è conferma nelle modifiche apportate dal d.l. 132/2014 al d.P.R. n. 396/2000. In materia di annotazioni (artt. 49 e 69) e iscrizioni (art. 63), infatti, anche gli accordi di «modifica delle condizioni di separazione o di divorzio» devono essere iscritti/trascritti (art. 63, lett. g-ter e art. 63 lett. h-bis).

La trasmissione dell'atto all'ufficiale dello Stato civile entro un breve termine risponde ad un chiaro interesse pubblico, che è quello di assicurare certezza giuridica, pure a garanzia dei terzi, posto che gli effetti giuridici dell'accordo decorrono dalla data certificata nell'accordo medesimo. Il ridotto termine di trasmissione dell'accordo assicura la pubblicità dello stesso ed evita che i coniugi possano disporre arbitrariamente degli effetti giudici del negozio.

Il comma 3 dell'art. 6 d.l. n. 132/2014 dispone che «l'accordo raggiunto a seguito della convenzione produce gli effetti e tiene luogo dei provvedimenti giudiziali che definiscono (...) i procedimenti di separazione personale, di cessazione degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento del matrimonio e di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio».

Conseguenza immediata di tale riforma è stato, quindi, l'adeguamento di alcune disposizioni previgenti in altri testi normativi. Per tutte, l'art. 3 l. n. 898/1970 prevede che, per la proposizione della domanda di divorzio, basta che la separazione si sia protratta ininterrottamente da almeno sei mesi (dopo la l. n. 55/2015) «dalla data certificata nell'accordo di separazione raggiunto a seguito di convenzione di negoziazione assistita da un avvocato ovvero dalla data dell'atto contenente l'accordo di separazione concluso innanzi all'ufficiale dello stato civile» (art. 12 l. n. 162/2014).

Il contenuto del controllo del patto da parte dell'Autorità giudiziaria

La natura degli interessi coinvolti ha portato, come accennato, all'introduzione di un controllo degli accordi di negoziazione assistita in materia familiare, controllo che spetta al PM.

Il controllo da parte del PM è di natura certamente formale e spesso anche sostanziale.

In particolare, le negoziazioni compositive delle crisi familiari devono essere necessariamente seguite, come accennato, dal nullaosta del PM (per i “patti coniugali”) o dalla sua autorizzazione (per i “patti genitoriali”).

Nei patti coniugali il controllo del PM è di sola legittimità formale dovendo egli accertare che l'accordo non presenti “irregolarità” (art. 6, comma 2, d.l. n. 132/2014). Egli è quindi tenuto ad attestare l'esistenza dei presupposti di legge, e quindi l'inesistenza di contrarietà o impedimenti allo svolgimento dell'attività che l'interessato si prefigge di compiere.

La disciplina è analoga a quella prevista per gli accordi coniugali conclusi davanti all'Ufficiale dello Stato Civile il quale si limita a “raccogliere le dichiarazioni” e deve senz'altro procedere in assenza di irregolarità.

Diversa è la procedura in presenza di negoziazioni “genitoriali”. In questo caso il PM, come detto, non si limita ad un controllo di mera “regolarità” del patto ma entra nel merito delle singole pattuizioni in un'ottica di tutela dell'interesse dei figli.

I controlli formali

In primo luogo il PM deve verificare che le convenzioni di negoziazione assistita siano state stipulate alla presenza di entrambi i coniugi, non essendo ammissibile rappresentanza volontaria.

Occorre poi che ciascuno dei coniugi sia assistito da un proprio avvocato («almeno un avvocato per parte», ex art. 6, comma 1, d.l. n. 132/2014).

È dunque richiesta una doppia difesa, il che è una anomalia con riferimento alla separazione consensuale, al divorzio congiunto ed alle modifiche concordate, casi in cui, proprio perché vi è alla base un accordo, le parti possono anche essere assistite da un solo legale.

Tale anomalia appare ancora più evidente se si considera che il d.l. n. 132/2014 consente agli avvocati di «negoziare» gli status dei coniugi e i loro rapporti con i figli. Se allora il legislatore ha manifestato una tale “fiducia” verso l'attività dei legali/negoziatori, poco in linea con tale atteggiamento appare, attraverso la richiesta di un avvocato per parte, il non avere riconosciuto ad un singolo legale la capacità di rappresentare lealmente e professionalmente l'intera famiglia.

Il PM deve poi controllare che la convenzione sia sottoscritta dalle parti e dagli avvocati e che indichi il termine, individuato dalle parti, per la conclusione della procedura nonché l'oggetto della controversia. In ogni caso, in mancanza di uno dei requisiti di forma elencati, l'accordo potrebbe valere, se ne ricorrono i requisiti, come transazione e ciò anche alla luce dell'art. 1424 c.c.. Così anche laddove manchi la certificazione dell'autografia delle sottoscrizioni delle parti o in presenza di un accordo concluso senza l'assistenza di un avvocato iscritto all'albo o, ancora, qualora difetti la sottoscrizione degli avvocati o nel caso in cui gli avvocati non certifichino la conformità dell'accordo alle norme imperative e all'ordine pubblico. Se, invece, difetti l'indicazione del termine per l'espletamento della procedura, può comunque ritenersi applicabile il termine massimo di tre mesi previsto dalla legge (art. 2, lett. a, d.l. n. 132/2014).

Ancora, il PM deve verificare la presenza della documentazione necessaria che va allegata all'accordo di negoziazione (estratto per riassunto dell'atto di matrimonio del Comune di celebrazione delle nozze, certificato di residenza dei coniugi e dello stato di famiglia).

Laddove si tratti di una convenzione stipulata ai fini del divorzio, occorre verificare la produzione dell'estratto integrale dell'atto di matrimonio, dei certificati di residenza e dello stato di famiglia oltre che, ovviamente, della sentenza o del decreto di omologa della separazione.

Inoltre, all'accordo di negoziazione per la modifica delle condizioni di separazione o divorzio vanno allegate le copie autentiche dei precedenti provvedimenti (o delle precedente negoziazioni) da modificare.

Dubbia appare l'allegazione anche delle dichiarazioni dei redditi relativi agli ultimi tre anni (come previsto in tema di separazione e divorzio). Comunque, in relazione agli assegni per il mantenimento dei figli minori di età, si dovrebbe consentire al PM di controllare la correttezza della quantificazione dell'importo dell'assegno.

In presenza di figli con handicap grave, all'accordo va allegata la documentazione comprovante l'handicap stesso. Lo stesso dicasi in presenza di incapacità. A tal ultimo proposito si precisa che, secondo la Circ. n. 19/2014, rilevano le sole incapacità dichiarate.

Il PM deve anche controllare che l'accordo raggiunto in sede di negoziazione assistita presenti i suoi contenuti necessari. Invero, il PM deve verificare:

1) il contenuto dell'accordo, che può riguardare esclusivamente una soluzione consensuale di separazione personale, di cessazione degli effetti civili del matrimonio o di scioglimento del medesimo nei casi di cui all'art. 3, comma 1, n. 2, lett. b), l. n. 898/1970, di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio;

2) l'attestazione, da parte degli avvocati, circa l'avvenuto esperimento del tentativo di conciliazione dei coniugi (non necessaria nel caso della mera modifica delle condizioni di separazione o di divorzio);

3) l'attestazione, da parte dei legali, sull'avvenuta informazione dei coniugi della possibilità di esperire la mediazione familiare;

4) l'attestazione, da parte degli avvocati, circa l'avvenuta informazione dei coniugi sull'importanza per il minore di trascorrere tempi adeguati con ciascuno dei genitori;

5) l'avvenuto decorso di un anno o sei mesi (per il caso di divorzio, a seconda di previa separazione giudiziale o consensuale) ininterrotti di separazione personale (l. n. 898/1970). In questo caso, all'accordo andrà allegata la copia del verbale di comparizione presidenziale in sede di separazione ed il successivo provvedimento giudiziale.

Spetterà ai coniugi provare la sussistenza di tutti i requisiti.

Eventuali vizi formali della procedura (come, ad esempio, la mancata autentica da parte dei procuratori delle firme apposte dalle parti sull'accordo) portano il PM a non emettere il suo provvedimento e a chiedere alle parti di provvedere a emendare il vizio.

I controlli sostanziali: a) affidamento dei minori

Diverso è, invece, il controllo richiesto al PM in presenza di negoziazioni “genitoriali”. In questo caso ai controlli formali si aggiungono quelli sostanziali, dovendosi verificare che l'accordo sia conforme all'interesse dei figli.

Numerose possono essere allora le pattuizioni che coinvolgono i figli.

a) Affidamento dei minori.

La conflittualità tra i genitori, pur rendendo oggettivamente difficile la praticabilità dell'affido condiviso, non può valere ad escluderlo a priori, attesa la finalità primaria della l. n. 54/2006 che è quella di salvaguardare il diritto del minore alla bigenitorialità e, quindi, il diritto del figlio a continuare ad avere un rapporto equilibrato con entrambi i genitori anche dopo la separazione.

Fanno eccezione i casi in cui la conflittualità tra i genitori è tal punto “esasperata” da impedire l'affidamento condiviso che risulterebbe pregiudizievole per la serena crescita del minore e per l'equilibrio psicofisico dello stesso (Cass. n. 5108/2012). Se vi è pericolo per il sano sviluppo del minore è possibile allora applicare il regime dell'affidamento esclusivo, al quale si può ricorrere, quale eccezione rispetto all'affidamento condiviso (artt. 337-ter e 337-quater c.c.), laddove quest'ultimo sia «contrario all'interesse del minore», come nel caso in cui uno dei coniugi manifesti carenza genitoriale ed inidoneità educativa con comportamentiche «appaiono sintomatici della sua inidoneità ad affrontare quelle maggiori responsabilità che l'affido condiviso comporta anche a carico del genitore con il quale il figlio non coabiti stabilmente»(Cass. n. 26587/2009).

Il PM deve allora controllare la rispondenza all'interesse del minore del regime di affidamento concordato dalle parti, soprattutto verificando quali siano le ragioni poste a base dell'eventuale scelta di un affidamento esclusivo. L'ostacolo consiste, all'evidenza, nella sostanziale inesistenza di elementi istruttori a disposizione del PM che comunque deve pure assicurare che il minore incontri con una certa continuità anche il genitore non affidatario, salvi i casi in cui ciò va evitato nel superiore interesse del minore, e tenere conto del fatto che il comma 3 dell'art. 337-quater c.c. prevede comunque che «le decisioni di maggiore interesse per i figli sono adottate da entrambi i genitori», con la conseguenza che è necessario che l'accordo tra i coniugi riguardi anche le scelte primarie (es. sanitarie e scolastiche) pure nel caso di affido monogenitoriale. È solo in caso di c.d. affidamento super-esclusivo o esclusivo rafforzato (art. 337-quater c.c.) che anche le decisioni di maggior interesse possono essere prese da uno solo dei genitori.

segue: b) gli incontri tra genitori non prevalentemente collocatari e figli minori

Anche in caso di affidamento condiviso si prevede spesso un domicilio prevalente presso uno dei due genitori. L'accordo di negoziazione deve comunque garantire al minore una certa continuità di vita anche con il genitore non prevalentemente domiciliatario, sia pure consentendo, al contempo, la conservazione dell'habitat principale presso il genitore prevalentemente domiciliatario.

Il PM deve allora controllare che gli incontri tra figli e genitori (durante la settimana e nel fine settimana, nonché nel periodo estivo e durante le festività dell'anno) siano stati regolati nel rispetto del superiore interesse del minore, con la conseguenza che, in difetto di un'adeguata regolamentazione di questi incontri, il PM non potrà che negare l'autorizzazione dell'accordo.

Non basta, quindi, che il PM abbia accertato che gli avvocati abbiano rispettato la previsione del d.l. n. 132/2014, secondo cui essi devono informare le parti dell'importanza per il minore di trascorrere tempi adeguati con ciascuno dei genitori. Il PM deve anche verificare che sia stato effettivamente garantito il rispetto del diritto del minore a trascorrere tempi adeguati con ciascuno dei genitori. Non è sufficiente, quindi, un controllo formale, occorrendone uno sostanziale.

D'altronde, dovendo gli avvocati che assistono i coniugi in sede di negoziazione assistita certificare (ex art. 5,d.l. n. 132/2014, richiamato dal comma 3 dell'art. 6) che l'accordo non violi le norme imperative o l'ordine pubblico, essi allora devono informare i genitori di ciò che essi non possono negoziare, pena l'invalidità del patto. Ne consegue che, se i genitori non vogliono seguire le indicazioni dei loro legali, allora questi ultimi dovrebbero rifiutarsi di concludere l'accordo di negoziazione non potendo poi essi procedere alla certificazione di cui all'art. 5 d.l. n. 132/2014.

segue: c) casa coniugale

L'accordo può prevedere l'assegnazione della casa coniugale.

Il PM deve verificare che tale assegnazione sia avvenuta in favore del genitore affidatario o prevalentemente domiciliatario.

Com'è noto, in tema di separazione e di divorzio, rispettivamente, l'art. 337-sexies c.c. e l'art. 6, comma 6, l. n. 898/1970, subordinano l'assegnazione della casa coniugale alla presenza di figli, minori o maggiorenni non economicamente autosufficienti, conviventi con i genitori.

Si ritiene che i figli debbano essere di entrambi i coniugi (Cass. n. 20688/2007).

Inoltre, l'assegnazione della casa familiare presuppone la persistenza, al momento della separazione dei coniugi, di una casa coniugale. Non vi è più l'esigenza di conservazione dell'habitat domestico quando il figlio della coppia sia già sradicato dal luogo in cui si svolgeva l'esistenza della famiglia (cfr. Cass. n. 13065/2002 e Cass. n. 3030/2006).

Essendo l'istituto in questione finalizzato a conservare l'habitat domestico, inteso come il centro degli affetti, degli interessi e delle consuetudini in cui si esprime e si articola la vita familiare (Corte cost. n. 454/1989), l'assegnazione è configurabile per l'immobile che abbia costituito il centro di aggregazione della famiglia durante la convivenza (Cass. n. 14553/2011).

Non è però da escludere che, nell'esercizio dell'autonomia negoziale, le parti possano anche prevedere un contenuto cd. accessorio prevedendo una sorta di diritto d'uso su di un immobile diverso dalla casa familiare.

Così come, sempre sull'accordo delle parti, sarà sempre possibile l'assegnazione della casa coniugale al non collocatario.

segue: d) il contributo per il mantenimento dei figli minori

Il PM deve anche accertare che l'accordo preveda un contributo per il mantenimento dei figli minori o maggiorenni non economicamente sufficienti (artt. 147 e 148 c.c.).

Iconiugi devono far fronte ad una molteplicità di esigenze dei figli, che vanno oltre l'obbligo alimentare e che investono l'aspetto abitativo, scolastico, sportivo, sanitario, sociale, l'assistenza morale e materiale, la opportuna predisposizione - fino a quando la loro età lo richieda - di una stabile organizzazione domestica, adeguata a rispondere a tutte le necessità di cura e di educazione.

Si tratta di un'obbligazione legale posta a protezione delle superiori esigenze dei figli che va adempiuta da entrambi i coniugi anche in assenza di occupazione lavorativa (Cass. n. 24424/2013) ed anche nelle forme, se del caso, del cd. mantenimento diretto e cioè non attraverso la corresponsione di un assegno periodico ma provvedendo direttamente a soddisfare le esigenze dei figli (cfr. Trib. Roma, 22 gennaio 2016).

segue: e) i trasferimenti immobiliari e "patrimoniali"

Un accordo di negoziazione assistita in materia familiare può contenere un patto traslativo?

E quali sono i poteri del PM in proposito?

Costituisce manifestazione di autonomia contrattuale la possibilità, per i coniugi, di addivenire alla composizione della crisi familiare anche mediante il ricorso a forme di attribuzione patrimoniale che si realizzano attraverso un trasferimento, mobiliare o immobiliare.

In sede stragiudiziale, ma anche nel contesto di un giudizio per separazione consensuale o per divorzio congiunto o di una modifica delle condizioni, spesso accade che uno dei coniugi voglia far acquistare ovvero voglia obbligarsi a trasferire, in favore dell'altro coniuge ovvero di un terzo (tipicamente uno o più figli), la proprietà o altro diritto reale su determinati beni, mobili o immobili.

In tal modo l'assetto dei reciproci rapporti economici viene regolato mediante la capitalizzazione una tantum del contributo al mantenimento del coniuge separato o dell'assegno divorzile ovvero di parte del contributo per il mantenimento dei figli ovvero, ancora, attraverso una divisione amichevole, totale o parziale, di un patrimonio in comunione.

La giurisprudenza è divisa in merito alla possibilità di inserire, in sede di accordi nel procedimento di separazione o in quello di divorzio, oltre alle clausole che producano soltanto effetti obbligatori, anche clausole che prevedano trasferimenti con effetti reali immediati.

Deve comunque, in generale, considerarsi che secondo il prevalente orientamento della Cassazione (e di parte della giurisprudenza di merito) sono validi ed efficaci gli accordi inseriti nelle condizioni della separazione consensuale o del divorzio congiunto o delle modifiche concordate ed aventi quale contenuto la diretta attribuzione, da parte di un coniuge in favore dell'altro, della proprietà di beni immobili ovvero il trasferimento o la costituzione di altri diritti reali. Si è infatti ritenuto che i coniugi possano determinare la misura dell'obbligo di mantenimento nonché le modalità per adempiere tale obbligo. Secondo la giurisprudenza di legittimità, tale accordo, è pienamente valido (Cass. n. 15780/2010; Cass. n. 8516/2006); è possibile altresì sostenere che l'accordo in quanto inserito nel verbale d'udienza, assume la forma di atto pubblico (art. 2699 c.c.) e, qualora preveda il trasferimento di diritti reali immobiliari, costituisce, dopo l'omologazione, titolo per la trascrizione ex art. 2657 c.c..

Diversamente, parte della giurisprudenza di merito (Trib. Alba, circolare 30 maggio 2012; Trib. Milano, 21 maggio 2013; Trib. Bari, 8 aprile 2008; Trib. Firenze, 29 settembre 1989) ammette la sola possibilità di concludere accordi ad effetti obbligatori, tutelabili anche ex art. 2932 c.c., stante la non idoneità del verbale di udienza a sostituire l'atto pubblico. Tale giurisprudenza pone l'accento sui riferimenti normativi (art. 19, comma 4, l. n. 122/2010) che, nel più ampio contesto delle misure intese a contrastare l'elusione fiscale, hanno imposto, per tali trasferimenti, il rogito notarile. Ed emerge da tale norma che il legislatore ha espressamente demandato al «notaio», e non ad altri operatori, il compito – a pena di nullità – della corretta individuazione catastale dei beni, del riferimento alle planimetrie depositate in catasto, della verifica della conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie, dell'individuazione degli intestatari catastali e della verifica della loro conformità con le risultanze dei registri immobiliari.

Con riferimento agli accordi conclusi in sede di negoziazione assistita in materia familiare, stando al dato testuale della legge in esame sembra potersi ammettere la possibilità di prevedere trasferimenti (anche immobiliari) con effetti reali immediati.

Invero, la disciplina in tema di negoziazione assistita non prevede alcuna limitazione in tal senso, a differenza di quanto previsto dal'art. 12, comma 3, d.l. n. 132/2014 che esclude espressamente che i coniugi, negli accordi compositivi della crisi coniugale conclusi dinanzi all'Ufficiale dello Stato Civile del Comune dove l'atto di matrimonio è stato iscritto o trascritto, possano inserire patti di trasferimento patrimoniale, intesi come patti che attribuiscono diritti su beni patrimoniali..

In assenza di un chiaro divieto testuale come quello appena visto, si può desumere che l'accordo concluso in negoziazione assistita possa anche contenere patti di trasferimento immobiliare.

Ammessa dunque la liceità dei patti di trasferimento immobiliare in sede di negoziazione assistita si è posto il problema di chiarire se l'accordo di negoziazione assistita che li contiene possa o meno essere trascritto, onde rendere il trasferimento opponibile ai terzi

In tale contesto vanno considerati: da un lato l'art. 5, comma, 3 d.l. n. 132/2014 che subordina la trascrivibilità dei patti contenuti nella c.d. negoziazione assistita tradizionale alla «sottoscrizione del processo verbale di accordo … autenticata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato»; dall'altro, il fatto che il successivo art. 6 d.l. n. 132/2014, prevede che gli accordi di negoziazione assistita familiare, dopo l'autorizzazione o il visto del PM, «tengono luogo e producono gli effetti» dei provvedimenti di separazione, divorzio, scioglimento dell'unione civile e modifiche, con la conseguenza che, ove si ammettesse (vedi supra) la trascrivibilità del verbale di separazione consensuale (o della sentenza di divorzio congiunto) contenente il trasferimento immobiliare, si dovrebbe ammettere altresì la trascrivibilità del corrispondente (quanto all'oggetto) accordo di negoziazione assistita; in tal senso si potrebbe osservare che l'art. 5, comma 3, citato precede – e non segue – l'art. 6 che si occupa della negoziazione in materia familiare. Può allora ritenersi che l'art. 5 d.l. n. 132/2014 non possa applicarsi a quest'ultima materia, per la quale è stata prevista un'apposita disciplina.

La giurisprudenza, sul punto, è divisa. Secondo alcuni, per la trascrivibilità è sufficiente, ex art. 6, la mera sottoscrizione, in funzione di autentica dai parte dei difensori (Trib. Pordenone, 17 marzo 2017. Similmente Trib. Roma, 17 marzo 2017, n. 2176). Secondo altri (App. Trieste, 6 giugno 2017, Trib. Genova, 8 aprile 2016; Trib. Catania, 12 novembre 2015) detti accordi non possono essere trascritti se la sottoscrizione non è autenticata da un Pubblico Ufficiale.

In ogni caso, va considerato che – come accennato – la soluzione della trascrivibilità di tali accordi traslativi pone altra questione relativa alla possibilità di investire il PM, in sede di negoziazione assistita, del compito di accertare l'esistenza di tutte le attestazioni, le certificazioni, i requisiti ed i presupposti che il notaio deve acquisire in presenza di un trasferimento immobiliare al fine di potersi poi procedere alla trascrizione. Si tratterebbe così di una deroga alla competenza notarile sui trasferimenti immobiliari.

Difficile è sembrato sostenerne un'applicazione analogica di tale norma ritenendo legittimati a tali accertamenti soggetti diversi dal notaio, quali il Giudice (nelle separazioni consensuali o nei divorzi congiunti o nelle modifiche concordate delle condizioni della separazione e del divorzio) o il PM (in sede di negoziazione assistita), soggetti che si troverebbero di fronte ad una copiosa documentazione da esaminare, che difficilmente potrebbero garantire il puntuale rispetto della normativa urbanistica e tributaria e che, ancor più difficilmente, potrebbero avere dati aggiornati e verificare eventuali trasferimenti o iscrizioni intervenuti tra il deposito delle condizioni concordate e la data della decisione (sentenza di separazione o divorzio o decreto di modifica delle condizioni).

In tema di negoziazione assistita si segnala App. Trieste 30 maggio 2017, secondo la quale l'accordo di negoziazione assistita in materia familiare che comporti trasferimenti immobiliari necessita dell'autenticazione delle sottoscrizioni ad opera di notaio o di altro pubblico ufficiale autorizzato per poter essere trascritto nei registri immobiliari (contra Trib. Pordenone, 17 marzo 2017, cit. e Trib. Roma, 17 marzo 2017, n. 2176).

In conclusione

L'accordo di negoziazione in materia familiare è sottoposto ad un controllo giudiziale che dà avvio ad un procedimento che si conclude, a seconda dei casi, con un nullaosta o con l'autorizzazione del PM. Trattasi di un procedimento di volontaria giurisdizione, considerato che il PM non è chiamato a risolvere conflitti tra contrapposti diritti ma ad amministrare interessi privati di rilevanza pubblicistica. Il termine per la trasmissione dell'accordo di negoziazione al PM è sempre di 10 giorni - sia per la negoziazione coniugale sia per la negoziazione genitoriale - trascorsi i quali il PM non può concedere il nullaosta o autorizzare l'accordo. In questi casi non rimarrà ai coniugi che stipulare un nuovo patto con data certificata nuova.

Il nullaosta o l'autorizzazione non conferiscono comunque natura di atto pubblico all'accordo, che è e resta atto di natura privata non trascrivibile anche laddove contenga un accordo con effetti reali.

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