Separazione e divorzio: accordi integrativi

Alessandro Simeone
25 Maggio 2015

L'art. 29 Cost. ha modificato la natura giuridica della famiglia, intesa da allora come consorzio la cui gestione si basa sull'uguaglianza morale e materiale nonché come luogo privilegiato dello svolgimento della personalità individuale di ciascuno dei coniugi
Inquadramento

L'art. 29 Cost. ha modificato la natura giuridica della famiglia, intesa da allora come consorzio la cui gestione si basa sull'uguaglianza morale e materiale nonché come luogo privilegiato dello svolgimento della personalità individuale di ciascuno dei coniugi; la successiva riforma del diritto di famiglia del 1975 ha tradotto nella pratica i principi costituzionali, valorizzando la comune volontà dei coniugi, i quali hanno il diritto/dovere di concordare l'indirizzo della vita familiare (art. 144 c.c.).

La supremazia delle intese coniugali è principio applicabile tanto nella fase fisiologica quanto in quella patologica, come dimostrano sia la struttura della separazione (art. 708 c.p.c.) e del divorzio (art. 4 l. n. 898/1970) consensuali - in cui il giudice omologa o ratifica le clausole frutto della volontà comune - sia i provvedimenti riguardanti la prole minorenne (art. 337-bis e ss. c.c.) in cui si prende atto degli accordi tra i genitori se non contrari all'interesse dei figli.

A tale blocco di norme, fanno però da contraltare dialettico, da un punto di vista sostanziale gli artt. 160 c.c. (diritti indisponibili), art. 316 e ss. c.c. (responsabilità genitoriale) e, dal punto di vista processuale gli artt. 158 c.c. (omologa della separazione), art. 710 c.p.c. (modifica delle condizioni della separazione), art. 9 l. n. 898/1970 (modifica delle condizioni del divorzio), nonché le norme generali in materia di esecuzione.

Da questa contrapposizione nasce lo sforzo di trovare il punto di equilibrio tra il rispetto della volontà delle parti e il ruolo del controllo giudiziario in subiecta materia, così da verificare la validità e l'efficacia delle intese tra i coniugi (prima, durante o dopo la separazione o il divorzio) al di fuori degli schemi processuali e, dunque, qualora le stesse non siano trasfuse nei provvedimenti giudiziali (verbale di separazione consensuale, sentenza di divorzio, decreto ex art. 316-bis c.c.).

In evidenza

I coniugi hanno il potere di regolamentare liberamente i rapporti patrimoniali conseguenti la rottura dell'unione a patto che tali accordi non contrastino con la regola dell'inderogabilità dei diritti e dei doveri che nascono dal matrimonio (art. 160 c.c.)

Natura degli accordi

Gli accordi tra i coniugi sono ritenuti espressione dell'autonomia negoziale di cui all'art. 1322 c.c. (Cass. 24 febbraio 1993, n. 2270; Cass. 22 gennaio 1994, n. 657) e, come tali, pienamente validi, nei limiti in cui non determinino una violazione di cui all'art. 160 c.c. o dei principi che ineriscono la responsabilità genitoriale.

Non è dunque raro, nella pratica, imbattersi in accordi stipulati dai coniugi, prima, durante o dopo la separazione (o il divorzio).

Non tutte queste pattuizioni possono essere considerate valide a priori e, viceversa, non tutte sono, indistintamente, nulle.

Occorre invece verificarne l'oggetto e il tempo della loro conclusione rispetto alla formalizzazione della separazione (per il tramite del procedimento di negoziazione assistita o mediante il ricorso al tribunale) o del divorzio.

Gli accordi pre-matrimoniali o post matrimoniali

Sono le intese con cui i coniugi, prima o durante il matrimonio, concordano tutte le condizioni del loro futuro divorzio: assegno di mantenimento, regolamentazione della casa coniugale, regime di contribuzione.

A differenza di quanto accade negli ordinamenti di diritto anglosassone, tali accordi sono considerati nulli dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. 18 febbraio 2000, n. 1810) perché emessi in violazione dell'art. 160 c.c. e diretti a svalutare la funzione pubblicistica connessa all'intervento del tribunale in sede di omologa o di emissione della sentenza di divorzio (su tale ultimo aspetto si veda Trib. Milano, ord., 15 aprile 2015).

Dal punto di vista pratico, però, non può sottacersi l'incidenza che detti accordi, ancorché invalidi, possono avere nella formazione del convincimento del giudice nel processo di separazione, sotto il profilo della valutazione in sede contenziosa della capacità economica delle parti, del tenore di vita o delle modalità di partecipazione al mènage familiare.

Gli accordi negoziali in previsione della separazione o del divorzio

Sono quelli dotati di una loro autonomia che prevedono il prodursi di determinati effetti, diversi da quelli “tipici” dei provvedimenti giudiziari (assegno, assegnazione, regime di contribuzione) all'atto della separazione o del divorzio. Esempio tipico è l'accordo con cui si stabilisce che al momento del divorzio uno dei coniugi effettui un trasferimento (mobiliare o immobiliare) a favore dell'altro; essi differiscono dagli accordi pre-matrimoniali per il loro oggetto. I primi, come detto, sono “nulli” nella misura in cui i coniugi trattano su diritti c.d. indisponibili (rinuncia all'assegno di mantenimento o all'assegno di divorzio, determinazione anticipata dei contributi); i secondi, invece, hanno la natura di subordinare determinati effetti al verificarsi dell'evento del divorzio (o della separazione) e come tali (non coinvolgendo per nulla le attribuzioni ai sensi dell'art. 156 c.c. o dell'art. 5 della l. n. 898/1970) sono stati per lungo tempo considerati nulli (Cass. 11 dicembre 1990, n. 11788, Cass. 1 marzo 1991, n. 2180) ma oggi stati ritenuti validi ed efficaci (Cass., sez. I, 21 dicembre 2012, n. 23713), giacché in essi il divorzio (o la separazione) è considerato come mero evento al cui verificarsi è subordinato il prodursi degli effetti patrimoniali dell'accordo.

Gli accordi precedenti la separazione o il divorzio

Sono quelli stipulati dai coniugi prima dell'omologazione della loro separazione e che non sono stati trasfusi nel ricorso (e nel verbale).

La giurisprudenza, dopo un primo orientamento di netta chiusura (Cass. civ. 5 gennaio 1984, n. 401), è giunta alla conclusione di ritenerli validi e operanti nella parte in cui si collocano in posizione di non interferenza rispetto all'accordo omologato, oppure in posizione di conclamata e incontestabile maggior rispondenza rispetto all'interesse tutelato, ovverosia quando sono “migliorativi” per la parte debole (Cass. civ. 23 settembre 2013, n. 21736; Cass. 15 marzo 1991, n. 2788; Cass. 22 gennaio 1994, n. 657; Cass. 20 agosto 2004, n. 17434; Trib. Monza 19 novembre 1986).

Dunque le pattuizioni che specificano le clausole del verbale di separazione consensuale sono valide, purché ovviamente non ledano i diritti della prole; quelle che, invece, si pongono in contrasto con le statuizioni giudiziali sono invalide (Cass. 28 luglio 1997, n. 7029).

Si ritiene, però, che tale orientamento non tenga in alcun modo conto della necessità di tutelare entrambi i coniugi, e dunque anche quello, magari non economicamente più debole, che ha accettato le pattuizioni del verbale di separazione consensuale sul presupposto del venire meno dei precedenti accordi sottoscritti con il coniuge.

Una soluzione più equilibrata dovrebbe, invece, prevedere:

a) che gli accordi precedenti la separazione (o il divorzio), come espressione dell'autonomia negoziale, abbiano validità ed efficacia nella misura in cui trattano questioni non trattate in alcun modo nel verbale di separazione consensuale, indipendentemente dal fatto che siano o meno “migliorative” (per esempio, sottoscrizione di un preliminare in vista della separazione; Cass. civ. 9 aprile 2008, n. 9174);

b) che quelli riguardanti aspetti trattati direttamente nel verbale ex art. 711 c.p.c. (o nel ricorso per divorzio) debbano intendersi caducati con l'omologa della separazione (o con la sentenza di divorzio) giacché da questo completamente assorbiti (per esempio: assegno di mantenimento fissato in misura differente da quella poi risultante dal verbale di separazione);

c) che, nell'ipotesi di separazione giudiziale, gli accordi precedenti non debbano semplicemente essere trasfusi nel provvedimento provvisorio, pur essendo evidente che gli stessi possano essere utilizzati non tanto nella parte “dispositiva” quanto in quella ricognitiva (per esempio nella parte in cui riconoscono un assegno di mantenimento a favore di un coniuge, valendo in quel caso l'accordo come accertamento dello squilibrio economico esistente tra le parti).

Gli accordi contemporanei alla separazione e al divorzio

Sono gli accordi che le parti concludono contemporaneamente alla separazione e sono trattati alla stregua di quelli conclusi antecedentemente ad essa; sono anch'essi validi (Cass. civ., sez. I, 20 ottobre 2005, n. 20290) purché non interferenti con il contenuto del verbale di separazione consensuale o con la sentenza di divorzio (contra, seppure con esplicito riferimento alla sola dedotta simulazione del verbale di separazione, Cass. 20 novembre 2003, n. 17607) oppure ne siano semplicemente una specificazione (anche esecutiva) oppure, ancora, qualora siano migliorativi.

Quanto alla sorte di un accordo preso in sede di separazione, allorquando interviene il divorzio, sussiste il dubbio se il secondo assorbe il primo oppure vi è coesistenza. La risposta non può che essere diversificata:

a) se l'accordo a latere della separazione contiene delle specificazioni (anche esecutive) su questioni oggetto del contenuto tipico del verbale di separazione (per esempio assegno di mantenimento), queste, per continuare a essere operative, devono essere trasfuse nell'ordinanza presidenziale del divorzio (oppure nel ricorso congiunto), giacché quel provvedimento (al pari di quanto accade nei rapporti tra accordi precedenti la separazione e verbale ex art. 711 c.p.c.) è l'unico che può e deve regolare l'aspetto dell'assegno; in sostanza il successivo provvedimento assorbe le pattuizioni precedenti;

b) se l'accordo contiene altre pattuizioni (per esempio utilizzo di un immobile), esso mantiene la sua piena efficacia e non può essere dichiarato invalido dal giudice del divorzio, cui non possono essere proposte domande diverse da quelle specifiche del procedimento (cfr. Cass. civ., sez. I, 24 aprile 2007, n. 9915); in sostanza, l'accordo precedente coesiste con il provvedimento successivo; da qui la necessità per l'avvocato di prevedere sempre un ancoraggio, anche temporale, al divorzio per le pattuizioni speciali assunte a latere in sede di separazione.

c) l'accordo transattivo (volto dunque sia a comporre una lite in corso sia a prevenirne di nuove) avente a oggetto determinate attribuzioni patrimoniali è valido ed efficace anche se non trasfuso nel verbale di separazione o nella sentenza di divorzio, rivestendo carattere negaoziale e potendo dare vita, in taluni casi, a un vero e proprio contratto (Cass. civ., sez. III, 3 dicembre 2015, n. 24621).

Orientamenti a confronto

Simulazione della separazione

Improponibilità della domanda di simulazione della separazione: l'omologazione della separazione supera il precedente accordo dei coniugi diretto ad “annullare” gli effetti della separazione

Cass. civ., sez. I, 12 settembre 2014, n. 19319; App. Genova, 3 aprile 2004; Cass. 20 novembre 2003, n. 17607; Trib. Roma, 14 dicembre 1998

Proponibilità della domanda di simulazione della separazione: alla separazione consensuale si applicano le norme generali in materia di vizi della volontà e la domanda deve proporsi con le forme del giudizio ordinario e non con quelle del rito camerale

App. Roma, 9 maggio 2007; Trib. Foggia, 1 febbraio 2012; Cass. 20 marzo 2008, n. 7450; Cass. civ. 22 novembre 2007, n. 24321

Proponibilità della domanda di simulazione della separazione sotto forma di revoca del decreto di omologa ex art. 742 c.c.

App. Bologna, 7 maggio 2000

La simulazione della separazione

Gli accordi “simulatori” costituiscono una sottocategoria di quelli a latere della separazione: sono quelli con cui le parti pattuiscono di non aver mai voluto, in realtà, separarsi.

La prova della simulazione, ovviamente, deve essere data in forma scritta (art. 1417 c.c.).

La giurisprudenza è particolarmente divisa tra chi ritiene che al verbale di separazione si applichi sempre e comunque la disciplina codicistica dei vizi della volontà e chi, invece, sostiene che la particolare fattispecie (a formazione progressiva) della separazione (ricorso e successivo controllo giudiziale con l'omologa) non permetta di applicare l'istituto della simulazione alla separazione dei coniugi.

I fautori della tesi affermativa ritengono, correttamente, che la relativa domanda possa essere instaurata tramite procedimento ordinario ex art. 163-bis e ss. c.p.c. e non in sede di modifica delle condizioni della separazione e/o in sede di opposizione a precetto.

Indipendentemente dalla tesi che si voglia prediligere è evidente che l'eventuale controdichiarazione (cioè la prova dell'accordo simulatorio) possa essere fatta valere in sede di divorzio come indizio “forte” sull'intervenuta riconciliazione.

Gli accordi presi in separazione in previsione del divorzio (una tantum)

Sono quelli a latere della separazione con i quali i coniugi pattuiscono in tutto o in parte le condizioni del loro futuro ed eventuale divorzio; l'esempio più comune è dato dalle attribuzioni patrimoniali di un coniuge all'altro (il più debole) a titolo di una tantum “a valere” sul divorzio.

Allo stato attuale non possono che ribadirsi i principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità, dai quali non v'è alcun motivo di discostarsi:

- le intese con cui i coniugi stabiliscono, in sede di separazione, le condizioni del loro futuro divorzio sono nulle, sotto il profilo dell'indisponibilità del diritto oggetto dell'accordo (Cass. civ., sez. III, 10 marzo 2006, n. 5302; contra Trib. Torino 20 aprile 2012);

- tale nullità dunque non è assoluta ma può essere fatta valere solo dal coniuge che avrebbe diritto all'assegno di divorzio e i cui diritti siano stati lesi dall'accordo concluso in sede di separazione (Cass. civ., sez. I, 14 giugno 2000, n. 8109; Cass. civ. 21 febbraio 2001, n. 2492);

- l'assegno di divorzio deve tendere al mantenimento del tenore di vita goduto durante la convivenza matrimoniale, e tuttavia indice di tale tenore di vita può essere l'attuale disparità di posizioni economiche tra i coniugi. La suddetta disparità, pertanto, può ritenersi venga meno laddove il coniuge titolare di maggior reddito abbia versato al coniuge una cospicua somma di denaro (Cass. civ.,sez. VI-I, ord.,30 aprile 2014, n. 9498).

Da ciò consegue che i coniugi possono assolutamente stabilire in sede di separazione un importo a titolo di una tantum (l'accordo non è nullo in senso assoluto) ma tale accordo non pregiudica, a differenza dell'una tantum fissata ai sensi dell'art. 5 l. n. 898/1970, il diritto della parte percipiente di formulare domanda di contributo nel successivo giudizio di divorzio. In questi casi, il Giudice, pur non potendo dichiarare inammissibile la domanda, potrebbe respingerla nel merito, considerando l'importo versato in sede di separazione tale da eliminare quel divario tra le posizioni economiche delle parti, che è uno dei presupposti del riconoscimento dell'assegno di divorzio.

Si osserva, dal punto di vista strettamente pratico, che la riduzione dei tempi tra separazione e il divorzio introdotta dalla l. n. 55/2015, dovrebbe in futuro eliminare il problema dell'una tantum in sede di separazione, potendo i coniugi rinviare la definizione tombale delle questioni patrimoniali al 180° giorno successivo alla sottoscrizione del verbale della loro separazione consensuale.

Gli accordi successivi e negoziazione assistita

Sono quelli stipulati successivamente alla separazione o al divorzio e devono essere valutati in base al loro oggetto:

a) gli accordi che specificano diversamente l'esercizio della responsabilità genitoriale (per esempio: diversa ripartizione dei tempi di permanenza) sono pienamente validi ed efficaci (Arceri A., La pianificazione della crisi coniugale: il consenso sulle condizioni della separazione, accordi a latere e pattuizioni in vista del futuro divorzio, in Fam. e Diritto, 1, 2013, 94); saranno invece da ritenere invalidi quelli che modificano l'affido da condiviso a esclusivo (in quel caso, infatti, è il giudice che deve valutare la rispondenza del cambio di affido all'interesse del minore) o quelli incidenti su precedenti provvedimenti limitativi della responsabilità genitoriale;

b) quelli specificativi degli accordi economici, sia inerenti il coniuge sia inerenti la prole, sono validi, giacché non incidenti sulle precedenti statuizioni e posti in linea di non interferenza rispetto ad esse;

c) per quelli sostanzialmente modificativi dei provvedimenti giudiziari precedenti, la situazione è peculiare. Nonostante parte della giurisprudenza (Cass. 18 giugno 1998, n. 5829; Cass. 20 ottobre 2005, n. 20290) e della dottrina (Oberto G., Gli accordi a latere nella separazione e nel divorzio, in Fam. e Diritto, 2, 2006, 150) li ritengano ammissibili sembra doversi propendere per la tesi opposta (Trib. Bari 18 settembre 2008; Trib. Pordenone 30 marzo 2010), soprattutto alla luce dell'introduzione del procedimento di negoziazione assistita (l. n. 162/2014).

Le ragioni di tutela della parte più debole e i diritti (parzialmente) indisponibili che entrano in gioco nell'ipotesi di modifica “privata” dei provvedimenti giudiziari, sono gli stessi che hanno indotto il legislatore del 2014 a introdurre il vaglio del PM per le pattuizioni negoziate con gli avvocati.

Cosicché, sarebbe contraddittorio ritenere che per gli accordi iniziali debba sempre esserci un filtro dell'Autorità giudiziaria (tribunale per l'omologa, PM, seppure in via amministrativa, per la negoziazione assistita) ma che, viceversa, tale controllo sia superfluo per le intese successive che modificano quelle per le quali il controllo è richiesto.

D'altra parte le esigenze di tutela della “parte debole” sussistono indipendentemente dal fattore tempo e, dunque, il discrimine non può essere rappresentato dal momento in cui i coniugi stipulano le loro intese.

D'altra parte, proprio con l'introduzione della negoziazione assistita, viene meno quell'obiezione pratica di chi riteneva che il preventivo ricorso all'Autorità giudiziaria per “validare” le modifiche pattuite “privatamente” dai coniugi costituisse un inutile dispendio di tempo per le parti. Con la de-giurisdizionalizzazione, infatti, le parti possono raggiungere un accordo tra di loro (con l'ausilio degli avvocati) e sottoporlo, in breve tempo, all'attenzione del Pubblico Ministero (se vi sono figli) oppure anche all'Ufficiale di Stato Civile (in assenza di figli).

Forma ed esecuzione degli accordi integrativi

Con riferimento alla forma degli accordi, si seguono le regole generali e dunque:

a) le intese verbali precedenti sono valide seppure con i limiti degli artt. 1349 e ss. c.c.;

b) la pattuizioni coeve o successive dovranno sempre avere la forma scritta ad probationem.

Quanto all'esecuzione, tutti gli accordi non potranno mai essere fatti valere direttamente in via esecutiva, non sussistendo un titolo ex art. 474 c.p.c., ma solo con procedimento ordinario, sommario di cognizione o monitorio.

In particolare

a) gli accordi a latere aventi a oggetto trasferimenti immobiliari potranno essere fatti valere ai sensi dell'art. 2932 c.c. e dunque con procedimento ordinario e non invece in sede di modifica delle condizioni della separazione e/o divorzio;

b) gli accordi modificativi che non siano strettamente attinenti al contenuto “tipico” della separazione (e del divorzio) non possono essere fatti valere in sede di procedimento ex art. 710 c.p.c. o nel giudizio di divorzio (Trib. Milano, ord., 24 dicembre 2012); quelli assunti a latere del divorzio non potranno essere fatti valere nel giudizio ex art. 9 l. n. 898/1970 (Trib. Milano 29 dicembre 2014);

c) gli accordi modificativi attinenti al contenuto tipico della separazione o del divorzio non devono essere automaticamente trasfusi nel provvedimento di modifica ex art. 710 c.p.c. o ex art. 9 l. n. 898/1970 e neppure (se successivi alla separazione) nel provvedimento ex art. 4 l. n. 898/1970 o nella sentenza che definisce il divorzio; ovviamente le intese dei coniugi modificative o integrative delle condizioni della separazione (nei limiti di validità anzidetti) potranno però essere utilizzate per la formazione del convincimento del giudice.

Da ricordare infine che gli accordi integrativi, proprio perché non contenuti in un titolo giudiziale non possono essere opposti ai terzi.

In particolare:

- l'eventuale assegnazione della casa coniugale inserita in un accordo a latere non sarà opponibile ai terzi aventi causa né potrà essere oggetto di trascrizione (difettando il provvedimento); è invece ammissibile la successione nel contratto di locazione ex art. 6 l. n. 392/1978, argomentando dalla Corte Costituzionale (C. cost. 7 aprile 1988, n. 4040);

- la previsione di un assegno contenuto in un accordo stipulato contemporaneamente al divorzio congiunto ma non riportato nella sentenza (e nel ricorso congiunto) non legittima la richiesta di pensione di reversibilità a seguito del decesso dell'obbligato (C. cost. 17 marzo 1995, n. 87).

Casistica

Gli accordi presi in separazione in vista del divorzio sono affetti da nullità relativa

Gli accordi dei coniugi diretti a fissare, in sede di separazione, i reciproci rapporti economici in relazione al futuro ed eventuale divorzio con riferimento all'assegno divorzile sono nulli per illiceità della causa. La previsione dell'una tantum ex art. 5 l. n. 898/1970 non è applicabile al di fuori del giudizio di divorzio, e gli accordi di separazione, dovendo essere interpretati secundum ius, non possono implicare rinuncia all'assegno di divorzio (Cass. civ. 18 febbraio 2000, n. 1810; Cass. civ., sez. III, 10 marzo 2006, n. 5302)

Gli accordi assunti in vista del divorzio sono validi

L'accordo sui profili patrimoniali tra i coniugi in sede di separazione legale ed in vista del divorzio non contrasta né con l'ordine pubblico, né con l'art. 160 c.c. (Trib. Torino, 20 aprile 2012)

La rinuncia all'assegno di divorzio delimita l'assegno di divorzio alla sola componente assistenziale

Le convenzioni preventive di separazione o di divorzio devono ritenersi valide, di conseguenza la volontaria rinuncia posta in essere da parte di uno dei due coniugi al proprio diritto al mantenimento nei confronti dell'altro ha l'effetto di delimitare la funzione assistenziale dell'assegno di mantenimento alla mera componente alimentare (Trib. Terni 10 maggio 2005)

Gli accordi tra i coniugi che prevedono la produzione di determinati effetti al momento del divorzio sono validi

È valido l'accordo con il quale i coniugi, al momento del matrimonio, avevano stabilito che, in caso di divorzio, la moglie avrebbe trasferito al marito la proprietà di un suo immobile, a fronte delle migliorie apportate dal marito a un immobile, di proprietà della prima, poi adibito a casa coniugale (Cass. civ., sez. I, 21 dicembre 2012, n. 23173)

Gli importi extra-separazione versati al coniuge non rendono inammissibile la domanda di assegno di divorzio ma possono determinarne il rigetto nel merito

La dazione di una somma cospicua non prevista nel ricorso per separazione da parte dell'ex coniuge, pur non escludendo a priori il diritto all'assegno di divorzio, rende la relativa domanda non accoglibile nel merito, giacché la percezione dell'importo aveva determinato il venire meno dello squilibrio economico tra i coniugi che è (un) presupposto per l'assegno ex art. 5 l. n. 898/1970 (Cass. civ., sez. I, 30 aprile 2014, n. 9498)

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